REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI TORINO – Sezione Prima Civile – Composta dai sigg.ri Magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente:
SENTENZA N._532_2025 – N._R.G._00001335_2022 DEPOSITO_MINUTA 17_06_2025_ PUBBLICAZIONE_17_06_2025
nell’appello iscritto al n. 1335 / 2022 R.G. ;
promosso da:
(c.f. ), rappresentata e difesa dall’Avv. NOME ed elettivamente domiciliata presso il suo Studio in INDIRIZZO 10143 TORINO;
appellante contro (c.f. ), rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME NOME ed elettivamente domiciliato presso il suo Studio in INDIRIZZO 20122 MILANO;
parte appellata Oggetto: rapporti bancari – acquisto diamanti.
C.F.
CONCLUSIONI
DELLE PARTI Per parte appellante:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello, riformare la sentenza n. 653/2022 del Tribunale di Asti, Giudice dott. NOME COGNOME pubblicata il 21 settembre 2022 e notificata il 26 settembre 2022, per i motivi esposti in narrativa e, per l’effetto, previa eventuale rimessione in istruttoria della causa con introduzione di CTU tecnica diretta a verificare l’effettivo valore dei diamanti al momento dell’operazione NEL MERITO • ACCERTARE la responsabilità contrattuale della banca, sia in senso proprio (attività connesse di cui all’art. 8 D.M. 6.7.1994), sia nella declinazione del c.d. contatto sociale o comunque la responsabilità precontrattuale e/o extracontrattuale in capo a per il danno subito dalla signora , nei termini indicati in narrativa; • CONDANNARE pertanto al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi dalla signora , quantificati nella somma pari ad € 35.212,54 e/o ad altra somma ritenuta di giustizia ed eventualmente accertanda in corso di causa oltre interessi e rivalutazione a decorrere dalla data di acquisto;
• con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio”.
Per parte appellata:
“Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita, contrariis rejectis, previa ogni più ampia e opportuna declaratoria, così giudicare IN INDIRIZZO
– accertare e dichiarare l’inammissibilità dell’appello avversario ex art. 342 c.p.c., per i motivi esposti in narrativa, con ogni consequenziale pronuncia anche in punto di spese;
– accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva della in ordine alle domande avversarie per le ragioni esposte in narrativa e, per l’effetto, rigettare tutte le richieste ex adverso formulate;
– accertare e dichiarare l’inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità dell’azione risarcitoria proposta da parte attrice per carenza dei presupposti di legge;
– accertare e dichiarare la prescrizione dell’azione risarcitoria avversaria per presunta responsabilità extracontrattuale e/o precontrattuale della in ordine all’acquisto dei INDIRIZZO – rigettare in quanto infondato, per i motivi illustrati in atti, l’appello avversario e in, in ogni caso, respingere le domande tutte ex adverso formulate perché infondate, sia in fatto che in diritto, per le ragioni esposte in narrativa;
IN INDIRIZZO – accertare e dichiarare la sussistenza del concorso di colpa in capo all’appellante ai sensi dell’art. 1227 c.c., nella causazione dei pretesi danni e, conseguentemente, escludere ovvero ridurre l’entità del pagamento in favore della stessa nella misura che sarà ritenuta di giustizia in considerazione dell’entità del concorso colposo di controparte;
– nella denegata ipotesi in cui ritenga la tenuta al pagamento, a qualsivoglia titolo, di somme di denaro in favore di parte appellante, ridurre l’importo da corrispondere all’appellante secondo i criteri indicati in narrativa, tenendo in considerazione il valore delle gemme;
IN INDIRIZZO
– dichiarare inammissibili e comunque rigettare tutte le istanze istruttorie avversarie;
IN OGNI CASO:
– con vittoria di spese di lite, oltre spese generali, IVA e CPA per entrambi i gradi di giudizio.
Si rifiuta in contraddittorio su ogni deduzione, allegazione, eccezione, istanza, anche istruttoria, e domanda nuova che dovesse proporre controparte con le sue note”.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO 1. – Gli antefatti e il primo grado di giudizio.
1.1 – In data 27.03.2013 , da tempo correntista e cliente della (ora ), sottoscriveva presso la filiale di Alba una “proposta di acquisto” di diamanti per € 53.000, diretta alla RAGIONE_SOCIALE società a lei fino a quel momento del tutto sconosciuta, seguendo – a suo dire – il suggerimento di dipendenti dell’istituto di credito che l’avevano convita ad investire in pietre preziose come “beni rifugio”.
I funzionari di BPN consegnavano successivamente ulteriore documentazione relativa all’acquisto di tre diamanti per l’importo complessivo di € 53.212,51, per i quali veniva fornita ha agito nella specie come consumatore, e la circostanza è incontroversa tra le parti.
1.2 – Tra il 2016 e il 2017 la riferiva di aver appreso, tramite la stampa locale, che la *** aveva venduto, attraverso il canale bancario del , diamanti aventi valore reale molto inferiore al prezzo di acquisto e che le relative quotazioni, pubblicate periodicamente su “Il Sole – 24 Ore”, in realtà erano false;
conseguentemente, provvedeva a far valutare le pietre presso la gioielleria RAGIONE_SOCIALE di Alba il 3.12.2020 e scopriva che il loro valore si aggirava intorno ad euro 18.000, pari a circa 1/3 del prezzo pagato.
Nel gennaio del 2019 la RAGIONE_SOCIALE veniva dichiarata fallita.
1.3 dapprima, diffidava formalmente, per tramite della , il (succeduto per incorporazione alla ) al risarcimento del danno con lettera del 5.02.2019, cui rispondeva la banca il 28.03 seguente negando ogni addebito;
quindi, agiva giudizialmente contro l’istituto di credito dinanzi al Tribunale di Asti per il risarcimento del danno derivante da responsabilità per violazione degli obblighi incombenti sull’intermediario finanziario o, in subordine, la responsabilità precontrattuale e/o contrattuale e/o da contatto sociale e/o extracontrattuale della banca, in relazione alla compravendita di diamanti intervenuta tra essa attrice e la ***;
sosteneva la che la banca avesse violato il dovere di buona fede e diligenza che grava sull’intermediario finanziario in forza dell’art. 21, co. 1, lett. a), TUF, fosse incorsa in pratiche commerciali scorrette o ingannevoli ai sensi degli artt. 20-21, co. 1, lett. b), c), d) e f), 22 e 23, co. 1, lett. t), cod. consumo e, in generale, avesse violato gli obblighi derivanti da contatto sociale.
Il danno veniva quantificato in € 35.212,54, più interessi e rivalutazione, pari alla differenza tra il prezzo pagato delle pietre e il loro valore di 18.000 euro accertato tramite una propria consulenza.
1.4 – si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande avversarie:
(a) eccepiva la propria carenza di titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio, in quanto il contratto di compravendita di diamanti era stato concluso tra la , qualificato il fatto come illecito extra contrattuale, avendo parte attrice formulato la prima contestazione solo in data 2.08.2018, a fronte della proposta di acquisto di diamanti sottoscritta in data 27.03.2013 e dovendo il dies a quo decorrere, ai fini della prescrizione, dal giorno di acquisto dei diamanti;
(c) denunciava l’inapplicabilità della normativa in tema di intermediazione finanziaria, non rientrando i diamanti tra gli strumenti o tra i prodotti finanziari secondo il TUF ed essendo, invece, l’acquisto di diamanti inquadrabile nella categoria della compravendita mobiliare;
(d) sosteneva, ancora, l’inapplicabilità dello schema del c.d. contatto sociale, ed infine (e) l’errata quantificazione del danno proposta da parte attrice che, tra l’altro, non teneva conto del comportamento colposo della danneggiata.
1.5 – Con sent. n. 653/2022, pubblicata in data 21.09.2022, il Tribunale di Asti rigettava le domande di , sui seguenti rilievi:
tra l’attrice e non era intercorso alcun rapporto di intermediazione finanziaria:
i diamanti non rientrano tra i prodotti o gli strumenti finanziari, oggetto dei servizi di investimento di cui all’art. 1, co. 5, T.U.F.;
gli strumenti finanziari sono quelli elencati nella sez. C dell’all. I del T.U.F., ed inoltre, i diamanti sono beni fisicamente individuabili, e pertanto non potevano essere considerati alla stregua di strumenti finanziari.
Tali rilievi erano stati sostenuti anche dalla Nel caso di specie, non vi era stata alcuna operazione su prodotti o strumenti finanziari, né le parti avevano sostenuto di aver inteso l’operazione in senso diverso rispetto ad un investimento nell’acquisto di diamanti teso ad assicurare all’acquirente la proprietà di beni di valore che si assumeva stabile e duraturo nel tempo.
Non ricorreva, quindi, alcuna violazione, da parte del , dell’art. 21, co. 1, lett. a), T.U.F.;
aveva sottoscritto il contratto per l’acquisto delle pietre con la *** e non con , cui il contratto attribuiva esplicitamente alla banca solo il ruolo di “segnalatore”, cioè di soggetto terzo alle parti contrattuali;
solo alla *** potevano essere indirizzate doglianze relative alla compravendita, mentre andava esclusa ogni responsabilità di natura contrattuale in senso proprio in capo a l’applicazione della figura del contatto sociale era stata impiegata per regolare fattispecie nelle quali si poteva riconoscere, da un lato, un legittimo e giustificato affidamento di un soggetto nei servizi di un altro il quale non perseguiva per sé interessi divergenti da quelli Contrpossibilità di dominio e gestione degli interessi di colui che invece si affidava alla sua opera. Nel caso in esame, tuttavia, non si potevano ravvisare gli estremi per l’applicazione di tale genere di responsabilità:
non erano emersi elementi idonei a ritenere che l’attrice si fosse affidata alla convenuta per la persecuzione dei suoi interessi e questa se ne fosse incaricata, né che la banca avesse assunto l’onere di agire per contemperare gli interessi delle parti che poneva in contatto;
al contrario, l’istituto di credito aveva stretto un vincolo contrattuale con una soltanto delle parti poste in contatto e, a prescindere dalla precisa conoscenza dei dettagli di tale incarico in capo all’acquirente delle pietre, la circostanza era evidente alla luce delle modalità dell’acquisto, del tenore del contratto e del materiale informativo ove si menzionava la collaborazione della *** con il sistema bancario.
Nel rapporto intercorso tra l’attrice e la banca era chiaro quindi, ed esplicitamente indicato nella proposta, che la banca stessa agiva quale segnalatore su incarico della ***, con conseguente impossibilità di ritenere che l’attrice potesse attendersi dall’istituto di assumersi l’onere di curare, gestire od occuparsi dei suoi interessi e neppure l’onere di adoperarsi con la controparte contrattuale (l’***) per trovare una sintesi tra i rispettivi interessi.
La circostanza escludeva di poter accostare la situazione in oggetto a quelle per le quali era stata fatta applicazione o era stata elaborata la teoria del contatto sociale;
non si poteva ritenere che l’attrice si trovasse in posizione di debolezza rispetto alla banca e che quest’ultima fosse invece nelle condizioni di assumere una gestione completa dei suoi interessi, perché (in quanto soggetto privato che compra beni da un altro privato, ossia la ***) la era nella condizione di acquisire informazioni sulle pietre e sul relativo affare, facendole valutare ed eventualmente mettendole in vendita.
La vendita di diamanti non è un’attività tipica degli istituti di credito, non essendo le pietre nemmeno un prodotto o strumento finanziario, con la conseguenza che non si poteva ritenere che l’attrice facesse legittimamente affidamento su superiori o specifiche competenze della banca o che questa fosse in posizione migliore dell’attrice per valutare le condizioni dell’affare;
l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. del credito risarcitorio doveva essere accolta:
non essendo sorto alcun contratto tra parte attrice e parte convenuta, la fattispecie era inquadrabile nella responsabilità extra contrattuale, con conseguente prescrizione di cinque anni dal giorno in cui il fatto si era verificato.
Ai sensi dell’art. 2935 si fosse verificato al momento dell’acquisto dei diamanti (27.03.2013), essendo percepibile sin da quel momento o, al più tardi, al tempo della consegna delle pietre avvenuta il 4.04.2013.
La avrebbe, infatti, potuto rendersi conto del minor valore delle pietre consultando i listini specificamente riferiti ai beni acquistati o rivolgendosi ad uno stimatore che avrebbe potuto determinare il minor valore delle pietre sulla base dei listini dell’epoca.
La tesi dell’attrice, secondo cui il termine quinquennale doveva decorrere dal giorno nel quale l’esistenza del danno era divenuta di domino pubblico, non era accoglibile, in quanto, seguendo questa impostazione, sarebbe venuta meno la logica dell’istituto della prescrizione, cioè quella di garantire la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici.
Il diritto risarcitorio rivendicato da parte attrice si era dunque prescritto al più tardi il 4.04.2018, e cioè prima di quando era stata avanzata la prima contestazione in data 5.02.2019.
2. – L’appello di.
Le questioni preliminari.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello , sulla base di due motivi di impugnazione.
Nella citazione in appello non viene impugnata la reiezione della domanda di risarcimento ai sensi dell’art. 21, co.
1, lett. a), TUF, né viene censurata l’affermazione del Tribunale circa la inapplicabilità, nel caso di specie, della normativa in tema di intermediazione finanziaria;
il relativo capo di decisione e la stessa qualificazione del rapporto fornita dal primo Giudice come estraneo alla intermediazione finanziaria debbono, pertanto, ritenersi coperti da giudicato.
2.1 – Con il primo motivo (“errata individuazione della natura della responsabilità in capo alla ), l’appellante denuncia come errata la decisione del Tribunale di escludere la sussistenza di un rapporto contrattuale tra lei e il e/o di escludere una responsabilità da contatto sociale.
Gli argomenti del primo Giudice sarebbero smentiti dalle risultanze documentali e dal ruolo e dalle condotte concretamente poste in essere da nella vendita delle pietre, così come risultante dall’accertamento dell’AGCM con il provvedimento n. PS 10677 del 20.09.2017 – che aveva qualificato come pratica commerciale scorretta proprio la proposta di acquisto di diamanti tramite la *** fatta da funzionari di due istituti di credito, tra cui il citato provvedimento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva rilevato che tra la RAGIONE_SOCIALE e il esistevano accordi diretti alla sollecitazione e alla promozione presso la clientela della banca dell’acquisto dei diamanti della RAGIONE_SOCIALE. L’AGCM ha chiarito che le modalità con le quali era sollecitato l’investimento in diamanti facevano leva sul rapporto consulenziale in materia di investimento offerto dalla banca ai clienti dell’istituto;
che i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela, qualora ricorressero alcuni requisiti patrimoniali e un’inclinazione ad investire, l’acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa;
che il cliente era portato ad affidarsi con fiducia all’attività di consulenza svolta dal personale degli istituti di credito, naturalmente attributario di specifiche qualifiche e competenze per le decisioni in merito agli investimenti tradizionali;
che la banca traeva un diretto vantaggio economico e commerciale dalla sollecitazione all’acquisto e dalla collocazione del prodotto.
Nella ricostruzione fornita dall’Autorità garante, quindi, vi era stata una rappresentazione parziale, ingannevole e fuorviante dell’investimento in diamanti quale “bene rifugio”, indicando il prezzo secondo “quotazione di mercato”, ma in realtà non corrispondente a tale concetto.
Nel caso in esame, inoltre, le operazioni sono state condotte nell’ambito dei rapporti e nei locali della filiale di Alba della banca (a);
la modulistica *** era presente nell’istituto ed è stata consegnata alla cliente dai funzionari dell’allora sui moduli appare l’espressa indicazione della filiale di riferimento della cliente (c);
la modulistica addirittura sarebbe stata compilata direttamente dai funzionari dell’istituto e sono stati i funzionari della banca a raccogliere le sottoscrizioni di essa appellante (d);
l’operazione è stata regolata sul conto corrente intrattenuto con la convenuta (e);
l’appellante non si occupava né aveva mai acquistato diamanti o altre pietre preziose prima di allora (f) e non si sarebbe mai spinta a comprare pietre preziose (di cui non conosceva nulla e di cui non poteva valutare vantaggi e qualità) se il loro acquisto non le fosse stato suggerito da operatori bancari dell’istituto, in cui riponeva piena fiducia (f-bis).
L’operazione di acquisto era poi stata descritta all’appellante come particolarmente vantaggiosa in quanto avrebbe potuto acquistare i diamanti ai prezzi fissati nel settembre 2012, nonostante il rialzo (solo successivamente accertato come fittizio) delle quotazioni nel frattempo intervenuto, ed il presunto vantaggio viene espressamente indicato nel modulo di acquisto compilato dagli stessi funzionari della banca.
una condotta diligente nei confronti del suo cliente a cui forniva volontariamente ed anzi suggeriva una occasione contrattuale, avrebbe dovuto informarlo di eventuali condizioni concrete di convenienza dell’investimento proposto e pertanto del prezzo incongruo dei diamanti piazzati.
Il comportamento della banca, d’altronde, sarebbe stato negligente anche nell’ipotesi in cui non fosse stata a conoscenza o non fosse in grado di valutare le reali caratteristiche del prodotto di cui al contratto concluso con RAGIONE_SOCIALE, in quanto soggetto indubbiamente maggiormente qualificato del cliente-consumatore.
2.2 – Con il secondo motivo (“errata individuazione del termine di decorrenza della prescrizione”), l’appellante richiama la giurisprudenza di legittimità per cui la prescrizione decorre dalla conoscenza effettiva del danno, e nel caso in parola, non poteva ritenersi che i clienti di fossero o anche potessero essere a conoscenza del reale valore delle pietre, pur usando la normale diligenza, e che dunque avessero contezza del danno subito;
sostenere che l’appellante avrebbe potuto conoscere il reale prezzo delle pietre collocate facendole valutare da un esperto e che pertanto avrebbe potuto rendersi immediatamente conto che le pietre valevano un terzo rispetto al prezzo corrisposto è affermazione che contrasta con la realtà della vicenda, dato che essa appellante non avrebbe avuto modo di rendersi conto dell’inganno fino a quando non ha letto sui quotidiani del provvedimento dell’AGCM.
Solo da tale data, quindi, poteva essere fatta decorrere ex art. 2935 c.c. la prescrizione.
2.3 – Sulla scorta di tali due motivi di impugnazione, ripropone le domande di risarcimento del danno, sul rilievo che, venuto meno l’ostacolo della prescrizione ed esclusa l’applicabilità della disciplina in tema di intermediazione finanziaria dal momento che l’operazione non potrebbe considerarsi contratto di investimento, né il diamante potrebbe essere considerato uno strumento finanziario, al dovrà ascriversi una responsabilità contrattuale nell’ambito del rapporto intercorso con essa appellante in relazione all’acquisto dei diamanti. La prova del pregiudizio sarebbe stata fornita con la perizia di parte, che indica il valore delle pietre era pari ad un terzo del prezzo corrisposto;
la circostanza sarebbe, in ogni caso, confermata anche nel provvedimento dell’AGCM, che indica come nella prassi, il valore dei diamanti oggetto delle negoziazioni illegali sarebbe stato di norma pari a circa il 30% del Contr.4 – ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità dell’appello in ragione della mancata indicazione da parte dell’appellante del “progetto di sentenza” alternativo rispetto a quello contenuto nella pronuncia gravata e, più in generale, per l’assenza degli specifici requisiti di contenuto previsti per l’atto d’appello dall’art. 342 c.p.c.: non sarebbero chiari i passaggi della pronuncia esattamente impugnati, non sono illustrati in modo ordinato e chiaro gli asseriti profili di illegittimità/scorrettezza della sentenza in relazione alle parti impugnate e l’appello difetterebbe di un ragionato progetto alternativo di decisione, come si potrebbe rilevare dalla semplice lettura della citazione in appello, che non è altro che una riproposizione delle difese svolte dall’appellante nel precedente grado di giudizio, ove ella invoca per lo più fatti contestati, non dimostrati o smentiti in primo grado. L’eccezione è infondata.
L’art. 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, prevede che l’appello debba essere motivato e che la motivazione debba obbligatoriamente contenere (a) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare (da intendersi nel senso di parti in senso logico della motivazione della sentenza, contro cui rivolgere le censure e gli argomenti volti ad incrinarne il fondamento:
App. Roma, 29.01.2013) e delle modifiche che vengono richieste nella ricostruzione in fatto compiuta dal primo giudice, e (b) la indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge denunciata e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
L’appellante non deve necessariamente introdurre argomenti nuovi, ma può limitarsi ad invocare una nuova valutazione delle difese svolte in primo grado, pur se disattese in maniera motivata dal primo giudice, in quanto ovviamente nell’atto introduttivo della fase di gravame vengano contrapposte alle argomentazioni del giudicante di prime cure le diverse argomentazioni dello stesso appellato, il cui contenuto possa confutarne il fondamento logico-giuridico.
Operando un raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto che contiene il gravame, la citazione in appello di propone senz’altro degli elementi in chiave critica in grado di permettere a questo Giudice di appello di rivedere la decisione sottoposta al suo esame, posto che alle dettagliate argomentazioni del Tribunale, anche in rapporto agli argomenti spesi dalle difese, vengono comunque opposti dall’appellante degli argomenti logico-giuridici che, a prescindere dalla loro fondatezza, consentirebbero in astratto di confutare l’impianto motivazionale del Giudicante. – L’esame dei motivi di impugnazione.
I due motivi di impugnazione meritano di essere esaminati congiuntamente.
3.1 – In generale, nelle vicende relative all’acquisto di diamanti da RAGIONE_SOCIALE s.p.a. da parte di clienti degli istituti di credito come forma di investimento, sulla base di un apposito accordo commerciale tra essa società venditrice e le singole banche che riconosceva a queste ultime una provvigione per ogni operazione andata a buon fine (vicende esaminate dal provvedimento dell’AGCOM n. PS 10677 del 20.09.2017), la Corte d’Appello di Firenze, con sent. 13.05.2024, n. 830, in Giur. It. , 2025, 2, 340, ha ricostruito la responsabilità della banca in termini di responsabilità da “contatto sociale”:
dove il contatto sociale “qualificato”, come categoria residuale in assenza di rapporto contrattuale, si riscontra (cfr. Cass., Sez. Unite, 21.05.2018, n. 12.477) “ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto”.
Così la massima della Corte fiorentina:
“In una compravendita di “diamanti da investimento” segnalata da una banca ad un proprio cliente e conclusa tra quest’ultimo e una società terza, il contatto sociale qualificato tra l’istituto di credito e il compratore-consumatore è fonte di doveri di protezione e informazione, riconducibili al principio solidarista di cui all’art. 2 Cost., la violazione dei quali, unitamente all’inosservanza degli obblighi di buona fede e correttezza sanciti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., determina la responsabilità in capo all’istituto medesimo”. Allo stesso modo si è espressa questa Corte con la sent. n. 513/2025 dell’11.06.2025, pagg. 15-17:
“Il Giudice di primo grado, nel delineare il titolo di responsabilità dell’Istituto di credito, si è correttamente conformato al provvedimento dell’AGCOM ed ha individuato, nel caso di specie, la responsabilità della da cosiddetto “contatto sociale qualificato”, il quale comporta una responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c., pur in assenza di un vincolo negoziale stricto sensu.
La serialità della materia controversa ha comportato lo svilupparsi di una copiosa giurisprudenza in merito, la quale è conforme nel rilevare una responsabilità solidale tra gli Istituti di credito e la società RAGIONE_SOCIALE e, specificatamente, una responsabilità contrattuale in capo alla … ricostruzione fattuale … è pienamente conforme alle numerose ipotesi verificatesi in quegli anni e per le quali la giurisprudenza di merito ha, sin dal principio, ravvisato una responsabilità contrattuale in capo agli Istituti di credito (ex multis, Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 3015/2023 e Corte d’Appello di Bologna, sentenza n. 1541/2024). Nelle vicende accertate dal provvedimento dell’AGCOM del 20.09.2017, nelle quali rientra la controversia in oggetto, è documentalmente provato come la Banca abbia ricoperto, nell’intero corso delle trattative di acquisto dei diamanti, un ruolo fondamentale di intermediario, al fine di garantire la promozione e la distribuzione dell’investimento.
Tale ruolo, tuttavia, è stato svolto violando gli obblighi informativi e di protezione garantiti dal rapporto contrattuale intercorrente tra la e il proprio cliente:
l’informativa fornita dal consulente finanziario non solo era carente e non sufficientemente specifica, ma si è poi rivelata del tutto inattendibile, in quanto contenente resoconti fittizi circa l’andamento del valore dei beni acquistati.
In ogni caso, è ravvisabile in capo alla parte appellata anche una violazione del più generale obbligo di buona fede oggettiva, il quale – essendo un principio solidaristico di derivazione costituzionale – rappresenta un dovere giuridico autonomo rispetto agli obblighi contrattuali (…) Non rileva … l’eccezione sollevata dalla parte appellata, secondo cui difetterebbe in capo alla la legittimazione passiva nella controversia in esame, essendo i contratti di compravendita intercorsi tra il cliente e la società RAGIONE_SOCIALE Le doglianze del danneggiato in questa sede, invero, non concernono i singoli contratti di acquisto dei diamanti, bensì riguardano la violazione degli obblighi informativi e di protezione da parte della Banca, i quali hanno comportato una lesione del legittimo affidamento ingeneratosi nel cliente, sulla base del consolidato rapporto fiduciario tra le parti.
È pacifico che la società RAGIONE_SOCIALE sia l’effettiva venditrice dei diamanti e che la non sia parte contrattuale della compravendita;
tuttavia, il danno lamentato in questa sede concerne un momento antecedente l’acquisto, verificatosi sulla base della condotta della 3.2 – In effetti, ricorrono gli estremi di un “contatto sociale” tutte le volte che vengano ad instaurarsi tra due o più consociati delle relazioni socialmente o giuridicamente qualificate, in grado di generare, pur in assenza di un valido vincolo contrattuale, un dovere di correttezza e di protezione identici a quelli previsti dagli artt. 1173 e 1375 c.c. ed un ritenere alla stregua di relazione giuridicamente qualificata la relazione che si instaura tra la banca e il cliente nell’ambito di un’attività di pubblicizzazione e conclusione di contratti di acquisto di diamanti nei locali dell’istituto, accompagnata dall’esistenza di un accordo con il venditore per il riconoscimento di una provvigione da corrispondersi per la segnalazione nelle ipotesi di compimento della vendita, si è ricondotto tale condotta della banca alle “attività connesse” alla pratica bancaria ai sensi dell’art. 10, co. 3, TUB, pur se tale attività risulti chiaramente autonoma rispetto all’operazione di cessione delle pietre preziose, e dunque riconoscendo che la relazione tra banca e cliente rimane distinta da quella tra il venditore e il compratore dei diamanti. In questo modo, la posizione della banca per “attività connesse” all’attività bancaria vera e propria ex art. 10, co. 3, TUB diviene fonte di una obbligazione contrattuale dell’istituto, cui è collegato un obbligo di adempiere secondo buona fede e correttezza.
Così il Trib. Verona 23.05.2019, in Foro It. , 2019, 1, 10, 3337:
“Posto che la commercializzazione di diamanti, promossa da un istituto di credito operante quale intermediario del venditore, pur non integrando un investimento di natura finanziaria, può considerarsi un’attività connessa a quella bancaria, incorre in responsabilità contrattuale, per violazione degli obblighi di informazione e di protezione, la banca che abbia promosso e favorito l’acquisto degli anzidetti preziosi, senza segnalare al proprio cliente gli elementi utili a consentirgli di cogliere la non convenienza dell’operazione”. Tale ultima posizione risulta conforme a quanto a suo tempo affermato dalla Banca d’Italia nel parere riportato a pag. 10, punto 38, del citato provvedimento del 20.09.2017 dell’AGCOM:
la Banca d’Italia, in risposta ai quesiti sollevati nel 2010 da una società attiva nella commercio e compravendita dei diamanti in relazione alla possibilità che le banche vendessero diamanti per proprio conto, ha ritenuto che le attività svolte dalle banche in relazione alla vendita dei diamanti (e consistenti nel divulgare alla clientela il materiale informativo, profilare e valutare la propensione al rischio della clientela interessata, raccogliere gli eventuali ordini e ricevere i pagamenti) fossero “connesse a quella bancaria” ai sensi dell’art. 10, co. 3, d.lgs. 385/93 (‘‘Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonchè attività connesse o strumentali”). In altro modo, si è ritenuto di poter ricomprendere l’attività compiuta dalla banca nella compravendita di diamanti nella nozione di “pratica commerciale” tra professionisti e e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori’’ – onde riconoscere ugualmente la preesistenza di un’obbligazione di fonte legislativa (art. 1173 c.c.) della banca stessa rispetto al cliente, che gli impone di salvaguardarne gli interessi rispetto alla (distinta) operazione negoziale di acquisto dei preziosi ed il cui inadempimento determina una responsabilità di tipo contrattuale (id est, da violazione di una preesistente obbligazione), con la conseguente applicazione della prescrizione ordinaria decennale. 3.3 – Ora, gli elementi che emergono dagli atti circa la condotta del nel caso concreto (a prescindere dall’assenza di una capitolazione di prove orali da parte della ) convergono nel ritenere una responsabilità di essa banca da contatto sociale, non avendo provveduto a salvaguardare, in quella particolare circostanza e per la sua posizione di operatore qualificato, l’interesse del cliente nell’operazione, da questi compiuta, di acquisto dei diamanti.
Ed infatti:
(a) tra *** e era stato stipulato un accordo di collaborazione (doc. 1 fasc. primo grado) in forza del quale l’istituto di credito – pur restando estraneo alla cessione dei preziosi – avrebbe messo a disposizione, nei propri locali, materiale divulgativo *** che illustrava il possibile investimento, avrebbe destinato le sue sedi alla conclusione degli acquisti tramite modulistica *** provvedendo inoltrare gli ordinativi alla società venditrice e le eventuali proposte di rivendita, ottenendo in cambio una commissione per le operazioni andate a buon fine; (b) il contratto per cui è causa (circostanza non controversa) è stato concluso nei locali della filiale di Alba dell’allora , su moduli *** offerti dalla banca e con successiva consegna delle pietre presso la filiale della banca (doc. 2, 3 e 4 fasc. primo grado) e pagamento mediante addebito sul conto della cliente acceso presso BPN;
(c) la stessa banca riconosce, nei propri scritti difensivi (pagg. 15-16 della comparsa in appello), di avere assunto il ruolo di “segnalatore” sulla base dell’accordo-convenzione con *** (definito, a sua volta, “contratto di segnalazione”), intendendo per “segnalatore” il soggetto, persona fisica o persona giuridica, che per ragioni personali o di lavoro entra in contatto con soggetti potenzialmente interessati a compiere degli investimenti, con la possibilità di indirizzare i propri contatti verso soggetti che possono soddisfare le loro necessità, evidenziandone i pregi; (d) l’intervento come “segnalatore” è stato svolto da nei confronti di un cliente ultra decennale che mai prima di allora NOME COGNOME tutto ragionevole ritenere che la scelta della di acquistare pietre preziose come investimento sia stata suggerita o quanto meno orientata da dipendenti dell’istituto.
La formale estraneità di al contratto di compravendita di diamanti e la pattuizione nell’accordo con *** di una esclusione di responsabilità riguardo a tale contratto rimangono prive di rilievo per disconoscere la responsabilità da contatto sociale della banca, così come il fatto che la banca non sarebbe stata tenuta a fornire informazioni specifiche (così secondo la convenzione) sulla qualità e le caratteristiche dei pezzi acquistati:
l’attività “segnalatoria” svolta nella circostanza dalla (ora ), in rapporto al suo ruolo professionale ed alla riconducibilità di tale condotta all’attività bancaria in senso proprio (art. 10, co. 3, TUB), nonché alla pregressa relazione con la come cliente, non può non avere ingenerato un affidamento della stessa appellante sulla bontà dell’operazione che si accingeva a compiere, con conseguente insorgenza in capo alla banca di un obbligo di salvaguardia degli interessi da essa cliente perseguiti.
Del pari privo di rilievo per negare la responsabilità dell’appellata è la circostanza che, secondo il provvedimento dell’AGCOM, sarebbe stata *** ad avere determinato nella clientela la convinzione che i diamanti avessero quotazioni ufficiali, esposte nella documentazione pubblicitaria e prese a riferimento per stabilire il prezzo, quotazioni che si sarebbero poi rivelate fasulle – dato che la responsabilità (contrattuale, in base alla compravendita di diamanti) di , agli effetti di quanto previsto dall’art. 2055 c.c., con la responsabilità (contrattuale da contatto sociale, ovvero da inadempimento di una preesistente obbligazione che impone di tutelare gli interessi del cliente-consumatore) di 3.4 – La ricostruzione della responsabilità, nella specie, del alla stregua di responsabilità contrattuale da contatto sociale fa venir meno ogni problema di prescrizione, applicandosi il termine decennale ordinario – anche nel caso che esso venisse fatto decorrere dalla data dell’acquisto (marzo-aprile 2013), in rapporto al primo atto interruttivo costituito dalla lettera messa mora redatta con l’intervento della 5.02.2019). Restano, con ciò, assorbite le doglianze oggetto del secondo motivo di gravame, riguardanti la decisione del primo Giudice sulla individuazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione.
Contr punto all’esistenza di un danno risarcibile, ripropone gli argomenti già spesi in primo grado per affermare che non esiste un pregiudizio indennizzabile, o che comunque esso non è provato.
Si tratta, per gli uni come per gli altri, di argomenti non condivisibili.
4.1 – La differenza di valore reale tra le pietre acquistate come investimento e il prezzo pagato ad *** rappresenta il pregiudizio economico, come danno emergente, che è conseguito in termini di causa-effetto all’incauta o colpevole attività di “segnalazione” (come la banca stessa la definisce nelle sue difese), compiuta da (in allora ) nei confronti dell’appellante – a prescindere da qualunque connivenza o concorso doloso dell’istituto nell’operazione truffaldina messa in atto dalla società venditrice.
Non può ravvisarsi nella condotta della un contegno palesemente imprudente e negligente nella circostanza dell’acquisto, tale da poter invocare un concorso di colpa della danneggiata.
La stessa ricostruzione della vicenda, che vede una “segnalazione” dell’acquisto da parte di un soggetto altamente qualificato dal punto di vista professionale, e nel quale la cliente riponeva piena fiducia per via del rapporto ultra decennale, e le finalità perseguite dalla di investimento in prodotti ritenuti sicuri (l’entità dell’operazione non è in sé talmente elevata da suggerire una specialissima attenzione in rapporto a quella ordinariamente esigibile per i comuni investimenti finanziari) impediscono di ritenere che vi possa essere stata un’imprudenza o una negligenza dell’appellante nella conclusione dell’affare con la ***, rilevante ex art. 1227, 1° co., c.c., anche solo nel non avere interpellato un esperto prima di determinarsi all’acquisto. 4.2 – La circostanza che il abbia deciso di ammettere al passivo, in via transattiva, le domande risarcitorie degli acquirenti di diamanti in via chirografaria nella misura del 15% del valore di acquisto dei diamanti, ferma restando la restituzione dei beni, non comporta che il danno debba automaticamente essere decurtato del 15 %.
Non risulta, infatti, che la si sia insinuata al passivo di *** (anzi, la banca dice solo che l’appellante, al pari degli altri acquirenti, potrebbe chiedere ed ottenere anche dalla *** il 15 % del valore di acquisto dei diamanti, e con ciò riconosce che non vi è stata insinuazione al passivo di ***), e la prova di tale circostanza – traducendosi in un’eccezione RAGIONE_SOCIALE ’omessa insinuazione nel fallimento di *** da parte della non potrebbe neppure essere invocata come mancato intervento limitativo del danno, sanzionabile ai sensi dell’art. 1227, 2° co., c.c., se non altro perché, trattandosi di un credito al chirografo, le possibilità di realizzo di esso nella procedura concorsuale sarebbero pressochè nulle. 4.3 – Per la determinazione del valore delle pietre preziose acquistate, l’appellante ha fatto riferimento ad una stima effettuata dalla gioielleria di Alba COGNOME RAGIONE_SOCIALE in data 3.12.2020 (doc. 9), la quale, nel valutare i tre pezzi, ha utilizzato i listini RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE Diamond Report) che vengono notoriamente presi a riferimento nella contrattazione dei diamanti tagliati e che comprendono una valutazione in funzione del peso, della forma, del colore e della purezza della gemma.
Il solo fatto che quella prodotta sia una stima di parte non impedisce che essa possa costituire fonte di convincimento del giudice, né impone per forza di cose di far luogo ad una CTU gemmologica, dal momento che qualunque elaborato di contenuto tecnico, pur se proveniente da esperti nominati dalle parti, può concorrere alla formazione del libero convincimento del giudicante;
nella specie, detta stima risulta eseguita da un soggetto terzo chiaramente esperto nel settore (quale può esserlo un gioielliere, che di professione vende preziosi) ed impiegando parametri universalmente riconosciuti e ritenuti validi anche in giurisprudenza per la stima dei diamanti (così anche questa Corte, nella sent. 513/2025 cit., pag. 16, ed ivi i richiami giurisprudenziali).
Sono infondate le doglianze di parte appellata per cui i listini RAGIONE_SOCIALE farebbero riferimento ai prezzi all’ingrosso, e non ai prezzi al dettaglio, e che non terrebbero conto della fluorescenza e della politezza delle pietre.
I listini RAGIONE_SOCIALE, pubblicati settimanalmente, vengono infatti utilizzati per stabilire i prezzi di vendita delle pietre sia dai gioiellieri (come dettaglianti) sia dai commercianti:
il listino è costituito da una tabella in cui sono riportate le quotazioni di diamanti incolori tabulate in base alle cosiddette 4C, ossia caratura, colore, taglio e purezza.
Le spese per commissioni sull’acquisto costituiscono pur sempre una voce di danno, corrispondendo ad un esborso che altrimenti la non avrebbe sostenuto;
esse, quindi, non vanno detratte nel calcolo del danno risarcibile (si dovrà, cioè, partire dalla spesa complessiva di € 53.212,51, addebitata sul conto dell’appellante l’11.04.2013).
Sebbene la “proposta di acquisto” non menzioni l’IVA, si tratta di operazioni imponibili ai aggiunto all’ipotetico prezzo, indicato nella perizia di parte sub doc. 9, cui correttamente le pietre avrebbero dovuto essere vendute.
4.4 – La valutazione effettuata dalla gioielleria RAGIONE_SOCIALE da prendere a riferimento risale al dicembre 2020.
Al riguardo, parte appellata si è limitata a denunciare la sostanziale impossibilità di pervenire ad una stima corretta del danno per via del fatto che le pietre preziose subiscono delle oscillazioni nel tempo del loro valore di mercato, di talchè risulterebbe impossibile quantificare con esattezza la minusvalenza verificatasi nel patrimonio della acquirente;
non ha, tuttavia, in alcun modo anche solo allegato che il prezzo attuale dei diamanti sia inferiore rispetto a quello del 2020, così che l’utilizzo di una stima risalente a cinque anni addietro – secondo quanto richiesto dalla danneggiata – venga a penalizzarla nella quantificazione del danno.
E’ chiaro, del resto, che l’oscillazione nel tempo dei valori di mercato del bene da cui deriva il pregiudizio risarcibile non impedisce la liquidazione del danno, che dovrà essere operata al momento della sentenza di condanna che trasforma il debito risarcitorio di valore viene trasformato in un debito di valuta.
Piuttosto, per calcolare la differenza su valori temporalmente omogenei, occorrerà rivalutare i 53.212,51 euro (pari alla spesa effettuata, al lordo delle commissioni) alla data della stima delle pietre, attualizzando in tal modo l’esborso complessivo, per i soli diamanti con IVA, al 3.12.2020.
4.5 – I calcoli sono i seguenti:
€ 53.212,51 pagati ad aprile 2013, attualizzati al 3.12.2020, data della stima di parte = € 54.542,82;
la somma è già da ritenersi comprensiva di IVA, per quanto sopra;
€ 18.000, stimati dalla RAGIONE_SOCIALE + IVA al 22 % = € 21.960;
€ 54.542,82 – € 21.960 = € 32.582,82.
Sulla predetta cifra di € 32.582,82, determinata alla data della stima (unico dato disponibile sul valore del bene) e che cristallizza il danno da differenza di valore al 3.12.2020, vanno applicati gli interessi e la rivalutazione fino alla data di questa sentenza (rectius:
al 30.04.2025, a quando risale l’ultimo dato ISTAT disponibile), che trasforma il debito (risarcitorio) di valuta in debito di valore;
sul debito di valuta reso attuale, pari ad € 42.227,63, decorrono infine gli interessi di pieno diritto ex art. 1284, 1° co., c.c. ’appello, per concludere, deve essere accolto, con condanna del risarcimento del danno attualizzato alla data di deposito della presente decisione di € 42.227,63, oltre a interessi ex art. 1284 c.c. dal deposito della sentenza fino al saldo effettivo.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, come per legge;
esse vanno liquidate nei medi tariffari, esclusa, per questo grado d’appello, la fase istruttoria/trattazione, non svoltasi.
La Corte d’Appello di Torino, Sezione prima civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da contro avverso la sent. n. 653/2022 emessa il 21.09.2022 dal Tribunale di Asti, con atto di citazione notificato in data 24.10.2022:
a) in totale riforma della sentenza appellata, condanna al risarcimento del danno in favore di , che liquida in € 42.227,63, attualizzati alla data di deposito della presente sentenza, oltre ad interessi ulteriori ex art. 1284, 1° co., c.c. dalla data di deposito fino al saldo effettivo;
b) liquida integralmente le spese del primo grado di giudizio in € 7.616, oltre IVA, CPA e rimb. forfet. come per legge e oltre a c.u. come in atti;
c) liquida integralmente le spese del secondo grado di giudizio in € 6.946, oltre IVA, CPA e rimb. forfet. come per legge e oltre a c.u. come in atti;
d) condanna alla rifusione delle spese processuali del primo e del secondo grado di giudizio in favore di , liquidate come ai punti precedenti.
Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 13/06/2025.
Il Presidente Il Consigliere Est.
Dott.ssa NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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