R.G. n. 739/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE TERZA CIVILE nelle persone dei magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente – Dott. NOME COGNOME Consigliere – Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere relatore – riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._1344_2024_- N._R.G._00000739_2023 DEL_08_11_2024 PUBBLICATA_IL_11_11_2024
nella causa d’appello avente ad
oggetto: Arricchimento senza causa.
Proposta da:
(C.F. , in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Piombino (LI), INDIRIZZO ai fini del presente procedimento elettivamente domiciliata in Genova, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOMEC.F. ) che la rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto d’appello;
-Appellante -contro- (C.F. ), nata a Carrara (MS) il 7 maggio 1953 e (C.F. ), nato a Barga (LU) il 28 aprile 1926, residenti in Genova, in proprio e quali eredi di elettivamente domiciliati in Genova, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME.COGNOME. e dell’avv. NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE.F. ) che li rappresentano e difendono giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello;
C.F. C.F. C.F. C.F. C.F.-per la riforma- della sentenza n. 225/23 del Tribunale di Genova, pubblicata in data 30.01.23.
Conclusioni delle parti:
Per l’Appellante:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Genova, previa sospensione – con provvedimento da emettersi inaudita altera parte e/o a seguito di fissazione di apposita udienza di comparizione delle parti – dell’esecutività della sentenza impugnata, ed in riforma della medesima:
-in via principale, rigettare le domande tutte formulate ex adverso formulate poiché infondate i n fatto ed in diritto, nonché sfornite di prova;
Con vittoria di spese e compensi professionali dei due gradi di giudizio”.
Per gli Appellati:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte, nel merito, in via principale, dichiarata l’inammissibilità delle produzioni avversarie effettuate in grado di appello, respingere l’appello ex adverso proposto perché infondato in fatto ed in diritto;
sull’appello incidentale, riconoscere e dichiarare che avesse diritto a ricevere ed abbia in effetti ricevuto presso la struttura *** RAGIONE_SOCIALE prestazioni prevalentemente sanitarie, mediche infermieristiche e riabilitative inscindibili alla assistenza tutelare ed alberghiera e, conseguentemente:
– dichiarare che nulla era dovuto da e dagli odierni attori, in proprio e nella qualità, per il ricovero della prima presso la residenza geriatrica protetta *** di Genova;
– dichiarare la nullità per mancanza di causa e comunque perché contrario a norme imperative ex art. 1418 c.c. dell’impegno assunto e/o sottoscritto dagli eredi della sig.ra in proprio e/o nella qualità, e/o dalla stessa di provvedere al pagamento della retta mensile di quest’ultima;
– dichiarare che nulla era dovuto dalla sig.ra , e/o dagli odierni attori in proprio e/o nella qualità, per il suo ricovero presso la residenza protetta *** gestita dalla convenuta per essere la stessa affetta da morbo di Alzheimer e comunque invalida al 100% con la conseguenza che la retta era integralmente a carico del Servizio Sanitario Regionale e/o Nazionale;
– dichiarare pertanto tenuta e condannare la convenuta in persona del legale rappresentante pro tempore alla restituzione della residua somma di euro 45.544,48 (o di quell’altra maggiore o minore meglio vista) in favore degli attori, in proprio e/o nella qualità, oltre interessi legali dai singoli pagamenti al saldo, dando atto che in ossequio alla sentenza di primo grado, l’appellante ha versato agli appellati la somma di euro 45.544,48, oltre spese legali così come liquidate nel giudizio di primo grado;
– con vittoria integrale delle spese e dei compensi di causa di entrambi i gradi di giudizio e di CTU e CTP del primo grado.
DI CAUSA
con atto di citazione del 07.05.2020, in proprio e nella qualità di eredi di evocavano davanti al Tribunale di Genova la avente in gestione la residenza geriatrica protetta*** di Genova, affinché venisse accertato che la predetta (persona affetta al momento del ricovero da “demenza diabete-mellito-ansia– glaucoma-diverticolosi del colon–gonartrosi destra”) e ricoverata presso la predetta struttura dall’8 aprile 2010 fino al decesso, avvenuto in data 8 agosto 2014, aveva usufruito presso la RSA di servizi di natura sanitaria i quali, in quanto riconducibili a “prestazioni socio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria”, avrebbero dovuto gravare, in forza delle disposizioni vigenti in materia, in via esclusiva sul Servizio Sanitario Nazionale, con conseguente nullità del corrispettivo pattuito con la struttura per la degenza.
Pertanto, gli originari attori chiedevano che la società venisse condannata alla restituzione di quanto da loro versato per il ricovero di ammontante all’importo complessivo di € 91.088,75.
2.
Si costituiva in giudizio la la quale contestava le domande attoree, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione attiva degli attori ed assumendo, nel merito, che contrariamente a quanto dedotto dagli attori a sarebbero state erogate principalmente prestazioni socio-assistenziali e alberghiere, dovute alla sua mancanza di autosufficienza, senz’altro scindibili da quelle di natura squisitamente sanitaria avente una valenza, peraltro, del tutto marginale.
3.
La causa, dopo essere stata istruita documentalmente e tramite CTU medica, veniva decisa con la sentenza impugnata, con cui il Tribunale di Genova statuiva come segue:
“1. in parziale accoglimento della domanda di ripetizione, accerta e dichiara che la sig.ra ha usufruito, presso la residenza geriatrica protetta *** di Genova, nel periodo compreso tra l’8 aprile 2010 e l’8 agosto 2014, di prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di durata non limitata ed erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza di cui all’art. 3, comma 2, lettera d) del D.P.C.M. 14 febbraio 2001e, per l’effetto, dichiara tenuta e condanna la persona del legale rappresentante pro tempore, a restituire la somma di € 45.544,28 ai sigg.ri quale quota dei servizi erogati non gravante sull’utente; 2. compensa le spese di lite per la metà e, per l’effetto, dichiara tenuta e condanna la in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere ai sigg.ri residua frazione della metà delle spese di lite che si liquidano in € 393,00 per contributo unificato ed /o di trattazione, valore medio:
€ 1.806,00 Fase decisionale, valore medio:
€ 2.905,00) oltre 15% per spese generali e accessori di legge;
3. pone nei rapporti interni tra le parti gli onorari del CTU, come liquidati in corso di causa, per la metà a carico esclusivo della e per la restante metà, nella misura del 50% a carico della e nella misura del 50% a carico dei sigg.ri 4. In particolare, secondo il Giudice di prime cure:
– l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di e di sollevata dalla sarebbe stata infondata perché gli originari attori, assumendo di aver pagato un corrispettivo non dovuto per le prestazioni rese dalla controparte, non avrebbero potuto dirsi astrattamente privi della relativa legittimazione a ripetere quanto assumevano di aver indebitamente versato;
– la CTU espletata avrebbe permesso di affermare che il ricovero della de cuius non sarebbe stato strumentale esclusivamente ad un trattamento ulteriore e diverso rispetto a quello farmacologico normalmente prescritto per contenere gli effetti degenerativi della malattia di Alzheimer, di cui presumibilmente la degente già usufruiva (essendo in cura prima del ricovero, come allegato e documentato dagli originari attori, presso il competente reparto dell’ospedale San Martino di Genova);
– gli interventi forniti a sarebbero stati riconducibili agli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio, prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di cui all’art. 3, comma 2, lettera d), di durata non limitata ed erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza, con la conseguenza che il 50% di dette prestazioni sarebbero state a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
5. Con atto di citazione in appello notificato il 27.07.23, impugnava la predetta decisione, deducendo un unico, articolato, motivo con cui lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui essa aveva deciso che “(…) Per tali interventi, il 50% degli oneri economici devono gravare sull’ .
Talché il contratto, nella parte in cui pone a carico esclusivo dei due contraenti l’intera quota della retta, non facendosi minimamente riferimento alla quota coperta dall’ , si deve ritenere contra legem.
Né d’altronde la RSA nel costituirsi non ha minimamente allegato nè provato l’osservanza del criterio di riparto fissato dalla normativa sopra esposta non essendo all’uopo una generica allegazione di essersi attenuta alle Delibere Regionali Part PartIn particolare, l’appellante sosteneva che il Tribunale di Genova, dopo aver correttamente asserito che, in base alla normativa applicabile alla fattispecie in esame, il 50% della retta per il ricovero della de cuius avrebbe dovuto gravare sulla avrebbe erroneamente ritenuto: – che il contratto avrebbe posto a carico esclusivo dei due contraenti l’intera quota della retta, non facendosi riferimento alla quota coperta dalla – che la nel costituirsi, non avrebbe allegato né provato l’osservanza del criterio di riparto fissato dalla normativa.
Ed invero, secondo la tesi dell’originaria convenuta, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, il contratto all’origine della presente lite non avrebbe posto a carico dei l’intera retta, bensì la sola “retta sociale mensile, comprendente vitto, alloggio, pulizie, attività ricreative, assistenza alla persona …”, come si potrebbe anche evincere dalle fatture prodotte in prime cure dagli odierni appellati.
Inoltre, a sostegno delle proprie argomentazioni, la versava in atti le richieste mensili che, in relazione a , essa avrebbe formulato alla a titolo di quota sanitaria.
Tali documenti non sarebbero stati prodotti in primo grado poiché non vi sarebbe stata alcuna contestazione attorea circa la mera compartecipazione alla spesa da parte della de cuius.
6.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 13.11.23, si costituivano in giudizio in proprio e nella qualità di eredi di contestando le argomentazioni avversarie e, in particolare, sostenendo:
– che controparte non avrebbe mai allegato né provato, nel procedimento di primo grado, di aver richiesto al Servizio Sanitario Nazionale il 50% della retta per il ricovero di ;
che, in linea generale, essi non avrebbero mai conosciuto l’ammontare della quota realmente applicata alla e quindi non avrebbero mai saputo se la somma mensile da loro pagata corrispondesse al 100% o al 50%;
che le ricevute da loro prodotte in primo grado e riprodotte da controparte in appello, dal 01.04.2010 al 01.04.2012, non farebbero alcun cenno ad una eventuale compartecipazione e solo successivamente la citerebbero senza alcun riferimento alla percentuale applicata;
– che i documenti ex adverso prodotti con l’atto d’appello sarebbero inammissibili e, comunque, privi di rilevanza probatoria per essere stati formati dalla controparte con riferimento a fatture emesse nei confronti di e mai prodotte.
Parte Parte Parte Parte durante il ricovero, necessitasse di prestazioni di natura infermieristica e ospedaliera, non esclude comunque che – come normalmente accade nei casi del genere- la ragione del ricovero dipendesse dalla pressoché totale mancanza di autosufficienza della sig.ra che necessitava di assistenza continua per ogni suo atto della vita quotidiana (come d’altronde emerge dalla stessa CTU).
Talchè non pare possa ritenersi che le ragioni sanitarie avessero un’intensità tale da ritenere le concorrenti e non meno pregnanti esigenze socio assistenziali del tutto recessive e strumentali.
Gli interventi forniti alla sig.ra appaiono più plausibilmente riconducibili agli “interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio”, prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di cui all’art. 3, comma 2, lettera d) di durata non limitata ed erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza.
Per tali interventi, il 50% degli oneri economici devono gravare sull’ .
In particolare, i ritenevano che il primo Giudice, attingendo indebitamente a conoscenze personali e ignorando quanto osservato dal CTU, avrebbe errato nel concludere che fosse stata ricoverata non già a causa delle sue condizioni di salute, bensì in ragione della sua necessità di assistenza continua per ogni atto della vita quotidiana.
Ed invero, gli originari attori osservavano che l’esperto incaricato aveva rilevato che l’assistenza prestata a era consistita in un trattamento sanitario di tipo personalizzato e adeguato al quadro clinico in evoluzione progressivamente peggiorativa e che la de cuius, per tutto il periodo del ricovero abbia in effetti ricevuto assistenza prevalentemente sanitaria, medico infermieristica e riabilitativa personalizzata e non limitata alla semplice sorveglianza della paziente.
Inoltre, gli appellati evidenziavano che secondo la Suprema Corte (Cass. 13174/2023) e alcune pronunce di merito (Tribunale di Firenze 15.02.2023; Tribunale di Roma 12180/18; Tribunale di Monza 617/2017;
Corte d’Appello di Trieste 641/18), il malato di Alzheimer non autosufficiente ricoverato in una RSA avrebbe diritto a ricevere a prestazioni socio sanitarie integrate disciplinate dall’art. 3, comma 3, del D.lgs. n. 502/1992 in combinato disposto con il DPCM 14.02.2001, da porsi completamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale siccome avvinte alla medesima funzione sanitaria e di cura del malato.
7. Con ordinanza del 15.12.23, la Corte rigettava l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado formulata dall’appellante, non ritenendo sussistenti i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora.
Part i termini di sessanta giorni prima della predetta udienza per il deposito delle note di precisazione delle conclusioni, di trenta giorni prima della predetta udienza per il deposito delle comparse conclusionali e di quindici giorni prima della predetta udienza per il deposito delle note di replica.
9.
Con ordinanza del 25.10.24, la Corte, nella persona del Consigliere Istruttore, rimetteva la causa al Collegio per la decisione.
*** RAGIONI DELLA DECISIONE 10. L’appello principale è infondato e deve essere rigettato, mentre merita accoglimento l’appello incidentale interposto da per le seguenti ragioni.
11.
Ed invero, in via generale giova ricordare, seppur in estrema sintesi, il quadro normativo di riferimento.
L’articolo 30 della L. n. 730 del 1983 dispone che:
“per l’esercizio delle proprie competenze nelle attività di tipo socio – assistenziale, gli enti locali e le regioni possono avvalersi, in tutto o in parte, delle unità sanitarie locali, facendosi completamente carico del relativo finanziamento.
Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio- assistenziali.
Le unità sanitarie locali tengono separata contabilità per le funzioni di tipo socio- assistenziale ad esse delegate”.
L’art. 3-septies, comma 4, del D. Lgs. n. 502 del 1992 prevede quindi che:
“le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno- infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative”.
L’art. 3 del D.P.C.M. del 14 febbraio 2001 fornisce una precisa definizione delle prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria come segue:
“sono da considerare prestazioni socio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all’art. 3-septies, comma 4, del D.Lgs. n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’àmbito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario.
Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’àmbito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungo assistenza”.
In particolare, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, la “intensità assistenziale” è stabilita in base a fasi temporali che caratterizzano il progetto personalizzato, distinte in:
(a) fase intensiva, caratterizzata da un impegno riabilitativo specialistico di tipo diagnostico e terapeutico, di elevata complessità e di durata breve e definita;
(b) fase estensiva, caratterizzata da una minore intensità terapeutica, tale comunque da richiedere una presa in carico specifica, a fronte di un programma assistenziale di medio o prolungato periodo definito;
(c) fase di lungo assistenza, finalizzata a mantenere l’autonomia funzionale possibile e a rallentare il suo deterioramento, nonché a favorire la partecipazione alla vita sociale, anche attraverso percorsi educativi.
Nella Tabella attuativa dell’art. 4, comma 1, del D.P.C.M. 14 febbraio 2001 , per l’area degli “Anziani e persone non autosufficienti con patologie cronico-degenerative” e per le relative prestazioni di “cura e recupero funzionale di soggetti non autosufficienti non curabili a domicilio, tramite servizi residenziali a ciclo continuativo e diurno, compresi interventi e servizi di sollievo alla famiglia” si prevede che il criterio di finanziamento (di cui la Regione deve tener conto, ai sensi del citato art. 4, comma 1) consista nel “100% a carico del SSN” per “l’assistenza in fase intensiva e le prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva”, mentre invece prevede che “nelle forme di lungo assistenza semiresidenziali e residenziali”, si applichi il criterio del “50% del costo complessivo a carico del SSN” (con riferimento – viene precisato – ai costi riconducibili al valore medio della retta relativa ai servizi in possesso degli standard regionali, o in alternativa il costo del personale sanitario e il 30% dei costi per l’assistenza tutelare e l’alberghiera) ed “il restante 50% del costo complessivo a carico del Comune, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale”. Nell’Allegato 1.c, “Area integrazione socio-sanitaria”, al D.P.C.M. 29 novembre 2001, si premette che “per le singole tipologie erogative di carattere socio sanitario, sono evidenziate, accanto al le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale”;
e viene previsto, per il macro-livello 9. “Assistenza Territoriale Residenziale”, micro-livello “Attività sanitaria e socio-sanitaria nell’ambito di programmi riabilitativi a favore degli anziani”, che, per le prestazioni di “cura e recupero funzionale di soggetti non autosufficienti in fase intensiva ed estensiva” non vi sia deroga al criterio generale di sopportazione integrale dei costi da parte del SSN, mentre invece per quelle “terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle abilità pur non autosufficienti in regime residenziale, ivi compresi gli interventi di sollievo”, si applichi il criterio di finanziamento con il 50% dei costi a carico dell’utente o del Comune. Infine, il DPCM 12.1.2017 (“Definizione ed aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza di cui all’art. 1, comma 7, D. Lgs 30.12.1992, n. 502) all’art.30 definisce e disciplina più precisamente l “Assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti” nel modo seguente:
1. Nell’ambito dell’assistenza residenziale, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone non autosufficienti, previa valutazione multidimensionale e presa in carico:
a) trattamenti estensivi di cura e recupero funzionale a persone non autosufficienti con patologie che, pur non presentando particolari criticita’ e sintomi complessi, richiedono elevata tutela sanitaria con continuita’ assistenziale e presenza infermieristica sulle 24 ore.
I trattamenti, erogati mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle piu’ avanzate evidenze scientifiche, sono costituiti da prestazioni professionali di tipo medico, infermieristico, riabilitativo e di riorientamento in ambiente protesico, e tutelare, accertamenti diagnostici, assistenza farmaceutica, fornitura dei preparati per nutrizione artificiale edei dispositivi medici di cui agli articoli 11 e 17, educazione terapeutica al paziente e al caregiver.
La durata del trattamento estensivo, di norma non superiore a sessanta giorni, e’ fissata inbase alle condizioni dell’assistito che sono oggetto di specifica valutazione multidimensionale, da effettuarsi secondo le modalita’ definite dalla regioni e dalle province autonome;
b) trattamenti di lungo assistenza, recupero e mantenimento funzionale, ivi compresi interventi di sollievo per chi assicura le cure, a persone non autosufficienti.
I trattamenti sono costituiti da prestazioni professionali di tipo medico, infermieristico, riabilitativo e di riorientamento in ambiente protesico, e tutelare, accertamenti diagnostici, assistenza farmaceutica e fornitura dei preparati per nutrizione artificiale e dei dispositivi medici di cui agli articoli 11 e 17, educazione terapeutica al paziente e al caregiver, con garanzia di continuita’ assistenziale, e da attivita’ di socializzazione e animazione.
2. I trattamenti estensivi di cui al comma 1, lettere a) sono a carico del Servizio sanitario nazionale.
I trattamenti di lungo assistenza di cui al comma 1, lettera b) sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 50 per cento della tariffa giornaliera.
3. Nell’ambito dell’assistenza semiresidenziale, il Servizio sanitario nazionale garantisce trattamenti di lungoassistenza, di recupero, di mantenimento funzionale e di riorientamento in ambiente protesico, ivi compresi interventi di sollievo, a persone non autosufficienti con bassa necessita’ di tutela sanitaria.
4. I trattamenti di lungoassistenza di cui al comma 3 sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 50 per cento della tariffa giornaliera”.
Giova ancora ricordare che la Suprema Corte è più volte intervenuta sulla materia evidenziando che l’elemento essenziale della prestazione socioassistenziale “inscindibile dalla prestazione sanitaria” – come tale gravante interamente sul servizio sanitario nazionale – non va ravvisato nella situazione di limitata autonomia del soggetto (giacché la compromissione anche totale dell’autosufficienza è compatibile anche con la prestazioni di “mantenimento funzionale delle abilità pur non autosufficienti in regime residenziale”) – ma “nell’individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socioassistenziale” (cfr. Sez. 3 – , Ordinanza n. 28321 del 28/11/2017; Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 21528 del 27-07-2021).
12.
Tanto premesso, si osserva, quanto all’appello principale proposto da che la previsione contenuta nel contratto di spedalità del 01.04.2010, secondo cui “La retta sociale mensile, comprendente vitto, alloggio, pulizie, attività ricreative, assistenza alla persona ecc., è stabilita in Euro 1.600,00 ” non consente di ritenere provato che sapessero che a loro carico sarebbe stata soltanto la “quota sociale” relativa al ricovero della de cuius , perché l’elenco delle voci di spesa incluse appare meramente esemplificativo. 12.1.
Inoltre, come correttamente rilevato dagli appellati a pag. 6 della comparsa di costituzione e risposta, le ricevute prodotte da sub doc. c), benché contengano il sostantivo “compartecipazione”, non specificano l’eventuale percentuale applicata, ragion per cui esse appaiono prive di rilevanza probatoria rispetto alla tesi sostenuta dall’appellante principale.
12.2.
Per quanto riguarda la documentazione versati in atti dall’appellante sub doc. d), essa deve essere dichiarata inammissibile ex art. 345 c.p.c. per essere stata introdotta solo nella presente sede.3.
Si precisa che tale documentazione non può stimarsi ammissibile per il solo fatto, affermato dall’appellante, per cui, nel procedimento di prime cure, non vi sarebbe stata “alcuna contestazione attorea circa la mera compartecipazione alla spesa da parte della Sig.ra (pag. 5 dell’appello), giacché l’unica deroga contemplata dall’art. 345 c.p.c. al divieto di introduzione in appello di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti consiste nella possibilità per la parte di dimostrare “di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 12/06/24, n. 16289, secondo cui “Questa Corte ha chiarito, altresì, che la formulazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. applicabile al caso in esame – a mente della quale “Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile” – pone un divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza la “indispensabilità” degli stessi, e ferma restando per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (cfr. Cass. n. 26522 del 2017, anch’essa ribadita, in motivazione, dalla menzionata, più recente, Cass. n. 29506 del 2023). 3.4.4.
Nell’odierna vicenda, quindi, l’avvenuta produzione, ad opera degli appellanti, solo in sede di gravame, peraltro addirittura contestualmente al deposito della loro comparsa conclusionale, del menzionato provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 a corredo della ivi sollevata, per la prima volta, eccezione di nullità della fideiussione da essi sottoscritta su schema ABI, risulta tardiva, nemmeno avendo gli appellanti medesimi, in quella sede o nei loro odierni controricorsi, argomentato circa la impossibilità, ad essi non imputabile, di produrla in precedenza. 3.4.5.
Né la produzione predetta potrebbe considerarsi legittima unicamente valorizzando il fatto che l’eccezione di nullità della fideiussione suddetta era stata sollevata dai soggetti oggi controricorrenti solo in appello, come, peraltro, sarebbe stato pienamente possibile, trattandosi di eccezione in senso lato.
Così opinando, infatti, oltre a sovrapporsi non correttamente il profilo della proponibilità dell’eccezione con quello dell’ammissibilità della produzione documentale, si verrebbe ad ammettere detta produzione in modo del tutto svincolato dalla verifica della impossibilità per la parte di operarla tempestivamente nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, in tal modo facendo ricorso, in sostanza, – latamente ed immotivatamente – ad un criterio di indispensabilità che, invece, non assume più rilievo nella vigente disciplina dell’ammissibilità di nuovi mezzi istruttori in appello. ”).
12.4.
Per completezza, si osserva che, in ogni caso, la documentazione de qua appare priva di efficacia probatoria, sia perché è stata formata unilateralmente dalla sia perché è stata elaborata al 50% del totale, motivo per cui non sarebbe comunque dato verificare le esatta percentuali di spettanza dei soggetti debitori delle somme per cui è causa.
12.5.
L’insieme delle suesposte considerazioni conduce al rigetto dell’appello principale.
13.
Per quanto concerne l’appello incidentale proposto da pare opportuno premettere che la Suprema Corte, nella sua giurisprudenza, anche di recente, ha affermato che “ Quanto ai soggetti affetti da morbo di Alzheimer, questa Corte, già con la decisione n. 4558/2012, seguita da numerose altre pronunce che si sono orientate allo stesso modo (cfr., senza pretesa di esaustività, tra le decisioni più recenti, Cass. 22/02/2024, n. 4752 Cass.11/12/2023, n. 34590; Cass. 4/09/2023, n. 25660; Cass. 18/05/2023, n. 13714) ha chiarito che:
“l’attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi della L. n. 730 del 1983, art. 30, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex D.P.C.M. 8 agosto 1985, art. 1, alla tutela della salute del cittadino; ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Quindi, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite “se non congiuntamente” alla attività di natura socioassistenziale, cosicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale, in ogni caso, la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni -di natura diversa- debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla “complessiva prestazione” che deve essere erogata a titolo gratuito, dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l’intervento sanitario- socio assistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all’assistito, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato” (Cass. Civ., Sez. III, 29/07/24, n. 21162).
13.1.
Nel caso di specie, la CTU medico legale ha accertato che , al momento del ricovero presso la RSA *** di Genova, era affetta da svariate patologie quali disturbo cognitivo inquadrato come demenza di tipo Alzheimer (perdita progressiva della funzione mentale caratterizzata dalla degenerazione del tessuto cerebrale), diabete mellito di tipo II, arteriosclerosi polidistrettuale, insufficienza cardiaca, glaucoma, diverticolosi colica e gonartrosi ed infine, dal.2.
Esaminate le condizioni di salute della de cuius, l’esperta nominata precisava che necessitava di assistenza a carattere sanitario e socio assistenziale e che il suo quadro progressivamente peggiorativo abbisognava di assistenza in relazione alla somministrazione della terapia medica, alla gestione della stomia, alle cure igieniche, al progressivo adattamento dell’alimentazione per compromissione della deglutizione a fronte di adeguata valutazione medica, ai trattamenti fisioterapici atti al mantenimento delle funzioni motorie progressivamente compromesse. 13.3.
La CTU, a pag. 9 della relazione finale, concludeva che tale assistenza imponeva un trattamento sanitario di tipo personalizzato e adeguato al quadro clinico in evoluzione progressivamente peggiorativa e che la per tutto il periodo del ricovero, aveva ricevuto assistenza prevalentemente sanitaria, medico infermieristica e riabilitativa personalizzata e non limitata alla semplice sorveglianza della paziente.
13.4.
Ebbene, simili condizioni, caratterizzate dalla presenza di un piano terapeutico personalizzato e da un’inestricabile commistione tra cure mediche e prestazioni di tipo alberghiero, appaiono a questa Corte sufficienti per ritenere applicabile alla fattispecie in esame l’art. 3, c. 3 del DPCM 14/02/2001 (“Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all’art. 3-septies, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza.
Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario.
Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungo assistenza”) considerato che, secondo i principi giurisprudenziali sopra ricordati, il criterio cui attenersi nell’individuazione del regime applicabile “è quello della integrazione tra le prestazioni, ovvero della unitaria ed inscindibile.5. Pertanto, l’importo di euro 91.088,75, versato da e da alla a titolo di corrispettivo per il ricovero di presso la struttura San INDIRIZZO in Genova dal 08.04.10 al 08.08.14, deve essere restituito dall’appellante agli appellati, dovendo gravare esclusivamente sul 13.6.
Conseguentemente, deve riconoscersi l’erroneità del capo della sentenza di primo grado fatto oggetto di impugnazione incidentale da parte degli appellati, in particolare per avere il Tribunale di Genova stabilito che “ Il rilievo del CTU, secondo il quale la sig.ra durante il ricovero, necessitasse di prestazioni di natura infermieristica e ospedaliera, non esclude comunque che – come normalmente accade in casi del genere – la ragione del ricovero dipendesse dalla pressoché totale mancanza di autosufficienza della sig.ra che necessitava di assistenza continua per ogni suo atto della vita quotidiana (come d’altronde emerge dalla stessa CTU). ” (pag. 5).
13.7.
Invero, come detto sopra, la CTU, nel caso di specie, ha accertato che l’assistenza ricevuta dalla ha avuto carattere prevalentemente sanitario, in un quadro caratterizzato, tra le altre patologie, dalla degenerazione delle capacità cognitive dovuta al morbo di Alzheimer.
13.8.
D’altronde, come convincentemente argomentato dagli appellati, il Tribunale di Genova, nello stabilire che “la ragione del ricovero dipendesse dalla pressoché totale mancanza di autosufficienza della sig.ra che necessitava di assistenza continua per ogni suo atto della vita quotidiana”, ha posto a base del proprio convincimento una circostanza indimostrata che non può ritenersi fatto notorio ex art. 115 c.p.c. 13.9.
Infatti, quest’ultimo, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, consiste unicamente nel “fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile, non potendo conseguentemente rientrare in tale nozione gli elementi valutativi implicanti particolari cognizioni, né le nozioni ricadenti nella scienza privata del giudice.
” (Cass. Civ., Sez. I, 13/12/22, n. 36309), sicché non può certo ritenersi tale il fatto che un ricovero presso una RSA avvenga “normalmente” per mancanza di autosufficienza e non per necessità di prestazioni di natura infermieristica e ospedaliera, tanto più nel caso di specie ove si è al cospetto di una CTU medico-legale secondo cui la de cuius necessitava sia (in maniera preponderante) di prestazioni mediche, sia di prestazioni socio assistenziali.
13.10.
In conclusione, l’appello principale è infondato mentre va accolto l’appello incidentale proposto da.
Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in base al D.M. 147/22, applicando i valori medi dello scaglione di riferimento della lite (da euro 52.001,00 a euro 260.000,00) per tutte le fasi.
15.
Si dà atto che, ai fini dell’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.p.r.
30 maggio 2012 n. 115, l’appello principale è stato integralmente rigettato.
PQM
Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria o diversa istanza, – Rigetta l’appello principale proposto da – Accoglie l’appello incidentale proposto da e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza n. 225/23 del Tribunale di Genova, pubblicata in data 30.01.23;
– Dichiara tenuta e condanna la al pagamento in favore di della somma di euro 91.088,75;
– Condanna la pagamento in favore di della somma di euro 393,00 per contributo unificato e di euro 14.103,00 a titolo di compenso per le spese di lite del giudizio di primo grado, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge, e della somma di euro 14.317,00 a titolo di compenso per le spese di lite del giudizio d’appello, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge;
– Pone a carico esclusivo di gli onorari della CTU di primo grado dott.ssa come liquidati con provvedimento del Tribunale di Genova del 01/02/2022;
Si dà atto che, ai fini dell’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.p.r.
30 maggio 2012 n. 115, l’appello principale è stato integralmente rigettato.
Così deciso in Genova, il 06/11/24.
Il Consigliere relatore dott.ssa NOME COGNOME Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.