REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MONZA SEZIONE SECONDA CIVILE
Il Tribunale, in persona del giudice dott.ssa NOME COGNOME, ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._1194_2025_- N._R.G._00000823_2024 DEPOSITO_MINUTA_15_06_2025_ PUBBLICAZIONE_15_06_2025
nella causa civile di primo grado iscritta al n°823 del Registro Generale Affari Contenziosi dell’anno 2024, pendente tra (C.F. ), elettivamente domiciliato in Pogliano Milanese, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso ricorrente (P.IVA ), in persona del legale rappresentante pro tempore, (C.F. ), elettivamente domiciliati in Milano, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono, giusta procura in calce alla memoria di costituzione resistenti Motivi della Decisione ha chiesto l’accertamento dell’intervenuta risoluzione, ex art. 1453 c.c., del contratto di appalto con cui si impegnava, previa cessione del 50% dei crediti fiscali maturati dall’appaltatrice in attuazione C.F. C.F. della normativa del bonus ristrutturazione, ad eseguire i lavori di ristrutturazione meglio descritti in atti, a causa della mancata realizzazione di tali lavori e stante l’attuale impossibilità di utilizzare, a seguito della modifica della relativa normativa, lo strumento dello sconto in fattura, oltre alla l’integrale restituzione delle somme versate in adempimento del contratto stesso. Esponeva il ricorrente che, a seguito della interruzione dei lavori e dell’abbandono del cantiere era seguito un accertamento tecnico preventivo fra le medesime parti del presente giudizio all’esito del quale il c.t.u. aveva confermato i vizi descritti dal perito di parte, accertando che “l’appalto risulta in uno stato di avanzamento dei lavori di circa 30% sul totale delle lavorazioni previste contrattualmente, per un importo dei lavori eseguiti pari ad € 29.094,34.
Le opere ancora da eseguire hanno un valore di € 54.011,65”.
Dava atto, altresì, che l’importo di €29.094,34 comprende il “getto in calcestruzzo del solaio del piano primo e della scala” realizzato dal ricorrente al di fuori del contratto di appalto con quantificato in €3.249,23.
Il ricorrente riferiva, inoltre che, stante l’esito della CTU, tentava, senza esito, di ottenere la restituzione delle somme illegittimamente trattenute dalla convenuta.
Premesso quanto sopra, l’attore chiedeva che il Tribunale, accertata la riconducibilità dei fenomeni denunciati all’inadempimento della convenuta, la condannasse al pagamento dell’importo di €87.506,81 (di cui €83.010,46 a titolo restitutorio ed €4.496,35 a titolo risarcitorio per i compensi professionali pagati al CTP – €960,75 – e al CTU – €3.535,60 – in sede di ATP), oltre alla rivalutazione e agli interessi legali, anche ex art. 1284, comma 4, c.c. dal momento della proposizione della domanda.
ha contestato la fondatezza della domanda di risoluzione, adducendo a giustificazione l’inadempimento di a cui erano stati interamente subappaltati i lavori, che avrebbe reso di fatto impossibile l’esecuzione del contratto nel rispetto delle tempistiche concordate.
Ha inoltre dedotto che in via conciliativa, si offriva di proseguire i lavori direttamente oppure sostituendo il subappaltatore, ma il sig. riteneva di non accettare.
Con molta probabilità aveva raggiunto un accordo con stante le azioni congiunte promosse in sede civile, come si vedrà”.
Il convenuto chiedeva infine l’autorizzazione alla chiamata in causa della subappaltatrice.
All’udienza di prima comparizione, verificata la regolare costituzione delle parti, veniva concesso un rinvio per pendenza di trattative per la bonaria soluzione della lite.
Alle successive udienze, visto l’esito negativo delle trattative, veniva rigettata l’istanza di chiamata in causa del terzo.
La causa è stata istruita con la documentazione prodotta in giudizio e, all’udienza del 15/05/2025, trattata ex art. 127 ter c.p.c., è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 281 sexies, co.
3, c.p.c. *** In via pregiudiziale, si evidenzia che la domanda di condanna al risarcimento del danno per l’importo di ad €30.254,00, pari al 50% della somma asseritamente pagata per il completamento del cantiere da parte di altra società, svolta dal ricorrente in corso di lite, ed in occasione della difesa sulla memoria di costituzione altrui, pare evidentemente nuova (nell’atto introduttivo della lite si era chiesto il pagamento dell’importo di €83.010,46 – quale differenza tra il valore delle opere previste per contratto e il valore delle opere effettivamente eseguite – oltre €4.496,35 a titolo di spese stragiudiziali di c.t.p. e di c.t.u.) e non giustificata (sotto il profilo dell’insorgenza dell’interesse ad agire) dalle difese e domande svolte dalla convenuta. Invero, l’interesse ad ottenere il pagamento di somme, a fronte dell’inadempimento della convenuta, a titolo di risarcimento danni (art. 1453 c.c.), non è evidentemente scaturito dalle eccezioni della difesa di bensì dalla stessa lesione asseritamente inferta al patrimonio del ricorrente, per via dell’omesso completamento delle opere appaltate alla convenuta;
è noto poi che l’azione di risarcimento danni (anche da inadempimento contrattuale), può essere proposta disgiuntamente indipendentemente dall’azione di risoluzione contrattuale;
pertanto, la domanda intesa ad ottenere la condanna della convenuta al risarcimento del danno derivante dall’aver dovuto appaltare il completamente dei lavori a soggetti terzi deve scrutinarsi inammissibile e come tale va espunta dal tema del decidere.
*** Tanto premesso, occorre spendere qualche parola in ordine alla natura dell’azione proposta e al contenuto delle conclusioni rassegnate dal ricorrente.
Segnatamente parte attrice, lamentando la mancata ultimazione dell’opera ed avendo riferito di gravi inadempimenti imputabili all’odierna convenuta ha introdotto una domanda di risoluzione, di restituzione e risarcitoria (per equivalente pecuniario) avvalendosi del rimedio generale di cui all’art. 1453 e ss. c.c.
Giova rilevare, infatti, che, nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti (cfr. Cass. 13983/2011). Ne discende che, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina della garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (Cass. 10255/1998; Cass. 11950/1990).
Ebbene, nel caso di specie, è pacifico, in quanto ammesso dalla stessa parte convenuta e (comunque) documentato all’esito della c.t.u. esperita ante causam, che i lavori appaltati non sono stati portati a compimento (cfr. pagg. 4 e 5 della relazione di consulenza tecnica, arch. allegata sub doc. 13 al fascicolo del ricorrente:
“Al momento dei sopralluoghi, come sopra descritti, l’immobile si trova in corso di ristrutturazione , con evidente stato di “fermo cantiere”:
nessuna maestranza presente in loco.
… Il fabbricato risulta privo di copertura e di ogni tipo di tamponamento esterno;
come visibile dalla foto 2, la struttura della copertura è stata smontata, ad eccezione della trave di gronda che strutturalmente poggia su un pilastro di proprietà e su muro di confine della proprietà a fianco.
Le murature di confine sono in stato grezzo, prive di intonaco, protezione, isolamento.
Inoltre le condizioni attuali del cantiere, con quota del solaio del piano terra inferiore alla quota di campagna, rendono il sito di difficile accessibilità a causa della presenza di acqua piovana che si è depositata internamente al fabbricato, come è possibile constatare dalla documentazione fotografica riportata alla foto 3”).
È evidente che, una volta escluso che i lavori commissionati siano stati ultimati, non vi è spazio per l’applicazione del citato art. 1668 comma 2 c.c., dettato in tema di garanzia per i vizi o difformità dell’opera.
Al contrario, la responsabilità dell’appaltatore deve essere valutata alla stregua della disciplina generale prevista in tema di inadempimento contrattuale;
con la conseguenza che, al fine dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto avanzata dall’attrice, si rende necessario accertare, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., che l’inadempimento dell’appaltatore non sia di “scarsa importanza”.
*** Posto quanto sopra, va esaminato il merito della domanda avanzata nei confronti della convenuta e gli esiti dell’istruzione espletata ante causam.
Stando alle allegazioni di parte ricorrente – supportate dalle conclusioni del consulente tecnico arch. – può condividersi l’indicazione delle opere non ultimate in relazione ai vari ambienti, dei lavori effettivamente eseguiti e la quantificazione del loro valore.
In particolare, il c.t.u. ha quantificato in €29.094,34 il valore delle opere contenute nel contratto che sono state realizzate, rispetto ad un valore iniziale dell’appalto di €86.801,72.
L’analisi espletata dal c.t.u. pare correttamente motivata e condivisibile.
La natura ed estensione delle omissioni depone per una complessiva insufficiente realizzazione delle opere appaltate alla società convenuta.
I vizi accertati integrano pertanto i gravi difetti che giustificano la responsabilità contrattuale dell’appaltatore ai sensi degli artt. 1453 e ss. c.c. Vale infatti ricordare che “secondo i noti principi in tema di riparto dell’onere probatorio, nelle azioni contrattuali di adempimento, di risarcimento danni da inadempimento e di risoluzione (art. 1453 c.c.), incombe al creditore esclusivamente di dimostrare il titolo e la scadenza delle obbligazioni che assume inadempiute, e di allegare il fatto d’inadempimento, incombendo poi al debitore convenuto di allegare e dimostrare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi idonei a paralizzare la domanda di controparte” (cfr. ex plurimis Cass. n. 826/2015). Nella fattispecie, parte attrice ha assolto agli oneri di prova che le incombevano ex art. 2697
c.c., producendo in giudizio il contratto di appalto corrente inter-partes, nonché allegando il grave inadempimento della convenuta rispetto all’esecuzione dei lavori commissionati.
La convenuta, invece, non ha offerto la specifica dimostrazione della mancanza di una sua responsabilità, conclamata da fatti positivi precisi e concordanti, cui era onerata, essendosi limitata ad allegare, del tutto genericamente, la responsabilità e l’inadempimento della subappaltatrice senza altra specificazione e senza nulla dedurre, né altrimenti provare, in merito alle singole obbligazioni dedotte inadempiute, né all’imputabilità di tale inadempimento.
Invero, quanto ai vizi relativi alle opere eseguite dalla subappaltatrice, l’allegazione contenuta nella memoria di costituzione riporta una descrizione dei fatti, nonché dei vizi e difetti, del tutto generica e sommaria, tale da essere del tutto inconcludente allo scopo avuto di mira dalla convenuta, ossia di paralizzare l’azione di risoluzione a cagione dell’inadempimento della subappaltatrice.
Tale mancata allegazione non può che ricadere sulla convenuta subappaltante, odierna convenuta e attrice nei confronti della terza chiamata.
A ben vedere, infatti, nelle controversie in materia di appalto e di contratti d’opera è particolarmente avvertita l’esigenza che l’attore fornisca in modo circostanziato la prova dei fatti costitutivi della sua pretesa, allegando e provando – in modo specifico – le contestazioni sollevate:
egli non può limitarsi ad allegazioni generiche, atteso che ciò finirebbe con il rendere l’azione proposta meramente esplorativa, limitata ad un elenco generale ed astratto di invalidità.
Al riguardo, il mero richiamo o rinvio ad un documento esterno alla citazione, qual è lo scambio di mail sub docc. 7 e 8 prodotto da parte convenuta, non soddisfa i requisiti di validità dell’art. 163 c.p.c. (richiamato dall’art. 281 undecies c.p.c.), giacché l’atto giudiziale non può contenere un rinvio per relationem a documenti esterni la cui funzione suppletiva sarebbe quella di esplicitare il contenuto dell’atto stesso.
Infatti, i documenti – da indicare ai sensi del numero 5) del terzo comma dell’art. 163 c.p.c. – rivestono funzione eminentemente probatoria, che, come tale, non può surrogare quella dell’allegazione dei fatti (imposta, a pena di nullità della citazione, ex art. 164
c.p.c., dal precedente numero 4 del medesimo terzo comma dell’art. 163 c.p.c.), potendo al più gli stessi, nell’ambito di un impianto allegatorio già delineato, essere di chiarimento della portata e dei termini dei fatti addotti (cfr. Cass. 7115/2013).
In ogni caso, l’eventuale ammissione da parte del subappaltatore dell’esistenza di difformità o vizi dell’opera non equivale al loro riconoscimento, il quale deve provenire dall’appaltatore (cfr. Cass. n. 24717 dell’8 ottobre 2018 e n. 23903 dell’11 novembre 2009).
Peraltro, in tema di responsabilità per l’esecuzione dell’opera o del servizio, l’art. 1670 c.c. esclude l’esistenza di qualsiasi responsabilità diretta del subappaltatore nei confronti del committente e stabilisce che l’appaltatore, per agire in regresso nei confronti dei subappaltatori, deve, sotto pena di decadenza, comunicare ad essi la denuncia di vizi e difetti dell’opera entro sessanta giorni dal suo ricevimento.
Circostanza, anche questa, rimasta priva di riscontro probatorio.
In tale contesto, si è ritenuto superfluo ammettere la chiamata in causa del terzo, la palesandosi del tutto esplorativa, stante l’impossibilità di accertare vizi nemmeno specificamente enunciati.
D’altra parte, non è stata adeguatamente provata l’offerta di parte convenuta di proseguire i lavori direttamente ovvero di mettere a disposizione per l’attuazione delle opere altro subappaltatore.
Il che nella data situazione non può che condurre ad accertare e dichiarare l’avvenuta risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta.
Infatti, l’omesso completamento delle opere commissionate e l’abbandono del cantiere integra di per sé un fatto d’inadempimento talmente grave da assorbire ogni accessoria valutazione, costituendo fatto arbitrario e illegittimo dell’appaltatore che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del contratto.
Cosicché, dimostrato il titolo nonché la scadenza del credito dedotto in giudizio e data pure pacifica dimostrazione (in assenza di specifica contestazione) dell’inadempimento dell’appaltatore, consistente nell’interruzione dei lavori e nell’abbandono del cantiere devono ritenersi integrati tutti i presupposti richiesti dagli artt. 1453 e 1455 c.c. per la condanna richiesta dall’attore.
*** Pertanto, nel caso di specie, il grave inadempimento della convenuta giustifica la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., stante la legittima aspettativa del committente al conseguimento di un risultato completo, che lo esonerasse dalla ricerca di un’impresa cui affidare il compito di portare a termine la ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà (cfr. Cass. 14034/2005).
Nondimeno, alla declaratoria di risoluzione per inadempimento del contratto di appalto consegue la condanna dell’appaltatrice alla restituzione dei superiori compensi percepiti, come domandato dal ricorrente.
Ed invero, in tema di appalto, gli effetti recuperatori della risoluzione in ordine alle prestazioni già eseguite operano retroattivamente, in base alla regola generale prevista dall’art. 1458 c.c., verificandosi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, una totale restitutio in integrum.
Ne consegue che, in caso di risoluzione del contratto per colpa dell’appaltatore, quest’ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato (in questi termini, Cass. 27640/2018).
In altre parole, se il committente intenda ritenere le opere eseguite e queste siano suscettibili di essere utilizzate, spetta all’appaltatore un compenso nei limiti in cui il medesimo committente abbia ricavato vantaggio (cfr. Cass. 16291/2012).
Nella specie, si è visto che la consulenza tecnica esperita ante causam ha accertato l’esecuzione di opere contrattualmente convenute per un valore di €29.094,34, di cui €25.845,11 eseguite dall’appaltatrice, odierna convenuta.
Le risultanze della predetta consulenza non sono state contestate dalla convenuta in causa – ritualmente costituita nel procedimento per – e devono, dunque, intendersi validamente acquisite al presente giudizio ai sensi dell’art. 696 bis co.
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c.p.c. con autorizzazione implicitamente concessa alla produzione dell’elaborato.
Il compenso spettante all’appaltatrice per le opere effettuate va pertanto limitato a tale somma, con condanna della convenuta alla restituzione dell’importo di €35.266,70, quale differenza tra quanto versato da parte ricorrente (€61.111, 81) e il valore delle opere eseguite da parte convenuta, come accertate in sede di consulenza tecnica ante causam.
Invero, il consulente dava atto che l’importo di €29.094,34, costituente il valore delle opere realizzate, comprende il “getto in calcestruzzo del solaio del piano primo e della scala” realizzato direttamente dal ricorrente, al di fuori del contratto di appalto con quantificato in €3.249,23.
Nella specie, l’appaltatore non deduce neppure di aver eseguito lavori non pagati, di talché la somma di €35.266,70, oltre interessi dalla data della domanda (06/02/2024) al saldo.
il tutto per la complessiva somma di €40.984,16, ai sensi dell’art. 1284 c.c.:
“Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.
In altri termini, l’art. 1284, co. 4, c.c. indica chiaramente che, in assenza di un tasso stabilito contrattualmente tra le parti, a partire dalla data in cui si è incardinato il giudizio si debbano applicare i medesimi interessi moratori previsti per i ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali (D.lgs. 231/2002 e succ. mod.).
*** Non è invece dovuta al ricorrente la somma di €54.011,65
(pari al valore dei lavori appaltati e non eseguiti) posto che la stessa veniva pagata mediante cessione del credito:
dunque non può formare oggetto di un’obbligazione restitutoria e/o risarcitoria in favore del committente – il quale non ha mai sostenuto tale esborso – bensì eventualmente in favore dell’erario qualora l’amministrazione statale abbia provveduto a pagamenti per il relativo bonus.
*** Il ricorrente, inoltre, chiede che vengano riconosciute a titolo di risarcimento del danno emergente anche le spese di c.t.u. e c.t.p. in sede di A.T.P. La questione è quella di valutare ex ante se le spese stragiudiziali fossero potenzialmente utili ai fini della definizione della controversia, e non del tutto superflue ed ultronee:
qualora, infatti, con valutazione ex ante le spese stragiudiziali siano da considerare del tutto inutili in quanto irrilevanti ai fini della definizione stragiudiziale della controversia, allora alcun risarcimento potrà essere riconosciuto in sede giudiziale;
qualora, invece, le spese stragiudiziali siano da considerare oggettivamente e potenzialmente utili ai fini della risoluzione della controversia, allora costituiscono un danno risarcibile, quand’anche la lite non sia stata risolta in sede stragiudiziale.
Trattasi, peraltro, di spese che non si pongono in rapporto di stretta connessione e complementarità con l’attività difensiva svolta nella fase giudiziale introdotta per il riconoscimento del compenso per le opere appaltate.
La Suprema Corte ha precisato, infatti, che “… in tema di compensi professionali di avvocati, affinché il professionista, che sta prestando assistenza giudiziale, possa avere diritto ad un distinto compenso per prestazioni stragiudiziali, è necessario che tali prestazioni non siano connesse e complementari con quelle giudiziali.
Ove sussista tale connessione, gli compete solo il compenso per l’assistenza giudiziale …” (Cass., sez. un., 17357/2009; Cass. 4411/1979; Cass. 6214/1992; Cass., 14770/2007; Cass. 14443/2008);
tale principio ha trovato espressa conferma nel D.M. 55/2014, il cui articolo 20 prevede per l’appunto la liquidazione del compenso per “l’attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l’attività giudiziale, che riveste una autonoma rilevanza rispetto a quest’ultima”.
La convenuta è pertanto tenuta al rimborso, in favore del ricorrente, delle spese documentate in atti per il compenso pagato al c.t.u. e al c.t.p. in sede di A.T.P., liquidate, quale danno emergente, nelle somme di €3.535,60 (a titolo di compenso al c.t.u.) ed €960,75 (a titolo di compenso del c.t.p.).
Ciò in quanto, nel caso di specie, secondo una valutazione ex ante, l’esito vittorioso della lite poteva facilmente prevedersi nella fase stragiudiziale.
*** In conclusione, la convenuta è pertanto tenuto al pagamento, a titolo di danno patrimoniale, della complessiva somma di €45.480,51.
Sulla totale somma risarcitoria così determinata, poi, spetteranno gli interessi legali dalla sentenza fino al soddisfo.
Sotto altro profilo, la domanda svolta nei confronti del convenuto va accolta, stante la configurabilità della figura di socio accomandatario in capo a quest’ultimo alla data di sottoscrizione del contratto di appalto del 1°/07/2022;
circostanza, peraltro, non contestata dal convenuto.
*** Le spese di lite seguono la soccombenza dei convenuti e sono liquidate in dispositivo in relazione alla somma riconosciuta in concreto, tenendo conto della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dai difensori, sulla base dei parametri contemplati dalla vigente Tariffa forense.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa di primo grado indicata in epigrafe, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
1) in accoglimento della domanda del ricorrente, dichiara risolto, per grave inadempimento di il contratto inter-partes del 1°/07/2022;
2) condanna in solido tra loro, a pagare in favore di la somma di €45.480,51, oltre interessi legali dalla data della presente decisione sino al saldo effettivo;
3) condanna in solido tra loro, a rifondere al ricorrente, le spese di lite liquidate in €545,00 per esborsi ed €5.261,00 per compensi professionali, oltre spese generali, iva (se dovuta) e cpa come per legge.
Monza, 15/06/2025 Il giudice NOME COGNOME
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