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Assegno divorzile in favore del marito

La Corte di appello di Ancona accoglieva parzialmente l’appello della moglie riducendo parzialmente l’assegno divorzile in favore del marito ad Euro 200,00 mensili. Il giudice del merito ha infatti messo in risalto il fatto che il completamento del ciclo di studi e della fase di specializzazione seguita dal dottorato era avvenuto grazie al contributo economico del marito giacché le somme percepite dalla moglie per la loro entità non coprivano gli esborsi connessi alla professione (affitto di studio, assicurazione professionale).

Pubblicato il 22 April 2023 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

La Corte di appello di Ancona accoglieva parzialmente l’appello della moglie riducendo parzialmente l’assegno divorzile in favore del marito ad Euro 200,00 mensili.

Il giudice del gravame riteneva, alla luce delle emergenze processuali, la sussistenza delle condizioni che giustificano l’erogazione di un assegno divorzile in favore dell’ex coniuge.

Osservava in questa prospettiva, che nei primi anni di matrimonio il contributo dato dall’appellato (marito) ai fini del soddisfacimento delle esigenze familiari era stato significativo.

Rilevava infatti che l’appellante (moglie) non aveva completato il percorso di studi e non disponeva di risorse economiche per il proprio mantenimento e di quelle della figlia.

Sottolineava che anche successivamente a far data dall’anno 1991 la signora, quantunque avesse cominciato a percepire una borsa di studio, si era rivelato necessario il contributo economico del marito al fine di proseguire il percorso di studi iniziato tenuto conto che le somme dalla stessa percepite non erano rilevanti e che l’attività professionale avviata aveva comportato diversi esborsi.

Evidenziava che il raggiungimento nel 2012 della stabilizzazione lavorativa da parte dell’appellante (moglie) ed il conseguente miglioramento economico era dipeso dall’innegabile aiuto fornitole dal marito.

La Corte distrettuale riteneva pertanto che tale apporto dato alla conduzione della vita familiare, valutato in relazione alla durata del matrimonio assumeva decisivo rilievo ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Osservava infatti che il criterio perequativo-corrispettivo giustificava l’erogazione di una somma (assegno divorzile) in presenza di una sperequazione reddituale che, se pure sorta in epoca successiva alla separazione, era direttamente collegabile allo svolgimento dell’attività professionale iniziata dalla coniuge durante il lungo periodo di convivenza, anche con il contributo economico del marito.

Il giudice del gravame ha messo in luce che l’emolumento invocato dal richiedente non poteva escludersi sulla base del fatto che l’appellato (marito) non aveva operato alcun sacrificio delle proprie aspettative lavorative e reddituali sottolineando che il criterio compensativo richiede di valutare gli effetti e le conseguenze delle scelte operate dai coniugi durante il matrimonio e quindi di tenere in considerazione non solo eventuali occasioni di lavoro mancate ma anche di apprezzare i vantaggi ottenuti da un coniuge ricollegabili al contributo fornito dall’altro.

In quest’ottica andava dato rilievo, secondo il giudice distrettuale, al fatto all’apporto fornito dal marito, il quale pur continuando a svolgere la medesima attività lavorativa, aveva nel corso degli anni messo a disposizione dell’ex moglie, nei limiti delle proprie disponibilità, quanto alla stessa necessario per proseguire negli studi universitari e per migliorare la sua formazione favorendo così l’inserimento della stessa nel mondo del lavoro che, successivamente le aveva permesso di raggiungere l’attuale stabilità lavorativa.

Pertanto, il giudice di appello, operata la necessaria valutazione comparativa tra le condizioni delle parti e considerata la funzione compensativa e perequativa dell’assegno nonché la durata del matrimonio e lo squilibrio significativo esistente fra le due posizioni reddituali risultante dalle dichiarazioni dei redditi, ha ritenuto che il contributo economico dato dall’appellato alla conduzione e realizzazione della vita familiare dovesse determinarsi in Euro 200,00 mensili.

Avverso tale sentenza la signora proponeva ricorso per cassazione.

Nel confermare la sentenza di primo grado, sviluppandone le argomentazioni, la Corte di appello, dopo aver individuato il marito quale parte più debole economicamente, lungi dal limitarsi all’accertamento del mero prerequisito fattuale dell’assegno di divorzio (ex multis, Cass., n. 11796 del 05/05/2021), ha valorizzato il significativo apporto dato dallo stesso alla vita del nucleo familiare composto dalla giovane moglie e da una bambina sia nella fase iniziale del matrimonio che anche successivamente a partire dall’anno 1991.

Il giudice del merito ha infatti messo in risalto il fatto che il completamento del ciclo di studi e della fase di specializzazione seguita dal dottorato era avvenuto grazie al contributo economico del marito giacché le somme percepite dalla moglie per la loro entità non coprivano gli esborsi connessi alla professione (affitto di studio, assicurazione professionale).

In questo senso ha pure sottolineato che la stabilizzazione economica nell’anno 2012 della moglie era dipesa non solo dal suo impegno ma anche dall’apporto economico dell’ex coniuge il quale aveva destinato le proprie risorse alle necessità della moglie.

La Corte distrettuale ha opportunamente chiarito che il criterio compensativo – perequativo richiede di valutare gli effetti e le conseguenze delle scelte operate dai coniugi durante il matrimonio e quindi di tenere in considerazione non solo le eventuali occasioni di lavoro mancate ma anche di apprezzare i vantaggi ottenuti da un coniuge, ricollegabili al contributo fornito dall’altro.

Alla stregua delle considerazioni che precedono e dell’indagine fattuale compiuta dai giudici di merito, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 5 quale interpretato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, che ne ha chiarito il contenuto, con riferimento ai dati normativi già esistenti.

La decisione qui impugnata si è infatti incentrata sull’adeguata valutazione dell’apporto effettivo e del ruolo endofamiliare del marito, in costanza di matrimonio, nonché, previa comparazione con la situazione dell’ex moglie, sulla riconducibilità alle dinamiche familiari, ed al sacrificio professionale conseguitone, del rilevante squilibrio economico tra le condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, accertato in fatto allo sciogliersi del vincolo di coniugio.

Alla stregua di detti accertamenti fattuali, adeguatamente motivati, la Corte di merito, attenendosi ai principi suesposti, ha ritenuto che fosse dimostrato uno squilibrio reddituale riconducibile alle scelte di vita matrimoniali, sì da giustificare una compensazione o perequazione.

Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Ordinanza n. 10016 del 14 aprile 2023

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