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Mancanza di prove quanto alle movimentazioni del conto

Mancanza di prove quanto alle movimentazioni del conto, contrapposte domande della banca e del correntista.

Pubblicato il 06 September 2022 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
in nome del popolo italiano
TRIBUNALE ORDINARIO di TRANI

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1249/2022 pubblicata il 23/08/2022

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1194/2018 promossa da:

XXX (C.F.)

YYY (C.F.)

ZZZ (C.F.)

ATTORI contro

KKK S.P.A. (C.F.)

 

CONVENUTO

JJJ SPV SRL (C.F. 05111630264), con il patrocinio dell’avv.;

INTERVENUTO CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

Motivi della decisione.

Con atto di citazione ritualmente notificato, la XXX, YYY e ZZZ proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 65/2018, notificato il 12 gennaio 2018 – 15 gennaio 2018, tramite il quale si ingiungeva alla XXX, alla Sig.ra YYY ed al Sig. ZZZ, quest’ultimi nella loro qualità di fideiussori della predetta ditta individuale, di pagare la somma di € 197.569,10, oltre interessi convenzionali di mora a far data dal 1°.09.2017.

A fondamento dell’opposizione, contestavano:

– la violazione degli artt. 117, 118 e 120 del T.U.B., nonché la violazione della condizione di reciprocità per la capitalizzazione degli interessi a debito e a credito della correntista disposta dalla delibera C.I.C.R. del 09/02/2000;

– l’applicazione da parte della Banca di valute, commissioni, spese ed interessi mai pattuiti ed accettati, con sottoscrizione della correntista;

– la mancanza di pattuizioni in merito agli addebiti operati sul conto corrente, per un totale di euro 127.891,44, a titolo di interessi e competenze relativi alle operazioni di anticipo e presentazione fatture, determinanti, a loro volta, un ulteriore effetto anatocistico;

– l’applicazione, durante il rapporto di c/c, di un tasso effettivo globale medio annuo nettamente superiore al tasso soglia usura;

– l’applicazione, da parte della Banca, anche in seguito alla messa in sofferenza del conto, di un tasso di mora superiore alla soglia usura, come risultava dalla perizia tecnico-contabile di parte allegata, recante un saldo creditore positivo in favore della XXX s.r.l. pari ad Euro 109.788,06.

Nel merito, formulavano quindi le seguenti conclusioni:

“…. in accoglimento della presente opposizione, revocare e porre nel nulla, poiché infondato in fatto e in diritto, il decreto ingiuntivo n. 65/2018, emesso dal Tribunale di Trani, ottenuto dal KKK S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, in danno degli odierni opponenti in forza di quanto esposto in narrati-va, della documentazione prodotta e delle risultanze processuali, dichiarando, altresì, insussistente il credito di €. 197.569,10 oltre interessi convenzionali di mora dal 01.09.2017, azionato dall’istituto di credito opposto nei confronti degli odierni atto-ri-opponenti; in via riconvenzionale accertare e dichiarare con riferimento al rapporto di conto corrente n. 1000/4888 (già n. 27/4493) intestato alla Ditta XXX, per il periodo compreso tra il 22.09.1998 ed il 31.08.2017, l’inefficacia dell’addebito in c/c di tassi d’interesse debitori non dovuti, in considerazione dell’illegittima capitalizzazione trimestrale di quelli rinvenienti dall’apertura di credito e dal conto anticipi ivi inclusa quelli derivanti dall’operazione di presentazione n. 2791038236 del 05.12.2013;

riconoscere, accertare e dichiarare, l’invalidità quanto meno a titolo di nullità parziale ovvero inefficacia, del rapporto di conto corrente in contestazione, e degli altri ad esso connessi, in relazione alla determinazione e applicazione degli interessi debitori ultralegali ovvero di tassi d’interesse diversi e maggiori di quelli convenuti – poiché non pattuiti-, nonché in relazione alla previsione ed applicazione dell’interesse anatocistico per la chiusura trimestrale dei saldi debitori, all’applicazione della commissione di massimo scoperto, degli interessi per i c.d. giorni valuta, dei costi, competenze, spese e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese; così come per l’illegittimo addebito sul conto corrente ordinario n. 1000/4888 (già n. 27/4493) intestato alla intestato alla Ditta XXX degli interessi relativi all’apertura di credito, autonomamente collegato al conto corrente per cui è causa, del quale la Banca non ha prodotto né la documentazione contabile né quella contrattuale; nonché per l’illegittimo addebito degli interessi, spese e commissioni applicati autonomamente sul conto anticipi e sull’ dall’operazione di presentazione n. 2791038236 del 05.12.2013, in difetto di pattuizione scritta e senza autorizzazione da parte del Correntista, così come la nullità dello jus variandi a favore dell’Istituto di credito tanto per le condizioni normative che per quelle economiche in quanto arbitrariamente applicati dalla Banca seppur mai correttamente e legittimamente convenute e pattuite; accertata e dichiarata che il saldo del conto corrente n° 1000/4888 (già n. 27/4493) intestato alla intestato alla Ditta XXX, così come azionata dalla Banca opposta, era apparente e non reale in quanto risultato – erroneo – di illegittime operazioni bancarie dovendo lo stesso essere determinato alla stregua delle previsioni normative in materia via via applicabili ratione temporis e comunque depurati dei costi non dovuti quali, C.M.S., le spese, gli interessi per valuta, e di ogni altra competenza o diritto arbitrariamente riconosciutosi ed applicati dalla Banca opposta ivi incluse tutte le spese, commissioni ed interessi relative al conto anticipi e alle operazioni di presentazione n. 2791038236 del 05.12.2013 innanzi indicate; accertare e dichiarare che il KKK S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, nella gestione del conto corrente n. 1000/4888 (già n. 27/4493) ha messo in atto dei meccanismi di occultazione dei costi così violando il principio della buona fede contrattuale e della trasparenza bancaria; accertare e dichiarare che il KKK S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, nella gestione del conto corrente n. 1000/4888 (già n. 27/4493) non si è attenuta alle norme codicistiche e alla L. n. 108/96 applicando al conto corrente in esame un tasso d’interesse superiore alla soglia usuraia nella maggioranza dei periodi trimestrali individuati specificatamente nella narrativa del presente atto;

per l’effetto condannare l’opposta, nella qualità in atti, al rispetto delle norme vigenti in subiecta materia e perciò stesso alla rivisitazione ab imis del rapporto e quindi alla corretta determinazione del saldo finale; dichiarare non dovute dagli opponenti tutte le somme addebitate dalla Banca in forza di clausole nulle, inefficaci e/o illegittime e/o in assenza di specifica pattuizione; dichiarare non dovute le somme percepite dalla Banca a tale titolo; accertare e dichiarare che non sussiste un debito a carico degli opponenti, per i motivi innanzi esposti, per €. 197.569,10 ma al contrario un credito, in favore della Ditta XXX nella misura di €. 109.788,06 in forza del rapporto di c/c n. 1000/4888 (già n. 27/4493) acceso presso il KKK S.p.A. o di quell’altra maggiore o minore che verrà accertata in corso di causa a seguito di espletanda consulenza tecnica d’ufficio che sin da ora si richiede; accertato e dichiarato il reale ammontare del debito dopo la compensazione tra i crediti ed i debiti di ciascuna parte; Accertare e dichiarare la responsabilità precontrattuale e contrattuale della banca per violazione degli obblighi di buona fede, lealtà, salvaguardia dell’informazione richiesti in tali rapporti bancari anche in relazione alla illegittima segnalazione a sofferenza dei nominativi degli opponenti presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, dichiarando sussistente in capo all’Istituto di credito la relativa colpa professionale ex art. 2236 c.c.; condannare l’opposta al pagamento delle spese, competenze ed onorari del giudizio da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore dichiaratosi antistatario”. Si costituiva il KKK s.p.a., che respingeva gli addebiti formulando preliminarmente eccezione di prescrizione di ogni diritto di ripetizione di indebito con riferimento agli interessi, competenze, remunerazioni e spese a vario titolo addebitate sui rapporti di conto corrente e conto anticipi per cui è causa, a far data dalla loro accensione sino alla chiusura, in quanto pagati mediante rimesse solutorie effettuate dalla correntista sino alla chiusura, in data 22/6/2015; nel merito, evidenziava – quanto alla asserita nullità del contratto quadro di accensione del conto corrente in data 22/9/1998, in quanto sottoscritto dal solo Storelli Giuseppe, nella qualità di rappresentante della ditta individuale XXX, che la censura era del tutto destituita di fondamento, alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite n. 898/2018; quanto al mancato rispetto della condizione di reciprocità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi disposta dalla delibera C.I.C.R. del 9/2/2000, esponeva che la Banca, all’indomani del revirement della Corte di Cassazione in tema di anatocismo bancario, aveva adeguato la modulistica, sottoponendola alla clientela, *** compresa, così variando la clausola contenuta nel contratto originario di conto corrente; quanto alle variazioni operate unilateralmente dalla Banca delle condizioni contrattuali del rapporto bancario, esponeva che il contratto di conto corrente riconosceva espressamente la facoltà della Banca di modificare unilateralmente le condizioni da applicarsi al rapporto (c.d. ius variandi); che tale clausola risultava sottoscritta dalla correntista, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1341 c.c.; che le clausole anatocistiche preventive contenute nei contratti di conto corrente (art.2) e nei mutui (art. 3) stipulati dal 22/4/2000 in poi, data di entrata in vigore di detta legge, erano valide ed efficaci purchè: fossero espressamente indicati la periodicità di capitalizzazione degli interessi ed il tasso di interesse applicato, anche sotto forma di TAE – tasso annuo effettivo – che tenesse conto dell’anatocismo; nel singolo conto corrente fosse stabilita la stessa periodicità del conteggio degli interessi creditori e debitori; fossero specificamente approvate per iscritto dal cliente. Nella specie, era provato documentalmente che il contratto di conto corrente di corrispondenza n. 27/4493 era stato acceso per iscritto in data 22/9/1998, era formalmente corretto ed adeguato alla normativa bancaria in vigore, e conteneva tutte le indicazioni volte a conoscere le condizioni economiche che ne regolavano lo svolgimento; successivamente, veniva adeguato anche alla citata delibera CICR; quanto alla usura sopravvenuta, la Suprema Corte aveva sancito l’irrilevanza della c.d. “usura sopravvenuta”, per cui era irrilevante che, nel corso del rapporto, il tasso di interesse applicato dalla banca avesse superato il tasso soglia vigente per effetto della fluttuazione dei valori di riferimento; quanto alla C.M.S., la Suprema Corte aveva affermato la legittimità della commissione di massimo scoperto applicata dalle banche fino al 31 dicembre 2009, aggiungendo che non andava conteggiata nella verifica del rispetto delle soglie usure; eccepiva infine la prescrizione e la decadenza di cui agli artt. 1832 c.c. e 119, 3° comma, d.lgs. n. 385/1993, dal momento che la CO.ME.ST, pur avendo ricevuto periodicamente gli estratti conto, non aveva mai contestato l’applicazione della commissione di massimo scoperto ( e le “valute” applicate); era poi assolutamente indimostrato che il KKK avesse fatto ulteriore credito alla ditta individuale CO.ME.ST senza la preventiva autorizzazione dei fideiussori; la conoscenza della situazione economica della ditta appariva perfino scontata e comunque presunta in ragione dei suindicati rapporti familiari tra loro intercorrenti.

La causa veniva istruita con una C.T.U. tecnico-contabile.

Espletata la C.T.U., depositava atto d’intervento la JJJ SPV S.r.l. quale cessionaria del credito vantato dal KKK s.p.a.

Successivamente, la causa veniva rinviata all’udienza del 22.03.2022 per la precisazione delle conclusioni e, in tale sede, riservata per la decisione.

Diritto.

Va premesso che la Banca ha dedotto di essere creditrice della ditta individuale XXX, della somma di € 197.659,10, per effetto delle seguenti causali:

A) quanto ad € 167.722,68, per scoperto del conto corrente n. 1000/4888 (ex n. 27/4493), attualmente estinto e passato a sofferenza con il nr. 9501/00000461, acceso presso il KKK, filiale di Trani in data 22/9/2008, giusta certificato ex art. 50 D.Lgs. 1°/9/1993 ed estratti conto dall’apertura fino alla chiusura del 22/6/2015, per passaggio a sofferenza della somma di euro 124.806,17;

B) quanto ad € 29.846,42, per scoperto del conto anticipi su fatture n. 3800/48430, passato a sofferenza con il nr. 9522/00000459, giusta certificato ex art. 50 D.Lgs. 1/9/1993, con girosaldo iniziale del 18.6.2015.

Va altresì premesso che, relativamente al credito di euro 167.722,68 per posizione a sofferenza n. 9501/00000461, derivante dallo scoperto del conto corrente n. 1000/4888 (ex n. 27/4493) intestato alla CO.ME.ST, sia la Banca opposta che la opponente CO.ME.ST hanno prodotto tutti gli estratti conto (dall’accensione all’estinzione), completi di riassunti scalare e fogli contenenti gli elementi per il conteggio delle competenze periodiche.

Relativamente invece al credito di euro 29.846,42, per posizione a sofferenza n. 9522/00000459, derivante dallo scoperto al 18/06/2015 del conto anticipi su fatture n. 3800/48430, la Banca ha prodotto:

– la contabile di accredito – sul c/c ordinario n. 1000/4888 – del 5/12/2013 di euro 55.000,00, quale anticipazione concessa sulla fattura di euro 84.727,86, scadente l’1/06/2014, al tasso debitore annuo nominale indicato (quale applicato) pari al 10,881%;

– le contabili di incasso del 30/12/2014 di euro 6.374,05 e di euro 25.532,91, a decurtazione dell’anticipazione fatture;

– il prospetto riepilogativo dell’operazione di anticipo fatture del 5/12/2013, privo di data, con evidenza del residuo anticipo di euro 23.093,04, oltre ad euro 10,33 per commissioni di estinzione, con un totale complessivo ancora dovuto di euro 23.103,37.

Con riferimento al conto anticipi, alla data del 31/08/2017, la posizione a sofferenza n. 9522/00000459, come da estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B., registra il saldo finale negativo di euro 29.846,42, a seguito delle ulteriori competenze maturate di euro 598,83 per interessi corrispettivi del II trim. 2015 (risultati conteggiati fino al 18/06/2015 al tasso di interesse nominale dell’11,981%), di euro 1.522,55 per competenze/interessi di mora anno 2015, di euro 2.839,76 per competenze/interessi di mora anno 2016 e di euro 1.781,91 quale rateo interessi di mora al 31/08/2017.

Il CTU nominato ha rilevato – in un apposito prospetto – gli importi addebitati dalla banca sul conto corrente principale a titolo di competenze per anticipazioni, risultanti pari complessivamente ad € 119.058,58, di cui € 17.537,00 riferibili al rapporto n. 8/196 ed € 101.521,58 al rapporto n. 48430. Fino al IV trimestre 2013, nessuna delle parti ha prodotto gli estratti conto e/o i fogli di conteggio degli interessi periodici collegati alle operazioni di anticipo fatture del rapporto n. 8/196 (per questo conto estinto nel 2003 il CTU ha rilevato che non è stato prodotto alcun contratto riferito a tale rapporto) e n. 48430.

Con riferimento agli interessi per anticipi fatture, addebitati dal KKK sul c/c n. 27/4493, poi divenuto n. 1000/4888 a partire dal 30/06/2003, con descrizione “compet. rapp. n. 48430 –

Liquidazione interessi Ant. Fatture”, la prima lettera contratto contenente la pattuizione degli interessi per la linea di credito per anticipi fatture risale al 23/08/2004.

Sul punto, l’esperto ha dedotto che, in mancanza degli estratti conto dei conti anticipi e/o dei prospetti di liquidazione degli interessi e/o competenze periodiche dei conti anticipi sino al 31.12.2013, non è stato possibile verificare come la Banca abbia proceduto a quantificare (fino appunto al 31/12/2013) le competenze e/o interessi periodicamente addebitati sul c/c oggetto della controversia.

Pertanto, il saldo debitore del rapporto di c/c n. 1000/4888, che in data 22/06/2015 è stato estinto con passaggio a sofferenza di euro 124.806,17, comprende addebiti registrati fino al 31/12/2013 a titolo di interessi passivi derivanti da anticipi su fatture rispetto ai quali non vi è alcuna possibilità, secondo il CTU, di verificare la modalità con cui essi sono stati conteggiati.

Ciò posto, in relazione alla questione dell’anatocismo e degli interessi ultra-legali, il CTU ha evidenziato che il contratto di c.c. e la successiva sottoscrizione dell’apertura di credito recano la clausola di capitalizzazione annuale degli interessi creditori e quella trimestrale degli interessi passivi; che solo in data 23.8.2004 veniva pattuita la medesima capitalizzazione degli interessi sia attivi che passivi.

In conformità al quesito, pertanto, il CTU ha escluso – fino al II trimestre 2004 – ogni capitalizzazione degli interessi a debito, conteggiandoli a far data dal II trimestre 2004 e sino al III trimestre 2014; a decorrere dal IV trimestre 2014, stante la illegittima capitalizzazione degli interessi moratori applicata dalla banca in violazione del contratto quadro di affidamento di breve termine, il CTU ha escluso ogni capitalizzazione degli interessi.

Tale metodologia, stante la diversa reciprocità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi anteriormente al secondo trimestre del 2004, appare immune da vizi logici e giuridici, posto che la legittimità della clausola anatocistica è ancorata alla previsione della stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori (oltre che alle ulteriori condizioni poste dalla Delib. CICR, art. 6). Ed invero, il contratto di conto corrente è stato sottoscritto antecedentemente all’emanazione del d.lgs 432/1999 ed alla successiva delibera CICR del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000.

Come noto, in materia di interessi anatocistici si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte, da un lato escludendo la ravvisabilità di usi normativi e, dall’altro, evidenziando che la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario è sempre illegittima, anche con riguardo al periodo anteriore alle decisioni con le quali la stessa Corte di Cassazione – ponendosi in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale sin lì seguito – aveva accertato l’inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare al precetto dell’art. 1283 c.c. (cfr. SSUU. 4 novembre 2004, n. 21095). Alla nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito consegue che gli interessi a debito dell’attrice correntista debbono essere calcolati senza capitalizzazione alcuna (cfr. Cass. SSUU n. 24418/2010).

La disciplina introdotta nel 2000, in deroga al principio codicistico posto dall’art. 1283 c.c., ha legittimato l’anatocismo per l’attività bancaria purché sia prevista la pari periodicità della capitalizzazione.

L’art. 7 ha previsto una specifica disciplina per i rapporti già in corso prevedendo che le condizioni contrattuali vigenti avrebbero dovuto essere adeguate al contenuto della delibera entro il 30.6.2000 con effetti a decorrere dal successivo 1.07.

In caso di adeguamento non peggiorativo per la clientela delle condizioni precedentemente applicate, era previsto che le banche avrebbero potuto limitarsi entro il predetto termine a pubblicare nella Gazzetta Ufficiale la comunicazione delle nuove condizioni, dandone notizia per iscritto alla clientela. In caso di modifiche peggiorative, le nuove condizioni avrebbero invece dovuto essere approvate dalla clientela per iscritto (art. 7, comma 3).

In ordine alle modalità di adeguamento, la Suprema Corte ha da ultimo statuito che “nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, pur non avendo interessato il comma 2 di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l’adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall’art. 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl’interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell’eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all’adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma 2 dell’art. 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione” (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9140; 21/10/2019, nn. 26769 e 26779).

Nel caso di specie, il CTU ha rilevato come per il periodo successivo all’entrata in vigore della Delibera CICR del 09/02/2000, l’istituto di credito abbia applicato, a far data dal 23.8.2004, pari periodicità (trimestrale) nella capitalizzazione di interessi attivi e passivi.

Ne deriva che l’applicazione della pari periodicità trimestrale risulta regolarmente pattuita solo a far data dal 23.8.2004 e pertanto, per il periodo precedente, il CTU ha espunto ogni capitalizzazione.

In relazione alla C.M.S., il CTU ha rilevato che la banca ha provveduto a calcolare l’importo di € 39.705,91 a titolo di CMS, calcolata sull’intero massimo saldo debitore per valuta, ivi compreso l’extrafido, registrato sul conto in ciascun trimestre.

Ora, il CTU ha rilevato che, agli atti di causa, è presente il documento consistente in uno scambio di corrispondenza (lettera del 4/02/1999 con cui è concessa un’apertura di credito da parte della parte convenuta alla parte attrice), ed è indicato – in relazione a tale concessione – una “Commissione sul massimo scoperto trimestrale” pari ad un’aliquota identificabile come 1/2 per gli utilizzi nel fido e di ¾ per gli utilizzi in eccedenza.

La C.M.S., per rispettare i requisiti di determinatezza o determinabilità, deve prevedere espressamente sia il tasso della commissione che i criteri e la periodicità del calcolo (ovvero la percentuale, la base di calcolo, i criteri e la periodicità dell’addebito).

Nel caso di specie, la commissione, così come individuata nel contratto di conto corrente, risulta del tutto priva di tali requisiti ed è quindi affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c.

Conseguentemente, il CTU ha provveduto ad eliminarla sino al 4.12.2013, data in cui è stata pattuita tra le part la C.D.F. (commissione disponibilità fondi) in occasione della sottoscrizione del contratto quadro di affidamento di breve termine e dell’atto integrativo.

Successivamente, stante la legittimità delle relative pattuizioni (misura dello 0.50% e modalità di conteggio pattuite), il CTU ha provveduto a conteggiarla nei rapporti di dare/avere tra le parti.

Quanto agli interessi ultra-legali, avendo il CTU rinvenuto la relativa pattuizione sia in sede di apertura del contratto di conto corrente che in sede di apertura di credito (23.8.2004 e 18.5.2005), il CTU ha provveduto ad applicare gli interessi pattuiti tra la banca e il correntista.

Relativamente allo ius variandi, rispetto al quale era stata convenuta la facoltà, per la banca, di modificare i tassi nel rispetto delle disposizioni previste in materia dalla legge 154/1992, il CTU ha provveduto a verificare se i tassi utilizzati dalla banca in occasione delle liquidazioni periodiche fossero stati applicati in conformità alle pattuizioni intervenute tra le parti, rilevando che, sino al 1° ottobre 2003, sono presenti gli estratti conto mensili contenenti in un’apposita sezione le condizioni variate, in cui l’istituto di credito ha proceduto ad indicare sino al 30.9.2003 le decorrenze dei tassi di interesse in essere; successivamente al 30.9.2003, non si ha più evidenza di tali decorrenze e delle comunicazioni relative allo ius variandi; conseguentemente, il CTU ha provveduto ad epurare il conto delle variazioni dei tassi di interesse applicati in senso sfavorevole per il correntista.

Orbene, tale metodologia è senz’altro corretta posto che, pur avendo la banca pattuito la facoltà di modificare, in senso sfavorevole al correntista, le condizioni economiche del rapporto, tale condizione doveva avvenire nel rispetto delle prescrizioni di cui alla legge 54/92 e del TUB, sicchè, non avendo più avuto (dopo il 20.9.2003) alcuna evidenza delle proposte di modifica unilaterale e delle relative comunicazioni, il CTU ha espunto tutte quelle variazioni di cui non si poteva avere cognizione.

Avuto riguardo alle doglianze di parte attrice per usura c.d. oggettiva, va premesso che, applicando nella determinazione del TEG le istruzioni della Banca d’Italia, il CTU ha rilevato il superamento del tasso soglia con riguardo alle pattuizioni intercorse tra le parti con lettera e documento di sintesi del 18.4.2005, in cui il tasso di interesse è risultato superiore in relazione agli utilizzi extra fido.

Non può parlarsi, come ritenuto da parte convenuta, di usura sopravvenuta, posto che, nella specie, si tratta di usura derivante da modifica delle condizioni originarie; nel qual caso, più che di usura sopravvenuta, si è in presenza – come è stato osservato – di una “nuova” usura originaria.

Conseguentemente, l’esperto nominato ha provveduto a non calcolare alcun interesse dal 18.4.2005 sino al 4.12.2013, restando valida però la pattuizione intra-fido.

Successivamente, risulta pattuito contratto quadro di affidamenti di breve termine e ulteriore apertura di credito sino ad € 100.000,00, in cui risulta il superamento del tasso soglia sia per il tasso debitore intra fido che per quello extra; essendo presente la c.d. “clausola di salvaguardia”, il CTU ha verificato se l’istituto di credito, in sede di liquidazione delle competenze, avesse effettivamente contenuto gli interessi ai fini usura entro il limite di soglia in vigore.

Sul punto, ha rilevato che, per le aperture di credito, risultano rispettati i limiti soglia usura mentre, con riferimento alla linea di credito per anticipi su fatture, i limiti sono stati superati e pertanto nessun interesse è stato calcolato nel I e II trimestre 2014.

Detta metodologia appare del tutto immune da vizi logici e pertanto viene integralmente fatta propria, con i relativi calcoli, dall’odierno Tribunale.

Venendo adesso alla questione della prescrizione (eccezione formulata in comparsa tempestivamente), va detto che il quesito prevedeva un’ipotesi di calcolo che tenesse conto delle rimesse solutorie, ove riscontrati gli affidamenti del conto sulla base della documentazione in atti; sul punto, va rammentato che l’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di conto corrente, o la pattuizione di interessi ultralegali, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, che decorre, in assenza di un’apertura di credito, dai singoli versamenti aventi natura solutoria.

Grava sull’attore in ripetizione dimostrare la natura indebita dei versamenti e, a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione proposta dalla banca, dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito idoneo a qualificare il pagamento come ripristinatorio della provvista, così da spostare l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto (Cass., 30/10/2018, n. 27704; Cass., 30/01/2019, n. 2660).

E’ solo infatti al momento della chiusura del rapporto, ossia quando il correntista restituisce alla banca gli importi utilizzati, che il pagamento assume natura solutoria, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens” (Cass. Sez. U., n. 24418/2010).

I versamenti effettuati dal correntista durante lo svolgimento del rapporto potranno esser considerati pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione, quando abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo (o “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.

Per converso, quando il passivo non ha superato il limite dell’affidamento concesso, i versamenti in conto fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista, rispetto ai quali la prescrizione decennale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

La Suprema Corte ha poi chiarito che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie (Cassazione civile, sez. un., 13/06/2019, n. 15895).

Constatata la natura dirimente della distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie ai fini della valutazione dell’intervenuta prescrizione del credito, si tratta poi di valutare se sia la Banca a dover provare la natura solutoria delle rimesse o il cliente quella ripristinatoria.

Secondo un primo ed isolato precedente (v. Cass. 4518/2014), il conto corrente in costanza di rapporto ha normalmente funzione ripristinatorie della provvista e non determina uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens, per cui una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni, ovvero nel caso di specie dalla Banca.

La diversa natura ‘solutoria’ delle rimesse rappresenterebbe quindi uno specifico fatto costitutivo dell’eccezione di prescrizione.

Secondo un orientamento ‘intermedio’, occorrerebbe invece distinguere tra l’ipotesi di conti affidati e non affidati (v. Cass. 20933/2017; Cass. 12977/2018): in caso di conto non affidato, tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente.

Diversamente, nell’ipotesi di conto affidato, sarebbe la Banca onerata dalla prova delle rimesse effettuate oltre l’ammontare del fido accordato, fornendo quindi la prova del relativo limite.

Le conseguenze negative della mancata prova dell’ammontare del fido ricadrebbero pertanto sull’istituto di credito.

Secondo infine il più recente orientamento, che il Tribunale condivide, in presenza di eccezione di prescrizione della banca, è onere del correntista, attore in ripetizione dell’indebito, allegare e provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito in conto corrente, che consenta di qualificare come non già solutorie, bensì meramente ripristinatorie della provvista, le rimesse effettuate entro i limiti dell’affidamento (cfr. Cass. 27704/2018; 2660/2019; 31927/2019; da ultimo Cass. 1388/2022). L’esistenza di un’apertura di credito costituisce un fatto modificativo che consente di qualificare i versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata consentendo così di spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto.

Del resto, onerando la Banca della prova della natura solutoria delle rimesse, si imporrebbe alla stessa una prova del tutto negativa, consistente nell’assenza della stipulazione del fido.

Ciò chiarito, il CTU ha ricostruito il conto corrente, utilizzando il saldo rielaborato, ed anteponendo gli accrediti agli addebiti, considerando le aperture di credito dal 4.2.1999 al 6.5.2002 (di £ 50.000.000) e dal 7.5.2002 sino al 20.12.2005 (di € 25.000,00) risultanti dal contratto in atti.

La ricostruzione ha riguardato il periodo antecedente i dieci anni dalla data dell’atto interruttivo della prescrizione.

Il C.T.U. ha quindi verificato che le rimesse solutorie hanno “pagato” competenze e spese non più ripetibili del solo conto ordinario, relative al decennio antecedente l’atto interruttivo della prescrizione. Alla luce di quanto innanzi, il conto corrente è stato rielaborato così come richiesto dal quesito ed in ossequio a tutti gli altri principi in esso dettati (espunzione dal conto corrente tutte le spese e commissioni non pattuite, nonché degli addebiti riferiti alle competenze oggetto di ricalcolo e alle competenze addebitate riferite al conto anticipi, calcolo della valuta dal giorno delle operazioni, mettendo altresì in evidenza i saldi, i giorni, i numeri dare ed avere).

Con riguardo alle rimesse solutorie, esse sono state correttamente calcolate sul saldo così rielaborato, posto che occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e rideterminare il reale saldo del conto (v. Cass. 3858/2021, rel. Fidanzia).

Esse ammontano in totale a complessivi € 88.800.04.

Ciò posto, debbono ora trarsi le conclusioni della CTU svolta.

Il consulente nominato, dopo ave rielaborato il saldo del conto corrente e del conto anticipi, ha tratto le seguenti conclusioni:

a) nell’ipotesi in cui si includano gli interessi calcolati sul conto anticipi e il loro addebito dal 23.8.2004, applicando la prescrizione sul saldo rettificato, si avrebbe un saldo a debito del correntista di € 22.944,74 per il c.c. (n. 1000/4888) e sempre a debito per quello anticipi (48430) di € 23.702,20;

b) nell’ipotesi in cui si escludano viceversa gli interessi addebitati dalla banca sul conto anticipi, si avrebbe un saldo a credito del correntista di € 54..447,45 sul c.c. principale e a debito per quello anticipi di € 23.702,20, con una differenza in positivo per il correntista di € 30.745,25.

Va rammentato che il CTU ha rilevato, per quanto concerne il conto anticipi, che la ditta XXX ha prodotto per i soli quattro trimestri del 2014 e per il I trimestre 2015 i prospetti di liquidazione interessi per anticipo fatture, rilasciati dalla Banca per la presentazione del 5/12/2013 sul rapporto n. 48430, riportanti il conteggio degli interessi.

Viceversa, fino al IV trimestre 2013, nessuna delle parti ha prodotto gli estratti conto e/o i fogli di conteggio degli interessi periodici collegati alle operazioni di anticipo fatture del rapporto n. 8/196 e n. 48430.

Con riferimento, invero, alle competenze anticipazioni del conto n. 8/196 agli atti di causa non è stato prodotto alcun contratto riferito a tale rapporto.

Con riferimento, invece, agli interessi per anticipi fatture del rapporto n. 48430, la prima lettera contratto contenente la pattuizione degli interessi per la linea di credito per anticipi fatture risale al 23/08/2004.

Ora, secondo il CTP della banca, “la movimentazione in linea capitale relativa agli anticipi a partire dal IV trimestre 2003 è rilevabile direttamente sul conto corrente ordinario d è pertanto possibile quantificare sulla base delle condizioni economiche sottoscritte l’importo degli addebiti per interessi su anticipo fatture”.

Sul punto, il C.T.U. ha osservato che, stante l’assenza della contabilità relativa al conto anticipi e agli estratti conto o fogli di conteggio relativi, non è stato possibile ricostruire la contabilizzazione degli interessi passivi derivanti dal detto conto, posto che nel conto corrente principale viene sì riportata l’anticipazione della fattura, ma non si comprende né con quale periodicità di pagamento, né come essa sia stata contabilizzata dalla banca.

E, pur essendo prevista la relativa pattuizione, peraltro, solo a far data dal 23.8.2004, (v. pag. 10 risposta alle osservazioni e pag. 13 consulenza), non è stato possibile verificare come la banca abbia proceduto a quantificare gli interessi periodicamente addebitati sul c.c. oggetto della controversia, né il loro conteggio.

Anche successivamente, essendovi solamente l’evidenza sul c.c. principale dell’anticipazione della somma, senza indicazione della relativa fattura (né con quali tempi dovesse essere pagata e quindi rientrare, con conseguente impossibilità di effettuare il calcolo degli interessi addebitati sul conto anticipi), non è risultato possibile verificare la legittimità degli addebiti operati dalla banca.

d’altra parte, il CTP della banca, pur avendo evidenziato la possibilità per il CTU di calcolare gli interessi passivi in base alle condizioni economiche sottoscritte, non ha fornito alcun tipo di calcolo di tali interessi né effettuato conteggio alternativo (dopo averne previamente spiegato la relativa metodologia di calcolo) a quello del CTU.

Il che pone un ulteriore problema, questa volta relativo all’onere probatorio; se è vero che in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, in ossequio ai principi generali sull’onere probatorio, “…. incombe sull’Istituto di Credito la produzione del contratto intercorso con il cliente e di tutte le scritture contabili di riferimento, nonché, in particolare, degli estratti conto relativi all’intera durata del rapporto (cfr. Cass. n. 23974/2010; Cass. n. 18541/2013; Ordinanza n. 29475 del 07.12.17), per cui, in assenza delle produzioni degli estratti conto dei conti c.d. collegati, come il c. anticipi, le relative risultanze confluite in annotazioni a debito del cliente sul conto corrente principale devono essere escluse dal calcolo del conto corrente principale, per difetto di prova dei fatti costitutivi (di una voce) del credito azionato in monitorio, è altresì vero che, nel concreto, parte opponente ha altresì spiegato domanda riconvenzionale tesa all’accertamento del proprio controcredito e alla ripetizione dell’indebito, risultando creditore – ove si dovessero escludere dal computo gli interessi addebitati sul conto anticipi e pari ad € 101.521,58 – di una somma pari ad € 30.745,25 complessiva (v. pag. 24 risposta alle osservazioni alla CTU).

Ciò posto, deve rammentarsi il principio, più volte affermato dalla S.C., secondo cui il correntista che agisca giudizialmente per l’accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito è gravato dell’onere di produrre l’intera serie degli estratti conto (in tema: Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948; Cass. 28 novembre 2018, n. 30822; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; Cass. 2 maggio 2019, n. 11543).

In tale evenienza – si è detto – l’incompletezza documentale relativa agli estratti conto ridonda in danno del correntista, su cui grava l’onere di provare il fatto costituivo della propria domanda sicchè, in assenza di diverse evidenze, il conteggio del dare-avere deve essere effettuato partendo dal primo saldo a debito del cliente di cui si abbia evidenza (Cass. 2 maggio 2019, n. 11543 cit.; cfr. pure Cass. 28 novembre 2018, n. 30822 cit., nella cui motivazione si rileva la necessità di far luogo al ricalcolo dei rapporti di dare e avere “partendo dal primo saldo a debito del cliente documentalmente riscontrato”). Si deve altresì considerare che, nella controversia in esame, la domanda riconvenzionale (di accertamento del saldo e di ripetizione dell’indebito) della società correntista si contrappone a quella diretta al pagamento del saldo del rapporto di conto corrente: domanda da essa originariamente azionata in via monitoria.

In quest’ultima ipotesi, come detto dalla Suprema Corte, entrambe le parti sono onerate della prova delle contrapposte pretese aventi rispettivamente ad oggetto rispettivamente l’inesistenza e l’esistenza del credito dedotto in lite (per l’ipotesi di contrapposte domande di pagamento e di accertamento negativo: Cass. 16 giugno 2005, n. 12963; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3374; con specifico riguardo al caso in cui il correntista agisca in giudizio chiedendo di rideterminarsi il saldo del conto e la ripetizione degli importi da lui indebitamente versati, mentre la banca spieghi riconvenzionale per la corresponsione degli importi di cui si assuma creditrice: Cass. 7 maggio 2015, n. 9201 cit.).

Ciò significa, in concreto, che ciascuno dei due contendenti ha l’onere di dar prova delle operazioni da cui si origina il saldo.

Essendo sia la banca che il correntista onerati della prova dei propri assunti, la mancata produzione degli estratti conto del conto anticipi assume una colorazione neutra sul piano della ricostruzione del rapporto di dare e avere e giustifica, come tale, un accertamento del saldo di conto corrente che non è influenzato dalle movimentazioni del periodo che sono prive di rendicontazione.

Infatti, proprio in quanto ognuna delle parti assume la veste di attore all’interno del giudizio, è inconcepibile che l’una e l’altra possano giovarsi delle conseguenze del mancato adempimento dell’onere probatorio della controparte (v. Cass. 23852/2020).

E’ da ricordare invero che, con riferimento alle azioni della banca e del correntista, operano due distinti criteri, che, rispettivamente, consentono di risolvere la questione relativa alla mancata prova dell’andamento del conto da parte dell’attore che ne è onerato.

Nella causa promossa dalla banca per il pagamento del saldo, ove la stessa non riesca a dissolvere, anche attraverso mezzi di prova diversi dagli estratti conto, l’incertezza quanto al fatto che, con riferimento al periodo non documentato, il correntista abbia maturato, per effetto dello storno di importi non dovuti (quali interessi ultralegali o anatocistici), un credito di imprecisato ammontare – tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo – la domanda deve essere respinta; di contro, nella causa promossa dal correntista per la rideterminazione del saldo o la ripetizione dell’indebito, ove non risulti provato, anche con l’apporto di mezzi di prova che possono essere diversi dagli estratti conto, che il saldo dell’intervallo temporale non documentato abbia ad oggetto un debito inferiore o inesistente, o addirittura un credito di detto soggetto, si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore (Cass. 2 maggio 2019, n. 11543; nel medesimo senso, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32016 e Cass. 13 gennaio 2020, n. 330, non massimate sul punto). Poichè, come osservato, tali criteri non possono trovare riscontro applicativo nel caso di contrapposte domande della banca e del correntista, deve darsi atto – in mancanza di prove quanto alle movimentazioni del conto occorse nel periodo iniziale del rapporto -che da un lato la banca non potrà invocare, in proprio favore, l’addebito della posta iniziale del primo degli estratti conto prodotti e che, dall’altro, il correntista non potrà aspirare a un rigetto della domanda di pagamento della banca stessa (rigetto che del resto si giustifica, nelle azioni proposte dall’istituto di credito, con la astratta possibilità che, in ragione delle eliminazione delle somme illegittimamente addebitate al cliente nel periodo non documentato, il saldo su cui innestare le successive movimentazioni del conto sia a credito del correntista stesso, e ciò per un ammontare – necessariamente – indefinito: ma tale possibilità, a ben vedere, non si pone, almeno di regola, allorquando il correntista si faccia pure attore, giacchè in questo caso lo stesso formulerà una domanda che, per non risultare indeterminata, dovrà negare la suddetta evenienza).

Non è del resto nemmeno ipotizzabile che, in presenza di contrapposte domande della banca e del correntista, il giudice possa attribuire al corredo documentale della causa un valore differenziato in funzione degli oneri probatori delle parti: e ciò in quanto nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio di acquisizione della prova, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa, sicchè il giudice è tenuto a utilizzare le prove raccolte indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell’onere probatorio (Cass. Sez. U. 23 dicembre 2005, n. 28498).

Traendo le conclusioni dai principi impartiti dalla S.C., entrambe le domande debbono essere respinte: quella della banca, gravata della produzione di tutti gli estratti conti, compresi quelli del conto anticipi per poter far valere l’inclusione di tali addebiti sul c.c. principale, tenuto conto che solo includendo tali addebiti derivati dal c. anticipi si ottiene un saldo a debito del correntista; e quella della società correntista e dei fideiussori (anch’essi gravati in pari misura della produzione degli estratti conto) per la domanda di ripetizione dell’indebito, posto che solo escludendo tali addebiti dal c.c. principale si otterrebbe un saldo a credito del correntista.

ed invero (v. pag. 90 CTU e pag. 24 osservazioni CTU), escludendo fino al 30.12.2013 gli interessi addebitati dalla banca derivanti dall’anticipazione delle fatture sul conto corrente principale si otterrebbe – applicando la prescrizione sul saldo rielaborato – un credito del cliente di € 30.745,25; includendo fino al 30.12.2013 le competenze derivanti dagli anticipi su fatture si otterrebbe – utilizzando i medesimi criteri – un saldo debitore del correntista di € 46.646,94.

In conclusione, entrambe le domande debbono essere rigettate, in quanto non rimaste adeguatamente dimostrate.

In considerazione dell’esito complessivo della lite, con rigetto di entrambe le domande, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese di lite, comprese quelle tecniche.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

– accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo nr. 65/2018;

– rigetta, in quanto infondata, la domanda riconvenzionale spiegata da parte opponente;

– compensa integralmente tra le parti le spese di lite, comprese quelle tecniche, nella misura liquidata dall’istruttore dell’epoca.

Trani, 12 agosto 2022

Il Giudice

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