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Codice Civile
Codice Penale

Diritto fondamentale alla manifestazione del proprio pensiero

Diritto alla manifestazione del proprio pensiero, scriminante del fatto lesivo dell’onore altrui, tre requisiti essenziali.

Pubblicato il 30 January 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Milano
Seconda Sezione

nelle persone dei seguenti magistrati:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 286/2022 pubblicata il 27/01/2022

nella causa iscritta al n. r.g. 528/2021 promossa in grado d’appello

DA

IL XXX,  (), YYY (C.F.) e ZZZ (C.F.)

APPELLANTI

 

CONTRO

KKK (C.F.),

APPELLATO

avente ad oggetto: diritti della personalità – anche della persona giuridica.

Conclusioni: come da fogli allegati.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, il prof. KKK conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano – unitamente alle società editrici Il *** SpA,  Il *** Srl in liquidazione e *** SpA, i loro direttori responsabili e gli autori dei relativi articoli – la società cooperativa a responsabilità limitata Il XXX e i signori YYY e ZZZ, chiedendo al Tribunale di condannare in solido tutti detti convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato nella misura di euro 200.000.

In specie, il KKK contestava il carattere diffamatorio dell’articolo pubblicato su XXX del 18/05/2013 dal titolo «Il mediocre d’eccellenza» e del trafiletto pubblicato sull’edizione cartacea del giornale del 18/03/2014 nello spazio riservato alle “lettere al direttore”, entrambi a firma del summenzionato ZZZ; in detti articoli era infatti riproposta una tesi screditante riguardante la sua carriera già ritenuta illecitamente lesiva da una sentenza dello stesso Tribunale passata in giudicato.

Si costituivano i convenuti eccependo le scriminanti del diritto di cronaca e critica politica e richiamando una sentenza inter partes del Tribunale di Roma su articoli simili per contenuto.

All’udienza di prima comparizione del 10/07/2017 il giudice disponeva la separazione delle cause rilevando l’assenza tra le stesse di connessione oggettiva e soggettiva.

Per tramite della sentenza n. 119/2021 il Tribunale di Milano accertava il carattere parzialmente diffamatorio degli articoli in commento, condannando YYY, ZZZ e Il XXX società cooperativa a responsabilità limitata a rifondere all’attore danni quantificati in euro 15.000; condannava altresì ZZZ a pagare a KKK ulteriori euro 3.000 ex art. 12, l. 47/1948, ordinando la pubblicazione del dispositivo della sentenza a caratteri doppi del normale per una volta su Il XXX a spese e cura dei convenuti stessi.

Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello YYY, ZZZ e Il XXX società cooperativa a responsabilità limitata per asserita violazione dell’art. 595 c.p., dell’art. 21 Cost. e dell’art. 10 CEDU, sostenendo di avere effettuato un adeguato lavoro di ricerca in merito alla veridicità dei fatti descritti e ribadendo, quanto al requisito della continenza, di essersi adeguati al perimetro delimitato dai cdd. diritti di critica (quanto all’articolo datato 18/05/2013) e di satira (con riferimento al trafiletto apparso sull’edizione cartacea del giornale del 18/03/2014).

Inoltre, rilevavano come, ai sensi degli art. 183, co. 6, n. 3 e degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., controparte non avesse rispettato i termini del processo, producendo tardivamente documenti decisivi ai fini del giudizio (asseritamente privi, peraltro, del valore di prova contraria che ne avrebbe potuto consentire l’ammissibilità) e violando di talché il loro diritto alla difesa.

Si costituiva KKK, chiedendo che l’appello fosse rigettato in quanto infondato e che la sentenza fosse per l’effetto confermata in ogni sua parte.

In occasione dell’udienza del 13/07/2021, la Corte rinviava al 26/10/2021 per consentire alle parti di precisare le conclusioni. Quindi, tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In limine deve essere rilevato come il giudice di prime cure abbia nelle pagine dell’impugnata sentenza adeguatamente richiamato i principi giurisprudenziali in materia di rapporto, ipotesi di conflitto e necessità di bilanciamento tra libertà di espressione, diritto di critica e tutela dell’onore e della reputazione, principi da porre a fondamento della decisione nel caso che ci occupa.

Come dal Tribunale correttamente osservato, la necessità di operare un bilanciamento tra gli interessi in commento si apprezza segnatamente nell’ambito della cronaca e della critica giornalistica, ove la normativa di riferimento (l. 47/1948) riconosce a ciascun soggetto il diritto di diffondere, tramite la stampa, notizie e commenti, così come garantito da disposizioni costituzionali e convenzionali (ex multis, Corte Cost., nn. 1/1956; 105/1972; 225/1974; 94/1977).

La libertà di diffusione del pensiero non riguarda solo ed esclusivamente le informazioni e opinioni neutre o inoffensive, ma anche – anzi, a maggior ragione – quelle che possono colpire negativamente, «essendo ciò richiesto dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di apertura senza i quali non si ha una società democratica» (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 08/07/1986, Lingens/Austria).

L’esercizio del diritto fondamentale alla manifestazione del proprio pensiero funge pertanto da scriminante del fatto lesivo dell’onore altrui – rendendo lecita quest’ultima all’interno dell’ordinamento – a condizione che vengano rispettati tre requisiti essenziali, prima elaborati e quindi riempiti di contenuto tanto dalla giurisprudenza italiana quanto da quella sovranazionale.

Il primo di detti requisiti, ben riassunti dalla Suprema Corte nelle pagine della sentenza n. 21404/2014, è quello della verità oggettiva o anche putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca. Essa non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche solo colposamente taciuti altri fatti tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive o da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà oggettiva, anche sulla base del presupposto secondo cui «il testo va letto nel contesto», determinandosi così un mutamento del significato apparente della frase, altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo percepibile dall’uomo medio. Il secondo requisito è quello della pertinenza, ovvero della sussistenza di un interesse ai fatti narrati da parte dell’opinione pubblica – a questo proposito, il richiamo è a Cass. Civ., 15 dicembre 2004, n. 23366 e 18 ottobre 1984, n. 5259.

Il terzo ed ultimo requisito è infine quello della continenza, ovverosia della correttezza formale con la quale i fatti vengono esposti, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire ed essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio e nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto qualsiasi persona, evitando anche forme di offesa indiretta – in questo senso, si veda Cass. Civ., 18 ottobre 1984, n. 5259.

Con riferimento al primo dei motivi promossi dagli odierni appellanti deve anzitutto rilevarsi come il giudice di prima istanza abbia ben ritenuto soddisfatto il requisito della veridicità del fatto posto a fondamento della contestata critica politica del 18/05/2013; i dubbi scaturenti da quanto osservato in proposito a pag. 4 dell’impugnato provvedimento («anche il requisito della veridicità del fatto […] è frutto di un solo parziale lavoro di ricerca») sono del tutto fugati dalla perentoria statuizione in merito rinvenibile a pag. 5, dalla quale non possono originare perplessità circa il convincimento del Tribunale sul punto in merito alla ritenuta sussistenza del requisito in oggetto.

L’intercorso lasso temporale tra le intervenute dimissioni del prof. KKK e la pubblicazione del contestato articolo non appare – come del resto chiaramente emerge dalla lettura dell’impugnato provvedimento – idoneo a scalfire la veridicità dei fatti riportati nell’articolo del XXX oggetto di causa; le doglianze mosse sul punto dagli odierni appellanti si presentano pertanto superate da una lettura complessiva della motivazione della sentenza del giudice di prime cure e pertanto costituiscono censura da esaminare.

Neppure può trovare accoglimento il secondo profilo di impugnazione ricompreso nel primo motivo d’appello in relazione alla violazione dell’art. 183, co. 6, n. 3 e degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., profilo con il quale gli odierni appellanti lamentavano che il Tribunale avesse erroneamente ammesso ai fini del giudizio i documenti prodotti in tesi tardivamente dal prof. KKK nella terza memoria ex art. 183 c.p.c..

Le lettere, le comunicazioni e gli accordi intercorsi tra l’odierno appellato e – tra gli altri – i vertici della stessa University of Pittsburgh Medical Center versati in atti da KKK hanno infatti valore di prova contraria in relazione a quanto introdotto come prova documentale dai convenuti in primo grado con i docc. 13, 14 e 15, prodotti con la memoria ex art. 183, co. 6, n. 2 c.p.c., giacché appaiono volti a dimostrare l’immediato reinserimento del professore nei quadri dello staff di ricerca dell’ateneo e l’immutata stima e fiducia nello stesso da parte del fondatore del suo rinomato centro trapianti a fronte del tentativo di parte avversa di mettere in dubbio la reale natura della cessazione del rapporto tra KKK e la UPMC e di porne in risalto gli aspetti più controversi.

La valorizzazione da parte del primo giudice dei documenti in quella sede depositati da KKK ai fini della formazione del suo convincimento in merito alla questione che ci occupa deve pertanto considerarsi condivisibile, esattamente al pari di quella di stralciare la lettera, peraltro ininfluente, del prof. *** datata 25/11/2019 versata in atti sempre da KKK a sostegno delle proprie doglianze, ritenuta invece prodotta tardivamente.

Le conclusioni fatte proprie dal giudicante in primo grado devono essere integralmente confermate anche con riferimento alle più generiche contestazioni mosse dagli appellanti con il secondo motivo di gravame, con il quale gli stessi hanno censurato la sentenza impugnata per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che i pezzi in commento avessero valicato i limiti posti al diritto di critica in relazione alla continenza espressiva.

L’articolo in contestazione esorbitava infatti certamente dal sopracitato confine, scadendo in più occasioni il linguaggio utilizzato dai giornalisti nell’offesa personale («mediocre d’eccellenza», «gli sgusciamenti delle sue numerose e tortuose carriere», «la lingua mediocre dell’eccellenza autocertificata») e risultando la figura di KKK nelllo scritto ricostruita con toni più che malevoli.

Quanto al trafiletto apparso sul XXX del 18/03/2014 e recante una sferzante battuta di ZZZ («KKK faceva i trapianti di fegato ascoltando It’s only rock ‘n roll. Lo licenziarono cantando Money don’t buy everything»), deve altresì rilevarsi come anche la circostanza riportata appariva in aperto contrasto con la veridicità dei fatti, facendosi in esso esplicito riferimento a un licenziamento del professore da parte dell’***, circostanza non corrispondente alla realtà – come altresì evidenziato nelle pagine della sentenza n. 9934/2012, emessa da questo Tribunale e già passata in giudicato.

Come è noto, «il diritto di satira, a differenza da quello di cronaca, è sottratto al parametro della verità dei fatti, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, purché il fatto sia espresso in modo apertamente difforme dalla realtà, tanto da potersene apprezzare subito l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico» (Cass. Civ., sez. III, sent. 7 aprile 2016, n. 6787).

Nel caso di specie, tuttavia, la già sopra evidenziata ambiguità della vicenda relativa al presunto licenziamento non consente al lettore di cogliere in maniera immediata e netta una esasperazione di un dato di realtà incontrovertibile e l’esagerazione sulla quale la battuta sarebbe costruita; di talché non si ravvisano gli elementi propri del diritto di satira come delineati dalla giurisprudenza del SC e pertanto la scriminante invocata dagli odierni appellanti non risulta ravvisabile nello scritto oggetto di causa.

Per tutti i motivi di cui sopra, la sentenza n. 119/2021 del Tribunale di Milano deve essere integralmente confermata nei termini di cui al dispositivo.

Le spese di lite del grado d’appello seguono la soccombenza. Esse sono liquidate come in dispositivo in applicazione dei valori medi di cui alle tabelle del d.m. 55/2014, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva in concreto svolta.

PQM

La Corte, definitivamente pronunciando nel contraddittorio fra le parti, ogni contraria istanza, domanda, eccezione disattesa:

1. respinge l’appello e per l’effetto conferma in ogni sua parte la sentenza n. 119/2021 del Tribunale di Milano;

2. condanna Il XXX società cooperativa a responsabilità limitata, YYY e ZZZ al pagamento in favore del professor KKK delle spese di lite per il presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 6.615 per compensi professionali oltre IVA, CPA e spese generali al 15%.

Dichiara inoltre la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13, co. 1-quater d.P.R. 115/2002 così come modificato dall’art. 1, co. 17 l. 24 dicembre 2012 n. 228.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 26/01/2021.

Il Presidente Est.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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