N.251/2024 R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO
DI TRIESTE SECONDA
SEZIONE CIVILE
La Corte d’Appello di Trieste, in persona dei Sigg.
Magistrati:
Dott. NOME COGNOME Presidente rel. Dott.
NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._145_2025_- N._R.G._00000251_2024 DEL_10_05_2025 PUBBLICATA_IL_10_05_2025
nella causa civile di II
° grado iscritta al n. 251/2024 RG, promossa con atto di citazione in appello notificato il 11/07/2024 (C.F.: , proc. dom. avv. COGNOME
NOME per mandato – valido anche per il presente giudizio – allegato all’atto di citazione in opposizione ex art. 645 c.p.c. – APPELLANTE – CONTRO RAGIONE_SOCIALE (P.I.: – già C.F. P. atto pubblico di fusione del 23/11/2022, a rogito del Dott. , Notaio in Milano – Rep. n. 75095 – Racc. n. 15653), in qualità di mandataria di RAGIONE_SOCIALE. persona del procuratore speciale Avv. proc.
dom. avv. COGNOME e COGNOME per mandato allegato alla comparsa di risposta depositata in grado di appello APPELLATA – OGGETTO:
Fideiussione – Polizza fideiussoria.
Appello avverso la sentenza n. 356/2024 del Tribunale di Pordenone pubblicata il 14/05/2024 e notificata in data 11/06/2024
Causa iscritta a ruolo il 18/07/2024 e trattenuta in decisione all’udienza di discussione ex artt. 281 sexies e 350 bis c.p.c. del 07/05/2025 sulle seguenti
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
“i. Accogliere l’opposizione al D.I., formulata in primo grado dall’odierno appellante, al decreto ingiuntivo n. 1209/2020 del 17 novembre 2020 (R.G. 2534/2020) del Tribunale di Pordenone e, conseguentemente, revocare, annullare e/o dichiarare privo di efficacia il suddetto provvedimento monitorio, per le medesime ragioni addotte dalla sentenza opposta dal in riforma dell’impugnata sentenza di primo grado n. 356/2024, pubblicata il 14 maggio 2024, R.G. 221/2021, Repert.
485/2024 del 14 2024, resa dal Tribunale di Pordenone, Sezione civile, in persona del Giudice Dott. NOME COGNOME e notificata a mezzo posta elettronica certificata in data 11 giugno 2024;
ii.
in ogni caso, formulare ogni e qualsivoglia provvedimento favorevole al sempre in considerazione ed in accoglimento dell’opposizione formulata ex art. 1306 c.c. In subordine, voglia la Corte adita, trattenuta comunque la causa in decisione, accogliere le conclusioni già precisate dalla scrivente difesa con nota scritta depositata il 12 dicembre 2024.
”.
Per l’appellata:
“In via preliminare:
– accertare e dichiarare, per tutte le motivazioni esposte nella presente comparsa di costituzione, l’inammissibilità dell’appello avversario si sensi all’art. 342 co. I, c.p.c, ovvero, in difetto, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c.;
Nel merito, in via principale:
– respingere in toto, per tutte le motivazioni esposte nella presente comparsa, qualsiasi domanda ed eccezione proposta dal Sig. con atto di citazione in appello e, per l’effetto, confermare in ogni sua parte la sentenza n. 356/2024 (R.G. n. 221/2021) pronunciata dal Tribunale di Pordenone e pubblicata in data 14/05/2024.
Nel merito, in via subordinata:
– accertare e dichiarare, per tutte le motivazioni esposte nella presente comparsa, la validità della fideiussione sottoscritta in data 27/06/2011 dal Sig. Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari, da liquidarsi secondo i valori medi del D.M. 147/2022, tenuto conto del valore di causa dichiarato dalla controparte con atto di citazione in appello, oltre accessori di Legge.
La scrivente difesa dichiara di non accettare il contraddittorio su domande e/o eccezioni nuove e/o tardivamente formulate.
”.
FATTO E
MOTIVI DELLA DECISIONE
in persona della sua procuratrice premesso che era creditrice nei confronti di nella loro qualità di fideiussori, della società (cancellata) fino a concorrenza della somma di € 125.000,00, chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Pordenone decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, con il quale veniva ingiunto all’ e al in solido, il pagamento della predetta somma oltre ad interessi e spese.
Con atto di citazione notificato in data 01/02/2020 il conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Pordenone in qualità di procuratrice eccependo l’estinzione ’obbligazione ovvero l’inesistenza dell’obbligazione principale e, quindi, della garanzia.
Eccepiva altresì l’ingiunto che, nel 2014, era stata comunque “conclusa” una transazione (anche in favore di con pagamento a saldo e stralcio della somma di € 10.000,00 (di cui € 5.000,00 dovuti dal ed € 5.000,00 dovuti dall’ che non si era perfezionata per mancata adesione da parte della che esso ingiunto era liberato per estinzione della garanzia posto che, in esito alla cancellazione della società debitrice, era preclusa ogni ipotesi di surroga per i garanti a norma dell’ art. 1955 c.c.;
che, in ogni caso, non era dato da sapere se dopo l’estinzione per compensazione delle partite di c/c era stato fatto ulteriore credito alla società con conseguente liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c.;
che la documentazione prodotta dalla Banca non era conforme all’orginale;
che l’azione era prescritta.
Tutto ciò premesso l’opponente chiedeva:
a) in rito, in via preliminare che venisse sospesa la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo;
b) nel merito in via principale che venisse “rigettato” il decreto ingiuntivo per l’inesistenza del credito azionato con conseguente dichiarazione di nullità e/o inefficacia della fideiussione prestata;
c) nel merito, in via subordinata, solo per il caso di rigetto delle eccezioni preliminari che, accertato e dichiarato che era intervenuta transazione a saldo e stralcio per un importo € 10.000,00, il decreto ingiuntivo opposto venisse revocato compensando il credito residuo della (€ 10.000,00) con il debito della stessa per il danno comportato ai garanti per la perdita del diritto alla surroga.
Si costituiva in nome e per conto di chiedendo il rigetto dell’opposizione deducendo la genericità di tutte le eccezioni svolte dall’opponente.
Radicatasi così la lite, nel corso della prima udienza, il patrocinio dell’attore opponente eccepiva altresì la nullità della fideiussione per violazione dell’art. 2 comma 2 lett. A legge 287/90 e la conseguente decadenza della creditrice ex art. 1957 c.c. non avendo coltivato istanze contro la debitrice principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione.
Istruita la causa documentalmente, il Tribunale di Pordenone rigettava l’opposizione condannando il alle spese.
Affermava il primo Giudice che sia il che l’ avevano proposto opposizione al decreto ingiuntivo instaurando le due cause “gemelle”, la seconda delle quali si era conclusa con la sentenza n. 587/2023 dello stesso Tribunale di Pordenone;
che, in entrambi i procedimenti, gli attori opponenti avevano sollevato, tra le altre, l’eccezione di nullità parziale delle fideiussioni per violazione della c.d. normativa Antitrust;
che, contrariamente quanto dedotto parte opponente anche all’orientamento espresso con la citata sentenza n. 587/2023, era preferibile all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento Bankitalia n. 5/2005 valeva esclusivamente per le sole garanzie stipulate tra il 2002 e il 2005, e non per le garanzie fideiussorie stipulate in epoca successiva, sicuramente non per quelle stipulate oltre cinque anni dal dicembre 2005, come nel caso di specie;
che la parte che intendeva far valere la nullità di fideiussioni conformi a detto schema ABI – ma sottoscritte a distanza di anni dall’istruttoria condotta dall’Autorità Antitrust – era onerata di provare, secondo i principi generali, tutti i fatti costitutivi della propria domanda, compresa la persistenza di un’eventuale intesa restrittiva della concorrenza di cui la singola fideiussione fosse considerata l’effetto, non potendo giovarsi, all’uopo, del valore probatorio “privilegiato” del citato provvedimento amministrativo in quanto relativo ad una fascia temporale conclusasi nel maggio 2005; che, per periodo successivo all’istruttoria del 2005, non esistevano indizi utili a ritenere che fosse riscontrabile come ancora sussistente una condotta collettiva e concordata da parte degli istituti bancari del tipo di quella a suo tempo sanzionata come anticoncorrenziale, non essendovi stato alcun altro formale accertamento da parte dell’Autorità competente;
che era pertanto onere dell’attore offrire la prova di tutti gli elementi costitutivi della propria domanda tra cui, in primis, l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale “a monte”;
che l’eccezione di inesistenza del rapporto principale era del tutto generica e in aperto contrasto con la documentazione già prodotta dalla parte convenuta/opposta con il ricorso monitorio;
che non vi era alcuna prova dell’asserito perfezionamento di un accordo transattivo;
che anche l’eccezione della c.d. liberazione del fideiussore per fatto del creditore ai sensi dell’art. 1955 c.c. era infondata;
che, infine, oltre che generica, l’eccezione di prescrizione era parimenti infondata, in quanto l’ingiungente aveva prodotto la lettera di revoca degli affidamenti e di messa in mora, con le relative cartoline di ricevimento, inoltrata al in data 20/07/2015.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello il fondandolo su due motivi lamentando:
1) che, diversamente da quanto argomentato dal Giudice di prime cure, l’utilizzo da parte delle banche dei medesimi moduli anche in data successiva al 2005 – nonostante l’ABI avesse pubblicato, proprio nel 2005, un nuovo modello di fideiussione privo delle clausole “incriminate” – era di per sé un chiaro elemento di prova che l’intesa anticoncorrenziale aveva continuato ad essere applicata in maniera indistinta e, pertanto, nel caso di specie, doveva trovare applicazione la disciplina contenuta nell’art. 1957 c.c., stante la nullità della clausola n.6 del contratto sottoscritto, di tal che la banca, al fine di evitare la decadenza, avrebbe dovuto agire contro la società entro sei mesi dalla revoca delle linee di credito; )
che, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, l’accordo transattivo si era perfezionato nel novembre 2014, quando aveva emesso la relativa delibera di approvazione, come comunicato dal Direttore con mail del 10/11/2014, dal momento che il fatto che l’accordo non fosse stato formalizzato tramite atto scritto, non era rilevante in quanto le transazioni necessitano di forma scritta ad substantiam solamente nel caso in cui avessero ad oggetto i rapporti giuridici menzionati nell’art. 1350 c.c. Stante la pendenza in appello del procedimento tra la e l’ definito con la citata sentenza n. 587/2023, parte appellante, premesso che era sua intenzione giovarsi della disposizione di cui all’art. 1306, secondo comma, c.c., chiedeva, infine, la sospensione del presente processo, ai sensi dell’art. 337 c.p.c. Si costituiva, a seguito di atto pubblico di fusione 23/11/2022, quale mandataria di la società RAGIONE_SOCIALE eccependo l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c e 348 bis c.p.c. e chiedendone, nel merito, il rigetto. All’udienza del 27/11/2024 le parti chiedevano concordemente che venisse fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Il P.I., nulla opponendo le parti, disponeva la sostituzione dell’udienza di precisazione delle conclusioni con note scritte ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c. aver depositato le conclusionali e le repliche, nelle note scritte, parte appellante dava atto dell’avvenuta dichiarazione di estinzione del procedimento d’appello R.G. 364/2023, concernente l’opposizione al medesimo decreto ingiuntivo e conclusasi in primo grado con la citata sentenza n. 587/2023, a fronte della rinuncia agli atti del giudizio d’appello da parte della e contestuale accettazione da parte dell ’ Dato atto di ciò, l’appellante,
dopo aver ricordato che la rinuncia agli atti del giudizio di appello comportava il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ai sensi e per gli effetti dell’art. 388 c.p.c., affermava di voler esercitare il diritto potestativo di opposizione, ai sensi dell’art. 1306, comma secondo, c.c., della sentenza pronunciata tra la creditrice e l’altro debitore in solido ( e chiedeva, quindi, la revoca del decreto ingiuntivo opposto anche nei suoi confronti così come stabilito dalla citata sentenza 587/23 del Tribunale di Pordenone. Con ordinanza 19/02/2025 questa Corte, a fronte del nuovo documento allegato e delle nuove conclusioni rassegnate, rimetteva la causa in istruttoria al fine di instaurare il contraddittorio sul punto non avendo parte appellata potuto svolgere alcuna replica All’udienza del 12/03/2025 l’appellata contestava le nuove deduzioni ed argomentazioni svolte da parte appellante.
P.I., rilevato che l’unica questione su cui le parti dovevano dedurre ed argomentare fosse quella indicata nell’ordinanza 19/02/2025, le invitava a precisare nuovamente le conclusioni e fissava, per la discussione ex artt. 281 sexes e 350 bis c.p.c., l’udienza del 07/05/2025, concedendo termine fino al 14/04/2025 per il deposito di note conclusive.
All’udienza di discussione del 07/05/2025 si riportavano alle loro deduzioni e conclusioni.
La Corte si riservava la decisione ai sensi dell’art. 281 sexies, u.c., c.p.c. Ciò premesso in fatto va esaminata in via del tutto preliminare l’istanza svolta dall’appellante ai sensi della disposizione di cui all’art. 1306, comma 2°, c.c.
Tale norma recita “La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori.
Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore;
gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi.
”.
Ora parte appellata ha sempre sostenuto in questo giudizio che la disposizione non troverebbe applicazione in quanto le due fidejussioni sarebbero autonome.
Al contrario parte appellante, anche all’odierna udienza di discussione, ha affermato che si tratta di obbligazione passiva solidale.
Sul punto va ricordato, innanzitutto, che il S.C. ha chiarito che, nel vigente sistema ordinamentale, la figura delle obbligazioni solidali passive sottende:
a) sia fenomeni nei quali la ragione della rilevanza della solidarietà risiede in rapporti plurisoggettivi che sono riconducibili ad una eadem causa obligandi, cioè ad un rapporto che vede i soggetti coobbligati e, dunque, responsabili dell’eadem res debita per una causa comune, che li vede direttamente debitori verso il creditore comune;
b) sia fenomeni nei quali le causae obligandi che determinano la solidarietà della responsabilità quanto ad una eadem res debita, sono diverse, sebbene collegate fra loro in funzione della tutela di un interesse che è riferibile solo ad uno dei soggetti coobbligati, sicché i soggetti coobbligati sono più ma per un debito che, sotto il profilo dell’interesse, è riferibile ad uno solo di loro, essendo gli altri coobbligati responsabili per un debito altrui (cfr. Cass. 10/05/2024 n. 12928, parte motiva, nello stesso senso Cass. 18/12/2024 n. 33130). Il caso che ci occupa non rientra in alcuna delle due ipotesi.
Invero, come evidenziato dalla appellata
(cfr. pag. 24 della comparsa di costituzione e pag. 2 della memoria conclusiva):
a) l’ e il sono garanti della banca in virtù di due titoli diversi:
l in forza di fidejussione omnibus sottoscritta in data 10/06/2011 per l’importo di € .000;
il in forza di altra fidejussione sottoscritta in data 27/06/2011 sempre per l’importo di € 125.000 (cfr. doc. 8 del fascicolo monitorio);
b) il contratto sottoscritto dal (così come quello dell’ prevede all’art. 10 che “La fideiussione ha pieno effetto indipendentemente da qualsiasi garanzia, personale o reale, già esistente o che fosse in seguito prestata a favore della Banca nell’interesse del debitore medesimo.
Quando vi sono più fideiussori, ciascuno di essi risponde per l’intero ammontare del debito, anche se le garanzie sono state prestate con unico atto e l’obbligazione di alcuno dei garanti è venuto a cessare o ha subito modificazioni per qualsiasi causa e anche per remissione o transazione da parte della Banca” (cfr. doc 8 citato).
Giova anche ricordare che, la giurisprudenza del S.C., con riguardo alla applicazione della disposizione di cui all’art. 1304 c.c. (azione di regresso), è concorde nell’affermare che, in caso di fideiussione prestata da una pluralità di garanti, ricorre l’ipotesi della co-fideiussione, con conseguente possibilità di esercitare tale azione solo quando possa riconoscersi un vincolo di solidarietà tra più fideiussori ed un unico debitore precisando che, a tal fine, è necessario che la garanzia sia prestata per il medesimo debito, anche se non contestualmente, nella reciproca consapevolezza dell’esistenza dell’altrui garanzia e con l’intento di garantire congiuntamente il medesimo debito; quando invece non vi sia solidarietà tra i fideiussori – perché prestate distinte fideiussioni da diversi soggetti in tempi successivi e con atti separati, senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra essi o, al contrario, con espressa convenzione con il creditore volta a tenere differenziata la propria obbligazione da quella degli altri e, in ogni caso, se manchi un collegamento correlato ad un interesse comune da parte dei fideiussori – la fideiussione deve qualificarsi “plurima” e non trova applicazione l’art. 1304 c.c. (cfr. Cass. 28/03/2023 n. 8697; nello stesso senso Cass. 24/02/2016 n. 3628;
Cass. 14/07/2010 n. 16561).
In quest’ultimo caso il solvens potrà esperire esclusivamente dell’azione di surrogazione nei diritti della creditrice, ex art. 1203, n. 3, c.c., contro gli altri fideiussori che hanno dato autonoma e separata garanzia Ora è ben vero, come sostiene l’appellante, che banca ha proposto un unico ricorso per ingiunzione nei confronti dei due garanti, chiedendo ed ottenendo la condanna in solido di entrambi i debitori, come emerge chiaramente dal decreto opposto;
tuttavia, alla luce della giurisprudenza sopracitata, ciò non è sufficiente per qualificare l’obbligazione tra l’ ed il come co-fidejussione, dal momento che non vi è alcuna prova della sussistenza di un intento, comune ad entrambi, di collegarsi reciprocamente nella garanzia del debito principale verso la stessa creditrice garantita, ma – al contrario – dall’art. 10 del citato contratto emerge che si tratta piuttosto due fidejussioni autonome e indipendenti fra loro.
ciò consegue va rigettata la richiesta di revoca del decreto ingiuntivo opposto ai sensi dell’art. 1306, comma secondo, c.c.
Quanto all’appello proposto dal va innanzitutto rilevato che l’eccezione di inammissibilità proposta dalla appellata ex art. 348 bis c.p.c. (e riproposta in sede di precisazione delle conclusioni), è già stata implicitamente rigettata dal P.I. in sede di prima udienza.
Ancora preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. sollevata sempre dall’appellata, dal momento che la modifica della disposizione di cui all’art. 342 c.p.c. (nel testo attuale “…
.L’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico:
1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;
2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata…) non ha comportato sostanziali modifiche rispetto al testo precedente (che così recitava:
“…l’appello deve essere motivato.
La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata…”).
Pertanto, va ritenuto ancora attuale l’orientamento giurisprudenziale secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c. vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. Cass. SS.UU. 13/12/2022 n. 36481).
Alla luce della giurisprudenza soprarichiamata, l’atto di citazione in appello è ammissibile, in quanto – all’evidenza – contiene la chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati richiamandosi, con riguardo alla violazione di legge, al (diverso) orientamento assunto dallo stesso Tribunale di Pordenone in altra controversia.
Nel merito l’appello è infondato e va rigettato.
Quanto al primo motivo è opportuno innanzitutto ricordare che, nell’ottobre del 2002, l’ABI ebbe a predisporre uno schema negoziale “tipo” per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie, che – prima della diffusione tra gli istituti di credito – fu comunicato alla Banca d’Italia (all’epoca Autorità Garante della Concorrenza tra gli Istituti di Credito) la quale, nel novembre 2003, avviò un’istruttoria finalizzata a verificare la compatibilità dello schema contrattuale di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, predisposto dall’ABI, con la disciplina dettata in materia di intese restrittive della concorrenza. A tal fine, la Banca d’Italia interpellò – in via consultiva – l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale – nel parere n. 14251 – evidenziò come la disciplina della fideiussione omnibus, di cui allo schema predisposto dall’ABI, presentasse clausole idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili – in linea generale – “di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito”, nonché, nei casi di fideiussioni a pagamento, “di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore”. I rilievi critici dell’Autorità Garante riguardavano, in particolare, le clausole nn.
2, 6 e 8 del citato schema contrattuale, e precisamente:
i) la cd. “clausola di reviviscenza”;
ii) la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.;
iii) la c.d. “clausola di sopravvivenza”.
Sulla scorta di tale parere, e rilevato che, dall’istruttoria espletata, era emerso che diverse banche avevano ormai adottato lo schema predisposto dall’ABI, e che dai dati raccolti era altresì risultato che la maggior parte delle clausole esaminate fosse stata ritenuta dalle banche applicabile anche ai contratti stipulati da soggetti privati, in qualità di fideiussori, la Banca d’Italia aveva emesso il provvedimento n. 55 del 2/05/2005 nel quale si affermava:
“gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90 (legge antitrust)”.
A fronte di ciò, come è noto, le SS.UU. del S.C., con sentenza n. 41994 del 30/12/2021, hanno statuito che “i contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3° della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”. A tale decisione si richiama l’appellante, atteso che la clausola contenuta nell’art. 6 delle condizioni contrattuali, secondo cui “I diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o me/noi stesso/stessi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti dall’art. 1957 cod. civ., cui espressamente derogo/deroghiamo” sarebbe identica a quella dello schema ABI, schema che peraltro non risulta essere stato prodotto in giudizio. Sostiene, altresì, l’appellante che, diversamente da quanto sostenuto dal Giudice di prime cure, il provvedimento emesso dalla Banca d’Italia avrebbe valenza presuntiva della sussistenza della condotta anticoncorrenziale e che, quindi, poiché aveva utilizzato un modulo contenente tutte e tre le clausole “incriminate” e, in particolare, quella di cui all’art. 6, la deroga alla disciplina prevista dall’art. 1957 c.c., tale clausola dovrebbe ritenersi nulla con la conseguenza che la banca, al fine di evitare la decadenza, avrebbe dovuto agire contro la società entro 6 mesi dalla revoca delle linee di credito. Ora, in primo luogo, va ricordato che il SRAGIONE_SOCIALEC. ha escluso l’accoglimento dell’eccezione di nullità della fideiussione presuntamente ricalcante lo schema contrattuale predisposto dall’ABI nel 2003 e sanzionato dalla Banca d’Italia per le potenzialità lesive alla normativa antitrust, in caso di mancata in giudizio del predetto schema, in base al principio dell’onere della prova gravante sul garante e ciò quantomeno in tutti i casi in cui il contratto sia stato concluso in un momento diverso al periodo esaminato dalla Banca d’Italia (ottobre 2002 – maggio 2005- cfr. Cass. 08/08/2023 n. 24198; nello stesso senso Cass.25/01/2025 n. 1851).
Sul punto infatti il S.C. così si esprime “…nel caso di specie, varrà rilevare come il ricorrente abbia del tutto trascurato di provvedere al deposito in giudizio dello schema dell’A.B.I. oggetto del rilevato giudizio di illiceità anticoncorrenziale, con la conseguente impossibilità, in questa sede, di procedere ad alcuna verifica, tanto dei termini (o dei limiti) entro i quali la fideiussione in questione abbia effettivamente recepito le clausole di quello schema dell’A.B.I., quanto (e soprattutto) della misura entro cui possa ritenersi desumibile una volontà delle parti intesa a mantenere comunque in vigore la fideiussione nonostante l’espunzione di eventuali clausole nulle…. ”.
La mancata produzione del modello ABI sarebbe, quindi, da sola sufficiente a respingere il primo motivo di appello.
Tuttavia, poiché parte appellata non ha mai svolto tale contestazione va chiarito, innanzitutto, che le norme del modello ABI “censurate” ai sensi della normativa antitrust non sono nulle in sé perché contrarie a norme imperative, ma solo in quanto risultano essere una manifestazione dell’intesa vietata, riconducibile in via esclusiva alla pronuncia della predetta Autorità amministrativa.
In secondo luogo va ritenuto che la produzione del provvedimento dell’Autorità Garante costituisca prova privilegiata della condotta anticoncorrenziale con riferimento alle coordinate fattuali e temporali della specifica vicenda esaminata dalla Banca d’Italia, al tempo Autorità Garante della Concorrenza tra gli istituti di credito, sussistendo un rapporto inverso tra l’attitudine del predetto provvedimento a provare la sussistenza della condotta anticoncorrenziale e il decorso del tempo dalla sua adozione,
risultando, in altri termini, l’anzidetta efficacia via via decrescente quanto più la fattispecie negoziale oggetto di disamina si collochi in epoca cronologicamente distante dal tempo dell’accertamento.
Per questi motivi questa Corte ha già aderito (cfr. Corte d’Appello di Trieste
sent. 485/24;
Corte di Appello di Trieste, sent. n. 474/24 del 03/12/2024) a quell’orientamento di merito (cfr. ex multis Tribunale di Milano
sent. 04/01/2024, 20/12/2023 e 19/01/2022, Tribunale di Vicenza 18/02/2022, Tribunale di Napoli 19/09/2022, Tribunale di Bari 04/10/2022) secondo cui il provvedimento Bankitalia n. 5/2005 vale per le sole garanzie stipulate tra il 2002 e il 2005, e non per le garanzie fideiussorie stipulate in epoca successiva, sicuramente non per quelle stipulate a distanza di oltre cinque anni dal dicembre 2005, come nel caso di specie (il contratto stipulato dal è datato 27/06/2011).
In base a tale orientamento, la parte che intenda far valere la nullità di fideiussioni conformi al predetto schema ABI, ma sottoscritte a distanza di anni dall’istruttoria condotta dall’Autorità antitrust, è onerata di provare, secondo i principi generali, tutti i fatti costitutivi della propria domanda, compresa la persistenza di un’eventuale intesa restrittiva della concorrenza di cui la singola fideiussione sia considerata l’effetto, non potendo giovarsi, all’uopo, del valore probatorio “privilegiato” del citato provvedimento amministrativo in quanto relativo ad una fascia temporale conclusasi nel maggio 2005 (cfr. in particolare Tribunale di Milano del 20/12/2023 n. 10296). Tale orientamento risulta essere stato condiviso anche dalla Prima Sezione del S.C. che, in un caso parzialmente analogo al caso che ci occupa, nella parte motiva dell’ordinanza n. 30383 del 13/11/2024 così si è espressa:
“….Passando alla questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto «a valle» dell’intesa anticoncorrenziale, nullità che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default, è agevole osservare che essa rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione
, e cioè: i) l’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia;
ii) la natura della fideiussione, il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus, non a quelle prestate per un affare particolare….
;
iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova; iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza……”.
Per il periodo successivo all’istruttoria del 2005, infatti, non esistono indizi utili a ritenere che sia riscontrabile come ancora sussistente una condotta collettiva e concordata da parte degli istituti bancari del tipo di quella a suo tempo sanzionata come anticoncorrenziale, non essendovi stato alcun altro formale accertamento da parte dell’Autorità competente.
Chiarito, quindi, che era onere dell’opponente odierno appellante offrire la prova di tutti gli elementi costitutivi della propria domanda tra cui, in primis, l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale “a monte”, va ritenuto che tale dimostrazione in questo giudizio manchi del tutto non avendo la difesa del allegato alcunché a sostegno della sua tesi.
Giova ribadire, a questo proposito, che poiché la clausola contestata non è di per sé nulla in quanto non è contraria a norme imperative il avrebbe dovuto fornire adeguata prova di una intesa illecita “a monte” prorogatasi su contratti “a valle”, a mezzo di una standardizzazione contrattuale diffusa che avrebbe continuato a produrre effetti anticoncorrenziali dal 2005 fino al 2011 (e oltre).
Quanto al secondo motivo la tesi secondo cui la transazione si sarebbe perfezionata non ha pregio.
Il primo Giudice, infatti, così motiva:
“….Sull’asserito perfezionamento di un accordo transattivo si rileva come dello stesso……non vi sia alcuna prova:
quanto allegato da parte opponente……..
si ferma alla fase delle trattative, come, peraltro, dimostrato dal doc. 9 di parte opposta…..
da cui risulta che il debitore principale, la società e i garanti…..
già nel luglio 2015 [quindi in epoca successiva all’asserito perfezionamento dell’accordo transattivo] avevano ricevuto la comunicazione della revoca degli affidamenti e la contestuale richiesta di immediato pagamento dell’importo complessivo pari ad Euro 218.145,07, esprimendo così, al di là di ogni ragionevole dubbio e affidamento da parte dell’opponente, che l’accordo transattivo proposto nel 2014 non aveva trovato alcun accoglimento da parte dell’istituto di credito…..
”.
Continua a sostenere l’appellante che l’accordo si sarebbe invece perfezionato già nel 2014 a mezzo di due mail con le quali, da un lato, (funzionario della banca) aveva comunicato al Vicari di aver ottenuto “la delibera di quanto definito” (“Buongiorno Sig. finalmente ho ottenuto la delibera di quanto definito.
Per formalizzare verrà il legale rappresentante a firmare?
” – cfr. doc.
6 opponente), dall’altro, il Vicari che “confermava e ringraziava” (“Buonasera, come discusso per telefono le confermo che verrà il sig. per la firma.
Grazie e cordiali saluti.
” cfr. doc.
7 opponente).
Ora è ben vero che la transazione richiede la forma scritta solo ad probationem, ma proprio dallo scambio delle predette mail emerge plasticamente che nessun accordo transattivo è mai stato concluso tra l’odierno appellante e la banca, atteso che, da un lato, non risulta che il avesse i poteri necessari per rappresentare la Banca;
dall’altro è evidente che la “delibera” (di cui non si conosce il contenuto) riguardava la e non certo il tant’è che per il perfezionamento era necessaria la sottoscrizione del legale rappresentante.
D’altra parte, che nessuna transazione fosse stata conclusa emerge anche dalla comunicazione 02/02/2021 di con la quale risulta essere stata rigettata una (nuova) proposta transattiva formulata dai fideiussori (cfr. doc. 3 opposta).
E’ del tutto evidente che se la transazione si fosse perfezionata nel 2014 non vi sarebbe stato motivo per proporne un’altra.
Per le svolte considerazioni l’impugnata sentenza va integralmente confermata.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza e vengono liquidate secondo i valori medi delle cause ricomprese nello scaglione tra € 52.001,00 e € 260.000,00.
Va dato atto della sussistenza in capo all’appellante dei presupposti di cui all’art.13, comma 1 quater, del D.P.R. 115/2002 introdotto dall’art.1, c.17, L. 228/12.
PNOMERAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello di Trieste, definitivamente pronunziando nella causa promossa da nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (già , così provvede:
– rigetta l’appello e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza n. 356/24 pubblicata il 14/05/2024 del Tribunale di Pordenone;
– condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore dell’appellata, in complessivi € 14.317,00 per compensi, oltre al 15% per il rimborso delle spese generali nonchè ad IVA e CPA come per legge;
– dà atto della sussistenza in capo all’appellante dei presupposti di cui all’art.13, comma 1 quater, del D.P.R. 115/2002 introdotto dall’art.1, c.17, L. 228/12.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del 07/05/2025 Il Presidente est. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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