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Competenza territoriale e luogo di adempimento dell’obbligazione

La sentenza conferma la competenza territoriale del Tribunale adito in base al criterio del forum destinatae solutionis, in quanto il luogo di adempimento dell’obbligazione coincideva con la sede legale della società creditrice al momento della scadenza. Viene, inoltre, rigettata l’eccezione di incostituzionalità della norma che prevede la riduzione dei compensi per gli operatori del gioco, in quanto il criterio di riparto dell’onere, basato sulla partecipazione alla distribuzione del compenso, risulta conforme al principio di ragionevolezza e proporzionalità. Infine, la sentenza conferma la corretta quantificazione del credito, desunta dagli estratti conto prodotti e dalla normativa di riferimento.

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Pubblicato il 22 maggio 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

N. R.G. 2018/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE TERZA

SEZIONE CIVILE

La Corte di Appello di Firenze, terza sezione civile, in persona dei Magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott.

NOME COGNOME Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._794_2025_- N._R.G._00002018_2022 DEL_29_04_2025 PUBBLICATA_IL_29_04_2025

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 2018/2022 promossa da:

(C.F. (C.F. (C.F. ) con il patrocinio dell’Avv. COGNOME/I nei confronti di (CF con il patrocinio dell’Avv. COGNOMECF ) e dell’Avv. COGNOME/I avverso la sentenza n. 937/2022 emessa dal Tribunale di Lucca e pubblicata il 29/09/2022

CONCLUSIONI

In data 9-29.10.2024 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:

Per parte appellante:

“Voglia l’Ill.ma Corte di Appello di Firenze, in via preliminare e di rito disporre la sospensione del processo ex art.295 c.p.c. in attesa della decisione del Consiglio di Stato quale giudice del rinvio.

Nel merito ed in totale riforma dell’impugnata sentenza, ogni contraria domanda ed eccezione reietta, in via principale dichiarare nullo e comunque revocare il decreto ingiuntivo n.212/2019 del Tribunale di Lucca in quanto emesso da Tribunale territorialmente incompetente.

In denegata ipotesi di rigetto della proposta eccezione di incompetenza territoriale sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale eccezione di incostituzionalità C.F. C.F. C.F. dell’art.649 comma 1 Legge di Stabilità 2015 per tutti od anche uno solo dei motivi di cui in atti sospendendo il presente procedimento.

In ogni caso revocare il decreto ingiuntivo opposto perché relativo ad un credito non liquido, non determinato né determinabile nel suo ammontare e comunque perché le ragioni creditizie della società opposta risultano infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate.

In via di mero subordine contenere, previa revoca del decreto opposto, il dovuto nel limite della percentuale di spettanza della società appellante.

Con vittoria di spese e compensi legali di entrambi i gradi del giudizio” Per parte appellata:

“Voglia l’Ecc.

ma Corte d’Appello, 1) Rigettare integralmente l’appello proposto dalla in quanto infondato in fatto e in diritto per i motivi espressi in narrativa e, per l’effetto, confermare integralmente la sentenza del Tribunale di Lucca n.937/2022 del 29.09.2022 pubblicata nella medesima data;

2) Con vittoria di spese, competenze e onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio”.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, regolarmente notificato, (di seguito, per brevità, anche solo “ ”), nonché i soci illimitatamente responsabili convenivano in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, proponendo gravame avverso la sentenza n. 937/2022, emessa dal Tribunale di Lucca e pubblicata il 29/09/2022, che, definitivamente pronunciando sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da l’aveva rigettata, con conseguente condanna degli opponenti al pagamento delle spese di lite.

1 – Il giudizio di primo grado.

1.1.

– Con ricorso per ingiunzione di pagamento, aveva adito il tribunale di Lucca, esponendo:

-) di essere concessionaria dell (di seguito anche solo “ ”) per l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi con vincita in denaro di cui all’art. 110, comma 6, del R.D. 18.6.1931, n. 773;

-) di avere stipulato, in data 17.6.2013, con la società un contratto, conferendo a quest’ultima il ruolo di terzo (c.d. gestore) incaricato della raccolta delle somme giocate con gli apparecchi, con conseguente obbligo di versare al concessionario gli importi dovuti a titolo di tasse (c.d. “PREU” – Prelievo Erariale Unico – e canone di concessione) e quelli pattuiti con la medesima , come da estratto conto periodicamente predisposto ed inviato al gestore;

-) che, in forza del combinato disposto dell’art. 1, comma 649, della legge di stabilità per il 2015, e dell’art. 1, comma 921, della legge di stabilità per il 2016, il gestore era tenuto a corrispondere al concessionario, per la quota sullo stesso gravante, un prelievo forzoso;

-) che, sulla base del rendiconto predisposto da essa , la somma dovuta dal gestore RAGIONE_SOCIALE risultava essere pari ad € 24.241,54;

-) che, tuttavia, aveva omesso di corrispondere quanto dovuto, ragion per cui si era reso necessario il ricorso alle vie legali.

1.2.

Avverso il decreto ingiuntivo n. 212/2019, emesso il 5.2.2019, proponevano opposizione ed i soci illimitatamente responsabili , per sentir dichiarare, in via principale, la nullità e comunque la revoca del provvedimento monitorio per incompetenza territoriale del tribunale adito e, in denegata ipotesi, per sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale questione di costituzionalità dell’art. 1 comma 649, della legge di stabilità del 2015, con conseguente sospensione del giudizio;

in ogni caso, chiedevano la revoca del decreto ingiuntivo opposto perché relativo ad un credito non liquido, non determinato né determinabile nel suo ammontare e perché le pretese creditorie della società opposta risultavano infondate in fatto ed in diritto e, comunque, non provate.

Chiedevano, infine, la condanna di controparte ex art. 96, comma 3, c.p.c. 1.2.1.

– A sostegno dell’eccezione di incompetenza territoriale, deducevano l’inesistenza del contratto ex adverso prodotto non essendo lo stesso mai stato sottoscritto, con la conseguenza che la controversia si sarebbe dovuta incardinare presso il tribunale di Forlì, quale luogo ove la società ingiunta aveva la sede legale ex art. 19 c.p.c., ovvero, al più, presso il tribunale di Milano quale luogo ove aveva la sede legale la società ingiungente e dove, in astratto, avrebbe dovuto essere adempiuta l’obbligazione di pagamento ex art. 20 c.p.c. 1.2.2. – Relativamente al profilo di incostituzionalità dell’art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015, eccepivano la violazione del principio di ragionevolezza per la contraddittorietà intrinseca della predetta norma anche dopo l’intervento dell’art. 1, comma 921, della legge di stabilità del 2016, in quanto la proporzionalità del prelievo, come imposta dalla citata disposizione, non poteva attuarsi adoperando il criterio “statico” del numero di apparecchi posseduto dal gestore, dovendo preferirsi quello “dinamico” costituito dal flusso di cassa delle singole macchinette slot onde evitare una disparità di trattamento tra coloro che dalle stesse ottenevano un ritorno economico maggiore e coloro che, al contrario, ne ricavavano un minor introito. 1.2.3.

– Rilevavano, in ordine al quantum debeatur, che le percentuali di ripartizione, ai fini dell’onere contributivo, applicate dall’opposta fossero state stabilite arbitrariamente, in quanto la loro determinazione, come diretta conseguenza dell’applicazione di norme di legge, non era stata provata.

1.3.

– Si costituiva, altresì, in giudizio , contestando integralmente l’opposizione di cui chiedeva il rigetto.

1.4.

– All’esito dell’istruttoria, articolatasi nell’assunzione di prove documentali, il tribunale decideva nei termini sopra esposti sulla base delle seguenti considerazioni:

-) l’eccezione di incompetenza territoriale era infondata, non risultando credibile quanto sostenuto da parte opponente circa il fatto di non aver sottoscritto il contratto con , in quanto era evidente che le parti avessero dato ad esso esecuzione, inclusa la clausola che stabiliva la competenza territoriale del tribunale di Lucca;

-) in ogni caso, il tribunale di Lucca doveva ritenersi competente ai sensi dell’art. 20 c.p.c., quale luogo in cui era sorta l’obbligazione, giacché , precedentemente alla fusione avvenuta nel 2016 (a seguito della quale aveva assunto la denominazione di ) aveva sede legale in Porcari (Lucca);

-) parimenti infondata era l’eccezione, sollevata dall’opponente, di incostituzionalità dell’articolo 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015, in quanto l’art. 1, comma 921, della legge di stabilità del 2016, introducendo una norma di interpretazione autentica, aveva chiarito che l’onere del prelievo forzoso era a carico non solo dei concessionari, ma di tutti gli operatori della filiera del gioco lecito e, quindi, anche degli esercenti e dei gestori.

Inoltre, il criterio di riparto di tale onere era basato non solo sul numero degli apparecchi ma anche sulla partecipazione alla distribuzione dei compensi cui aveva diritto ciascun operatore della filiera secondo gli accordi contrattuali con il concessionario, così venendo eliminato ogni profilo di irragionevolezza e di disparità di trattamento;

-) infondate erano anche le contestazioni in ordine al quantum debeatur,

avendo fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, con specifico riferimento al citato art. 1, comma 649, ed al decreto dell’ADM del 15.1.2015;

-) infondata era, altresì, la doglianza concernente l’addebito ad delle somme dovute dagli esercenti, in quanto, come condivisibilmente sostenuto da , i rapporti con costoro erano di competenza del gestore, essendo quest’ultimo tenuto alla raccolta delle somme contenute negli apparecchi, al netto delle vincite pagate, ed al conseguente pagamento all’esercente della sua quota di spettanza;

-) in proposito, era significativa l’assenza di relazioni ed attività di prelievo/versamento tra concessionario ed esercente.

Le spese seguivano la soccombenza.

2 – Il giudizio di secondo grado.

2.1.

Avverso tale sentenza proponevano appello chiedendo preliminarmente la sospensione del presente giudizio ex art. 295 c.p.c., in attesa della decisione del Consiglio di Stato nel procedimento di rinvio a seguito della pronuncia resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che aveva demandato al giudice nazionale la verifica del rispetto da parte dell’art.1, comma 649, della legge di stabilità 2015, degli artt.49 e 56 TFUE nonché del principio del legittimo affidamento.

Censuravano, inoltre, la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) con il primo, rilevavano che il tribunale aveva errato nel rigettare l’eccezione di incompetenza territoriale.

Difatti, la deroga alla competenza territoriale non risultava da alcun accordo scritto, dal momento che il contratto depositato da non recava la sottoscrizione anche di essa , di talché non risultava rispettato il disposto di cui all’art. 29 c.p.c. Inoltre, aveva errato il primo giudice pure nell’applicare il criterio del forum contractus ex art. 20 c.p.c., attribuendo rilevanza al fatto che la sede legale di prima della sua fusione societaria (con conseguente assunzione della denominazione di ), si trovasse in Porcari (LU), non essendo tale circostanza, di per sé, indicativa che il contratto fosse stato concluso nel circondario del tribunale di Lucca. In ogni caso, il credito di cui era stato ingiunto il pagamento rinveniva la sua fonte non già nel contratto bensì in una disposizione di legge, il che costituiva ulteriore elemento ostativo all’applicazione dell’art. 20 c.p.c. 2) Con il secondo, denunciava l’erroneità della sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015, ritenendo decisivo quanto disposto dall’art. 1, comma 921, della legge di stabilità del 2016. Difatti, tale ultima norma non era intervenuta sul comma 649 nella parte in cui stabiliva che la riduzione dei compensi avvenisse “ …in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014”, così chiaramente violando il criterio di progressività imposto dalla legge delega (l.n. 23/2014) e finendo per fare riferimento ad un dato statico, qual è il numero degli apparecchi, piuttosto che ad uno dinamico quale il volume di raccolta delle giocate, unico criterio, quest’ultimo, idoneo a misurare la capacità di reddito del concessionario e della relativa filiera in quanto legato all’entità complessiva degli importi incassati. Pertanto, quanto stabilito dall’art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015, violava manifestamente i principi di uguaglianza e ragionevolezza.

3) Con il terzo, si doleva del rigetto delle sue contestazioni in ordine al quantum debeatur.

In particolare, il primo giudice non aveva considerato che alcuna percentuale era mai stata concordata tra la società appellante e , tanto meno nella misura del 3%, percentuale che, peraltro, non trovava corrispondenza né nella convenzione stipulata tra il concessionario e l’amministrazione né nel contratto (non sottoscritto) tra 4) Con il quarto, censurava la decisione impugnata anche per aver ritenuto che essa fosse tenuta a provvedere al recupero delle somme, dovute a titolo di “riduzione dei compensi”, prelevandole dall’esercente. Invero, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, nessuna rilevanza poteva attribuirsi ai bonifici effettuati dal gestore a favore del concessionario, in quanto gli stessi non erano in alcun modo indicativi dell’obbligo del gestore di pagare quanto di competenza degli esercenti.

Obbligo che, del resto, non esisteva né contrattualmente né legalmente.

Per tali ragioni è stata formulata da parte appellante richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte, con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

2.2.

– Radicatosi il contraddittorio, nel costituirsi in giudizio, contestava, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.

2.3.

– La causa è stata trattenuta in decisione in data 9-29.10.2024, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta, con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

*** 3 – In via preliminare 3.1.

– Deve essere disattesa l’istanza di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. in attesa della decisione del Consiglio di Stato nel procedimento di rinvio a seguito della pronuncia resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha demandato al giudice nazionale la verifica del rispetto da parte dell’art.1, comma 649, della legge di stabilità 2015, degli artt.49 e 56 TFUE nonché del principio del legittimo affidamento.

Ciò per due ordini di ragioni.

3.1.1.

– Invero, come affermato dalla Sezioni Unite:

“in tema di sospensione necessaria del processo civile, benché nel testo dell’art. 295 c.p.c., modificato dall’art. 35 della l. n. 353 del 1990, manchi il riferimento ad una pregiudiziale “controversia amministrativa” (presente, invece, nella precedente formulazione), non può escludersi, in via di principio, la configurabilità di una sospensione necessaria del giudizio civile in pendenza di un giudizio amministrativo, che deve ritenersi ammissibile qualora sia imposta dall’esigenza di evitare un conflitto di giudicati, ipotesi che però non ricorre se il possibile contrasto riguardi soltanto gli effetti pratici dell’una o dell’altra pronuncia, e se, in particolare, tra i giudizi sussista diversità di parti, ostandovi in questo caso il rispetto del principio del contraddittorio” (cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, ordinanza n. 30148 del 13/10/2022). Nella specie, proprio la diversità delle parti nei due giudizi esclude la possibilità di ravvisare i presupposti per l’invocata sospensione ex art. 295 c.p.c. Del resto, come affermato sempre dalla Suprema Corte:

“la pendenza tra altre parti, su analoga questione, di un giudizio di legittimità costituzionale o di un procedimento ex art. 267 TFUE davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, non giustifica la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., mancando il necessario carattere di pregiudizialità della controversia richiesto dalla norma, con la conseguenza che, in tali casi, il giudice, ove ritenga la questione rilevante ai fini del decidere, può solo rinviare la trattazione del processo in attesa della sua decisione, salva la possibilità di una sospensione su accordo delle parti” (cfr. Cass. civ., n. 1139/2025). Principio che, per identità di ratio, è applicabile anche al caso in esame, dove il Consiglio di Stato è stato investito, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, della decisione in ordine alla conformità dell’art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015, con gli artt. 49 e 56 TFUE nonché con il principio del legittimo affidamento.

3.1.2.

– In ogni caso, non vi è prova che il giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, a seguito del pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sia stato riassunto dalle parti ai sensi dell’art. 80 del codice del processo amministrativo (cfr. Cons. sez.

VI

,

n. 7901/2021 onde “la mancata riassunzione del giudizio nei termini previsti dall’art. 80 c.p.a. a seguito del deposito di una sentenza della Corte di Giustizia comporta la perenzione del ricorso e l’estinzione del giudizio nel caso in cui l’udienza non sia stata già fissata d’ufficio”).

Al riguardo, si applica il seguente principio:

“presupposto per la sospensione necessaria del processo, di cui all’art. 295 cod. proc. civ., è la prova che una controversia avente ad oggetto questioni pregiudiziali sia effettivamente pendente dinanzi allo stesso o ad altro giudice ed in grado di approdare alla pronuncia ritenuta pregiudiziale” (cfr. Cass. civ. n. 17445/2004).

Spettava, quindi, agli appellanti fornire la prova dell’attuale pendenza del giudizio, asseritamente pregiudicante, dinanzi al Consiglio di Stato, il che, però, non è avvenuto.

Sgombrato il campo dalla predetta questione preliminare, è possibile passare ad esaminare l’appello.

4 – L’esame del gravame.

4.1.

– Il primo motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta.

4.1.1.

– Come affermato dalla Suprema Corte:

“in tema di competenza territoriale derogabile, per la quale sussistano più criteri concorrenti (nella specie, quelli indicati negli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., trattandosi di causa relativa a diritti di obbligazione), grava sul convenuto che eccepisca l’incompetenza del giudice adito (trattandosi di eccezione in senso proprio) l’onere di contestare specificamente l’applicabilità di ciascuno dei suddetti criteri e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale contestazione.

In mancanza, l’eccezione deve essere rigettata, restando, per l’effetto, definitivamente fissato il collegamento indicato dall’attore, con correlata competenza del giudice adito” (cfr. Cassazione civile, ordinanza n. 17311 del 03/07/2018).

Nella specie, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, gli opponenti si sono limitati a contestare la competenza territoriale del giudice adito, eccependo l’inoperatività della clausola derogativa della competenza contenuta nel contratto prodotto da , in quanto non sottoscritto da Hanno, inoltre, sostenuto che il giudice competente dovesse individuarsi o nel tribunale di Forlì ex art. 19 c.p.c. – quale luogo in cui la società ingiunta ha la sede legale – oppure nel tribunale di Milano ex art. 20 c.p.c., quale luogo dove ha la sede legale la società opposta e dove, in astratto, avrebbe dovuto essere adempiuta l’obbligazione di pagamento. Niente è stato dedotto, invece, per quanto concerne il forum contractus – vale a dire il luogo in cui è sorta l’obbligazione (ai sensi della prima parte dell’art. 20 c.p.c.) – il che era, di per sé, sufficiente per giustificare il rigetto dell’eccezione.

Il Collegio non ignora l’orientamento secondo cui “in tema di competenza per territorio derogabile, nelle cause relative ai diritti di obbligazione, il principio in base al quale grava sulla parte che eccepisce l’incompetenza l’onere di contestare tutti i possibili criteri di collegamento previsti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. subisce un’eccezione ove l’attore indichi espressamente di volere radicare la competenza territoriale in forza di un determinato criterio, in tal caso dovendo il convenuto contestare solo quel criterio, non potendosi addossare su di lui l’onere di contestare criteri di collegamento esclusi dall’attore” (cfr. Cassazione civile, ordinanza n. 5817 del 05/03/2024). Tuttavia, tale principio non è applicabile al caso in esame, laddove si consideri che , nel ricorso per decreto ingiuntivo, non aveva affermato di voler radicare la competenza territoriale sulla base della clausola (art. 22) contenuta nel contratto versato in atti (non recante alcuna sottoscrizione da parte di tanto meno per specifica approvazione, ai sensi dell’art. 1341 c.c., della predetta clausola), il che, pertanto, non esonerava parte opponente dal contestare la competenza territoriale del tribunale di Lucca con riferimento a tutti i possibili fori alternativi. 4.1.2.

Competenza che, in ogni caso, sussisteva proprio sulla base del forum destinatae solutionis, essendo incontestato:

i) che l’obbligazione di pagamento dovesse essere adempiuta da in due rate, scadenti rispettivamente il 30.4.2015 ed il 31.10.2015;

ii) che, a quelle date, la sede legale di si trovasse ancora in Porcari (LU), essendo stata trasferita a Milano solo a seguito dell’operazione di fusione societaria avvenuta nel 2016.

Pertanto, posto che “l’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza” (ex art. 1182, comma 2, c.c.), il luogo in cui l’obbligazione per cui è causa doveva essere eseguita è da individuarsi con quello in cui aveva la sede legale la società creditrice al momento della sua scadenza (e cioè Porcari), con conseguente radicamento della competenza del tribunale di Lucca.

In proposito, alcuna rilevanza può attribuirsi al fatto che l’obbligazione in questione deriverebbe dalla legge e non da un contratto, dal momento che l’art. 20 c.p.c. non contiene alcuna distinzione in ordine alla fonte della stessa.

Né può essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui il creditore, nella specie, dovrebbe essere individuato nello Stato e non nel concessionario ( ), essendo innegabile che il rapporto contrattuale (la cui esistenza non è contestata da ) fosse sorto con quest’ultimo, di talché l’obbligazione andava adempiuta nei suoi confronti.

Il mezzo, quindi, è caducato.

4.2.

– Parimenti infondato è il secondo motivo di appello, tenuto conto della manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015.

4.2.1.

– Secondo parte appellante, l’art. 1, comma 921, della legge di stabilità del 2016, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015, non sarebbe intervenuto sulla parte del comma 649 in cui è stabilito che la riduzione dei compensi deve avvenire “ …in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014”, disposizione che si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza e di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. Ciò perché la norma finirebbe per fare riferimento ad un dato statico, qual è il numero degli apparecchi, piuttosto che ad uno dinamico quale il volume di raccolta delle giocate, il quale, secondo gli impugnanti, sarebbe l’unico idoneo a misurare la capacità di reddito del concessionario e della relativa filiera, in quanto legato all’entità complessiva degli importi incassati. L’assunto è destituito di fondamento, non avendo dimostrato:

i) che la ripartizione dell’onere in base al numero degli apparecchi abbia determinato conseguenze manifestamente irragionevoli e distorsive nei suoi confronti;

ii) che l’applicazione del predetto criterio abbia comportato l’esborso, da parte sua, di una somma maggiore in rapporto a quella che avrebbe versato ove fosse stato utilizzato il criterio del volume di raccolta delle giocate.

Pertanto, risulta indimostrato il beneficio che otterrebbe dalla dichiarazione di incostituzionalità della previsione normativa in esame, il che rende tale questione non proponibile nel presente giudizio, in quanto inidonea ad esplicare efficacia decisiva.

4.2.2.

– Inoltre, non può essere condivisa la tesi degli appellanti secondo cui il criterio di riparto dell’onere, in misura corrispondente agli apparecchi e non invece al volume di giocate, si porrebbe in contrasto con le previsioni della legge delega (n. 23/2014), che ha stabilito che la revisione degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari ed agli altri operatori della filiera debba avvenire “secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate”.

Difatti, come correttamente rilevato dalla difesa dell’appellata, il criterio relativo al numero degli apparecchi è stato introdotto da una norma primaria, dotata di pari rango rispetto a quella di cui alla legge delega, il che, quindi, consentiva di derogare ai criteri in essa contenuti.

4.3.

– Infondato è, poi, il terzo motivo di appello.

4.3.1.

– Occorre, in primo luogo, rilevare come l’art. 1, comma 921, della legge di stabilità del 2016, con norma di interpretazione autentica delle disposizioni di cui al comma 649 della legge di stabilità del 2015, prevede che la riduzione dei compensi dei concessionari si applica a ciascun operatore della filiera (e, quindi, anche ai gestori ed agli esercenti) in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015. Sulla base di tale previsione nonché di quanto disposto dal decreto emesso da in data 15.1.2015, ha chiaramente esposto i criteri in base ai quali è pervenuta ad ingiungere ad la somma di € 24.241,54:

“a fronte di un importo fisso quantificato ex lege di euro 1207,27 per apparecchio dovuto a titolo di riduzione, la al 31.12.2014 era in possesso di n.23 apparecchi, per un valore complessivo ai fini della di euro 27.767,21.

A tale valore sono stati detratti, correttamente, euro 832,83 a titolo di quota di competenza di altri soggetti della filiera (e, cioè, il 3% del Concessionario) ottenendo così l’importo fattualmente richiesto e quantificato in Euro 26.934,38 di cui non versati euro 24.241,54” (cfr. comparsa di costituzione e risposta in prime cure, pag. 7).

In particolare, per quanto concerne la determinazione nella misura del 3% dell’onere a carico del concessionario, ha richiamato le risultanze dell’estratto conto al dicembre 2014, da cui risultava che (gestore) e l’esercente avevano percepito la somma di € 12.565,84 (segnatamente:

€ 6.282,96 per il gestore ed € 6.282,88 per l’esercente), mentre la medesima aveva percepito “come corrispettivo la c.d. quota mantenimento, pari ad euro 406,25”, aggiungendo che “l’analisi di tali cifre permette facilmente di comprendere come il riparto finale del guadagno tra i soggetti della filiera fosse del 3,09% per il Concessionario e del restante 96,91 per il Gestore e l’Esercente” (cfr. comparsa citata, pag. 6-7).

4.3.2.

– Ebbene, a fronte di tale circostanza, parte appellante si è limitata ad affermare che nessuna percentuale era mai stata concordata tra , tanto meno nella misura del 3%, percentuale che, peraltro, non avrebbe trovato corrispondenza né nella convenzione stipulata tra il concessionario e l’amministrazione né nel contratto (non sottoscritto) tra Cont Part La censura, tuttavia, non coglie nel segno, laddove si consideri che la previsione di tale percentuale derivava direttamente dal citato art. 1, comma 921, della legge di stabilità del 2016, il quale aveva stabilito che “il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015”. Quindi, dovendosi procedere a determinare il prelievo forzoso, nei confronti dei singoli operatori della filiera, sulla base di un criterio di proporzionalità che tenga conto della loro compartecipazione alla distribuzione del compenso, l’individuazione della percentuale del 3%, da parte di , si presenta immune da censure, in quanto è corrispondente proprio alla quota di utile da essa conseguita nell’ambito della filiera.

Del resto, parte appellante non ha offerto alcun elemento da cui desumere l’erroneità del criterio seguito da , non contestando né il numero di apparecchiature ad essa attribuito né le risultanze dell’estratto conto a cui il concessionario ha fatto riferimento.

In merito a tali risultanze, giova considerare che secondo la Suprema Corte:

“la disciplina dei flussi finanziari relativi alla filiera del gioco lecito, tramite strumenti di pagamento tracciabili, ha carattere inderogabile, stante la natura di stretto interesse pubblico della disciplina del gioco, la cui ragione risiede oltre che nella finalità di dissuadere qualunque tentativo di infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema del gioco, anche nella natura pubblica del denaro raccolto” (cfr. Cassazione civile, sentenza del 20.3.2023, n. 7966).

Pertanto, come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 1244/2022 ed in quella n. 700/2024, che si richiamano quali precedenti interni conformi ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., proprio l’interesse pubblico della disciplina del gioco – che vede il diretto coinvolgimento dell e del Ministero delle Finanze – consente di ritenere i dati esposti dal concessionario ) dotati di intrinseca attendibilità.

4.4.

– Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo di appello.

4.4.1.

– Occorre, innanzi tutto, rilevare come l’art. 1 lett. w) del contratto prodotto da prevedesse l’obbligo, per il gestore, quale mandatario del concessionario, di “versare all’Esercente il corrispettivo a questi riconosciuto ai sensi del contratto vigente tra ed Esercente RAGIONE_SOCIALE medesimo, sulla base di estratti conto periodici emessi da Inoltre, il successivo articolo 5 stabiliva “a corrispettivo delle attività svolte dal Gestore in esecuzione del Contratto e dell’esclusiva concessa, gli riconosce l’importo risultante dalla formula di seguito indicata, sulla base degli estratti conto periodici emessi da in esenzione IVA ai sensi del combinato disposto dell’art. 10, comma 1, n. 6 del D.P.R. 26/10/1972 n. 633 e dell’art. 1, comma 497, della L. 30/12/2004 n. 311: “Ricavo Netto meno il corrispettivo riconosciuto all’Esercente”, indicando, di seguito, i criteri per la determinazione del ricavo netto.

Ora, vero è che la copia del predetto contratto versata in atti non reca la sottoscrizione di , tuttavia è altrettanto vero che la società appellante non ha negato l’esistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, ammettendo, anzi, che “le stesse hanno, di fatto, sempre calcolato il corrispettivo sulla falsariga di quanto indicato all’art.5” (cfr. atto di appello, pag. 16).

Inoltre, anche dall’esame dei singoli estratti conto si desume che l’importo da corrispondere a era dato dalla somma tra “quota di mantenimento, PREU e canone”, di talché quello di competenza dell’esercente restava nella disponibilità del gestore che, quindi, avrebbe dovuto procedere al relativo pagamento.

In proposito, si presenta significativo il bonifico del 23.1.2015 eseguito da a favore di , relativo al saldo del rendiconto dall’1.1.2015 al 15.1.2015, dove l’importo pagato, pari ad € 14.710,51 – contestando l’addebito di € 1.388,05 ex art. 1, comma 649, della legge di stabilità del 2015 (come da pec del 26.1.2015) – risulta essere pari alla somma tra “quota manten.

” (€ 332,12), “preu e canone” (€ 14.378,39), dal che si desume che il compenso dell’esercente (pari ad € 5.465,18) era a carico del gestore (atteso che, diversamente, anche tale somma sarebbe stata bonificata al concessionario).

Del resto, pur rilevando parte appellante la mancata sottoscrizione del contratto prodotto da ,

essa non ha indicato quale diverso contratto avrebbe trovato attuazione tra le parti, il che induce a ritenere che esse abbiano dato esecuzione proprio a quello versato in atti.

4.4.2.

– Ne consegue che, omettendo di corrispondere a la quota dovuta a titolo di “riduzione del compenso” (indicata come “addiz. leg. stab.

” nei singoli estratti conto prodotti), ha finito per trattenere anche quanto dovuto, a tale titolo, dall’esercente, di talché correttamente il decreto ingiuntivo risulta emesso anche per tale importo.

D’altra parte, deve considerarsi che il concessionario non ha alcun rapporto contrattuale con il singolo esercente ed è, naturalmente, estraneo agli accordi contrattuali tra il gestore ed i vari esercenti.

Di conseguenza, per il concessionario risulterebbe, di fatto, impossibile anche solo determinare la misura della partecipazione di ciascun esercente alla distribuzione del complessivo compenso derivante dalla raccolta del gioco mediante apparecchi da intrattenimento.

5 – Per quanto esposto, si impone il rigetto dell’appello.

5.1.

Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano secondo il computo che segue ex D.M. 55/2014, come modificato da ultimo dal D.M. 147/2022, § 12 (valore € 5.201-26.000), con applicazione del valore medio per tutte le fasi:

Fase di studio della controversia:

€ 1.134,00

Fase introduttiva del giudizio:

€ 921,00

Fase istruttoria/trattazione:

€ 1.843,00 Fase decisionale:

€ 1.911,00 Compenso tabellare:

€ 5.809,00 oltre 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.

5.2.

– Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 937/2022 emessa dal Tribunale di Lucca e pubblicata il 29/09/2022, così provvede:

1) rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

2) condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in € 5.809,00 per compenso professionale, oltre 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge;

Dichiara che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma I- quater, del D.P.R. n. 115/2002 a carico di parte appellante.

Firenze, 16.4.2025 Il Consigliere relatore ed estensore dott. NOME COGNOME Il Presidente dott. NOME COGNOME Nota

La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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