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Lavoratore part time, risorsa maggiormente infungibile

Il lavoratore part time, e non quello full time, è la risorsa maggiormente infungibile e dunque sarebbe semmai giustificato licenziare lui.

Pubblicato il 20 March 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
III SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA

composta dai signori magistrati:

All’udienza di discussione del 23 febbraio 2022, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 816/2022 pubblicata il 10/03/2022

nella controversia in materia di lavoro in grado di appello iscritta al n. 1001 del Ruolo

Generale Affari Contenziosi dell’anno 2020

TRA

XXX, con l’Avv.

Appellante E

YYY, con l’Avv.

Appellato OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma n. 964/2020 del 30.1.2020.

CONCLUSIONI DELLE PARTI:

per l’appellante: “in via preliminare, -accertare e dichiarare la nullità e/o inammissibilità del ricorso introduttivo in primo grado proposto dalla controparte per tutti i motivi illustrati in narrativa e da intendersi qui trascritti; nel merito, -accertare e dichiarare che i fatti si sono svolti secondo quanto indicato nella narrativa del presente atto; -accertare e dichiarare che le domande di parte ricorrente sono carenti di prova e comunque infondate in fatto e diritto e per l’effetto rigettare integralmente le stesse; in via riconvenzionale, -in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, condannare il sig. YYY a corrispondere al sig. Fernando XXX la somma di € 16.340,23, oltre gli interessi legali ex art. 1284 c.c. dal 21/07/2017 e sino all’effettivo soddisfo per i titoli indicati in narrativa e da intendersi qui trascritti e, nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento totale o parziale delle domande proposte dalla parte ricorrente, disporre la compensazione giudiziale delle reciproche poste accertate, limitando comunque la misura dell’indennità spettante al ricorrente al numero di 2,5 (due virgola cinque) mensilità di retribuzione ovvero in altra misura ritenuta di giustizia; -in ogni caso con vittoria di spese, spese generali, competenze e accessori di legge.”;

per l’appellato: “Dichiarare inammissibile e comunque rigettare perché destituito di fondamento giuridico e fattuale, l’appello proposto dal sig. XXX avverso la sentenza n. 964/2020 R.g. 39640/2017 del Tribunale di Roma I sez. Lavoro Giudice dott.ssa e, di conseguenza, confermare quest’ultima. In ogni caso, condannare parte appellante alle spese e competenze professionali difensive del presente grado di giudizio, oltre rimborso forfettario 15%, iva e cpa.”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 30.11.2017, YYY ha evocato in giudizio Fernando XXX per impugnare il licenziamento irrogatogli in data 26.5.2017 per giustificato motivo oggettivo conseguente ad un riassetto aziendale con soppressione del posto di lavoro precedentemente occupato; Fernando XXX si era costituito per resistere all’impugnativa eccependo la genericità del ricorso, l’effettiva sussistenza dell’esigenza di riassetto aziendale, la ragionevolezza della scelta del YYY quale risorsa da licenziare in quanto unico lavoratore full time, a parità di mansioni con i due colleghi part time che svolgevano le medesime mansioni da ridimensionare; aveva altresì spiegato due domande riconvenzionali tese alla condanna dell’ex dipendente alla restituzione di un pagamento ricevuto in eccesso a titolo di TFR e di un prestito infruttifero, entrambi corrisposti nel corso del rapporto di lavoro.

Il Tribunale di Roma ha accolto l’impugnativa di licenziamento accordando la tutela obbligatoria e quantificando il risarcimento dovuto per il caso di mancata riammissione in servizio nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, per mancata applicazione analogica dei criteri legali (art. 5 l.n. 223/1991) e perché i testimoni avevano riferito che dopo il licenziamento era stato più volte chiamato, a svolgere la medesima attività di operaio addetto al carico ed allo scarico delle merci, un altro soggetto. Ha inoltre accolto la prima delle due domande riconvenzionali condannando il ricorrente alla restituzione della complessiva somma di euro 6.340,23 a titolo di TFR ricevuto in eccesso; mentre ha rigettato l’altra domanda di restituzione in quanto il bonifico di corresponsione della somma data asseritamente in prestito non recava alcuna causale.

Fernando XXX ha appellato la sentenza sulla scorta di cinque motivi di appello, dall’accoglimento totale o parziale dei quali, a suo avviso, discenderebbe anche l’iniquità della disposta compensazione delle spese di lite del primo grado.

YYY si è costituito con memoria per resistere all’appello.

All’udienza fissata per la discussione, le parti si sono riportate ai rispettivi atti e la causa è stata decisa con la pronuncia del dispositivo in calce.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con un primo motivo di appello il XXX censura la sentenza gravata per omessa pronuncia sull’eccezione preliminare di nullità del ricorso introduttivo per genericità.

Il motivo è infondato.

Al riguardo va richiamato il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel nuovo rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui la stessa si fonda, non è sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, essendo invece necessario che ne sia impossibile l’individuazione “attraverso l’esame complessivo dell’atto”, effettuabile anche d’ufficio con apprezzamento del giudice del merito (in questo senso v., tra le tante, Cass. Sez. lav., Sentenza n. 820 del 16/01/2007, n. 2519/99; n. 817/99; n. 8315/98; n.9810/98; n. 1740/1991). Nella specie, l’analisi complessivo dell’atto introduttivo del giudizio e della documentazione allegata nel fascicolo di parte ricorrente rivela l’adeguata indicazione sia dell’oggetto della domanda (impugnativa del licenziamento per insussistenza del motivo ovvero per assenza di prova dell’impossibilità di repechage), che le circostanze fattuali e gli elementi di diritto (contrattazione collettiva e disposizioni legislative applicabili) sui quali la stessa si fonda, come precedentemente esposti, sicché il resistente è stata posta in condizione di predisporre adeguatamente le proprie difese.

2. Con un secondo motivo di appello il XXX dissente dalla valutazione di illegittimità del licenziamento: posto che le scelte imprenditoriali sono insindacabili da parte del giudice laddove non si concretizzino in violazioni di legge, il criterio seguito nella fattispecie, ove era necessario sopprimere una delle tre figure fungibili di operai addetti al carico ed allo scarico, è stato quello di licenziare solo un lavoratore full time in luogo di due lavoratori part time; inoltre, secondo l’appellante, il lavoratore non avrebbe compiutamente allegato né tantomeno dimostrato la violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 l.n. 223/1991 richiamato dal giudice come parametro della valutazione.

Il motivo è infondato.

Come è noto, “la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto di poter fare riferimento ai criteri dettati dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, per i licenziamenti collettivi, per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti) e salva l’utilizzabilità di criteri diversi, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati, (Cass. n. 25192 del 2016).” (Cassazione civile sez. lav., 08/07/2016, n.14021; conf. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con sentenza 7 agosto 2020, n. 16856).

E dunque il datore di lavoro deve provare la correttezza e ragionevolezza del criterio di scelta adottato, ove difforme da quello di legge, non rilevando, dunque, la successiva “prova di resistenza”: per cui il mancato raffronto tra lavoratori fungibili non si traduce in un vizio meramente procedimentale, ma in una violazione dei criteri di scelta, riguardando tutte le modalità di applicazione dei suddetti criteri, e quindi anche l’ambito di comparazione dei lavoratori.

Nel caso di specie il criterio espressamente utilizzato è difforme da quello indicato come presuntivamente conforme a correttezza dalla legge ed in più si rivela non ragionevole né conforme a buona fede. Nella giurisprudenza è stato più volte affermato che il lavoratore part time, e non quello full time, è la risorsa maggiormente infungibile e dunque sarebbe semmai giustificato licenziare lui (o loro, come in questo caso). Ad esempio, Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 maggio – 20 settembre 2016, n. 18409 ha affermato che “rispetta i principi di correttezza e buona fede disciplinati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. il datore di lavoro che, nell’ambito di un’operazione di riorganizzazione aziendale volta alla riduzione dei costi, attuata mediante l’accorpamento di due posizioni di segreteria amministrativa in una sola, operi la scelta tra i lavoratori da licenziare sulla base dell’incidenza del diverso orario di lavoro prestato (a tempo parziale della lavoratrice licenziata e a tempo pieno dell’altra), in ragione della necessità aziendale di un dipendente a tempo pieno, a garanzia della copertura dell’intero orario di apertura degli uffici.”.

Nella specie, poi, va dato rilievo alla circostanza, pacifica, che il YYY fino a poco tempo prima del licenziamento lavorava part time come i suoi colleghi. Ed allora sarebbe stato certamente rispettoso dei criteri di scelta porre tutti i lavoratori – le cui mansioni erano, pacificamente, fungibili – nelle medesime condizioni di poter scegliere il part time per, indirettamente, sottrarsi al licenziamento; ovvero il datore di lavoro appellante avrebbe potuto ricorrere ai criteri di legge, rispetto ai quali l’allegazione del lavoratore è stata sì incompleta, ma ha permesso comunque di accertare (anche tramite l’escussione testimoniale) che l’odierno appellato era il più anziano in servizio dei tre, essendo stato assunto nel 2012 (i due colleghi, escussi come testi, sono stati assunti rispettivamente nel 2013 e nel 2014).

Come si è detto, non è necessaria una “prova di resistenza”, per cui non rileva che l’allora ricorrente non avesse chiarito quali fossero i carichi di famiglia dei tre lavoratori coinvolti nella riduzione di personale. Infatti gravava piuttosto sul datore di lavoro l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati, con indicazione, in relazione a ciascuno di questi, dello stato familiare, dell’anzianità e delle mansioni (cfr. Cass. n. 20335/2017).

3. Il licenziamento dunque deve confermarsi come illegittimo per irragionevolezza del criterio adottato per individuare la risorsa da espellere; e il terzo motivo di appello, riguardante la mancata dimostrazione della sussistenza di nuove assunzioni di operai addetti al carico ed allo scarico, è assorbito dal rigetto del secondo.

4. Trattandosi del lavoratore più anziano fra i tre, appare anche congruo il risarcimento accordato dal Tribunale in quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, quantificazione contestata nel quarto motivo di appello: peraltro l’importo è più vicino al minimo che al massimo dell’indennità di legge e pertanto il Tribunale ha dato il giusto rilievo alle ridotte dimensioni dell’azienda.

Dunque nemmeno questo motivo va accolto, risolvendosi in una censura della discrezionalità del giudicante che invece è stata esercitata con ragionevolezza all’interno dei – e conformemente ai – criteri di legge.

5. Merita, invece, accoglimento il quanto motivo di appello in ordine all’intervenuto rigetto della domanda riconvenzionale relativa alla restituzione della somma asseritamente corrisposta a titolo di prestito al lavoratore da parte del datore di lavoro.

Infatti, contrariamente a quanto si legge nella sentenza gravata, ove si legge che la dazione fu del tutto priva di espressa causale, il bonifico recava invece come causale “prestito non fruttifero” e pertanto il lavoratore era perfettamente consapevole di ricevere somme ulteriori rispetto alla retribuzione e da restituire. Infatti il lavoratore nel giudizio di primo grado non ha mai negato di averle ricevute, limitandosi a rilevare la scarsa credibilità della tesi avversaria e l’assenza di ulteriori riscontri, a detta dell’allora ricorrente necessari ai fini fiscali (ma, appunto, non anche ai fini che qui ci occupano).

Dunque il valore solo indiziario della causale del bonifico siccome unilateralmente inserita dal datore di lavoro viene rafforzato dalla mancata contestazione della materiale apprensione del denaro e dalla mancata prospettazione di una motivazione alternativa in base alla quale il lavoratore avrebbe dovuto ricevere dette somme e trattenerle; la circostanza che si tratti di “stipendi arretrati non pagati” viene allegata per la prima volta nel presente grado e manca ogni istanza istruttoria al riguardo.

Pertanto in parziale riforma della sentenza appellata, YYY va condannato alla restituzione in favore di XXX della somma di euro 10.000,00 oltre interessi legali dalla richiesta del 21.7.2017 al saldo.

6. Le spese di lite del doppio grado meritano una parziale rivisitazione a seguito del parziale accoglimento dell’appello: in primo grado esse erano state compensate per la reciproca soccombenza, mentre in questo grado la soccombenza prevalente appare essere quella del lavoratore, poiché le condanne nei suoi confronti pronunciate in ciascun grado superano, complessivamente, l’importo del risarcimento per l’illegittimità del licenziamento.

Pertanto le spese di lite del doppio grado vanno compensate non più completamente ma nella misura di 2/3; per la restante misura di 1/3, liquidate come in dispositivo, devono fare carico al lavoratore appellato.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sull’appello proposto da XXX con ricorso depositato il 28.4.2020 avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma n. 964/2020 del 30.1.2020 nei confronti di YYY, così provvede:

– In parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della gravata sentenza, confermata nel resto, condanna YYY alla restituzione in favore di XXX della somma di euro 10.000,00 oltre interessi legali dalla richiesta del 21.7.2017 al saldo;

– Compensa per la quota di 2/3 le spese del doppio grado e condanna l’appellato al pagamento in favore dell’appellante della restante quota di 1/3, liquidata, pro quota, in € 1.000,00 quanto al primo grado ed € 800,00 quanto al grado di appello, oltre al 15% per spese generali ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2022.

Il Giudice estensore Il Presidente

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