REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Lecce – Sezione 2a civile – composta dai signori:
Dott. NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA _N._299_2025_- N._R.G._00000310_2023 DEL_10_04_2025 PUBBLICATA_IL_10_04_2025
nella causa iscritta al n. 310/2023 R.G., introdotta da (P.I. ), in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
APPELLANTE Contro (P.I. , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
APPELLATA
OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 1368/22 del Tribunale di Brindisi, pubblicata il 7/10/2022.
Precisate le conclusioni e depositate le comparse conclusionali, all’udienza dell’11/2/2025 la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art.352 cpc. MOTIVAZIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, lo RAGIONE_SOCIALE ha evocato in giudizio esponendo di aver prestato in favore della stessa assistenza e consulenza del lavoro dal giugno 2007 fino al 31/12/2014, quando il rapporto professionale si è sciolto per volontà della parte attrice.
Nonostante lo avesse posto in essere puntualmente le prestazioni richieste per l’amministrazione del personale dipendente, la società convenuta, si era sottratta al pagamento delle competenze professionali.
Ha concluso con la richiesta di condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 8.305,00 a titolo di corrispettivo.
Il Tribunale, nella contumacia della convenuta, istruita la causa mediante documenti e CTU contabile, con sentenza del 7/10/2022, ha accolto la domanda, dichiarato debitrice dello per l’attività professionale svolta per la somma di € 5.390,00 oltre interessi legali dalla messa in mora al soddisfo, e condannato corrispondere detta somma oltre al pagamento delle spese e competenze di lite liquidate in complessivi € 4000,00, oltre accessori e spese di ctu.
Il giudice di prime cure ha dato atto del fatto che l’attrice ha compiutamente provato lo svolgimento in favore della attività professionale, producendo copiosa documentazione.
Ha rilevato che non è in discussione il conferimento di incarico professionale da parte della allo studio COGNOME ;
da ciò discende il diritto della parte attrice al pagamento dei relativi compensi, dal momento che, in assenza di prova contraria, il contratto di prestazione professionale deve ritenersi oneroso.
Espletata consulenza tecnica d’ufficio contabile, il giudicante ha rilevato che l’attività professionale svolta dallo in favore della società convenuta è consistita, oltre alla elaborazione delle buste paga mensili, in tutte le attività collegate alla gestione del personale ed ai rapporti della ditta con gli enti previdenziali…;
l’attività espletata è, altresì consistita in altre operazioni per il personale dipendente della ditta come la documentazione per gli Assegni del Nucleo Familiare, l’indennità di malattia, di maternità, eccetera.
Il primo giudice ha quindi determinato l’ammontare delle competenze spettanti all’attrice nella somma complessiva di € 5.390,00, oltre accessori.
Avverso la suddetta pronunzia ha proposto appello la , articolando due motivi di impugnazione, che saranno più diffusamente trattati, e chiedendo di rigettare la domanda proposta siccome infondata e comunque non provata.
Con comparsa depositata il 29/9/2023 si è costituito in giudizio lo Studio associato chiedendo di dichiarare inammissibile e comunque rigettare, perché destituito di fondamento giuridico e fattuale, l’appello proposto.
********* il primo motivo d’appello contumace in primo grado, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. e la conseguente erroneità della motivazione.
L’appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui “il giudice di prime cure ha ritenuto fondata la domanda proposta dallo Associato siccome, a suo avviso, l’attore avrebbe fornito la prova documentale dello svolgimento dell’attività di consulenza in favore dell’odierna appellante e quest’ultima, invece, non costituendosi in giudizio, con il proprio comportamento omissivo avrebbe avallato e comprovato i fatti principali dedotti dall’attore a fondamento della domanda.
”.
Il Tribunale avrebbe deciso la causa in violazione delle regole “sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e della sua valutazione (art. 116 cpc) e dei principi di non contestazione (art. 115 cpc), attribuendo valore probante e decisivo al contegno processuale tenuto dalla non costituitasi in giudizio.
Invece, alla contumacia del convenuto non può applicarsi il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., caratterizzandosi tale contegno come un comportamento neutro “cui non può essere attribuita valenza confessoria”.
La scelta della mancata costituzione in giudizio non altera la ripartizione degli oneri probatori, dovendo l’attore provare i fatti costitutivi posti a fondamento della pretesa azionata.
Nella specie, l’attore non avrebbe assolto l’onere probatorio, in quanto ha depositato la copia dei cedolini paga annuali (2010-2014), nonché la copia di alcuni modelli 770, senza ricevuta di trasmissione;
documenti, questi, privi di riferimento allo Studio RAGIONE_SOCIALE non comprovanti che la relativa elaborazione provenisse dall’attore, tantomeno che questi avesse comunicato i dati elaborati agli uffici competenti.
Il primo giudice avrebbe dovuto rigettare la domanda per difetto di prova anche indipendentemente dalla espletata CTU.
Il motivo di gravame è infondato e deve essere rigettato.
La motivazione della sentenza di primo grado, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non attribuisce valenza confessoria alla contumacia della società convenuta in primo grado, essendosi il Tribunale limitato ad effettuare una rassegna giurisprudenziale delle conseguenze connesse al contegno della parte contumace.
Il primo giudice, dato atto preliminarmente dell’assolvimento dell’onus probandi parte dell’attrice mediante produzione “corposa e della fondatezza della domanda, osserva come il comportamento processuale ed extra processuale della parte contumace possa concorrere, insieme agli elementi citati, a formare il convincimento del giudice con riferimento alle risultanze acquisite nelle more del procedimento, senza mai prescindere dalle stesse.
Nel caso di specie, parte attrice ha documentato di aver messo in mora e invitato la convenuta al pagamento di quanto richiesto mediante raccomandata a.r., ma questo atto non è stato riscontrato dalla convenuta, che ha preferito non formulare obiezioni alla pretesa creditoria avanzata dal professionista.
La scelta della di non fornire riscontro alla messa in mora da parte dello studio di consulenza e di non svolgere difesa alcuna nel giudizio di primo grado non è stata equiparata alla non contestazione dei fatti costitutivi dedotti dalla parte attrice ex art. 115 c.p.c., bensì correttamente è stata valutata come ulteriore elemento rafforzativo delle circostanze addotte dallo studio di e delle prove che hanno condotto all’accoglimento della domanda.
Ed ancora, si ritiene altresì infondata la censura relativa all’inidoneità probatoria della documentazione depositata dall’attrice unitamente all’atto introduttivo e contestualmente alle memorie ex art. 183 n. 2 c.p.c..
Sul punto va riconosciuta portata probatoria alla produzione succitata relativamente all’attività di consulenza indicata in citazione, anche alla luce delle valutazioni effettuate dal ctu Dott. Quest’ultimo afferma che l’attività svolta dallo studio nei confronti della convenuta “è consistita, oltre alla elaborazione delle buste paga, in tutte le attività collegate alla gestione del personale ed ai rapporti della ditta con gli enti previdenziali.
Tra tali attività rientrano… il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto, la compilazione e trasmissione del modello 770 semplificato.
”.
Relativamente all’attività documentata nel rispetto dei termini istruttori e con riguardo all’attività di elaborazione delle buste paga, il ctu “ritiene equo un importo di € 20,00 per busta paga mensile per collaboratore” ed effettua un conteggio dei compensi dovuti a tale titolo allo studio di consulenza.
Ed ancora, un intero capo dell’elaborato peritale è dedicato al deposito di buste paga TFR, in risposta ad espresso quesito assegnato dal giudice, ed altrettanto scrupolosa è la disamina dei compensi dovuti per la compilazione dei Modelli 770 trasmessi con riferimento agli anni 2011-2014.
Si evidenzia l’attento ed approfondito studio della produzione documentale succitata ad opera del ctu, il quale, laddove non ritenuta raggiunta la prova che “per quanto riguarda le buste TFR relative ai licenziamenti ed il modello 770, non è possibile quantificare il compenso in mancanza di documentazione” con riferimento all’anno 2010.
Ai fini della riferibilità dei documenti in questione all’attività professionale espletata dallo Studio non è necessaria l’apposizione di una intestazione specifica allo studio di consulenza sulla documentazione cartacea.
Il possesso di tale documentazione e la sua successiva produzione in giudizio da parte dello presuppongono necessariamente l’esistenza di un rapporto di prestazione d’opera professionale e il relativo conferimento dell’incarico per l’esercizio dell’attività di consulenza da parte della Occorre evidenziare che lo svolgimento di attività professionale non è stato oggetto di contestazione da parte della appellante nel presente grado di giudizio.
Pertanto, il deposito nei termini per le richieste istruttorie da parte dello delle buste paga mensili con riferimento agli anni 2010-2014 e dei modelli 770 relativi agli anni dal 2012 al 2014 costituisce la prova dell’attività professionale resa nel corso del tempo dallo studio di consulenza, sulla base e in esecuzione di un preciso incarico.
Infatti, non è possibile imputare la paternità della documentazione citata ad altri soggetti, sia in ragione del possesso della stessa da parte dello e sia, per altro verso, della mancanza di qualsivoglia deduzione da parte della ordine alla esecuzione della medesima prestazione ad opera di altri professionisti o attraverso personale interno all’azienda.
Con il secondo motivo di gravame l’appellante deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 183, 6 comma c.p.c.- nullita’ della ctu – errata valutazione della relazione peritale e della documentazione prodotta”.
Si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui il giudice di prime cure ha osservato che la espletata CTU costituisce uno strumento a supporto di quanto già provato da parte attrice.
Secondo la difesa il Tribunale avrebbe dato atto del fatto che il ctu ha accertato documentalmente l’espletamento dell’attività professionale in favore della società convenuta, consistita, oltre alla elaborazione delle buste paga mensili, in tutte le attività collegate alla gestione del personale ed ai rapporti con gli enti previdenziali.
L’appellante obietta che lo svolgimento di tali attività sarebbe stato accertato dal consulente d’ufficio a seguito dell’acquisizione in giudizio, disposta con ordinanza del 12/1/2022, della ulteriore documentazione [… in data 29/1/2021 (Denunce mensili anno 2011 e ricevute di trasmissione;
Denunce mensili anno 2012
ricevute trasmissione;
Denunce mensili anno 2013
ricevute trasmissione;
Denunce mensili anno 2014 ricevute trasmissione).
Documentazione, questa, non prodotta né con atto di citazione né con la seconda memoria ex art. 183 VI comma c.p.c., ma acquisita in sede di CTU sulla base dell’ordinanza del 12/1/2021.
Assume l’appellante che tale illegittima modalità di acquisizione avrebbe falsato le risultanze della CTU rendendola viziata da nullità.
La produzione documentale, depositata e acquisita in violazione delle preclusioni istruttorie, delle denunce relative alle annualità 2011-2014 ha fornito la prova delle attività relative alla gestione del personale ed ai rapporti con gli enti previdenziali, quale fatto dedotto a sostegno della domanda.
In ordine al secondo motivo di gravame occorre svolgere una duplice valutazione, la prima delle quali attiene all’ammissibilità della censura di nullità della CTU.
Con il motivo di impugnazione in questione la società appellante, contumace in primo grado, deduce la nullità della CTU, sostenendo che la tardività della ulteriore produzione documentale, autorizzata con l’ordinanza del 12/1/2022 e utilizzata nell’elaborato peritale, ne abbia inficiato la legittimità e conseguentemente la pronuncia di primo grado, che ha accertato e quantificato i compensi dovuti allo Studio così come da dispositivo.
La censura va rigettata, in quanto la dedotta invalidità dell’elaborato peritale, da qualificarsi come nullità relativa, è rilevabile entro la prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso.
Ne discende l’inammissibilità della censura sollevata dall’appellante per la prima volta in sede di gravame, essendo la rimasta contumace nel giudizio di primo grado.
Tanto si afferma alla stregua del consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che sulla questione controversa si sono espresse con due pronunce coeve: SS.UU. nn 5624 e 3086/2022.
Sul punto la S.C. ha affermato il principio in base al quale “in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso. ” (SU n.3086/2022).
Ed ancora, la Suprema Corte con la successiva pronuncia n. 5624/2022 ha ribadito che le censure aventi ad oggetto vizi dell’attività processuale o procedimentale del ctu possono essere sollevati nella prima difesa utile o istanza successiva all’atto, potendo essere diversamente sollevate per la prima volta in appello solo le censure relative a contestazioni valutative e/o di merito dell’elaborato peritale volte a compulsare il potere valutativo del giudice.
Pertanto, essendo l’appellante rimasto contumace in primo grado non può addurre come motivo di impugnativa una nullità relativa, come tale non rilevabile ex officio, applicandosi al caso di specie le preclusioni di cui all’art. 157 cpc.
Risulta significativo che la società appellante abbia scientemente deciso di rimanere inerte anche in sede di operazioni peritali (nonostante la contumacia, alla stessa sono stati comunicati gli avvisi inerenti lo svolgimento delle operazioni peritali;
anzi il giudicante ha sollecitato il contraddittorio tra le parti in merito alla nuova allegazione della parte attrice, fissando udienza di comparizione delle parti, ed ha conferito espresso incarico al consulente di ufficio di tentare una soluzione bonaria della lite).
La società appellante non ha presentato osservazioni alla CTU (avendone ricevuto comunicazioni), né ha chiesto la revoca dell’ordinanza istruttoria emessa nell’udienza successiva del 12/1/2022.
In ogni caso, la censura in questione è infondata nel merito, in quanto la documentazione acquisita in sede di consulenza tecnica contabile ha consentito di completare e meglio definire il quadro probatorio, già delineato attraverso le allegazioni e produzioni effettuate dall’attore con l’atto introduttivo ed entro i termini dettati dall’art.183 c.p.c..
Infatti, con atto di citazione lo studio di consulenza aveva chiesto i compensi per le prestazioni rese nei confronti della società aventi ad oggetto l’“amministrazione del personale dipendente”.
Nel corpo dell’atto introduttivo è specificata tale attività con riferimento alla elaborazione:
– delle buste paga – buste tfr e modelli 770 relativamente agli anni 2010 e 2014 (documentazione che risulta prodotta in allegato all’atto introduttivo).
Con le memorie istruttorie lo produce altresì i cedolini e trattenute, distinti per il perdonale subordinato e per quello parasubordinato.
A seguito dell’ordinanza istruttoria del 12/01/2022 è stata acquisita su richiesta del ctu altra e diversa documentazione, relativa ai apporti della ditta con enti previdenziali (Denunce Uniemens e ricevute di Trasmissione).
In sostanza, prescindendo dai modelli acquisiti durante le operazioni peritali, comprovato, mediante documentazione prodotta con l’atto introduttivo e con le memorie ex art. 183, co. VI, n.2 c.p.c., l’esecuzione dell’attività professionale prestata in favore della tra l’anno 2010 e 2014, “evincibile anche dai pure depositati modelli 770 (ad eccezione di quello afferente all’anno 2014)”, come constatato dal ctu.
La Suprema Corte ammette l’acquisizione di documentazione ulteriore e successiva rispetto alle preclusioni istruttorie e fa salva la successiva valutazione della stessa da parte del ctu nei seguenti termini:
il consulente tecnico d’ufficio può accertare i fatti inerenti all’oggetto della lite, al fine di rispondere al quesito, purché non si tratti dei fatti principali, giacché, in quest’ultimo caso, è onere delle parti allegarli a fondamento della domanda (o delle eccezioni).
Al consulente tecnico d’ufficio non si applicano le stesse preclusioni istruttorie che incombono sulle parti, quindi, egli può acquisire tutti i documenti che ritiene necessari per rispondere al quesito formulato dal giudice, con l’unico limite di cui sopra (ossia i documenti non devono essere diretti a provare i fatti principali posti a fondamento della domanda o delle eccezioni).
(Cass. n. 3086/2022).
Nel caso in esame i documenti acquisiti dal ctu sono diretti a completare il quadro probatorio già sufficientemente delineato dall’attore attraverso la produzione effettuata con l’atto di citazione e con la memoria istruttoria.
Peraltro, per diversi aspetti nella specie l’attività del ctu rientra nell’ambito della CTU contabile (in quanto diretta a determinare l’entità dei compensi spettanti dalla parte attrice in relazione ad attività professionale soggetta a parametri fissati da norme di settore).
Nell’esame contabile, il consulente tecnico d’ufficio può acquisire tutti i documenti necessari, a prescindere dall’attività di allegazione delle parti, anche qualora siano diretti a provare i fatti principali (art. 198 c. 2 c.c.).
L’appello deve pertanto essere rigettato con integrale conferma della sentenza impugnata.
Al rigetto dell’impugnazione consegue la condanna al dato atto – ai sensi del comma 1-quater dell’art. 13 DPR 115/2002 – della sussistenza, carico dell’appellante, dell’obbligo versamento dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione.
La Corte, decidendo sull’appello avverso la sentenza n.1368/2023 del Tribunale di Brindisi pubblicata in data 7.10.2022, proposto da nei confronti di così provvede:
1) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
2) condanna parte appellante a pagare le spese in favore della parte appellata liquidate in euro 3.000,00 oltre rimborso forfetario spese di studio nella misura del 15%, iva e cap;
3) dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1-quater DPR 115/2002, della sussistenza dell’obbligo a carico dell’appellante di versamento dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo.
Lecce, 1 aprile 2025 Il Consigliere est. Il Presidente (dott. NOME COGNOME (dott. NOME COGNOME
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