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Notifica al destinatario con denominazione incompleta

La sentenza chiarisce la validità di una notifica amministrativa anche in caso di denominazione incompleta del destinatario, qualora l’indirizzo PEC risulti da pubblici registri. Inoltre, ribadisce l’impossibilità per il giudice ordinario di sindacare il merito di valutazioni tecnico-discrezionali dell’amministrazione in merito a bandi di gara.

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Pubblicato il 24 maggio 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

N. 515/2021 R.G.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Firenze, Sezione I

Civile,

riunita in Camera di Consiglio in data 15 aprile 2025 composta dai Sigg.ri Magistrati:

dr.ssaNOME

NOME COGNOME Presidente dr.ssa NOME COGNOME Consigliere dr.ssa NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente –

SENTENZA N._841_2025_- N._R.G._00000515_2021 DEL_29_04_2025 PUBBLICATA_IL_06_05_2025

– nella causa in grado di appello iscritta a ruolo il 18.03.2021 al n. 515 del R.G. Affari Contenziosi dell’anno 2021 avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1901/2020, pubblicata in data 7.9.20;

promossa da in persona del legale rappresentante pro tempore, .

NOME COGNOME come da procura in atti;

– appellante –

contro , in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale,.

rappresentata e difesa dall’Avv. Avv. NOME COGNOME come da procura in atti;

– appellato – avente ad oggetto:

impugnazione Decreto Dirigenziale.

La causa era posta in decisione sulle seguenti conclusioni:

per l’appellante:

“Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Firenze, contrariis reiectis, previo accertamento dell’ammissibilità della presente impugnazione ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., per i fatti ed i motivi tutti di cui in premessa, nonché degli atti e documenti depositati, in integrale riforma della sentenza impugnata n° 1901/2020 resa dal Giudice Unico del Tribunale di Firenze, Dott.ssa NOME COGNOME COGNOME in data 4.9.20, pubblicata in data 7.9.20 e mai notificata, a definizione della causa civile di primo grado pendente avanti al Tribunale di Firenze RGC 5581/2017, accogliere la domanda giudiziale proposta in primo grado, e per l’effetto accertata e/o dichiarata l’illegittimità del Decreto Dirigenziale n° 527 del 24.01.17 del “Settore Rapporti con i Gruppi di (FLAGS). Attività Gestionale sul Livello Territoriale Livorno – Pisa” della Direzione Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana, per i motivi tutti di cui in narrativa, accertarne e/o dichiararne l’inefficacia nei confronti del del contributo ricevuto di € 286.642,32 di cui all’atto di liquidazione della Provincia di Pisa n° 3420 del 2.8.11 né degli interessi di legge.

In ogni caso, con vittoria di spese, competenze ed onorari per entrambi i gradi di giudizio, e con ogni consequenziale pronunzia di ragione e di legge, ivi compresa la riforma della sentenza impugnata per quanto al capo contenente la regolazione delle spese del primo grado.

per l’appellato:

“Voglia L’Ecc.

Ma Corte di Appello di Firenze, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, respingere, in quanto inammissibile e/o infondato sia in fatto che in diritto, l’appello, unitamente alla relativa istanza cautelare, promosso da ed in concordato preventivo (C.F. ), in persona del liquidatore civile legale rappresentante (C.F. nonché del liquidatore giudiziale della procedura n. 48/14 Reg. C.P. Tribunale di Pisa, dott. ssa NOME COGNOME, avverso la Sentenza del Tribunale di Firenze, n.1901/2020, pubblicata il 7/9/2020, emessa nel giudizio rgn. 5581/2017, e per l’effetto, confermare integralmente la sentenza n. 1901/2020 del Tribunale di Firenze, e di conseguenza:

respingere tutte le domande attoree perché infondate nel merito.

Con vittoria di spese e compensi professionali, oltre oneri di legge, di entrambi i gradi di giudizio”.

– SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – I.

Con atto di citazione in appello ritualmente notificato, ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado con la quale il giudice ha rigettato la domanda di restituzione del contributo ricevuto dalla in relazione alla lavorazione dei prodotti agricoli.

presentava istanza di partecipazione al bando per l’incremento del valore aggiunto dei prodotti agricoli, nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013, (domanda di partecipazione al “Bando Misura 123 – sottomisura a) – Fase 2 “Aumento del valore aggiunto dei prodotti agricoli” relativo al “Programma di Sviluppo Rurale (PSR) 2007 – 2013 – Reg. CE 1698/2006 – ) ottenendo dalla Provincia di Pisa un contributo di ammontare pari a € 287.231,00, poi liquidato con atto n° 3420 del 2.8.11 nella somma di € 286.642,32. Condizione essenziale per la conservazione del beneficio era la dimostrazione che gli investimenti oggetto della domanda di aiuto contribuissero all’efficientamento dei settori di produzione agricola, requisito comprovato dall’acquisizione, da parte dei produttori di base, di una quota non inferiore al 51% della quantità totale annua trasformata o commercializzata dall’impianto.

Tale adempimento doveva essere assolto al termine di ciascuno dei cinque anni di vincolo, mediante dichiarazioni attestanti il mantenimento dell’impegno assunto e relativa documentazione, comprensiva di tabelle riepilogative delle quantità di prodotto trasformato.

Era altresì previsto C.F. ogni annualità la documentazione completa all’Ufficio Provinciale competente.

Nel novembre 2014, la depositava ricorso ex art. 161 L.F. per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, ottenendo l’ammissione e successiva omologazione in data 28/10/2016.

Rappresentava il che , pur avendo rispettato le quote di acquisto di materia prima dai produttori di base, aveva omesso le comunicazioni previste dal bando.

A seguito di ciò, la Direzione RAGIONE_SOCIALE della comunicava, via PEC, l’avvio del procedimento di revoca del contributo, motivato dal mancato riscontro alla richiesta di produzione, entro trenta giorni, della documentazione prevista dal bando, comunicazione asseritamente mai notificata alla Società.

Con comunicazione PEC indirizzata al Curatore Fallimentare, l’Autorità Regionale intimava la produzione della documentazione richiesta, a pena di revoca, poi intervenuta con decreto dirigenziale impugnato.

impugnava il decreto dirigenziale, eccependo l’illegittimità dello stesso per omessa individuazione del soggetto destinatario, in quanto emesso nei confronti di “ ”, entità priva di soggettività giuridica.

Ulteriori motivi di gravame riguardavano l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca successiva alla richiesta di integrazione documentale, l’omessa motivazione del provvedimento di revoca, carente nell’indicazione e nell’argomentazione delle ragioni di interesse pubblico sottese alla revoca del contributo.

Il contestava altresì la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, in quanto, pur in presenza dell’omesso invio delle comunicazioni periodiche, la Società aveva conseguito gli obiettivi perseguiti dall’Amministrazione mediante l’acquisto di oltre il 51% del latte lavorato dai produttori di base, rendendo sproporzionata la revoca fondata su un’omissione meramente formale.

In via subordinata, ha eccepito la scarsa importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c., stante il raggiungimento dell’obiettivo prefissato.

si costituiva nel giudizio di primo grado, contestando i motivi di illegittimità dedotti.

In particolare, evidenziava che l’utilizzo del termine ” non inficiava l’individuazione del destinatario, essendo chiaramente indicata la denominazione del , anche senza l’indicazione della forma sociale, e richiamati gli estremi del procedimento di assegnazione del contributo.

Inoltre, sottolineava la rituale comunicazione, all’indirizzo PEC , con assegnazione del termine, sia dell’avvio del procedimento di revoca, nonché la successiva richiesta indirizzata all’indirizzo risultate dalla Camera di Commercio.

La evidenziava che la mancata trasmissione della documentazione di monitoraggio, prevista dal bando e richiamata per relationem nel provvedimento, costituiva valida motivazione della revoca.

Infine, sosteneva l’insussistenza della violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, dovendo interpretarsi restrittivamente i bandi di gara, ai sensi dell’art. 1362 c.c., evitando letture estensive inapplicabili nei rapporti tra Amministrazione e privati.

Il Giudice rigettava la domanda attorea, statuendo che l’utilizzo del termine ”, pur improprio, non pregiudicava l’individuazione del corretto destinatario del provvedimento, in ragione della chiara indicazione della denominazione del , anche senza l’indicazione della forma sociale, e del richiamo, in motivazione e nel dispositivo, degli estremi del procedimento di assegnazione del contributo, nei quali era indicata la denominazione sociale.

Rilevava inoltre la rituale comunicazione, all’indirizzo PEC risultante dal Registro delle Imprese, sia della richiesta di produzione documentale che dell’avvio del procedimento di revoca.

Il Giudice di prime cure riteneva, in definitiva, che il provvedimento risultasse congruamente motivato per relationem, mediante rinvio agli atti presupposti.

Contestualmente, considerava che la previsione contenuta nel bando escludesse la necessità di ulteriori specificazioni in ordine all’interesse pubblico sotteso alla revoca.

Escludeva, altresì, la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, asserendo l’insindacabilità, da parte del Giudice ordinario, delle scelte discrezionali dell’Amministrazione, se non nei limiti della legittimità del bando.

In tal senso, reputava preclusa, nel specie, valutazione dell’importanza dell’inadempimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c. II.

Il interponeva appello avverso la sentenza di primo grado, articolando i seguenti motivi di gravame:

Erronea, illogica e contrastante con le risultanze documentali interpretazione dell’eccezione di difetto di corretta individuazione del soggetto destinatario del provvedimento.

Il Giudice di prime cure aveva ritenuto che l’utilizzo del termine ” fosse improprio, ma non tale da inficiare l’individuazione della corretta denominazione del di parte attrice (visura camerale), dal quale emergeva una sequenza di eventi che avevano interessato la gestione dell’azienda originariamente di titolarità della Società attrice.

Mancava la corretta individuazione del soggetto passivo del procedimento amministrativo con l’indicazione completa dei dati identificativi della società, inclusi codice fiscale e numero di iscrizione al Registro delle Imprese, benché agevolmente reperibili.

Era stata omessa l’identificazione del soggetto effettivamente legittimato passivo in relazione al procedimento instaurato, individuabile nel in qualità di liquidatore della società appellante, carica rivestita all’epoca dei fatti e tuttora sussistente.

2. Erronea, illogica e contrastante con le risultanze documentali valutazione circa l’effettiva comunicazione dell’avvio del procedimento e della richiesta di integrazione documentale.

La richiesta di integrazione documentale era inutiliter data, essendo intervenuta, alla data della PEC, l’omologa del concordato e la conseguente perdita di legittimazione del Commissario Giudiziale.

3. Erronea e illogica valutazione istruttoria e insufficiente motivazione del provvedimento.

La motivazione del provvedimento faceva riferimento a note precedentemente inviate, la cui conoscibilità da parte della Società appellante era controversa.

La valutazione dei motivi di interesse pubblico doveva essere di carattere sostanziale e non meramente formale, configurando una violazione dell’art. 97 Cost. 4. Contraddittoria valutazione violazione dei principi proporzionalità dell’azione amministrativa.

La produzione documentale, pur incompleta, da parte della Società appellante era risolutiva.

In base al principio di proporzionalità, doveva ritenersi il provvedimento amministrativo abnorme rispetto al fine di interesse pubblico prefissato, consistente nell’evitare che il privato potesse profittare indebitamente di una contribuzione di natura pubblica.

5. Violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione alla valutazione della gravità dell’inadempimento.

Il provvedimento non teneva conto degli elementi evidenziati dalla Società appellante, sebbene Pubblica Amministrazione fosse entrata in possesso di tutti i dati necessari per verificare la corretta rendicontazione, avendo la Società fornito, con comunicazioni trimestrali, i dati relativi alla provenienza del latte, e rifiutando, .

Violazione dell’art. 91 c.p.c…La condanna alla refusione delle spese di lite era fuori luogo, atteso che la appellante aveva ottemperato a tutti gli obblighi gravanti su di essa, avendo solo omesso di ottemperare a comunicazioni inviate a mezzo indirizzi telematici ad essa sconosciuti.

Si costituiva in giudizio l’appellato, eccependo che, in data 18/07/2016, aveva inviato una comunicazione alla Società, rappresentando il mancato ricevimento della documentazione relativa agli anni 2012-2015, e concedendo un termine di 30 giorni per la trasmissione.

Tale comunicazione era stata inviata via PEC all’indirizzo della Società risultante nella sezione anagrafica del fascicolo aziendale della Società, presente nel portale informatico RAGIONE_SOCIALE.

Decorsi i 30 giorni, in data 07/09/2016, il aveva trasmesso, al medesimo indirizzo, la comunicazione di avvio del procedimento di revoca del contributo.

Entrambe le comunicazioni erano state inviate ad un indirizzo valido e regolarmente ricevute, come attestato dalle relative ricevute PEC.

L’appellato evidenziava che l’indirizzo PEC contenuto nella sezione anagrafica del fascicolo aziendale di RAGIONE_SOCIALE costituiva il recapito dell’azienda per tutte le comunicazioni inerenti i rapporti con la Pubblica Amministrazione, nel quale dovevano essere inseriti i dati aziendali aggiornati.

Non essendo pervenuta risposta alle comunicazioni del 18/07/2016 e del 07/09/2016, il Settore competente Regionale aveva effettuato ulteriori ricerche presso la Camera di Commercio, riscontrando la pendenza della procedura di liquidazione del concordato preventivo.

Pertanto, era stata inviata un’ulteriore comunicazione in data 26/10/2016, con richiesta di trasmissione della documentazione entro il termine di 30 giorni.

Tale nota era stata indirizzata all’indirizzo pubblico di posta elettronica certificata della Società in liquidazione, come risultante dal Registro delle Imprese della Camera di Commercio.

Non avendo ricevuto risposta neppure a tale comunicazione, il Settore Regionale aveva emesso il decreto dirigenziale contenente la revoca e il recupero del contributo.

Il decreto era stato trasmesso alla Società, con nota PEC allo stesso indirizzo dell’ultima comunicazione, e regolarmente ricevuto.

L’appellato contestava, quindi, il primo motivo di appello, ritenendo corrette le affermazioni del Giudice di prime cure, il quale aveva correttamente ritenuto pretestuosa l’eccezione, rilevando che la Società beneficiaria non aveva inviato le comunicazioni, incorrendo nella decadenza dal progetto.

che l’indicazione del destinatario non rientra tra gli elementi essenziali la cui mancanza determina la nullità, salvo in caso di sua assoluta assenza o incertezza.

Nel caso di specie, il provvedimento regionale era legittimo e completo, in quanto l’utilizzo del termine “ ”, pur in assenza della ragione sociale completa, non integrava una mancanza di indicazione del destinatario idonea a inficiarne la validità.

Sottolineava che il provvedimento era stato adeguatamente motivato sia nella premessa che per relationem, facendo riferimento alla mancata trasmissione della documentazione di monitoraggio.

I motivi di interesse pubblico dovevano considerarsi in re ipsa, trattandosi di fattispecie di violazione delle prescrizioni del bando emesso dalla L’appellato deduceva ancora che nell’interpretazione del bando e nella partecipazione alle procedure per l’assegnazione, in virtù dell’obbligo di chiarezza che grava sulla Pubblica Amministrazione, doveva essere attribuito rilievo preminente all’interpretazione letterale ex art. 1362 c.c., e nessun rilievo doveva attribuirsi alla comunicazione trimestrale relativa al dato elaborato dal , trattandosi di diverso adempimento non coincidente con le prescrizioni del bando. Affermava inoltre cgde non era consentito valutare la scarsa importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c., trattandosi di valutazione discrezionale già effettuata dalla Pubblica Amministrazione al momento della formulazione del bando.

Infine in relazione alla censura relativa al capo di condanna sulle spese di lite, rilevava essa era conseguenza della soccombenza totale dell’attrice e della palese infondatezza della domanda da quest’ultima proposta.

La aveva provveduto a contestare, nel giudizio di primo grado, le dichiarazioni di parte sul rispetto della prescrizione relativa alla quota dell’acquisto del 51% del latte lavorato dai produttori di base, rilevando che la Società non aveva mai inviato la documentazione, e pertanto la non era stata messa in condizione di verificare tale adempimento.

Non corrispondeva quindi al vero l’affermazione secondo cui la non aveva mai messo in dubbio l’effettuazione di quanto previsto dal bando.

Senza ulteriore istruttoria, la causa era trattenuta in decisione sulle conclusioni delle Parti come in epigrafe trascritte, previa concessione dei termini di legge per lo scambio di comparse conclusionali e memorie di replica. .

L’appello è infondato e, pertanto, non merita accoglimento.

Al fine di inquadrare la questione giuridica e valutare la fondatezza dei motivi d’impugnazione, si rende necessario verificare la regolarità delle comunicazioni afferenti il procedimento amministrativo che ha condotto all’emanazione del decreto della di revoca dell’assegnazione del contributo, originariamente disposto in favore del appellante.

Quest’ultimo contesta la legittimità del procedimento de quo, eccependo, in particolare, un vizio di notificazione degli atti ad esso inerenti, asseritamente i indirizzati ad un destinatario erroneamente individuato.

Nello specifico, il Caseificio deduce la nullità della notifica in quanto indirizzata all’ con una formula carente dell’esatta indicazione della forma sociale dalla medesima rivestita.

L’appellante deduce, altresì, l’omessa valutazione da parte del giudice di prime cure della documentazione versata in atti, la quale, a suo dire, avrebbe dovuto condurre all’individuazione di liquidatore della società, quale corretto destinatario delle notifiche.

Ulteriore motivo di gravame concerne l’asserita invalidità dell’invio della PEC recante l’assegnazione del termine per la produzione documentale richiesta all’ in quanto effettuata in favore del Commissario giudiziale, soggetto non più legittimato ad esercitare i poteri inerenti alla carica, stante l’assoggettamento della società alla procedura di concordato preventivo e la conseguente nomina del Liquidatore Giudiziale.

Tuttavia, dall’esame della documentazione versata in atti emerge che le PEC oggetto di contestazione risultano inviate all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal fascicolo aziendale tenuto da RAGIONE_SOCIALE, ove risultano inviate le comunicazioni relative alla richiesta di documentazione mancante ed all’avvio del procedimento di revoca (cfr. doc. 4-5 comparsa costituzione in primo grado ).

Successivamente risulta inviata ulteriore comunicazione in data 26/10/2016, con richiesta di trasmissione della predetta documentazione entro il termine di 30 giorni, inviata all’indirizzo pubblico di posta elettronica certificata della società in liquidazione, risultante dalla Camera di Commercio :

( doc.n.7).

Pertanto, in ragione dell’utilizzo di un indirizzo PEC risultante da documenti pubblici, l’incompletezza della denominazione del destinatario si configura come , la valutazione espressa dal giudice di prime cure in ordine alla natura pretestuosa dell’eccezione sollevata in merito alla presunta mancata notifica degli atti al corretto destinatario.

Con riguardo alla censura concernente l’asserito adempimento, seppur sotto il profilo meramente sostanziale, delle condizioni prescritte dal bando in relazione alla produttività aziendale, a dispetto della mancata trasmissione con cadenza annuale della documentazione richiesta, si osserva quanto segue.

È precluso al giudice ordinario sindacare e rivalutare le condizioni stabilite nel bando di gara, vertendosi in materia di determinazioni espressione di potere discrezionale della pubblica amministrazione.

Il rispetto rigoroso delle prescrizioni recate dal bando si configura quale elemento imprescindibile a garanzia della certezza del diritto, del principio di legalità e della trasparenza dell’azione amministrativa.

In virtù di tale principio, il giudice non può, sostituirsi all’amministrazione nella valutazione di profili tecnico-discrezionali ad essa istituzionalmente riservati.

Ne consegue che l’asserito raggiungimento degli obiettivi prefissati da parte del caseificio non possiede di per idoneità ad inficiare la legittimità del decreto di revoca, il quale, al contrario, trae fondamento dall’inosservanza di adempimenti tassativamente prescritti dal bando.

Proprio tali considerazioni rivelano, altresì, l’infondatezza del motivo di appello concernente l’asserita violazione o erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione alla valutazione della gravità dell’inadempimento, nonché dell’art. 1455 c.c. Le considerazioni sin qui svolte conducono, altresì, al rigetto del motivo di appello relativo alla condanna alla rifusione delle spese di lite, non potendo ravvisarsi, nel caso di specie, alcuna ragione idonea a derogare al principio della soccombenza ed avendo il giudice liquidato i compensi avuto riguardo ai parametri minimi previsti dal DM 55 2014. Ogni altra questione deve ritenersi assorbita.

L’infondatezza dei motivi di gravame comporta, in definitiva, il rigetto dell’appello e la conseguente integrale conferma della sentenza impugnata di primo grado, che va pertanto confermata in ogni sua parte.

IV.

Le spese.

Quanto alle spese di lite del giudizio, esse seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla base del DM 10.03.2014 n. 55, secondo lo scaglione corrispondente al valore della causa, avuto riguardo ai parametri minimi tenuto conto della prossimità del valore della causa al limite minimo dello scaglione di riferimento, con esclusione della fase istruttoria.

– PER QUESTI MOTIVI – La Corte di Appello di Firenze, ogni altra domanda reietta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di , avverso la sentenza impugnata così provvede:

1) respinge l’appello;

2) condanna l’appellante al pagamento dei compensi di causa che sono liquidati, in favore dell’appellato, in complessivi € 7.120,00 oltre accessori dovuti per legge, come in parte motiva;

3) dà atto che sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13/1quater DPR n. 115/2002 in materia doppio contributo unificato, ove dovuto;

4) dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone in esso menzionate ai sensi dell’art. 52 del d.l.vo 30.06.2003 n.196.

IL CONSIGLIERE NOME

IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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