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astratto

L’astrattezza è il carattere della norma giuridica che non fa riferimento a singole fattispecie concrete, passate o future, ma ad una classe di fattispecie (una fattispecie astratta) ed è, quindi, applicabile ad una pluralità indeterminata di casi, ogniqualvolta la fattispecie concretamente verificatasi possa essere ricondotta alla fattispecie astratta. Si pensi ad una norma che punisce l’omicidio, la quale si riferisce ad una classe di fattispecie (tutti gli omicidi), non ad una fattispecie concreta (l’uccisione di Tizio). È astratta la norma che possiede tale carattere, concreta quella che non lo possiede. L’astrattezza della norma è collegata alla generalità, sebbene possano esistere norme astratte ma non generali e norme generali ma non astratte. L’una e l’altra rispondono ad una triplice esigenza: ovviare all’impossibilità pratica per l’ordinamento di prevedere tutte le possibili combinazioni e varianti che si possono verificare nella realtà; assicurare la certezza del diritto, prevedendo compiutamente a priori le regole cui i soggetti si debbono attenere; assicurare uniformità di disciplina e, quindi, parità di trattamento. Vi possono essere diversi gradi di generalità ed astrattezza: il massimo grado di generalità è raggiunto dalle norme che si rivolgono a “chiunque”, il massimo grado di astrattezza da quelle che si riferiscono a “qualunque fatto” (si pensi all’art. 2043 del Codice civile italiano: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”). Le norme che presentano il massimo grado di generalità e astrattezza sono dette di diritto comune o generale, in contrapposizione alle norme di diritto speciale che delimitano la classe dei soggetti cui si rivolgono o dei fatti cui si riferiscono, sottraendoli all’applicazione del diritto comune (si noti che anche queste norme sono generali ed astratte, ma tale carattere è circoscritto entro la classe dei soggetti o fatti da esse delimitata). Un tempo si riteneva che l’astrattezza, assieme alle generalità, fosse carattere essenziale della norma giuridica. Oggi, invece, una diffusa impostazione teorica, risalente ad Hans Kelsen, ritiene che l’esercizio di un potere si risolva sempre nella produzione di una norma giuridica, sia quando si estrinseca in atti normativi, quelli che rientrano tra le fonti del diritto (costituzione, legge, regolamento ecc.), sia quando si estrinseca in altri atti precettivi, quali sono i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali ed i negozi giuridici di diritto privato, solo che, nel secondo caso, le norme prodotte non hanno i caratteri di generalità ed astrattezza che presentano invece le norme prodotte dalle fonti del diritto. Peraltro, anche atti formalmente normativi possono in certi casi contenere norme non generali ed astratte: ne è un esempio la cosiddetta legge-provvedimento, legge meramente formale priva di contenuto normativo. Il concetto di astrattezza sopra definito è quello comunemente accolto in dottrina; va comunque ricordata la concezione alternativa di Riccardo Guastini, il quale considera astratta la norma che si riferisce ad una fattispecie o ad una classe di fattispecie future e, quindi, non già verificatesi; in questo senso, astrattezza significa non retroattività. D’altra parte, anche a prescidere da questa concezione, è indubbio che, come afferma Gustavo Zagrebelsky, «l’astrattezza … è nemica delle leggi retroattive, necessariamente “concrete”».

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