REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Sentenza n. LA CORTE D’APPELLO DI TORINO del SEZIONE II CIVILE R.G. 1188/2022 Composta dai Magistrati:
1) dott. NOME COGNOME Presidente 2) dott.ssa NOME COGNOME Consigliere 3) dott. NOME COGNOME Consigliere – relatore riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._540_2025_- N._R.G._00001188_2022 DEPOSITO_MINUTA_18_06_2025_ PUBBLICAZIONE_19_06_2025
nella causa civile iscritta al n. 1188/2022 R.G. promossa da:
P. IVA con sede in Villanova Mondovì, INDIRIZZO, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in atti, dall’avv. NOME COGNOME del foro di Mondovì, PEC , presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Mondovì, INDIRIZZO – APPELLANTE – CONTRO P. IVA con sede in Fossano, INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in atti, dall’avv. NOME COGNOME del foro di Torino, PEC presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Torino, INDIRIZZO APPELLATA – DEL PROCESSO D’APPELLO I. Con atto di citazione notificato in data 21 settembre 2022, ha proposto impugnazione avverso la sentenza n. 349/2022, emessa in data 29 marzo 2022 dal Tribunale di Cuneo, in composizione monocratica, pubblicata il 6 aprile 2022 e non notificata, con cui il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, ha disposto nei seguenti termini:
“rigetta l’opposizione e la domanda riconvenzionale e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 600/2019, reso dal Tribunale di Cuneo il 18 maggio 2019;
condanna la società opponente alla rifusione delle spese di lite in favore della società opposta spese che si liquidano in complessivi euro 10.343,00 per compensi, oltre rimborso spese generali 15%, Iva e CPA come per legge”.
Tutte le parti in giudizio si sono costituite in appello nelle forme e nei termini di cui all’art. 347 c.p.c..
II.
All’esito della trattazione della causa, la Corte ha riservato la decisione sulle seguenti conclusioni rassegnate dalle parti:
Per parte Appellante:
“Ogni contraria istanza, eccezione, e deduzione respinta.
IN VIA ISTRUTTORIA Previa revoca parziale dell’ordinanza 3.10.2020, e conseguente rimessione della causa in istruttoria per l’assunzione delle prove orali tempestivamente dedotte dall’appellante nella memoria ex art. 183, n. 2, c.p.c., e non ammesse.
Previa ancora, per il caso in cui il Tribunale adito non ritenesse raggiunta la prova in ordine alle eccezioni e domande dell’opponente, ammissione della prova per giuramento decisorio ex art. 233 e segg. c.p.c. dedotta in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, e che quivi si allega nuovamente.
Previa ammissione di C.T.U. volta a descrivere i vizi come sopra lamentati e descritti dall’appellante, nonché i costi necessari per porvi rimedio.
NEL MERITO IN
INDIRIZZO Riformarsi l’appellata sentenza n. 349/2022 del Tribunale di Cuneo, ed in sua riforma revocarsi l’opposto decreto ingiuntivo n. 600/2019, assolvendosi la conchiudente da ogni domanda nei suoi confronti proposta dalla IN INDIRIZZO Ridursi il corrispettivo residuo dovuto dall’opponente alla per effetto dell’accertamento dei vizi e delle difformità delle opere da quest’ultima realizzate.
IN VIA DI ESTREMO SUBORDINE Rideterminarsi la quantificazione delle spese di lite del primo grado di giudizio in conformità ai criteri dettati dal DM 55/2014.
IN VIA RICONVENZIONALE e vizi dell’opera, e nell’ulteriore importo occorrente per l’eliminazione di tutti i vizi e difetti ancora esistenti, così come verranno accertati in corso di causa.
IN OGNI CASO Dichiararsi tenuta e condannarsi l’appellata a rimborsare in tutto od in parte all’appellante l’importo di €. 20.002,35 corrispostole nel corso ed all’esito del giudizio di primo grado dall’appellante.
Con il favore delle spese di entrambi i gradi del giudizio”.
Per parte Appellata:
“Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Torino, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione e, nel riportarsi agli atti e documenti delle precedenti fasi dinanzi al Tribunale di Cuneo e dei quali si chiede l’acquisizione e non accettando il contraddittorio su do-mande nuove:
– nel merito:
1) respingersi l’appello avversario, siccome totalmente inammissibile ed infondato in fatto ed in diritto e per l’effetto confermare la sentenza n. 349/2022 emessa dal Tribunale di Cuneo il 29/03/2022 e pubblicata il successivo 6/04/2022;
2) in via subordinata, accertare il credito dovuto in favore di “ ”, condannando la al pagamento di quanto dovuto, oltre interessi ex d.lgs. 231/2002 dal dovuto al saldo;
3) in ogni caso, condannare controparte alla refusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio”.
Le parti hanno quindi proceduto allo scambio di comparse conclusionali e al deposito di memorie di replica nei termini di cui agli artt. 190 e 352 c.p.c..
La decisione è stata deliberata nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE 1. OGGETTO DEL GIUDIZIO E MOTIVI D’IMPUGNAZIONE Con atto di citazione notificato in data 25 giugno 2019, (di seguito ha proposto opposizione avverso il decreto n. 600/2019, emesso dal Tribunale di Cuneo il 18 maggio 2019, con il quale le è stato ingiunto il pagamento, in favore di (di seguito , della somma di euro 7.700,00, oltre interessi e spese, quale saldo della fattura n. 94 del 23 luglio 2018 relativa a prestazioni svolte da quest’ultima presso il cantiere sito in Celle Ligure (SV), INDIRIZZO NOME, allegando e sostenendo: – di aver assunto l’appalto per la realizzazione di un edificio condominiale in Celle Ligure;
– di aver subappaltato ad e opere di posa delle pavimentazioni e dei rivestimenti, oltre ad altre opere di finitura;
– di non aver mai formalizzato gli accordi presi, né per iscritto, né verbalmente, né relativamente all’an, né relativamente al quantum;
– che non aveva mai nemmeno fornito, come avrebbe dovuto fare a completamento dei lavori, le specifiche analitiche delle opere effettuate al fine di consentire una contabilizzazione delle stesse;
– che aveva abbandonato il cantiere prima di terminare le lavorazioni (mancando ancora le stuccature, la posa dei battiscopa in corrispondenza delle porte e sui terrazzi e la pulizia della facciata già verniciata, per eliminare la colatura della colla e dello stucco), così impendendo una verifica congiunta dell’opera e, conseguentemente, una sua accettazione da parte della Committenza;
– che, in ogni caso, si sarebbe resa gravemente inadempiente rispetto alle obbligazioni assunte, posto che le opere da essa effettuate avevano sin da sùbito manifestato gravi vizi e difetti;
– di aver tempestivamente contestato i gravi vizi delle opere ad la quale sarebbe intervenuta per eliminarli, senza tuttavia riuscirci;
– di aver provveduto personalmente a eseguire parte delle lavorazioni rimaste incompiute in vista della consegna degli appartamenti, sopportando così un pregiudizio di euro 4.355,25;
– di vantare, in conseguenza, un credito, a titolo di risarcimento danni, nei confronti della Controparte, di “€ 4.355,25 per le lavorazioni già occorse per rimediare in parte ai difetti e vizi dell’opera”, e dell’ulteriore “importo occorrente per l’eliminazione di tutti i vizi e difetti ancora esistenti, così come domandando, su queste basi, previa ammissione di prove orali ed effettuazione di una C.T.U. volta ad accertare i lamentati vizi e a quantificare i costi per la loro eliminazione:
in via principale, di revocare il decreto ingiuntivo opposto;
in via subordinata, di ridurre il corrispettivo residuo dovuto alla subappaltatrice per effetto dell’accertamento dei vizi e delle difformità nelle opere eseguite e, in via riconvenzionale, di condannare a risarcire nei suoi confronti i danni quantificati in euro 4.355,25 per le lavorazioni già occorse al fine di eliminare parzialmente i vizi e nell’ulteriore somma occorrente per eliminare i vizi ancora esistenti.
costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza di tali domande, allegando e sostenendo:
– di aver prestato la propria attività professionale in favore di presso il cantiere di Celle Ligure;
– di aver terminato i lavori tra il mese di aprile e il mese di maggio 2018;
– di aver emesso, in data 12 giugno 2018, previa autorizzazione della ditta appaltatrice, per le lavorazioni svolte presso il cantiere di Celle Ligure, la fattura n. 69/bis dell’11 giugno 2018, di euro 10.000,00, che rimaneva, in un primo momento, impagata;
– di aver emesso, considerato il tempo trascorso dall’ultimazione dei lavori, anche la fattura n. 94 del 23 luglio 2018, di euro 7.700,00;
– che, in seguito al sollecito del 3 agosto 2018, la aveva corrisposto unicamente l’importo di euro 10.000,00, relativo alla fattura n. 69/bis dell’11 giugno 2018;
– che, solo a seguito del predetto sollecito, e quindi oltre il termine di 60 giorni dalla scoperta di cui all’art. 1667 c.c., la contestava genericamente l’esecuzione delle lavorazioni commissionate;
– che le lavorazioni commissionate avevano riguardato, nello specifico:
posa pavimenti e rivestimenti interni (euro 10.160,00), posa pavimenti e rivestimenti esterni (euro 3.760,00), posa zoccolo basso (euro 810,00), posa zoccolo alto (euro 688,00), impermeabilizzazione terrazzi e bagni (euro 465,00), posa elemento a “L” dei terrazzi/balconi (euro 348,00), sottofondo terrazzi piano terreno e primo (euro 1.200,00), lavori in economia per alloggio al piano rialzato sopra i box zona centrale dello stabile, dovuti a maggiori interventi, in particolare, posa rivestimento “mosaico” bagno con stuccatura epossidica, stuccatura camera da letto con materiale epossidico (euro 350,00), per complessivi euro 17.781,00, esclusa IVA; – che, a fine 2017, le parti avevano concordato il prezzo a metro quadro per le varie lavorazioni e, al termine dei lavori, venivano accertate le specifiche analitiche;
– di non aver mai riconosciuto i vizi lamentati dalla subappaltatrice e di essere tornata in cantiere, in data 28 settembre 2018, per effettuare tutte le rifiniture richieste al solo fine di evitare di dover adire l’Autorità giudiziaria per il pagamento del corrispettivo dovutole;
– che i vizi lamentati sarebbero di scarsa rilevanza e, in ogni caso, non riconducibili alle lavorazioni da essa svolte, posto che il suo incarico aveva riguardato esclusivamente la posa dei pavimenti e dei rivestimenti;
chiedendo, su queste basi, in via preliminare, la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto;
nel merito, il rigetto dell’opposizione e, infine, la condanna dell’opponente al pagamento di una somma equitativamente determinata non inferiore ad euro 5.000,00, ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
Il Giudice di prime cure, dopo aver concesso la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, con ordinanza in data 3 ottobre 2020 ha rigettato le istanze di prova orale controparte.
All’udienza del 7 ottobre 2021 ha ritenuto inammissibile la richiesta di giuramento decisorio formulata dalla in sede di precisazione delle conclusioni, “in quanto le circostanze oggetto della capitolazione non sono idonee a definire il giudizio”.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Cuneo ha rigettato l’opposizione e la domanda riconvenzionale formulata da condannando l’opponente alla refusione, in favore di delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 10.343,00, oltre rimborso forfetario spese generali del 15%, IVA e CPA nei termini di legge.
L’Appellante, ritenendo la sentenza di prime cure non condivisibile e meritevole di essere riformata, ha avanzato sei motivi di doglianza così rubricati:
I. errata applicazione dei principi in materia di riparto dell’onere probatorio;
II.
erroneo rigetto delle formulate istanze istruttorie di prove orale;
III.
errata interpretazione delle risultanze dell’istruttoria;
IV.
mancato accertamento della gravità dei vizi contestati;
V. erroneo rigetto della domanda di risarcimento danni e della richiesta di C.T.U.;
VI.
erronea regolamentazione delle spese di primo grado;
ha altresì riproposto richiesta di ammissione di giuramento decisorio e ha domandato condannarsi la controparte alla “restituzione degli importi versati dall’Appellante”.
2. RICHIESTA DI AMMISSIONE DI GIURAMENTO DECISORIO – INAMMISSIBILITÀ L’Appellante, in sede di precisazione delle conclusioni, ha integralmente riproposto, anche in termini letterali (indirizzandole al “Tribunale”), non solo le istanze istruttorie avanzate in primo grado, ma anche la richiesta di ammissione di giuramento decisorio.
Tale istanza non risultava invero nemmeno indicata fra le conclusioni presentate con l’atto di appello, nel quale l’unico riferimento sul punto è rinvenibile nell’esposizione del secondo motivo d’impugnazione, in cui, dopo una critica del rigetto, da parte del Tribunale, delle istanze di assunzione di prove orali, si legge pretendere di valutare ‘ex ante’, con evidente lesione del diritto delle parti alla prova”) “sussiste quanto alla simile disposizione dell’art. 230 c.p.c. in tema di modo di deduzione dell’interrogatorio formale, ‘per articoli separati e specifici’, in quanto il giudice non ha minimamente tenuto conto del fatto che, sia per la prova per testi sia per l’interrogatorio formale, è consentito al giudice, ex artt. 253 e 230 c.p.c., domandare chiarimenti e precisazioni”. L’istanza risulta inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.
Per un verso, quella così avanzata, in violazione del disposto dell’art. 342 c.p.c., non risulta costituire una ragione critica avverso il percorso motivazionale esposto dal giudice di prime cure, che ha ritenuto l’inammissibilità del proposto giuramento decisorio non per la mancanza di specificità delle circostanze oggetto di capitolazione, ma ritenendo le stesse “non idonee a definire il giudizio”.
Per altro verso, il difetto di idoneità a definire il giudizio, requisito necessario per l’ammissibilità dell’istanza, come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, risulta senz’altro sussistente.
ha chiesto ammissione del giuramento decisorio “per il caso in cui il Tribunale adito non ritenesse raggiunta la prova in ordine alle eccezioni e domande dell’opponente” (condizione, per inciso, già irrituale), e come “dedotta in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, e che quivi si allega nuovamente”.
Trattasi di un riferimento generico a un atto del precedente grado di giudizio, ma anche a ritenerlo ammissibile, nell’atto così richiamato si chiede di ammettere giuramento decisorio riferendolo alle stesse dieci circostanze capitolate in ordine alla contestuale richiesta di assunzione di prove testimoniali, con la mera premessa alle stesse della formula “giurino e giurando neghino”, e si trattava di capitoli come, ad esempio, quello indicato al numero 10:
“a causa dei vizi come sopra evidenziati gli acquirenti hanno rifiutato di provvedere al saldo del prezzo convenuto sino alla loro completa eliminazione”.
Trattasi di articolazione assolutamente non conforme al disposto dell’art. 2736 c.c., che consente a una parte di deferire all’altra il che non può dirsi per dette circostanze, questa specifica, fra l’altro, nemmeno potendosi dire nota a conoscibile da tale parte.
3.
RIPARTO DELL’ONERE PROBATORIO
Con il primo motivo d’impugnazione, duole di un’asserita violazione dell’art. 2697 c.c., “avendo il giudice a quo errato nell’applicazione della regola di giudizio sull’onere della prova”.
Nella presentazione delle argomentazioni poste a sostegno di tale doglianza, peraltro, l’Appellante, dopo aver riportato alcune note massime giurisprudenziali, enuncianti principi senz’altro condivisibili, fa riferimento a una presunta “confessione” della controparte relativamente alla “mancata accettazione dell’opera, l’intervenuta denuncia dei vizi e difformità e il tentativo di porvi rimedio”, nonché a fatti asseritamente “certi, dimostrati e confessati”, per solo poi concludere che “contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, è la che avrebbe dovuto dimostrare il proprio adempimento, ossia che le opere appaltate erano state eseguite a regola d’arte, prova che, a tutta evidenza, non è stata fornita”. Con tale esposizione parrebbe che la al di là e oltre al menzionare una violazione dei principi relativi agli oneri probatorio, abbia prevalentemente inteso anticipare, così inquadrandolo, l’oggetto di alcuni dei successivi motivi di doglianza, relativi alla valutazione, da parte del Tribunale, degli elementi probatori acquisiti.
Rimandando all’esame di quei successivi motivi la valutazione in termini di accoglibilità o inaccoglibilità del gravame, va notato che l’Appellante, sia pur come detto in termini non del tutto lineari, ha così rilevato, si ritiene correttamente, una parziale inesatta o quantomeno incompleta indicazione, da parte del Tribunale, dei principi di diritto applicabili in punto oneri probatori.
Nella sentenza di primo grado si legge che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, “trattandosi di azione volta a far valere la responsabilità contrattuale per pronuncia resa da C. Cass. Sez. Un. 13533/2001, in base alla quale spetta al creditore che agisca per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, provare l’esistenza del titolo, allegando l’inadempimento della controparte contrattuale, incombendo su quest’ultima la prova estintiva del diritto del creditore”, il che è senz’altro corretto, ma poi si legge anche che, “nel caso di specie, parte opponente non ha pienamente provato l’esistenza e la consistenza dei vizi, solo genericamente prospettati e sforniti di sufficiente supporto probatorio, avendo a tal fine unicamente prodotto documentazione fotografica priva sufficiente contestualizzazione”, asserzione che, invece, se esaminata singolarmente, può apparire in contrasto con quella precedente, o quantomeno non esplicita i principi posti a suo fondamento, come invece opportuno, se non necessario. Oggetto della presente causa è un contratto di subappalto fra Agendo in sede monitoria ha allegato inadempimento di in ordine al pagamento di quanto da tale società dovuto, come sub-committente, a saldo per le opere realizzate.
non ha negato tale proprio inadempimento, tuttavia, per un verso, ha sostenuto che talune delle opere realizzate e fatturate da non sarebbero state concordate fra le parti, per altro verso ha a sua volta eccepito l’inadempimento, da parte di di quanto pattuito, sub specie di un presunto “abbandono del cantiere” e di vizi e difetti delle opere realizzate.
A fronte di allegazioni di inadempimenti, se e nei limiti in cui ritenute specifiche, è in capo alla parte che ha realizzato l’opera l’onere di provare la compiuta e corretta esecuzione delle opere appaltate, per quanto in determinati limiti, così come è suo onere provare la sussistenza del titolo sulla cui base si agisce.
Pertanto, in ordine alla presunta mancata pattuizione delle lavorazioni indicate in fattura, l’onere probatorio incombeva su così pure in ordine all’allegazione di controparte di un presunto abbandono del cantiere, da ritenersi ’altro specifica e presupponente una mancata accettazione dell’opera e conclusione dei lavori.
Quanto ai restanti vizi delle opere realizzate, eccepiti da per identificare la parte sulla quale incombeva l’onere probatorio occorre preliminarmente valutare se le opere fossero o meno state concluse dalla subappaltatrice, se vi fosse stata o meno un’accettazione delle stesse, espressa o quantomeno tacita, per fatti concludenti (cfr., ad es., C. Cass., sez. II, n. 19146/2013, che già fondava la diversa attribuzione dell’onere sulla base del “principio della vicinanza al fatto oggetto di prova”), se l’allegazione di tali vizi fosse o meno da ritenersi sufficientemente specifica. Dopo i predetti accertamenti, inoltre, a fronte di un indirizzo della Suprema Corte che può dirsi definitivamente consolidato, quantomeno a partire dalla nota sentenza C. Cass., SS.UU. n. 11748/2019, originatosi in materia di compravendita, ma pacificamente applicabile anche in materia di appalti, occorre tenere presente, al riguardo, in più ampia misura, del principio della “vicinanza della prova”, o “vicinanza al fatto oggetto di prova”, attribuendo l’onere probatorio a chi, per ragioni di prossimità ai fatti o per disponibilità fisica e giuridica dei beni, sia in condizione migliore per fornirla. Il che non costituisce una deroga all’art. 2697 c.c., ma fornisce un criterio integrativo, utile per individuare chi sia in posizione migliore per provare un fatto, specie nei rapporti contrattuali complessi come quelli d’appalto, vicinanza che riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto (cfr., ad es., C. Cass., sez. II, ordinanza n. 12910/2022).
Da detto principio deriva che, ove la parte su cui incombeva l’onere di provare una data prestazione, come la compiuta esecuzione dei lavori, questa prova abbia fornito, la sussistenza di vizi degli stessi, anche se, in ipotesi, specificamente allegati, ove comunicata a distanza di tempo, da chi dei beni oggetto dei lavori ha l’esclusiva disponibilità, non esime tale diversa parte dall’onere di provare la concreta attuale esistenza dei vizi e di provare il nesso di causalità con la viziata esecuzione dei lavori stessi. i principi da ritenersi applicabili in tema di oneri probatori in materia di appalti.
4. ASSERITO ERRONEO RIGETTO DELLE ISTANZE ISTRUTTORIE – INFONDATEZZA Con il secondo motivo di appello, i duole del rigetto delle presentate istanze di assunzione di prove orali, che ritiene sarebbero state necessarie “a dimostrare il fondamento delle proprie eccezioni e domande”.
Il Tribunale, con ordinanza in data 3 ottobre 2020, ha ritenuto inammissibili, in quanto generici, i capitoli di prova articolati dalla Nel presente grado di giudizio ne va vagliata, oltre che, secondo quanto sostenuto dall’Appellante, la sufficiente specificità o meno, anche l’attuale rilevanza.
Indica l’Appellante che, con il primo capitolo di prova (“Vero che: nella primavera del 2018 l’opponente ha subappaltato alla le opere di posa delle pavimentazioni e dei rivestimenti interni, pavimenti e battiscopa esterni, compresi gli elementi speciali a “L” per la copertina del balcone, da eseguirsi nelle unità immobiliari facenti parte di un fabbricato di nuova costruzione sito in Celle ligure, INDIRIZZORAGIONE_SOCIALEINDIRIZZO”), “l’esponente intendeva accertare che le lavorazioni richieste riguardavano alcuni appartamenti di nuova costruzione”:
ora, che tali opere fossero state subappaltate, e che si trattasse di appartamenti “di nuova costruzione”, risulta incontestato, emerge anche dalle stesse espresse allegazioni della controparte, va pertanto ritenuto la non rilevanza di tale capitolo di prova.
Il secondo capitolo di prova (“Vero che: “durante i lavori, l’opponente, tramite il geom. COGNOME ed il dott. ne contestava l’esecuzione a regola d’arte, facendolo immediatamente rilevare alla ed invitandola a porvi rimedio”, per l’Appellante era volto a “collocare temporalmente le contestazioni sollevate (già nel corso delle lavorazioni)”, risulta con tutta evidenza generico, proprio in quanto non indica le esatte circostanze di tempo in cui tale presunta contestazione avuto luogo:
correttamente, pertanto, il Tribunale ne ha ritenuto l’inammissibilità.
Il terzo capitolo di prova (“- nell’alloggio del sig. veniva contestata una differenza nella colorazione dello stucco utilizzato per il rivestimento della cucina;
– nell’alloggio del sig. venivano contestati errori di posa nella pavimentazione, in particolare nella congiunzione tra le piastrelle del pavimento e quelle del rivestimento del bagno, nonché problemi di complanarità nella posa della pavimentazione visibili lungo i battiscopa in legno che presentano vuoti;
– nell’alloggio del sig. venivano contestati problemi di complanarità nella posa della pavimentazione particolarmente visibili lungo i battiscopa in legno che presentano vuoti superiori a quella che dovrebbe essere la normalità, nonché finizioni inadeguate tra porte interne e pavimentazione;
– nell’alloggio del sig. veniva contestato un eccessivo spazio tra le piastrelle, soprattutto in corrispondenza dei serramenti, e la mancanza di complanarità complessiva, soprattutto vicino ad una porta a scomparsa;
– nell’alloggio del sig. veniva contestato che nel bagno non risultava posato lo stucco di una piastrella posizionata male e poi sostituita e non più stuccata, oltre all’errata stuccatura tra piatto doccia e rivestimento che ha causato un’infiltrazione nel muro della camera da letto”) secondo l’Appellante “descriveva in modo preciso ed analitico i vizi riscontrati e contestati”:
tuttavia tale descrizione doveva essere, semmai, ed in parte era, contenuta nelle allegazioni in fatto di e non emergere dalle richieste probatorie, inoltre sempre manca ogni specifico riferimento temporale al momento in cui tali “contestazioni” sarebbero state fatte:
nuovamente risulta corretta la valutazione di inammissibilità da parte del Tribunale.
Il quarto capitolo di prova (“Vero che: i vizi e difetti come sopra descritti sono evidenziati e rappresentati nelle fotografie prodotte sub. doc. 2 dall’opponente, e che vengono rammostrate ai testimoni”) per l’Appellante “avrebbe consentito di ricondurre la prodotta rappresentazione fotografica allo stato dei luoghi”:
oltre ad essere collegato al precedente, nuovamente manca l’indicazione temporale, che è quanto effettivamente quinto capitolo di prova (“A seguito della contestazione dei vizi, durante una riunione tenutasi nel mese di settembre 2018, alla quale erano presenti il geom. Signori ed il dott. il rappresentante della si rendeva disponibile a provvedere alla loro eliminazione, ed in effetti provava seduta stante a raschiare con una punta la stuccatura, per cercare di renderla quantomeno omogenea nella colorazione”) è irrilevante, essendo incontestato che tale incontro abbia avuto luogo e che il rappresentante di in tale occasione, pur negando si trattasse di vizi addebitabili all’opera di avesse dato la propria disponibilità a provvedere al riguardo.
Pur riproponendoli nella loro integralità, nell’atto di appello non fa espresso riferimento ai successivi capitoli di prova proposti in primo grado ai numeri da 6 a 10, solo indicando che “i capitoli di prova da 3 a 7 tendevano a far emergere l’effettivo svolgimento dei fatti”, il che già è dirimente.
In ogni caso, anche in relazione a questi, correttamente il Tribunale ne ha ritenuto l’inammissibilità.
Il sesto era così formulato:
“nei giorni successivi, la provvedeva ad effettuare la lavorazione sulla parete con differenti colori, non intervenendo però sulla parte coperta dai mobili”:
tale indicazione sembra far ritenere incontestato che abbia poi provveduto a emendare determinati vizi e imperfezioni, se non “sulla parte coperta dai mobili”, ma è generica in ordine alla “parte” dei presunti vizi che non sarebbero estati eliminati.
Il settimo:
“verso la fine del mese di maggio 2019 la abbandonava definitivamente il cantiere”, era l’unico a potersi dire specifico, peraltro al riguardo sono stati ammessi dal Tribunale i capitoli di prova in opposto senso di ammettendo prova contraria di relativi a conclusione dei lavori in data ben antecedente, con sostanziale assorbimento del presente, e dagli atti in causa risulta provato, come si dirà, che non vi sia stato alcun “abbandono del cantiere”, tantomeno nel maggio 2019.
Cont ’ottavo:
“alla suddetta data i vizi come sopra descritti erano tuttora esistenti, e risultavano da portare a termine le seguenti opere:
– stuccature interne ed esterne;
– posa dei battiscopa in corrispondenza delle porte e sui terrazzi;
– la pulizia della facciata già verniciata, per eliminare la colatura della colla e dello stucco”, oltre ad indicare una allegazione di vizi non corrispondente ad altre, comunque da operarsi come allegazione in fatto, è parzialmente generica, in quanto non indica in quali locali esattamente residuassero vizi.
Il nono:
“stante l’approssimarsi della data della consegna degli appartamenti, l’esponente provvedeva direttamente ad eseguire le lavorazioni di cui al precedente capitolo, affrontando le seguenti spese:
– lavorazioni per circa 105 ore ad un costo di €. 35,02 ciascuna = €. 3.365,25;
– oneri di trasporto degli operai da Villanova Mondovì a Celle Ligure, per n. 4 viaggi ad un costo di €. 200,00 ciascuno = €. 800,00; – materiale rasante, per un costo di €. 190,00”, nuovamente non indica in quali locali, per quali lavori e quando tali opere sarebbero state poste in essere.
Il decimo:
“a causa dei vizi come sopra evidenziati gli acquirenti hanno rifiutato di provvedere al saldo del prezzo convenuto sino alla loro completa eliminazione”, ancor più è generico.
Il secondo motivo d’impugnazione, pertanto, risulta infondato e non può trovare accoglimento.
Con parte del quinto motivo d’impugnazione, l’Appellante si duole che non sia stata ammessa CTU, “volta a descrivere i vizi… lamentati e descritti dall’appellante, nonché i costi necessari per porvi rimedio”.
Ancor prima di ogni valutazione sulla qualificabilità come meramente esplorativa di tale istanza, ritenuta dal Tribunale, o meno, è sufficiente rammentare che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, ed è disposta dal giudice, che al riguardo esercita un potere discrezionale nei limiti del proprio prudente apprezzamento.
La Suprema Corte ha sinanche avuto occasione di ribadire che neppure è necessaria un’espressa pronuncia in ordine al rigetto di un’istanza di parte di CTU (cfr. C. Cass., Sez. 3, sentenza n. causa non risultava, né risulta necessario ottenere ausilio tecnico per la valutazione degli elementi agli atti.
5. ASSERITA ERRONEA INTERPRETAZIONE DELLE PROVE ORALI – MANCATO ACCERTAMENTO DELLA GRAVITÀ DEI VIZI CONTESTATI – INNECESSARIETÀ DELLA QUALIFICAZIONE DEI VIZI COME GRAVI – INFONDATEZZA Con il terzo motivo di gravame, l’Appellante censura una ritenuta erronea valutazione, da parte del Tribunale, delle risultanze dell’istruttoria orale, indicando che non si sarebbe tenuto sufficientemente conto delle deposizioni rese dai testi Signori che proverebbero, “senza ombra di dubbio alcuno, non solo che le opere realizzate risultavano incomplete e viziate, ma, altresì, che la committente contestò tempestivamente le problematiche emerse, ed infine che l’appaltatrice si impegnò espressamente a porvi rimedio”; inoltre, le fotografie prodotte agli atti costituirebbero “prova precostituita della conformità alle cose e ai luoghi rappresentati, sì che la controparte che voglia inficiarne l’efficacia probatoria, non può limitarsi a contestare i fatti che la parte che l’ha prodotta intende con essa provare, ma ha l’onere di disconoscere tale conformità”, ed avrebbero, in ogni caso, efficacia probatoria.
Con il quarto motivo di gravame, l’Appellante censura l’assunto del primo Giudice secondo cui i vizi “lungi dall’essere stati riconosciuti dall’opposta e dall’essere connotati dalla gravità richiesta ai fini della valutazione dell’inadempimento dell’opponente, avevano ad oggetto, al più, la realizzazione di finiture dell’opera eseguita da parte opposta”, e rileva altresì che il Tribunale avrebbe incoerentemente richiamato il concetto di “gravi difetti” previsto dall’art. 1669 c.c., ritenendolo applicabile all’art. 1667 c.c., notando che l’art. 1667 c.c. è invece applicabile “qualora i vizi dell’opera – pur non incidendo negativamente sugli elementi strutturali essenziali di questa e, quindi, sulla sua solidità, efficienza e durata – ne inficiano la corretta esecuzione, anche solo sotto l’aspetto decorativo ed estetico”, come nel presente caso, in cui, trattandosi di appartamenti di nuova costruzione, “l’Appellata avrebbe dovuto ContPur in assenza di un espresso richiamo, tali motivi devono essere esaminati congiuntamente a quanto esposto nel primo motivo d’impugnazione in cui, come già detto, veniva fatto riferimento a una presunta “confessione” della controparte relativamente alla “mancata accettazione dell’opera” e alla sussistenza di vizi, oltre che in riferimento alle allegazioni e alle domande presentate dalla In primo grado aveva allegato che le opere di cui alla fattura posta a fondamento del ricorso monitorio non sarebbero mai state, in tutto o in parte, oggetto del contratto di subappalto intercorso fra le parti (“Le prestazioni elencate nella fattura 94/2018 ex adverso monitoriamente azionata non sono state concordate, non per iscritto, ma neppure verbalmente, né relativamente all’an, né ovviamente al quantum”). Il Tribunale ha ritenuto provato il contrario, all’esito dell’istruttoria svolta, indicando fra l’altro che il preventivo presentato dalla era stato “confermato e autorizzato” dalla come “dichiarato” dallo stesso “teste impiegato amministrativo della società opponente, circostanza confermata dal teste geometra di cantiere”, e il punto non è oggetto di alcun specifico rilievo critico in diverso senso da parte dell’Appellante e risulta, comunque, pienamente provato agli atti.
Aveva allegato che “ ha abbandonato il cantiere prima di completare tutte le lavorazioni, impedendo in questo modo alla committente di procedere alla verifica congiunta dell’opera, secondo quanto prescrive l’art. 1665 c.c.”
Risulta invece essere stato provato che le opere subappaltate siano state integralmente realizzate da nei mesi di aprile e maggio 2018 e che non vi sia stato alcun “abbandono del cantiere”, come correttamente ritenuto dal Tribunale, che ha valorizzato in specie, sul punto, le testimonianze rese dai testi Cont al riguardo, a parte la riproposizione della richiesta istruttoria di cui al già menzionato capitolo 7, in cui si fa riferimento a un presunto “abbandono del cantiere” un anno dopo, “verso la fine del mese di maggio 2019”, circostanza del tutto inverosimile ed asserzione che al più può essere intesa come in riferimento a un rifiuto della controparte a effettuare ulteriori interventi di correzione dei presunti vizi, non sono statti presentati specifici rilievi critici in senso contrario, e in ogni caso risulta pienamente provato che i lavori subappaltati siano stati portati a conclusione entro il mese di maggio 2018. Quanto alla “accettazione” o meno degli stessi, va intanto escluso che il rapporto fra i committenti/acquirenti dei singoli appartamenti e ditta appaltatrice, con le correlate previsioni in termini di “consegna” degli immobili, abbia ripercussioni sul diverso rapporto, oggetto della presente causa, relativo al subappalto di talune opere, conferito da In tale rapporto, un appalto fra privati, non era necessario alcun specifico “collaudo” e le opere de quo risultano essere state approvate, di fatto, al momento della loro conclusione: fra l’altro, la prima delle due fatture emesse da in ordine a tali lavori, risulta essere stata pagata da COGNOME riporta, per sostenere il contrario, le seguenti affermazioni rese dal teste :
“verbalmente gli avevamo già contestato, nello specifico tramite il nostro personale di cantiere al geom. Signori, dei problemi riferiti dai condomini”, indicando poi che, a settembre 2018, “abbiamo fatto il giro di tutti gli alloggi, abbiamo preso nota di tutti i problemi che vi erano.
Dopodiché si è detta disponibile ad intervenire pur di non disfare i pavimenti come detto direttamente a me dal Sig. .
Quest’ultimo ha tolto lo stucco nelle parti visibili solo di una cucina in modo che il colore fosse omogeneo.
Negli altri alloggi dove vi erano problematiche più importanti non sono intervenuti.
E neanche nella posa dei battiscopa mancanti”;
e piastrellatura.
Sicuramente prima del termine dei lavori io avevo già segnalato, perché si faceva la verifica alloggio per alloggio.
Sicuramente quando finirono i lavori, in fase di posa dei battiscopa, emersero i problemi”.
Ora, ancor prima di possibili dubbi sull’attendibilità di tali testi, dipendenti della anche in ordine alla non esatta coincidenza delle loro dichiarazioni (ad esempio, uno indica l’omessa pose di battiscopa, l’altro parla di vizi emersi al momento della posa dei battiscopa), è evidente che entrambi fanno riferimento alla “conclusione dei lavori” nel senso della conclusione dei lavori commissionati alla dai loro committenti, tant’è che si parla di “problemi riferiti dai condomini” e di conseguente verifica “alloggio per alloggio”, nel settembre 2018 e non prima, a mesi distanza dalla conclusione dei lavori commissionati dalla lla Si tratta, poi, di opere rimaste, per mesi e dopo la predetta conclusione dei lavori subappaltati alla in esclusiva disponibilità della Va altresì notato che lo stesso Appellante invoca l’applicabilità dell’art. 1667 c.c., norma che implica e presuppone il completamento dei lavori appaltati. L’Appellante censura poi il passaggio motivazionale con cui il Tribunale ha evidenziato l’insussistenza di “gravi difetti”.
È condivisibile l’affermazione dell’Appellante secondo la quale il requisito della “gravità”, presente nel diverso disposto dell’art. 1669 c.c., non è richiesto per l’applicabilità dell’art. 1667 c.c..
Tuttavia, la funzione e la rilevanza dell’impiego di tale aggettivo nella ratio decidendi esposta dal giudice di prime cure, per quanto potesse forse apparire non del tutto inequivoca, non è quella intesa dall’Appellante.
Nel paragrafo successivo della sentenza si indica che i vizi non risultano essere stati “tempestivamente denunciati dalla opponente” (essendo in effetti decorsi oltre 60 giorni dalla conclusione dei lavori alla denuncia di fine settembre 2018), il che implicherebbe la sussistenza di una causa di decadenza ex art. 1667 c.c., con la certo non lo sono quelli allegati dall’Appellante.
Tuttavia, questo passaggio non è esplicitato, costituisce forse una seconda ragione del rigetto delle domande di ma non è quella principale.
Subito dopo l’utilizzo della locuzione “gravi difetti” nella motivazione del Tribunale segue l’inciso “in conformità alla richiamata giurisprudenza”, e nei paragrafi precedenti erano richiamate pronunce di Cassazione relative all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., in base alle quali il rifiuto di adempiere è da ritenersi ingiustificato e contrario a buona fede quando l’inadempimento eccepito sia “non grave”, di “scarsa importanza”, in questo senso il Tribunale ha escluso la fondatezza di tale eccezione, il che è corretto, basti menzionare il valore del tutto marginale delle opere asseritamente viziate rispetto al complesso delle opere oggetto del contratto di subappalto (ad es. mancherebbero alcune zoccolature, ma nell’incontestato computo delle opere subappaltate la posa di tutti gli “zoccoli bassi” prevedeva un corrispettivo di euro 810,00). In ogni caso, comunque, la ragione primaria, per il Tribunale, del rigetto delle domande presentate dall’attuale Appellante, è individuabile nella ritenuta “genericità” della contestazione dei vizi e difetti e nel difetto di prova della loro sussistenza.
Conclusione anch’essa condivisibile.
L’allegazione dei vizi e difetti da parte di risulta non sufficientemente specifica:
nell’atto di citazione in opposizione in primo grado si parlava, in prima battuta, di “lavorazioni poste in essere da (come detto, non completate) gravate da vizi e difformità”, si indicava che tali vizi sarebbero stati “riconosciuti” il 28 settembre 2018 dalla controparte, poi se ne effettuava un’elencazione, questa solo sufficientemente specifica, in relazione a determinati alloggi, dei signori I referti fotografici prodotti agli atti sarebbero stati scattati nello stesso mese di settembre 2018.
Anche a volerli ritenere di rilievo probatorio, allegato di aver poi provveduto “ad effettuare i ritocchi richiesti”, pur con questo non stesso Appellante, con il riproposto sesto capitolo di prova, ha di fatto riconosciuto che “nei giorni successivi”, al settembre 2018, “la provvedeva ad effettuare la lavorazione sulla parete con differenti colori, non intervenendo però sulla parte coperta dai mobili”:
parte dei presunti vizi, quindi, sarebbe stata emendata e non è sufficientemente specificato né emerge provato agli atti quali vizi e difetti sarebbero residuati.
Trattandosi di vizi e difetti denunciati, come detto, a distanza di mesi dalla conclusione dei lavori, inerenti locali rimasti nella disponibilità della e non sufficientemente specificati, l’onere della prova in ordine alla loro concreta sussistenza ed entità incombeva sull’attuale parte Appellante e questa prova non è stata data.
I predetti motivi d’impugnazione non possono, pertanto, trovare accoglimento.
6. DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI – INFONDATEZZA Altro profilo di doglianza riguarda il rigetto da parte del Tribunale della presentata domanda di risarcimento danni.
Trattasi di domanda collegata alla previa prova della sussistenza di vizi e difetti delle opere commissionate, prova che, come detto, non è stata data.
D’altronde, nemmeno è stata fornita prova sufficiente di tali asseriti danni e del loro collegamento causale con inadempimenti della controparte, non potendo dirsi tale la mera indicazione di un numero di ore di lavoro solo asseritamente impiegate da altri lavoratori, impiegati dalla stessa società Appellante, per effettuare presunte opere di ripristino, nonché delle spese di viaggio da questi affrontate per recarsi nel luogo del cantiere, nel quale, fra l’altro, presumibilmente già stavano effettuando altre opere di rifinitura. 7. SPESE DEL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO – PARZIALE FONDATEZZA Ultimo punto oggetto d’impugnazione concerne l’imputazione e la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, che il Tribunale di Cuneo ha posto a carico da nota spese depositata e ritenuta congrua rispetto ai richiamati parametri, il tutto oltre accessori come per legge”.
L’imputazione a carico di anche a seguito del presentato appello integralmente soccombente, è corretta.
L’Appellante, peraltro, contesta i criteri impiegati per la liquidazione, osservando che una corretta applicazione dell’art. 5, comma 6 del D.M. n. 55/2014, avrebbe dovuto condurre il Tribunale a liquidare, a titolo di spese di lite, la minor somma di euro 4.835,00.
Sul punto, tale motivo d’impugnazione è parzialmente fondato.
ha presentato opposizione avverso decreto con il quale le era stato ingiunto il pagamento dell’importo di euro 7.700,00, di cui alla fattura n. 94 del 23 luglio 2018, oltre interessi e spese di procedura, e ha altresì avanzato domanda riconvenzionale volta ad ottenere un risarcimento dei danni quantificato in euro 4.355,25 per le lavorazioni già effettuate “e nell’ulteriore somma da quantificarsi in corso di causa per l’eliminazione di tutti i vizi e difetti ancora presenti”, non meglio quantificati, ma che non potevano dirsi superiori a poche migliaia di euro. Quali che siano state le indicazioni delle parti al riguardo, il valore della causa era da ritenersi non eccedente lo scaglione compreso fra euro 5.200,01 ad euro 26.000,00.
Né le questioni di diritto e di fatto trattate potevano dirsi contraddistinte da una particolare complessità, giustificativa di una liquidazione eccedente, se non in limitata misura, i valori tabellari medi.
In conformità ai parametri di cui al disposto del D.M. 10 marzo 2014 n. 55, le spese del primo grado di giudizio, da corrispondersi da in favore di vanno pertanto rideterminate nei seguenti termini:
– per la fase di studio euro 1.000,00 – per la fase introduttiva euro 900,00 – per la fase istruttoria euro 1.700,00 euro 5.500,00 oltre rimborso spese generali 15%, I.V.A. e C.P.A. nei termini di legge.
8. SPESE DEL GIUDIZIO COGNOME
Ai sensi del disposto degli artt. 91 ss c.p.c. alla soccombenza consegue la condanna alle spese del grado e a fronte del solo parziale accoglimento dell’impugnazione relativa alla quantificazione delle spese di lite operata dal Tribunale, è da ritenersi soccombente nei confronti di non sussistendo ragioni giustificative di una compensazione, nemmeno, parziale, delle spese fra le parti.
In conformità ai parametri di cui al disposto del D.M. 10 marzo 2014 n. 55, tenuto conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’oggetto della controversia (determinato in misura rientrante nello scaglione compreso fra euro 5.200,01 ed euro 26.000,00), dei risultati conseguiti, del numero e della non particolare complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, le spese del gravame si liquidano, in favore della parte Appellata, nei seguenti termini: – per la fase di studio euro 1.150,00 – per la fase introduttiva euro 1.000,00 – per la fase di trattazione euro 950,00 – per la fase decisoria euro 1.900,00 Totale: euro 5.000,00 oltre a rimborso forfetario spese generali del 15%, CPA e IVA nei termini di legge.
Visti gli artt. 352, 359, 132 c.p.c. Definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione respinta, in parziale riforma della sentenza appellata:
visti gli artt. 91 ss c.p.c., condanna liquidate nella misura di euro 5.500,00, oltre a rimborso forfetario del 15% per spese generali, C.P.A. e I.V.A. nei termini di legge.
Conferma nel resto la sentenza appellata.
Visti gli artt. 91 ss c.p.c., condanna parte COGNOME, al pagamento delle spese per il presente grado di giudizio, in favore della parte COGNOME, liquidate nella misura di euro 5.000,00, oltre a rimborso forfetario del 15% per spese generali, C.P.A. e I.V.A. nei termini di legge.
Così deciso il 4 dicembre 2024.
il Giudice estensore dott. NOME COGNOME il Presidente dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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