REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO
DI TRIESTE SEZIONE SECONDA
CIVILE
Riunita in camera di consiglio nelle persone dei Sigg.
Magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME Consigliere est. ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._144_2025_- N._R.G._00000074_2024 DEL_09_05_2025 PUBBLICATA_IL_09_05_2025
nella causa civile iscritta al n. 74 del ruolo 2024, avente ad oggetto:
appello avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone n. 557/2023, pubblicata in data 11.8.2023, in punto:
mutuo
; arricchimento senza causa;
causa vertente TRA , rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME e per mandato alle liti esteso su documento informatico separato ai sensi dell’art. 83, comma 3, c.p.c. APPELLANTE rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME per mandato alle liti esteso su documento informatico separato ai sensi dell’art. 83, comma 3, c.p.c. NONCHÉ , residente in INDIRIZZO, Pordenone (PN) APPELLATA CONTUMACE Causa trattenuta in decisione sulle seguenti
CONCLUSIONI
Per :
“1) Riformare parzialmente la sentenza di primo grado, estendendo in solido al convenuto la condanna pronunziata nei confronti della convenuta 2) condannare i convenuti in solido a pagare le spese processuali del presente giudizio.
In via istruttoria, si chiede assumere la prova testimoniale articolata dall’attore nel primo grado di giudizio, sugli stessi capi e con gli stessi testi, atteso che il giudice di prime cure non ha inteso ascoltare tale prova testimoniale ritenendo la causa sufficientemente istruita.
” Per : “In via preliminare:
dichiarare l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c.;
nel merito: rigettare l’appello perché infondato in fatto e in diritto e, quindi, confermare integralmente l’impugnata sentenza n. 557/2023 emessa inter partes dal Tribunale di Pordenone;
con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre a iva, c.p.a. e rimborso spese generali, come per legge.
” SVOLGIMENTO DEL PROCESSO aveva convenuto innanzi al Tribunale di Pordenone rispettivamente figlia e genero oggi separati, chiedendone la alla restituzione di somme di denaro in più occasioni corrisposte ai convenuti in costanza di matrimonio, assumendo in principalità che si era trattato di prestiti infruttiferi e in via subordinata che sussisteva il diritto alla restituzione a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ. L’attore aveva, in primo luogo chiesto la restituzione della somma di euro 90.000,00 che la figlia aveva utilizzato in virtù della delega ad operare sul conto corrente intestato al padre in occasione della stipula del rogito di acquisto di un immobile in data 20.5.2011, mediante emissione di due assegni bancari non trasferibili, esponendo che tale operazione era stata realizzata in assenza di previa autorizzazione e da lui successivamente ratificata con l’intesa che si era trattato di un prestito che col tempo sarebbe stato restituito. L’attore aveva inoltre chiesto la restituzione della somma di euro 40.000,00 anticipata per finanziare l’esecuzione di opere conservative in un immobile concessogli in comodato, nonché della somma di euro 800,00 versata ai professionisti incaricati della predisposizione della dichiarazione dei redditi e degli adempimenti fiscali dei convenuti e della somma di euro 15.000,00 con cui aveva sovvenzionato l’esecuzione di lavori edili nell’appartamento dei convenuti e un soggiorno della coppia in vacanza.
era rimasta contumace, mentre si era costituito resistendo alla pretesa restitutoria ed allegando che le dazioni oggetto di causa erano sorrette da spirito di liberalità, essendosi trattato di donazioni indirette.
Radicatosi il contraddittorio, era stato assunto l’interrogatorio formale dei convenuti e la causa era stata successivamente definita con sentenza pubblicata in data 11.8.2023, la quale era stato statuito quanto segue:
“definitivamente pronunciando:
accoglie, per i motivi di cui in parte motiva, la domanda attorea nei confronti di , che condanna al pagamento in favore di della complessiva somma di euro 145.500,00 oltre interessi al tasso legale decorrenti dalla diffida del 18/3/2020 sino all’effettivo soddisfo, nonché condanna al pagamento delle spese di lite della presente procedura in favore di parte attrice, che liquida in euro 815,05 per esborsi ed euro 8.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15 %, iva e c.n.a.
come per legge, con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari;
rigetta la domanda attorea nei confronti di , condannando l’attore a rifondere le spese di lite di quest’ultimo convenuto, liquidate in euro 8.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15 %, iva e c.n.a.
come per legge.
” Con tale decisione, premessa la scindibilità delle posizioni dei due convenuti e preso atto dell’esito contrastante dell’interrogatorio formale, avendo la figlia riscontrato gli assunti attorei con dichiarazioni aventi valenza confessoria e l’ex coniuge viceversa negato ogni addebito, la pretesa restitutoria era stata accolta unicamente nei confronti ed era stata invece respinta quanto a Quanto a quest’ultimo era infatti stato rilevato che non poteva ritenersi provata la sussistenza di un’obbligazione restitutoria derivante da un contratto di mutuo, dovendo le dazioni ritenersi giustificate da mero spirito di liberalità, essendosi trattato di donazioni indirette poste in essere in ragione del rapporto affettivo di assistenza materiale e morale intrattenuto dalle parti nel corso degli anni in cui erano intervenute varie operazioni economiche, e che l’esistenza di tale causale implicava nel contempo l’infondatezza della domanda ex art. 2041 cod. civ. In tal senso era stato osservato che tra le dazioni e la richiesta di restituzione era intercorso un periodo di tempo di circa nove anni durante il quale l’attore non aveva mai richiesto la restituzione, né aveva preteso la stipulazione di una scrittura privata ricognitiva del mutuo;
che la prima diffida era stata inoltrata nel marzo 2020 in concomitanza con la domanda di separazione giudiziale dei coniugi avanzata dalla figlia;
che le dichiarazioni rese da non potevano ritenersi idonee a comprovare la sussistenza dei rapporti di mutuo quanto all’ anche perché la figlia aveva contraddittoriamente dichiarato dapprima di non essere a conoscenza se il padre avesse o meno mai chiesto direttamente al marito la restituzione, per poi dichiarare:
“mio padre metteva in chiaro, parlando a voce con noi, che queste somme lui ce le anticipava e che, con calma e senza scadenze, gliele avremmo dovute ridare”;
che anche l’analisi delle ulteriori somme oggetto della domanda di restituzione offriva elementi a favore dell’ipotesi della causa di liberalità, essendosi trattato dell’adempimento di debiti altrui effettuato a titolo di sostegno economico offerto alla famiglia della figlia;
che alcuni pagamenti si correlavano inoltre a fatture per la fornitura di beni o servizi emesse a nome dello stesso attore, ovvero trovavano riscontro in semplici appunti, privi di data o scritti a mano da soggetti ignoti, ovvero ancora in pagamenti non tracciabili;
che anche il fatto che la documentazione contabile e fiscale non fosse stata diligentemente formata e conservata per garantire la ricostruibilità a posteriori degli eventuali rapporti debito–credito tra le parti in causa con la causa del mutuo invocata dall’attore. aveva successivamente gravato tale decisione con atto di citazione notificato in data 3.3.2024;
era rimasta contumace, mentre si era costituito resistendo all’impugnazione e chiedendo la conferma della decisione di primo grado;
radicatosi il contraddittorio, al decorso dei termini previsti dagli artt. 352 e 190 c.p.c., la causa era stata riservata in decisione ed era stata emessa la presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appellante ha censurato la sentenza di primo grado lamentando, con un unico complesso motivo, che in considerazione dell’unicità dei rapporti intercorsi la domanda doveva ritenersi automaticamente provata oltre che nei confronti della figlia anche nei confronti del genero;
che la decisione contrastava con l’ordinanza che aveva ritenuto non necessaria l’acquisizione della prova testimoniale trattandosi di causa già istruita;
che non sussistevano i requisiti della donazione indiretta, non risultando provato lo spirito di liberalità e il collegamento diretto con quanto elargito, e sussistendo in caso di donazione diretta la nullità delle attribuzioni patrimoniali per mancanza della forma prescritta;
che la decisione era sul punto sfornita di supporto probatorio.
Ciò premesso, l’appello è infondato e andrà conseguentemente respinto.
Se nelle ipotesi di litisconsorzio facoltativo la confessione resa da uno solo dei litisconsorti è vincolante per il confitente mentre rimane irrilevante rispetto agli altri litisconsorti, in caso di litisconsorzio necessario la confessione resa da uno o da alcuni soltanto dei litisconsorti ha invece sempre efficacia di prova liberamente valutabile, non potendo il confitente disporre delle situazioni giuridiche facenti capo agli altri litisconsorti;
la lamentata esigenza di uniformità della decisione non potrebbe pertanto in ogni caso giustificare, in violazione dell’art. 2733
cod. civ., una automatica estensione dell’efficacia confessoria delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da uno solo dei due convenuti nei confronti dell’altro.
Va inoltre ricordato sia che ai sensi dell’art. 177 c.p.c. le ordinanze interlocutorie, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa, sia che “in osservanza del principio di specificità dei motivi di appello, anche la riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve essere specifica, sicché è inammissibile il mero rinvio agli atti del giudizio di primo grado” (Cass. Sez. 3, n. 16420 del 09/06/2023; Sez. 2, n. 5812 del 23/03/2016) Ne discende dunque l’inammissibilità della riproposizione in sede di gravame della “prova testimoniale articolata dall’attore nel primo grado di giudizio, sugli stessi capi e con gli stessi testi”, sia in quanto effettuata in forma di mero rinvio e sia perché, come si evince dalle note di trattazione scritta dd. 18.3.2023, l’odierna parte appellante aveva a suo tempo prestato espressa adesione all’ordinanza con la quale il giudice di primo grado aveva ritenuto causa adeguatamente istruita, omettendo successivamente anche di reiterare le proprie istanze istruttorie in sede di conclusioni definitive.
Va in ogni caso rilevato che la dazione di una somma di danaro non vale di per sé a fondare la richiesta di restituzione allorquando, ammessane la ricezione, l’accipiens non confermi il titolo posto ex adverso alla base della pretesa di restituzione e anzi ne contesti la legittimità, posto che, potendo una somma di danaro essere consegnata per varie cause, la contestazione della sussistenza di un’obbligazione restitutoria impone sempre all’attore in restituzione di dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, onere questo che si estende alla prova di un titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione. Correttamente quindi il giudice di prime cure aveva affermato nel caso di specie che gravava sull’attore l’onere di provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non soltanto l’avvenuta consegna delle somme indicate in atto di citazione, ma anche il titolo da cui derivava l’obbligo della vantata restituzione (ex plurimis, Cass. 29/11/2018 n. 30944; nello stesso senso Cass.22/11/2021 n.35959).
E’ altresì vero che è stato affermato che, allorché una parte, provata la consegna di una somma di denaro all’altra, ne domandi la restituzione omettendo di dimostrare la pattuizione del relativo obbligo, e la controparte non deduca alcuna causa idonea a giustificare il suo diritto a trattenere la somma ricevuta, il rigetto per mancanza di prova della domanda restitutoria va argomentato con cautela e tenendo conto di tutte le circostanze del caso, onde accertare se la natura del rapporto e le circostanze del caso concreto giustifichino che l’accipiens trattenga senza causa il denaro ricevuto dal solvens (cfr. Cass. 08/10/2021 n. 27372, citata da parte appellante a sostegno della sua tesi anche in comparsa conclusionale). Fermo quanto già evidenziato in ordine al mancato assolvimento dell’onere della prova in capo all’attore, nel caso di specie va nondimeno rilevato sia che la parte convenuta aveva giustificato il proprio diritto a trattenere le somme ricevute, allegando che le dazioni oggetto di causa erano sorrette da spirito di liberalità, essendosi trattato di donazioni indirette, sia che l’impugnata decisione aveva correttamente accreditato la fondatezza di tale prospettazione.
Premesso che secondo il Supremo Collegio (Sez. 6 – 2, n. 18541 del 02/09/2014) “la dazione di una somma di denaro configura una donazione indiretta d’immobile ove sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto del bene, dovendosi altrimenti ravvisare soltanto una donazione diretta del denaro elargito, per quanto poi successivamente utilizzato in un acquisto immobiliare”, va infatti rilevato come le stesse allegazioni attore supportino la sussistenza di una specifica finalità sottesa alle singole erogazioni oggetto di causa, essendo le stesse state di volta in volta univocamente finalizzate ora all’acquisto di un immobile, ora alla realizzazione di opere conservative, ora alla fruizione di prestazioni professionali ed al soggiorno della coppia in una località di vacanza. Le doglianze svolte dall’appellante non si confrontano inoltre con i rilievi svolti nella decisione di primo grado in ordine alla sussistenza dell’animus donandi, correttamente desunto da molteplici elementi sufficientemente gravi, univoci e concordanti, quali il lungo tempo intercorso prima della richiesta di restituzione, il mutamento intervenuto anteriormente a tale richiesta nei rapporti personali tra le parti nonché la mancata stipulazione di una o più scritture ricognitive delle dazioni a mutuo e la mancata conservazione della documentazione contabile e fiscale volta a ricostruire i rapporti economici reciprocamente intercorsi. Risulta da ultimo correttamente respinta anche la domanda proposta in via subordinata, dovendo essere ricordato come “ai fini del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di ingiustificato arricchimento è proponibile ove la diversa azione si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico” (Cass. Sez. 3, n. 27008 del 18/10/2024). Sulla base dei tali considerazioni l’appello dovrà pertanto essere respinto, con conseguente conferma dell’impugnata sentenza;
le spese del grado dovranno pertanto seguire la soccombenza e dovrà inoltre darsi atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/2002.
La Corte d’Appello di Trieste, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa civile in grado di appello promossa da , nei confronti di , avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone n. 557/2023, pubblicata il 11 agosto 2023, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa e reietta, così provvede:
Rigetta l’appello e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza;
l’appellante alla rifusione delle spese del grado in favore di che liquida, a titolo di compensi professionali, in complessivi euro 5.000,00 oltre spese generali nella misura massima, iva e c.p.a. come per legge;
Dà atto della sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Trieste, nella camera di consiglio del 6 maggio 2025 IL
CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott. NOME COGNOME Dott.ssa NOME COGNOME
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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