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Abbigliamento di servizio, c.d. tempo tuta

Il tempo necessario ad indossare l’abbigliamento di servizio (c.d. tempo tuta) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione.

Pubblicato il 08 October 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI COSENZA
Sezione Lavoro

Il Giudice del Lavoro, Dott.ssa, all’udienza del 16 settembre 2022 ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1323/2022 pubblicata il 16/09/2022

nella causa iscritta al n. 1349/2021 R.G.

TRA

XXX , rappresentata e difesa

ricorrente

E

AZIENDA OSPEDALIERA YYY, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvv. xxx

resistente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso del 15.4.2021 ritualmente notificato la parte ricorrente in epigrafe conveniva in giudizio l’Azienda Ospedaliera YYY e, premesso di essere alle sue dipendenze con la qualifica di infermiere livello D del CCNL di settore, esponeva di prestare l’attività lavorativa articolata su tre turni e caratterizzata da continuità assistenziale.

Deduceva di essere tenuta, per poter svolgere le prestazioni lavorative, ad indossare l’abbigliamento di servizio costituito da casacca/pantaloni/scarpe, ecc. fornito dalla Azienda resistente e che per compiere l’operazione di vestizione presso gli appositi locali aziendali occorreva giungere sul luogo di lavoro almeno 10 minuti prima dell’orario di inizio del turno assegnato e che poteva allontanarsene 10 minuti dopo l’orario di fine turno, successivamente al compimento dell’operazione di svestizione.

Assumeva, quindi, che il tempo necessario per indossare e dismettere l’abbigliamento di lavoro doveva essere incluso nell’orario lavorativo ed essere, conseguentemente, retribuito. Dopo aver argomentato in diritto, concludeva chiedendo “[..] accertare il diritto della parte ricorrente alla remunerazione dell’indennità di vestizione maturata negli anni a decorrere da aprile 2014….. e, per l’effetto, condannare l’Azienda Ospedaliera YYY….a rifondere alla ricorrnete la somma di € 6526,72 oltre interessi dal dovuto al soddisfo…”.

Si costituiva in giudizio l’Azienda Ospedaliera YYY contestando il ricorso di cui chiedeva il rigetto per infondatezza deducendo che il tempo occorrente per le operazioni di vestizione/svestizione era ricompreso all’interno dell’orario di lavoro assegnato, ossia nelle 36 ore settimanali.

Istruita a mezzo interrogatorio formale, prova testimoniale e CTU contabile, la causa veniva decisa all’odierna udienza come da dispositivo in calce.

Il ricorso è fondato e deve, pertanto essere accolto per quanto di seguito esposto.

In punto di diritto si osserva che l’art. 27, commi 11 e 12, del CCNL di settore del 21.5.2018 dispone “Nei casi in cui gli operatori del ruolo sanitario e quelli appartenenti a profili del ruolo tecnico addetti all’assistenza, debbano indossare apposite divise per lo svolgimento della prestazione e le operazioni di vestizione e svestizione, per ragioni di igiene e sicurezza, debbano avvenire all’interno della sede di lavoro, l’orario di lavoro riconosciuto ricomprende fino a 10 minuti complessivi destinati a tali attività, tra entrata e uscita, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere. Nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore, ove sia necessario un passaggio di consegne, agli operatori sanitari sono riconosciuti fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere”.

La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. L. n. 8623/2020), in fattispecie analoga a quella odierna, ha affermato che “[…] l’attività di vestizione attiene a comportamenti integrativi dell’obbligazione principale ed è funzionale al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria e costituisce, altresì, attività svolta non (o non soltanto) nell’interesse dell’Azienda, ma dell’igiene pubblica, imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene. Pertanto, dà diritto alla retribuzione anche nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, in quanto, proprio per le peculiarità che la connotano, deve ritenersi implicitamente autorizzata da parte dell’AUSL; e tali affermazioni non si pongono in contrasto con quanto affermato da questa Suprema Corte con la sentenza n. 9215 del 2012, secondo cui, «nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario ad indossare l’abbigliamento di servizio (c.d. tempo tuta) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo»; e ciò, in quanto gli arresti più recenti rappresentano uno sviluppo di quello precedente, or ora citato, ponendo l’accento sulla «funzione assegnata all’abbigliamento, nel senso che la eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina di impresa, ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento, o dalla specifica funzione che devono assolvere», per obbligo imposto, lo si ripete, dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene attinenti alla gestione del servizio pubblico ed alla stessa incolumità del personale addetto;

[..] pertanto, va sottolineato che l’orientamento giurisprudenziale di legittimità è saldamente ancorato al riconoscimento dell’attività di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno. Tale soluzione, del resto, è stata ritenuta in linea con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva 2003/88/CE (Corte di Giustizia UE del 10 settembre 2015 in C-266/14; v. Cass. n. 1352/2016) [..]”.

Tanto premesso, all’esito della prova orale, le allegazioni in fatto di parte ricorrente hanno trovato riscontro.

Ed invero, il teste escusso (***) – collega di lavoro di parte ricorrente con mansioni di operatori socio sanitari – ha riferito che il personale sanitario è tenuto ad arrivare prima di iniziare il turno di servizio per indossare l’abbigliamento di lavoro fornito dall’Azienda e solo dopo aver compiuto detta attività di vestizione può iniziare il turno e che, completato detto turno , è eseguita l’operazione di svestizione.

È, pertanto, in punto di fatto, smentita la deduzione dell’Azienda convenuta secondo la quale l’orario di lavoro comprende, assorbendolo, il tempo necessario per le operazioni di vestizione/svestizione posto che tali operazioni, al contrario, sono compiute, rispettivamente, prima dell’inizio del turno di lavoro e dopo il completamento dello stesso.

Espletata consulenza tecnica contabile, l’ausiliario ha quantificato il quantum spettante a parte ricorrente a titolo di paga oraria, per il periodo oggetto di indagine peritale, in complessive € 5761,67.

Ritiene il giudice di condividere i conteggi posto che la disposizione della contrattazione collettiva prima richiamata, prevede che nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore (come nel caso di specie, per come dedotto dalla parte ricorrente e non contestato dalla resistente e come emerso dalla prova orale) l’orario di lavoro riconosciuto ricomprende fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne, facendosi riferimento all’ordinario orario di lavoro non considerando affatto il tempo occorrente per lo svolgimento di dette operazioni quale lavoro supplementare.

Ed allora, sulla scorta della consulenza contabile – che è corretta sul piano metodologico, esauriente e priva di vizi logici – la parte convenuta deve essere condannata al pagamento della complessiva somma di € 5761,67 oltre interessi dal dovuto al saldo.

Le spese di lite e di consulenza tecnica seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e, per l’effetto, condanna l’Azienda Ospedaliera YYY al pagamento nei confronti di XXX, a titolo di differenze retributive, della somma di € 5761,67 oltre interessi legali dal dovuto al saldo, nonché delle spese di lite che liquida in complessive € 1.500,00 oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge, da distrarsi; pone a carico della Azienda Ospedaliera YYY le spese di consulenza tecnica alla cui liquidazione provvede con separato decreto.

Cosenza, 16 settembre 2022

Il Giudice del Lavoro

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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