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Codice Penale

Pronuncia di separazione, domanda di addebito

Domanda di addebito, situazioni di grave colpa di uno dei coniugi, derivanti da violazioni notevoli e coscienti dei doveri matrimoniali.

Pubblicato il 11 October 2023 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA

I sezione civile composto dai Sigg.: dott. Giudice riunito in Camera di Consiglio, ha reso la seguente

SENTENZA n. 1539/2023 pubblicata il 01/09/2023

nella causa iscritta al N. 3777 del Registro Generale Contenzioso 2020

TRA

XXX,

RICORRENTE E

YYY; RESISTENTE

E

con l’intervento del Pubblico Ministero

avente per oggetto: Separazione giudiziale

IN FATTO ED IN DIRITTO

YYY, nato a Messina il 06.12.1977, e XXX, nata a Messina il 03.02.1985, contraevano a Messina il 25.06.2011 matrimonio concordatario trascritto nel registro dello Stato Civile di detto comune al numero parte 2 serie A anno 2011.

Dall’unione nascevano due figli, in data 23.05.2012 a Messina la figlia *** ed in data 02.01.2015 a Messina il figlio ***.

Con ricorso depositato il 28.09.2020 XXX chiedeva al Tribunale di Messina che venisse pronunciata la separazione dei coniugi con addebito a carico del marito, che i figli minori fossero affidati in modo condiviso con domiciliazione presso la madre e che fosse posto a carico del YYY l’obbligo di corrispondere alla deducente un assegno mensile dell’importo complessivo di € 500,00 a titolo di contributo al mantenimento dei figli minori, oltre al 70 % delle spese straordinarie nell’interesse dei figli. A sostegno delle domande evidenziava che la prosecuzione della convivenza era divenuta impossibile a causa del comportamento del marito, che aveva violato il dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia ed aveva abbandonato nel settembre 2019 la casa coniugale, omettendo sin da allora di provvedere alle necessità della prole, convivente con la madre, avendo corrisposto solamente la somma mensile di € 200,00 per i mesi da febbraio a maggio 2020. Evidenziava, peraltro, che i figli erano affetti da gravi patologie, per le quali avevano percepito sino al mese di giugno 2020 l’indennità di frequenza erogata dall’INPS: la piccola *** era affetta da “mutismo elettivo e disturbo dell’apprendimento”, mentre il piccolo *** era affetto da “ritardo globale dello sviluppo psicomotorio”. Quanto ai rapporti di natura economica, osservava che il YYY svolgeva regolare attività lavorativa, mentre lei non poteva prestare alcuna attività lavorativa sia per le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, sia soprattutto per la necessità di accudire i figli.

Instaurato il contradditorio, si costituiva YYY, il quale contestava la ricostruzione dei fatti fornita dalla ricorrente ed evidenziava che l’affectio maritalis era venuta meno a causa del comportamento della moglie che, in costanza di matrimonio, aveva intrattenuto una relazione sentimentale con tale ***, così violando il dovere di fedeltà e costringendo il deducente a trasferirsi in altro immobile. Chiedeva, pertanto, che la separazione fosse addebitata alla XXX e che quest’ultima fosse condannata al risarcimento del danno per violazione dell’obbligo di fedeltà con la corresponsione della somma di € 25.000,00 equitativamente determinata o, in alternativa, con la previsione di un assegno di € 200,00 mensili a favore del deducente. Non si opponeva, viceversa, all’affidamento condiviso dei figli, ma rilevava che egli guadagnava appena € 400,00 mensili, essendo stato assunto nel marzo 2020 con un contratto di lavoro part time con la qualifica di operaio addetto al carico ed allo scarico di merci. Evidenziava, inoltre, che le parti avevano sottoscritto in data 13.02.2020 un accordo di separazione consensuale, poi non omologato, che prevedeva la corresponsione da parte del deducente di un assegno mensile di € 200,00 a titolo di contributo al mantenimento dei figli, oltre al 50 % delle spese straordinarie, sicché la richiesta avanzata dalla ricorrente di una somma molto superiore appariva priva di qualsiasi giustificazione. Chiedeva, pertanto, che fosse confermato quanto concordato dalle parti nell’accordo di separazione consensuale e sottolineava che, in ogni caso, in regime di affido condiviso, i genitori avrebbero dovuto provvedere al mantenimento dei figli in via diretta, anche in considerazione del fatto che la XXX, pur essendo priva di occupazione, era in possesso di tutti i requisiti per potere beneficiare del reddito di cittadinanza. Chiedeva, infine, che fossero disciplinati i tempi di permanenza dei minori con il padre come meglio specificato in comparsa.

All’udienza presidenziale tenuta ex art. 708 c.p.c. in data 24.05.2021, il tentativo di conciliazione aveva un esito infruttuoso. XXX riferiva che effettivamente le parti avevano raggiunto un accordo di separazione consensuale che non era stato omologato in quanto il marito non si era presentato all’udienza all’uopo fissata; lamentava che dal mese di giugno 2020 il YYY non versava alcun assegno per il mantenimento dei figli e sottolineava che lei aveva accettato l’accordo di separazione consensuale che prevedeva un assegno di appena € 200,00 perché aveva interesse a conseguire al più presto la separazione, anche al fine di potere avanzare domanda per la concessione del reddito di cittadinanza; osservava, poi, che il marito lavorava come magazziniere e durante il matrimonio, pur non essendo “in regola”, guadagnava circa € 800,00 mensili; lamentava, infine, che il marito si disinteressava dei figli, non si informava di loro e non li seguiva in alcun modo. Dal canto suo YYY negava di avere lavorato durante il matrimonio con contratto non regolarizzato presso la stessa ditta che lo aveva successivamente assunto con contratto part time e ribadiva che il suo stipendio era pari a circa € 400,00 mensili; osservava che egli aveva versato per il mantenimento dei figli la somma mensile di € 200,00 per circa tre o quattro mesi mentre in seguito aveva provveduto alle esigenze della prole in via diretta; rilevava che egli non avrebbe potuto tenere con sé i figli per un tempo analogo a quello durante il quale gli stessi stavano con la madre in quanto impedito dagli impegni di lavoro; dichiarava di essere disponibile a corrispondere per il mantenimento dei figli la somma mensile di € 200,00.

Con ordinanza fuori udienza resa in data 29.05.2021 il Presidente Delegato dava i provvedimenti provvisori nell’interesse dei coniugi e della prole, autorizzando i coniugi a vivere separati, affidando i figli minori in modo condiviso ad entrambi i genitori con domiciliazione presso la madre, disciplinando i tempi di permanenza dei minori con il padre, disponendo l’esercizio separato della responsabilità da parte del genitore con il quale i minori anche temporaneamente si sarebbero trovati, ponendo a carico di YYY l’obbligo di corrispondere a XXX un assegno mensile di € 300,00 a titolo di contributo al mantenimento dei due figli, da rivalutare annualmente in base agli indici ISTAT, oltre al 70 % delle spese straordinarie. Dava, infine, i provvedimenti necessari per la prosecuzione del giudizio davanti al Giudice Istruttore.

Con la memoria integrativa depositata il 4 novembre 2021 la ricorrente ribadiva tutte le sue domande, ma richiede la corresponsione di un assegno per il mantenimento dei figli nella misura ridotta di € 400,00 mensili anziché € 500,00 mensili. Evidenziava che il YYY non aveva rispettato il provvedimento presidenziale del 29.05.2021, esercitando il proprio diritto di visita ai figli assai sporadicamente e giustificando le proprie assenze con continue “esigenze lavorative”. Rilevava che il YYY aveva la piena disponibilità di un immobile di cui era comproprietario e conduceva un tenore di vita incompatibile con il reddito dichiarato.

Con la memoria di costituzione davanti al Giudice Istruttore depositata il 25 novembre 2021 il resistente osservava che la XXX dal mese di luglio 2021 percepiva il reddito di cittadinanza per un importo mensile di euro 700,00 e chiedeva, anche per questo motivo, che l’assegno a carico del deducente per il mantenimento della prole fosse ridotto ad euro 200,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie. Ribadiva, poi, che la crisi coniugale era stata determinata dal comportamento della XXX che aveva instaurato una relazione extraconiugale con un uomo con il quale attualmente conviveva. Confermava, infine, tutte le richieste già formulate.

Con ricorso ex art. 709 ult. comma c.p.c. depositato il 14.02.2022 YYY chiedeva la modifica dell’ordinanza presidenziale emessa il 29.05.2021, con la riduzione dell’assegno per il mantenimento dei due figli nella misura di € 200,00 mensili e la riduzione al 50% della contribuzione alle spese straordinarie per i figli; in subordine, chiedeva che fosse disposto il mantenimento diretto dei figli da parte dei genitori. A sostegno della domanda deduceva che la XXX percepiva il “reddito di cittadinanza” e conviveva con il Sig. *** sicché le sue condizioni economiche avevano subito un radicale miglioramento.

Instaurato il contraddittorio su tale richiesta di modifica delle statuizioni provvisorie, si costituiva XXX che eccepiva l’inammissibilità della domanda di modifica delle statuizioni provvisorie in quanto risultava ancora pendente il reclamo davanti alla Corte di Appello avverso l’ordinanza presidenziale; nel merito rilevava che il mantenimento dei figli non poteva gravare su terzi, con la conseguenza che era del tutto inconducente il rilievo che la deducente avesse instaurato convivenza con altro uomo; sottolineava, poi, che il reddito di cittadinanza le consentiva esclusivamente di sopravvivere e di far fronte alle spese necessarie per i figli, ma non di soddisfare tutte le esigenze di questi ultimi, cui era funzionale l’assegno di mantenimento.

Con ordinanza del 31.03.2022 il Giudice Istruttore rigettava la suddetta richiesta ex art. 709 ult. comma c.p.c..

Con decreto del 16.09.2022 la Corte di Appello di Messina rigettava il reclamo proposto da YYY avverso l’ordinanza presidenziale evidenziando, con riferimento alle richiesta di rideterminare la misura dell’assegno in € 200,00 mensili, che “il modesto scostamento rispetto a tale importo di quello determinato dal Presidente del Tribunale non consente in questa fase di censurare la decisione del Giudice di prime cure, considerato, come detto, che non si ravvisa alcun evidente errore valutativo da parte dello stesso, considerato che, nonostante secondo la difesa del reclamante le buste paga indichino un reddito mensile di circa 400,00 euro (per un contratto part-time), tale dato cozza con l’asserito impegno lavorativo del YYY dalle ore 9:00 alle ore 21:00 dal lunedì al venerdì, dichiarato dalla XXX nel corso dell’udienza di comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale (dichiarazioni richiamate dallo stesso reclamante nell’odierno atto introduttivo a sostegno dell’accoglimento dell’altro motivo di reclamo afferente alla regolamentazione del diritto di visita dei figli e quindi da ritenersi un dato pacificamente riconosciuto dalla parte) cui corrisponderebbe un introito mensile di €. 800,00 (evidentemente in parte corrisposti “in nero”), certamente più coerente ed aderente all’impegno orario dichiarato”.

Con ordinanza del 17.03.2022 il Giudice Istruttore ammetteva l’interrogatorio formale del resistente e la prova per testi diretta e contraria chiesta dalle parti; disponeva, inoltre, il deposito di documentazione reddituale. Nelle successive udienze veniva espletata la prova per interpello, venivano escussi i testi ammessi e veniva acquisita documentazione reddituale.

Con ricorso depositato il 27.02.2023 YYY chiedeva la modifica della ordinanza presidenziale emessa il 24.05.2021 nella parte in cui poneva a carico del deducente l’obbligo di corrispondere alla *** un assegno mensile complessivo di € 300,00 a titolo di contributo al mantenimento dei due figli minori, mediante la previsione del mantenimento diretto dei figli da parte del padre o, in subordine, mediante la riduzione dell’assegno mensile di mantenimento ad € 200,00. A sostegno delle domande deduceva che la ***, nell’ambito di un procedimento penale a carico del deducente, aveva dichiarato di avere utilizzato le somme corrisposte dal coniuge a titolo di assegno per il mantenimento della prole, per pagare parte del canone di locazione dell’immobile in cui la stessa viveva con il nuovo compagno.

La resistente contestava la fondatezza delle domande avversarie e ne chiedeva il rigetto.

Con ordinanza del 24.03.2023 il Giudice Istruttore rigettava il ricorso proposto da YYY con atto depositato il 27.02.2023.

Esaurita l’istruttoria, all’udienza del 04.05.2023, celebrata con le modalità cartolari previste dall’art. 127 ter c.p.c., sulle conclusioni dei procuratori delle parti il Giudice Istruttore rimetteva la causa al collegio per la decisione, ai sensi dell’art. 189 c.p.c., concedendo i termini di rito ai sensi dell’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica, previa trasmissione degli atti al Pubblico Ministero.

Ritiene il Collegio che alla luce delle risultanze processuali, vada pronunciata la separazione personale dei coniugi.

Invero, ai sensi dell’art. 151 c.c., la pronuncia della separazione giudiziale non è vincolata a presupposti tassativi e specifici, ma è, piuttosto, collegata all’accertamento dell’esistenza di fatti che rendono intollerabile per i coniugi la prosecuzione della convivenza.

L’accertamento della sussistenza di fatti obiettivamente apprezzabili e, quindi, giuridicamente controllabili, che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza, diviene, pertanto, il presupposto della separazione, anche quando il comportamento non sia direttamente imputabile alla condotta dell’uno o dell’altro coniuge (Cass. Civ. 10.06.1992 n. 7148). Ove tale situazione di intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione, con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto (Cass. Civ., sez. I, sentenza 30 gennaio 2013 n. 2183). I fatti desunti dalla trattazione della causa dimostrano in modo inequivocabile che la prosecuzione della convivenza è divenuta ormai da tempo intollerabile ex art. 151, primo comma, c.c., né occorre espletare una specifica istruttoria allo scopo di verificare più compiutamente tale circostanza. Infatti, in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base a tutti gli elementi di conoscenza disponibili, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con riferimento non solo alle risultanze del tentativo di conciliazione ma anche alle vicende successive, l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pure a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell’altro, la convivenza. Orbene, nel caso di specie, è certa la comune volontà dei coniugi di pervenire ad una disgregazione del nucleo familiare, posto che entrambi hanno sul punto rassegnato conclusioni conformi ed ormai vivono separati da tempo. Inoltre, in sede di udienza presidenziale, è emerso come il contenuto del rapporto coniugale fosse già allora inidoneo a realizzare la personalità dell’una o dell’altro, tanto che i coniugi vivevano da tempo separati, mentre i testi escussi hanno riferito che attualmente entrambi i coniugi coltivano relazioni sentimentali con altre persone. Va, dunque, pronunciata la separazione personale come richiesta sia dalla ricorrente che dal resistente.

Riguardo alla domanda di addebito formulata da entrambe le parti, si deve premettere che, pur essendo la obiettiva impossibilità di continuare la convivenza il presupposto fondamentale per la separazione personale dei coniugi, nondimeno, l’esistenza di comportamenti contrari ai doveri coniugali acquista rilievo, ai sensi del 2° comma dell’art. 151 c.c., al fine della pronuncia di addebito, ove venga formulata apposita domanda dalla parte interessata. La dottrina dominante e la costante giurisprudenza della Suprema Corte hanno sottolineato che il legislatore ha voluto in tal modo attribuire rilievo, in modo autonomo rispetto alla pronuncia di separazione (vedi in tal senso Cass. civ. sez. un. 3.12.2001 n. 15248), alla presenza di situazioni di grave colpa di uno dei coniugi, derivanti da violazioni notevoli e coscienti dei doveri matrimoniali, che abbiano costituito la causa della intollerabilità della convivenza. Inoltre l’addebito non è fondato sulla mera inosservanza dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, ma sulla effettiva incidenza di detta violazione nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza (Cass. 20.12.1995 n. 13021; Cass. 12.01.2000 n. 279).

Nella fattispecie in esame la XXX ha affermato che la definitiva disgregazione della unità familiare era stata la conseguenza del comportamento del marito, che si era allontanato dalla casa coniugale dopo avere più volte violato il dovere coniugale di collaborazione con un comportamento caratterizzato da lontananza e scarso interesse per la vita familiare, mentre il YYY, pur ammettendo di essersi allontanato dalla casa familiare, ha sottolineato che era stato sostanzialmente costretto a prendere tale decisione dopo che aveva scoperto che la moglie aveva instaurato una relazione con altro uomo.

A tal proposito, va osservato che l’abbandono della casa familiare costituisce violazione di uno dei fondamentali doveri coniugali, quello della coabitazione, sanzionato ai sensi dell’art. 146 c.c., con la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale, e costituisce normalmente di per sé causa di addebito in quanto, in simili casi, la prova del nesso causale tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza può essere tratta da elementi di tipo logico o presuntivo (Cass. civ. 23284/2019; 14591/2019; 3923/2018). Nondimeno, l’abbandono della casa coniugale non può essere ritenuto causa di addebito della separazione quanto risulti che sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già manifestata (Cass. civ., sez. I, 10.06.2005, n. 12373; Cass. 11.08.2000 n. 627; Cass. 29.10.1997 n. 10648), tenendo presente che l’onere della prova di tali circostanze è a carico del coniuge che intenda privare di efficacia causale l’allontanamento dalla residenza familiare.

Occorre, pertanto, verificare se l’allontanamento dalla casa coniugale sia stato la causa della definitiva crisi coniugale o se sia intervenuto in un momento nel quale la crisi coniugale poteva ritenersi conclamata ed ormai irreversibile a causa della violazione del dovere di fedeltà da parte della XXX. Non può, invece, attribuirsi un rilievo autonomo all’asserito disinteresse del YYY per il ménage familiare non solo perché gli elementi di conoscenza acquisiti appaiono equivoci, ma anche per il fatto che non vi è alcuna prova che la condotta del marito sia stata idonea a provocare una frattura così profonda tra i coniugi da potersi considerare la casa della disgregazione della famiglia, a prescindere dal successivo allontanamento del marito dalla casa coniugale e dalla conseguente separazione di fatto verificatasi nel mese di settembre 2019. Invero, la teste *** ed il teste XXX Antonino hanno riferito che in occasione della morte della madre della ricorrente, il YYY non accompagnò la moglie all’obitorio. Sennonché, oltre a non essere stato chiarito dai due testimoni quando si sarebbe verificato tale fatto, anche al fine di poterne apprezzare l’incidenza sul rapporto coniugale, assorbente è il rilievo che non sono note le ragioni per le quali il YYY non si sia recato all’obitorio, potendosi ben ipotizzare che lo stesso fosse impegnato al lavoro, come peraltro prospettato dagli stessi testi, e non potesse allontanarsi, mentre non vi sono elementi per potere affermare che tale condotta sia sintomatica di una mancanza di vicinanza emotiva del marito alla moglie in occasione di tale evento luttuoso. Peraltro, il teste *** ha ricordato che la XXX fu accompagnata sia in chiesa per il funerale della madre che successivamente al cimitero da ***, vale a dire da quella persona indicata dal marito come “amante” della XXX, sicché è possibile che tale vicenda sia sintomatica di una crisi coniugale ascrivibile a ragioni del tutto diverse dalla asserita lontananza emotiva del marito dalla moglie. Va, poi, osservato che il teste *** ha dichiarato che prima della emersione della relazione sentimentale tra la XXX ed il *** i coniugi svolgevano una vita regolare, anche se il YYY contestava alla moglie che i figli erano trascurati, mentre la XXX contestava al marito la sua scarsa presenza in ambito familiare e, analogamente, il teste *** ha affermato che i rapporti tra i coniugi erano peggiorati solo nel luglio 2019, vale a dire da quando la XXX aveva iniziato a frequentare pubblicamente il ***, circostanza che il YYY aveva appreso dalle parole dei figli, i quali riferirono al padre “che la mamma si prendeva il gelato con un signore che non conoscevano”. Infine, va osservato che anche il teste XXX Antonino ha riferito che “dall’esterno non si dava a vedere che la coppia fosse in crisi: non so di litigi particolari” e che nelle varie ricorrenze i coniugi erano sempre insieme. Di conseguenza, gli elementi di conoscenza sopra succintamente esposti non consentono di affermare che le condotte concretamente accertate ed indicate dalla XXX come manifestazioni della violazione da parte del marito del dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia abbiano impedito l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato, così determinando una disaffezione tra i coniugi così grave da potersi considerare colme l’origine dell’intollerabilità della convivenza (Cass. civ., sez. I, 07.04.2005, n. 7321).

Passando, quindi, ad esaminare la questione centrale sulla quale occorre soffermarsi, vale a dire l’esistenza o meno in costanza di matrimonio di una relazione sentimentale tra la XXX ed il ***, l’istruttoria compiuta consente, ad avviso del collegio, di ritenere adeguatamente dimostrata la ricostruzione dei fatti fornita dal YYY.

Il teste *** ha affermato che la stessa XXX gli aveva confessato nel mese di agosto 2019, in costanza di matrimonio, di avere tradito il marito. In particolare la XXX gli aveva riferito che si era innamorata di tale ***, conosciuto presso l’Avis, di avere instaurato una relazione con lui e che tale rapporto sentimentale non era una semplice “sbandata”, in quanto il predetto *** voleva instaurare una relazione stabile, tanto che voleva tatuarsi la sua iniziale. Il teste ha aggiunto che quale settimana dopo tale confidenza, la XXX gli telefonò dicendo che era sua intenzione lasciare il marito ed egli aveva saputo che la XXX aveva confessato l’esistenza di tale relazione anche al marito, il quale si era sentito male non sopportando tale nuova situazione. Il teste ha, infine, riferito che XXX conviveva more uxorio con *** sin dall’anno 2019, presso la cui abitazione si era trasferita insieme ai figli qualche settimana dopo avere comunicato al marito il tradimento.

Analogamente il teste ***, cognato di YYY, ha ricordato che mentre egli si trovava a casa dei coniugi, in sua presenza, alla fine del mese di agosto 2019, la moglie disse al marito che lo aveva tradito ed il YYY, appresa tale circostanza si sentì male tanto da dovere essere ricoverato. Il teste ha, quindi, aggiunto che dopo tale fatto la XXX non si era più coricata a casa e quando il YYY è uscito dall’ospedale i due si sono separati.

Allo stesso modo la teste YYY Caterina, sorella del resistente, ha ricordato che intorno alla fine di agosto2019 la XXX le confessò che “si trovava bene con il sig. *** e che ci stava facendo un pensierino”. La teste ha specificato che, comunque, già il marito sospettava che la moglie lo tradisse ed aveva confidato alla sorella i propri dubbi. La teste ha proseguito dicendo che ella riferì al fratello quanto appreso dalla di lui moglie ed a seguito di ciò il YYY quel punto mio fratello incalzò la moglie, la quale gli confessò la relazione con il ***, fatto a seguito del quale il marito si sentì male, mentre la XXX “se ne è andata trasferendosi dal ***”.

Riguardo alla successione dei fatti che hanno portato alla separazione di fatto dei coniugi risulta, nondimeno, più precisa la deposizione del teste XXX Letterio, padre della ricorrente, il quale ha ricordato che fu il YYY a lasciare per primo la casa coniugale, nel settembre 2019, dopo avere litigato con la moglie, a causa della sua “gelosia” nei confronti del ***, mentre XXX si allontanò dalla casa coniugale solo qualche tempo dopo, nel mese di novembre 2019, trasferendosi a casa del ***, in quanto non aveva le risorse economiche per pagare il canone di locazione. Il teste ha riferito, inoltre, che quando il YYY litigava con la moglie si sentiva male ed in alcune circostanze era stata pure chiamata l’ambulanza. Infine, il teste ha specificato che la figlia, pur coabitando con il ***, gli disse inizialmente che non aveva una relazione con tale uomo mentre solo a Natale 2021 gli disse che “vivevano insieme”.

Invero, le deposizioni dei testi ***, *** e YYY Caterina, sostanzialmente sovrapponibili tra loro, coerenti e ricche di particolari, appaiono sufficienti per affermare non solo che la XXX ha instaurato durante la convivenza matrimoniale una relazione sentimentale con tale ***, ma anche che fu proprio tale fatto a indurre il YYY, particolarmente provato da tale vicenda, tanto da essere stato condotto in data 16.09.2019 presso il Pronto Soccorso del Policlinico di Messina per “riferita perdita di coscienza ed ansia” (vedi documentazione medica in atti), ad allontanarsi dalla casa coniugale. D’altronde, le deposizioni dei tre testi sopra indicati non vengono certamente smentite dalla deposizione del teste XXX Letterio, che non fu presente al litigio tra i coniugi che sarebbe seguito alla comunicazione da parte della XXX della relazione extraconiugale e che, peraltro, non ha potuto non ammettere che tale litigio era stato determinato da “gelosia” del marito nei confronti del ***. Infine, appare significativo che dopo breve tempo dall’allontanamento del YYY dalla casa coniugale anche la XXX sia andata a vivere proprio a casa del ***, poco rilevando che la stessa abbia detto ai congiunti più stretti di non essere legata a tale uomo da un rapporto sentimentale, posto che la parte poteva avere interesse ad alterare sul punto la realtà dei fatti per distogliere da sé la responsabilità della fine dell’unione coniugale.

Orbene, la violazione dell’obbligo della fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave degli obblighi coniugali che deve ritenersi di regola circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile (Cass. 15.06.2005 n. 12857), mentre spetta al coniuge che se ne renda responsabile dimostrare che essa non abbia esplicato alcuna rilevanza nel determinare l’irreversibile disgregazione della unità familiare (Cass. 25618/07, 9877/06, 8512/06; 17056/07; 16614/10). Nel caso in esame, la XXX ha affermato che da tempo il marito non le prestava più affetto e solidarietà morale, ma, a prescindere dalla scarsa pregnanza dei fatti accertati, la stessa non ha provato che la sua relazione con un altro uomo non abbia influito sulla fine dell’unione (Cass. 25618/07, 9877/06, 8512/06, 16614/10). Peraltro, la violazione del dovere coniugale di fedeltà non può essere ritenuta meno grave laddove è qualificata come risposta alla (presunta) disaffezione del partner, in quanto nei rapporti familiari non è possibile la compensazione di responsabilità (Cass. civ. 14.10.2010 n. 21245). Pertanto, le eventuali preesistenti difficoltà di relazione tra i coniugi, che nel caso in esame non hanno trovato, comunque, alcuna conferma probatoria, non possono valere di per sé a diminuire la rilevanza causale della instaurazione di una relazione extraconiugale ai fini della definitiva rottura dell’unione coniugale (Cass. 26.06.1996 n. 5916; Cass. 7.09.1999 n. 9472), mentre dall’esame globale dei rapporti tra i coniugi non risulta in alcun modo che l’adulterio sia avvenuto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale o da una consolidata separazione di fatto (Cass. civ. sez. I 01.03.2005 n. 4290). Non vale, infine, osservare che non vi è prova diretta dell’adulterio, in quanto il concetto di fedeltà deve essere inteso non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma in senso più ampio e profondo, quale impegno ricadente su ciascun coniuge di non tradire la fiducia reciproca (Cass. civ. 11.06.2008 n. 15557) e di comportarsi con lealtà e rispetto, i quali impongono di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che risultano essere in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita in comune, sicché costituisce violazione dell’obbligo di fedeltà anche il comportamento di un coniuge, che dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e porti offesa alla dignità ed all’onore dell’altro, a prescindere dalla ricorrenza dell’adulterio (Cass. 26.02.1980 n.1335; Cass. 6834/1998).

Alla stregua delle superiori considerazioni, la separazione va addebitata a XXX, mentre va rigettata la domanda avanzata dalla ricorrente volta alla pronuncia di addebito della separazione a carico del marito.

Quanto all’affidamento dei figli minori *** e ***, si deve premettere che la legge n. 54 dell’8.02.2006, contenente “disposizioni in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso dei figli”, ha affermato il principio che pure nella disgregazione del nucleo familiare, ai minori spetta il diritto alla “bigenitorialità”, già previsto dall’art. 9 della Convenzione internazionale di New York del 20.11.1989 sui diritti dei minori, nonché il diritto alla conservazione da parte del minore di rapporti significativi anche con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Coerentemente con tale principio, l’art. 337 ter c.c. prevede in via generale, che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Il comma 2° dell’art. 337 ter c.c. stabilisce, poi, che il Giudice nell’adottare i provvedimenti relativi alla prole “valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori […]. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori.

Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole”. Nella valutazione dell’interesse morale e materiale della prole, il legislatore ha, pertanto, eliminato l’assoluta discrezionalità che esisteva precedentemente in materia ed ha imposto al Giudice uno specifico obbligo di motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo o sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale o, comunque, sulla non rispondenza all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento (Cass. civ., Sez. I, 18.06.2008, n. 16593). La differenza tra l’affido condiviso e quello monogenitoriale si coglie, essenzialmente, nella maggiore elasticità e continuità di rapporti tra genitori e figli e nella corresponsabilizzazione dei genitori, i quali devono riuscire ad adottare, nella educazione dei figli minori, una linea comune e devono impegnarsi a realizzarla entrambi.

Nel caso in esame non sono emersi elementi che inducano ad escludere l’affidamento condiviso dei figli, conformemente, peraltro alle richieste di entrambe le parti e, ed in simili casi, non emergendo un concreto pregiudizio per la prole, occorre salvaguardare il diritto dei figli ad avere due genitori. Nelle decisioni concernenti l’affidamento della prole occorre, infatti, avere riguardo in modo esclusivo “all’interesse morale e materiale” dei figli. La decisione del giudice non è, infatti, un “premio” dato ad uno dei genitori ed una “punizione” o, peggio ancora, un “ammonimento” per l’altro, ma è rivolta a disegnare un nuovo assetto di relazioni in conseguenza della disgregazione della società familiare, cercando di evitare che la patologia della coppia si risolva in un pregiudizio per gli incolpevoli figli. Naturalmente, anche nel regime dell’affido condiviso occorre individuare la domiciliazione privilegiata della prole presso uno dei due genitori, al fine di assicurare la stabilità dei rapporti familiari e la continuità dell’habitat domestico, indispensabili per una crescita serena ed equilibrata. E’ pacifico, d’altronde, che l’affido condiviso non determina una parificazione circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori. Nel caso in esame appare opportuno confermare sul punto quanto stabilito con l’ordinanza presidenziale resa in data 29.05.2021, che ha disposto l’affidamento condiviso dei figli minori, l’esercizio separato della responsabilità sulle questioni di ordinaria amministrazione, la domiciliazione privilegiata dei minori presso la madre ed i tempi di permanenza con il padre. Tale disciplina risponde, con riferimento alla domiciliazione dei figli, alla concorde richiesta in tal senso delle parti, posto che il YYY ha affermato che lui non potrebbe occuparsi della prole in misura maggiore a causa degli impegni lavorativi e solo in comparsa conclusionale ha chiesto che i minori fossero domiciliati presso entrambi i genitori senza però chiarire se fosse mutato qualcosa nei suoi impegni lavorativi, così da consentirgli di dedicare maggior tempo ai figli, tanto che tale richiesta appare solamente un espediente per fondare l’ulteriore domanda di mantenimento diretto dei figli. Quanto, poi, ai tempi di permanenza dei figli con il padre, la disciplina contenuta nella ordinanza presidenziale appare idonea ad assicurare un equilibrato rapporto dei minori con entrambe le figure genitoriali, mentre non può trovare ingresso la richiesta formulata dal YYY volta alla previsione di diversi e più contenuti tempi di permanenza dei minori con il padre, sia perché lo stesso non ha specificato le ragioni sottese ad un minore impegno personale nella cura dei figli, sia perché i minori sono affetti da patologie per le quali è certamente utile assicurare agli stessi la maggiore vicinanza possibile da parte di entrambe le figure genitoriali.

In ogni caso, nello spirito dell’affidamento condiviso, i genitori potranno sempre concordare modalità di incontro diverse da quelle stabilite, ove ritenute più rispondenti alle esigenze dei coniugi e dei figli.

Quanto al mantenimento dei figli, costituisce principio consolidato in giurisprudenza che, in seguito alla separazione, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza (Cass. 2000 n. 15065; 1993 n. 3363). Il mantenimento, infatti, mira a rendere omogeneo lo standard di vita dei genitori e dei figli, integrando in una comune condizione economicosociale le persone legate dal rispettivo diritto e obbligo; ciò spiega anche perché il diritto al mantenimento sorga al momento stesso in cui nasce il rapporto familiare su cui si fonda, tenuto conto che il fatto stesso della procreazione determina l’impegno e la responsabilità del genitore verso la prole, i quali prescindono dai rapporti d’affetto che in concreto si instaurano con il genitore o dalla disponibilità delle parti ad instaurarli (Cass. civ. 09.04.2010 n. 9300).

In ordine alla quantificazione del contributo, il legislatore ha previsto all’art. 337 ter c.c., che “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”. Il legislatore ha, quindi, indicato i criteri che il Giudice deve seguire nel determinare la misura dell’assegno periodico, tra i quali vengono in considerazione le “esigenze del figlio”, “i tempi di permanenza presso ciascun genitore” e “la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. Occorre, pertanto, analizzare tutti gli elementi concreti rivelatori della capacità economica dei coniugi, il contesto sociale di appartenenza dei figli, le loro abitudini di vita, le loro esigenze, tenendo presente che il dovere di provvedere al mantenimento, all’istruzione ed all’educazione della prole, posto sia dall’art. 30 Cost. che dall’art. 147 c.c., impone ai genitori di far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, all’adeguata predisposizione, fin quando l’età lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura ed educazione. Riguardo, poi, ai redditi delle parti, la Suprema Corte ha chiarito che l’obbligo di mantenimento della prole è autonomo per ogni genitore e va calcolato in ragione delle sostanze di ciascuno (Cass. civ. 06.07.2012 n. 11414); ciò significa che il principio di proporzionalità, pur imponendo di effettuare una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, in relazione alle esigenze attuali dei figli ed al tenore di vita da questi goduto (Cass. civ. 16.09.2020 n. 19299), non implica la necessità di una stretta correlazione tra il dovere di provvedere ai bisogni dei figli, derivante dal rapporto stesso di filiazione, e le capacità economiche dell’altro genitore, anche se di tali capacità economiche occorre tenere conto specie se esse siano tali da mutare radicalmente la capacità economica complessiva dei genitori. Nel caso in esame, tanto il YYY che la XXX il percepiscono solo modestissimi redditi; il primo svolge attività lavorativa part time come magazziniere, mentre la seconda percepisce il reddito di cittadinanza per un importo pari a € 700,00 mensili. Quanto ai redditi del YYY la ricorrente ha affermato che essi, durante la convivenza matrimoniale, erano pari a circa € 800,00 mensili, ma si trattava di entrate “in nero”, mentre il resistente ha negato di avere mai percepito la suddetta somma mensile ed ha sostenuto di avere un reddito mensile di circa e 400,00. Nondimeno, lo stesso YYY ha affermato all’udienza presidenziale di non potere “tenere i figli per tempi pari a quelli di mia moglie in quanto sono impedito dalle mie esigenze di lavoro” e ciò sta a significare che il suo impegno lavorativo e, conseguentemente, anche la retribuzione percepita sono molto superiori rispetto a quelli dichiarati. Va, inoltre, osservato che il YYY si è limitato a produrre solamente alcune buste paga, dalle quali risulta un reddito mensile netto di poco superiore ad € 550,00, ma non ha prodotto le dichiarazioni dei redditi, disattendendo quanto richiesto con ordinanza del 17.03.2022, sicché è ben possibile che nei mesi diversi da quelli con riferimento ai quali ha prodotto le buste paga, le sue entrate siano state superiori. Infine, va osservato che il YYY non ha neppure prodotto l’autodichiarazione che era stata richiesta con la succitata ordinanza, “in ordine al possesso di beni mobili registrati, alla percezione di rendite vitalizie, di prestazioni previdenziali ed assistenziali ed al loro ammontare, alla titolarità di libretti o conti correnti bancari o postali (con l’indicazione del relativo saldo e con la produzione dell’estratto conto relativo all’ultimo anno), alla titolarità di titoli di risparmio, fondi di investimenti, titoli di Stato, certificati azionari, alla titolarità di carte di credito (con il relativo massimale di spesa e con la produzione dell’estratto conto relativo all’ultimo anno), alla titolarità di contratti assicurativi”. Tale comportamento processuale fa, allora presumere che i redditi effettivi del YYY siano superiori rispetto a quelli da lui allegati (peraltro inferiori anche rispetto a quelli risultanti dalle buste paga prodotte) e si attestino introno ala misura di € 800,00 affermata dalla controparte. Ciò considerato l’assegno da porre a carico di YYY per il mantenimento dei due figli può essere congruamente determinato nella misura mensile complessiva di € 300,00, da rivalutare annualmente in base agli indici ISTAT, come già stabilito in sede di ordinanza presidenziale, tenuto conto, da un lato, dei bisogni elevati dei figli minori, anche in ragione delle loro precarie condizioni di salute, e dall’altro lato anche del fatto che le esigenze dei figli sono in parte soddisfatte mediante l’indennità di frequenza che è stata agli stessi riconosciuta. Non vale, poi, osservare che la XXX percepisce il reddito di cittadinanza, poiché ciò non può esimere l’altro genitore dal dovere di contribuire in modo congruo al mantenimento della prole e la somma di € 150,00 per ciascun figlio costituisce la misura minima per potere soddisfare i bisogni primari dei figli. Nessun rilievo può avere, poi, la circostanza che la XXX abbia instaurato convivenza con altro uomo poiché l’obbligo di mantenere i figli grava esclusivamente sui genitori (artt. 147 e 316 bis c.c.) e non può essere “trasferito” su altri soggetti, neppure in modo indiretto in ragione del rapporto di convivenza del terzo con uno dei genitori.

Appare, poi, congruo porre le spese straordinarie nell’interesse dei figli a carico di entrambi i genitori nella misura del 50 % ciascuno (in tale parte modificando l’ordinanza presidenziale con decorrenza dal luglio 2021), posto che a seguito del riconoscimento del reddito di cittadinanza, le condizioni economiche dei due genitori sono pressoché equivalenti.

Va, infine, rigettata la domanda avanzata dal resistente volta al riconoscimento in suo favore di un assegno mensile in ragione del fatto che la separazione era stata addebitata alla moglie. Invero, l’assegno di mantenimento presuppone l’esistenza di una sperequazione nei redditi delle parti, che non è stata neppure allegata dal YYY, e non può basarsi esclusivamente sul fatto che ad uno dei coniugi sia stata addebitata la separazione, mentre l’unico collegamento esistente tra le due pronunce è quello previsto dall’art. 156 c.c. che esclude la possibilità di riconoscere un assegno di mantenimento nel regime della separazione a favore del coniuge cui sia stata addebitata la separazione.

Va, infine, dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria avanzata da YYY ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il comportamento ingiusto tenuto dalla moglie e posto a base della richiesta di addebito. E’ ben vero che la pronuncia di addebito non esclude la possibilità di emettere condanna al risarcimento del danno, considerati i presupposti, i caratteri e le finalità radicalmente diversi dei due provvedimenti (Cass. civ. 8862/2012), ma ciò non toglie che la domanda risarcitoria non possa essere trattata in un unico giudizio insieme alla domanda di separazione con addebito, poiché trattasi di domande connesse solo soggettivamente ex art. 33 c.p.c., mentre non ricorre alcuna ipotesi qualificata di connessione, che in base al disposto dell’art. 40 c.p.c. costituisce presupposto indispensabile per effettuare il cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi, quello speciale del giudizio di separazione e quello ordinario della domanda risarcitoria.

Appare, infine, equo compensare interamente tra le parti le spese processuali, tenuto conto della natura della controversia, della soccombenza reciproca e della difficile prevedibilità dell’esito della lite in relazione alla complessità della situazione di fatto ed alla sua mutevolezza nel tempo.

P.Q.M.

Il Tribunale, sentiti i procuratori delle parti ed il Pubblico Ministero, disattesa ogni contraria istanza eccezione e difesa, definitivamente pronunciando nella causa n. 3777/2020 R.G., così provvede:

1) dichiara la separazione giudiziale dei coniugi YYY, nato a, e XXX, nata a, uniti in matrimonio concordatario a Messina il 25.06.2011 con atto trascritto nel registro dello Stato

Civile di detto comune al numero parte 2 serie A anno 2011;

2) dichiara che la separazione è addebitabile a XXX;

3) rigetta la domanda di addebito della separazione a carico del marito avanzata dalla ricorrente

4) conferma l’ordinanza presidenziale del 29.05.2021 con riferimento all’affidamento dei figli minori ed ai tempi di permanenza con il padre, nonché con riferimento al mantenimento ordinario dei figli minori da parte del padre;

5) dispone che entrambi i genitori contribuiscano alle spese straordinarie nell’interesse dei figli nella misura del 50 % ciascuno;

6) rigetta la domanda di assegno avanzata dal resistente;

7) dichiara inammissibile la domanda avanzata dal resistente di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c.;

8) dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali;

9) ordina all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Messina di annotare la presente sentenza a margine dell’atto di matrimonio.

Così deciso in Messina, nella Camera di Consiglio della 1° sez. civile, lì 01/09/2023.

Il Presidente est.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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