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Mansioni inferiori, sussistenza di un danno

Svolgimento di mansioni inferiori, sussistenza di un danno alla dignità professionale e alla immagine lavorativa.

Pubblicato il 29 April 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

CORTE DI APPELLO di ROMA
IV Sezione Lavoro

La Corte composta dai signori magistrati:

All’udienza del 04/04/2023 nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1473/2021 del Ruolo Generale degli affari contenziosi e vertente

tra

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI XXX, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv., appellante e YYY, con gli avv.ti , che la rappresentano e difendono giusta procura in atti, appellata ha pronunciato la presente

SENTENZA n. 1485/2023 pubblicata il 07/04/2023

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di XXX n. 883/2020 del 18/11/2020

Conclusioni delle: parti come in atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di XXX in funzione di giudice del lavoro depositato il 18.5.2018, YYY esponeva di lavorare alle dipendenze della ASL di XXX presso il reparto ortopedia dell’ospedale con qualifica di infermiere professionale, livello D5, e che nel suddetto reparto non vi era personale con qualifica di OTA e OSS, talché era tenuta anche allo svolgimento delle mansioni rientranti in tali profili professionali, provvedendo al rifacimento dei letti e cambio di lenzuola, rifacimento locanda dei pazienti, movimentazione pazienti su carrozzine e barelle, posizionamento padelle e cambio pannoloni, accompagnamento pazienti per esami diagnostici. Svolte articolate deduzioni sulla dequalificazione professionale, esponeva di aver subito un danno alla professionalità, all’immagine e dignità della persona, essendole richiesto di svolgere compiti di gran lunga inferiori al livello professionale rivestito. Concludeva chiedendo di accertare la dequalificazione professionale dedotta e condannare la ASL al risarcimento del danno da liquidarsi in misura pari al 30% della retribuzione mensile percepita.

Si costituiva la ASL resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale, all’esito della espletata istruttoria, accoglieva in parte il ricorso e condannava la ASL al risarcimento del danno che liquidava in misura pari al 10% della retribuzione mensile maturata dal 26.7.2013 al deposito del ricorso introduttivo, oltre accessori e spese processuali.

Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo appello la ASL deducendo l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie e delle declaratorie contrattuali nonché l’omessa motivazione sulla determinazione del danno patrimoniale. Ha concluso chiedendo, in riforma della gravata sentenza, il rigetto delle domande avanzate con l’originario ricorso introduttivo o, in subordine, la riduzione della quantificazione del danno, con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.

Si è costituita l’appellata resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.

All’udienza del 4 aprile 2023 la causa è stata decisa come da separato dispositivo di cui è stata data pubblica lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Tribunale, per quello che qui rileva, ha ritenuto fondata la prospettazione attorea secondo cui la ricorrente, avente la qualifica e mansioni di infermiere professionale livello D5 presso il reparto di ortopedia, era stata costretta, stante l’assoluta carenza di personale ausiliario OTA e OSS, a disimpegnare le dequalificanti mansioni relative all’igiene dei pazienti ed al cambio delle lenzuola, cambio dei pannoloni, al rifacimento della locanda, al giro-letti, all’alimentazione di pazienti non autosufficienti, al posizionamento dei pazienti non autosufficienti dal letto alla barella o viceversa, al trasporto in barella del paziente dal reparto di ortopedia al reparto analisi (TAC-RX), oltre all’accompagnamento in sala operatoria o alle visite specialistiche, con conseguente pregiudizio alla propria professionalità.

Il Tribunale, al riguardo, richiamata la disciplina delle mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato ed evidenziato il raffronto delle declaratorie contrattali relative alla qualifica di appartenenza e alla figura di ausiliario specializzato, ha ritenuto che:

«l’istruttoria espletata attraverso le dichiarazioni testimoniali assunte ha evidenziato, confermando l’assunto della parte ricorrente, che il reparto di ortopedia, e in generale dell’intero presidio ospedaliero, da tempo presenta una notevole carenza cronica in reparto di personale OSS e OTA, che impone al personale infermieristico di espletare anche le attività di competenza di quest’ultimo.

E’ emerso in particolare che la carenza cronica di personale ausiliario è tale da determinare sistematicamente e su ogni turno, sia mattutino che notturno, la loro sostituzione da parte degli infermieri (cfr. testi Dott.sa ***, Dott.ssa ***, dott. ***, dott. ***).

Sul punto la teste Dott.ssa ***, ha riferito “La ricorrente è un infermiere professionale e si occupa in particolare dell’igiene dei pazienti, anche se non dovrebbe farlo ma lo fa. Si occupa altresi del cambio delle lenzuola, cambio dei pannoloni, rifacimento delle stanze dei pazienti, del giro letti. Preciso che la mattina si fa il giro di tutti gli ammalati nel senso che vengono cambiati e puliti. La ricorrente si occupa altresì di aiutare i pazienti bisognosi nell’alimentazione, nel senso che se necessario li imbocca. La ricorrente inoltre si occupa di posizionare i pazienti dal letto sulla barella e viceversa, di trasportarli verso gli altri reparti analisi, e di accompagnarli in sale operatoria a alle visite specialistiche. (…) Per quanto concerne la distribuzione dei pasti, ho visto che questi vengono portati in reparto dalle signore delle cucine, che tuttavia non si occupano di imboccare i pazienti bisognosi. Da quattro o cinque mesi, ci sono i “camminatori”, ovvero ragazzi alle dipendenze di una Cooperativa, che hanno il preciso compito di trasportare per esempio le provette, i pazienti e di occuparsi del trasporti di altro genere di materiale, Nonostante la presenza dei camminatori, posso dire che gli infermieri vengono tuttora chiamati a trasportare i pazienti da un reparto all’altro”.

La deposizione è stata poi pienamente confermata anche dal teste ***, collega infermiere adibito al medesimo reparto ha confermato che “La ricorrente è un’infermiera professionale e si occupa in particolare dell’igiene dei pazienti. Si occupa altresì del cambio delle lenzuola, cambio pannoloni, rifacimento delle stanze dei pazienti, del giro letti. Preciso che la mattina si fa il giro letti, nel senso che gli ammalati vengono cambiati e puliti. Il giro letti dura all’incirca dalle ore 7.00 alle ore 11.00 della mattina. La visita ai paziente viene effettuata dal dottore, insieme all’infermiere e alla caposala, all’incirca dalle ore 9.30 in poi. Un infermiere quindi si stacca dagli altri che continuano a fare il giro letti, e affianca il medico. La ricorrente si occupa altresì di aiutare i pazienti bisognosi nell’alimentazione, nel senso che se necessario li imbocca. La ricorrente inoltre si occupa di posizionare i pazienti dal letto sulla barella e viceversa, di trasportarli verso gli altri reparti analisi, e di accompagnarli in sala operatoria o alle visite specialistiche. Ospitare. (…) Per quanto concerne la distribuzione dei pasti ho visto che questi vengono portati in reparto dalle signore delle cucine, che tuttavia non si occupano di somministrare il pasto. Le signore della cucina danno il vassoio del pasto al paziente, mettendolo sul tavolo in stanza adiacente ai letti. Aggiungo che poi ci sono due volontari, a volte, quando sono disponibili, che poi aiutano i pazienti bisognosi a mangiare. I volontari io li ho visti da quando sono assegnato al reparto (2010). Preciso però che i volontari vengono con frequenza di 4 giorni a settimana, ma sono solo due volontari su 33 pazienti, e quindi tutti i giorni, per colazione, pranzo e cena, siamo noi infermieri che dobbiamo aiutare i pazienti bisognosi a mangiare. (…) Posso dire che almeno il 70% dei pazienti hanno bisogno di essere imboccati o aiutati”.

Peraltro, tali circostanze sono state pienamente confermati anche dai testi di arte convenuta dott. *** e dott. ***. In particolare, quest’ultimo, primario del reparto dal 2018, e precedentemente responsabile ai sensi dell’art. 18 CCNL, ha riferito che “Posso dire che nel reparto di ortopedia, fin da quando io ho iniziato a lavorarvi, non ho mai visto personale OSS. C’è un portantino per tutti i reparti dell’ospedale, che fa dei turni all’interno del nostro reparto. (…) La ricorrente è un infermiere professionale e si occupa in particolare dell’igiene dei pazienti, questa mansione fa parte dell’assistenza della persona dei pazienti. Anche perché se un paziente per esempio viene operato all’anca o al ginocchio, l’infermiere sa quello che deve fare avendone le competenze. Si occupa altresì del cambio delle lenzuola, cambio dei pannoloni, del giro letti. Preciso che la mattina si fa il giro di tutti gli ammalati nel senso che vengono cambiati e puliti. Per quanto invece concerne il rifacimento delle stanze dei pazienti, posso dire che il servizio è stato esternalizzato ad una ditta esterna. La ditta esterna pulisce quindi il pavimento per esempio e il bagno. L’esternalizzazione se non sbaglio dovrebbe essere stata effettuata almeno dall’anno 2018, per l’epoca precedente non so dirlo. La ricorrente si occupa altresì di aiutare i pazienti bisognosi nell’alimentazione, nel senso che se necessario li imbocca. Anche questo rientra tra i compiti di assistenza alla persona. La ricorrente inoltre si occupa di posizionare i pazienti dal letto sulla barellą e viceversa, di trasportarli verso gli altri reparti analisi o di accompagnarli in sala operatoria o alle visite specialistiche. (…) Per quanto concerne la distribuzione dei pasti, ho visto che questi vengono portati in reparto dalle signore delle cucine, e poi vengono distribuiti dagli infermieri che se necessario si occupano di imboccare i pazienti bisognosi.” Tutte le deposizioni sopra riportate sono pienamente attendibili sia per la precisione con cui sono state narrate le circostanze oggetto di giudizio sia per il disinteresse manifestato i fatti di causa. Deve peraltro rilevarsi che tutti i testi hanno deposto su circostanze apprese personalmente essendo colleghi di lavoro del ricorrente nel medesimo di Ortopedia presso l’Ospedale di XXX.

Orbene, sulla base delle deposizioni testimoniali, deve ritenersi pienamente provato il dato della adibizione sistematica della parte ricorrente alle mansioni inferiori come allegato nel ricorso, in misura tale da risultare del tutto prevalente rispetto all’espletamento delle mansioni di infermiere.

Nella specie, la prova per testi ha acclarato la carenza cronica e continuativa in reparto degli O.T.A e degli O.S.S., tale da determinare sistematicamente e su ogni turno (mattutino e notturno) la loro sostituzione da parte degli infermieri (n. 4 a turno) ivi adibiti su 32 ammalati in reparto ed altri 10 nei corridoi (cfr. testi Dott.sa ***, dott. ***) e quindi la sistematicamente adibizione della parte ricorrente alle attività di cambio pannolini, cambio lenzuola, cure igieniche dei pazienti non autosufficiente, alimentazione di pazienti anziani e bisognosi» ( così si legge nella sentenza impugnata). Tanto accertato in punto di fatto, il Tribunale ha ritenuto pertanto sussistere il danno da dequalificazione professionale in quanto lesiva «della sua dignità ed immagine professionale, sia nei confronti dei pazienti e dei loro familiari, sia nei confronti degli altri colleghi ospedalieri, incidendo altresì negativamente sulla aspettativa di carriera».

In ordine al quantum, il Tribunale ha determinato suddetto danno nella misura del 10% della retribuzione normale netta di fatto percepita dalla ricorrente, nei limiti della eccepita prescrizione quinquennale.

Con il primo parte appellante lamenta l’omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione della sentenza nella parte in cui avrebbe erroneamente ritenuto le mansioni di fatto svolte esulanti dal profilo professionale di appartenenza. In particolare, l’appellante censura la sentenza laddove non ha evidenziato che l’attività propria dell’infermiere è sì quella che consiste nella somministrazione delle terapie mediche e nel supporto all’equipe, ma ciò non esclude che questa attività sia strettamente intrecciata con altri compiti essenziali quali la somministrazione dei pasti, la pulizia dei pazienti (se non circoscritta al mero aspetto meccanico dell’operazione) e tutte quelle attività complementari né di tipo semplice o esclusivamente meccanico che comportino un contatto diretto con il malato e consentano di verificare le sue generali condizioni di salute. Assume dunque l’appellante che i compiti svolti dalla YYY siano perfettamente compatibili e sovrapponibili con quelli previsti per la qualifica rivestita e in ogni caso le mansioni inferiori non possano essere ritenute come prevalenti rispetto all’espletamento delle mansioni infermieristiche come previste dal CCNL di riferimento, dal codice deontologico degli infermieri e dalle normative applicabili.

Con il secondo motivo l’appellante si duole del fatto che il Tribunale ha comunque ritenuto sussistente il danno da dequalificazione nella misura determinata in sentenza pur in assenza di specifici criteri utilizzati per la sua quantificazione.

L’appello è solo in minima parte fondato.

Come è stato rimarcato nella sentenza impugnata l’attività infermieristica è disciplinata dal DM 739 del 1994 il quale all’art. 1 stabilisce: “è individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: L’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica. 2. L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria. 3 L’infermiere: a) partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico; d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnosticoterapeutiche; e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto; g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale. 4.

L’infermiere contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca”.

Le mansioni degli operatori socio-sanitari (OSS) inquadrati nel liv. B del CCNL di settore, al pari degli operatori addetti all’assistenza (OTA), sono invece disciplinate dall’accordo conferenza Stato-Regioni del 22/02/2001; in particolare l’operatore socio-sanitario coadiuva il medico e soprattutto il personale infermieristico nello svolgimento delle attività, dedicandosi ai bisogni primari del paziente, nonché alle attività igienico-domesticoalberghiere; è dunque una figura di supporto.

Come condivisibilmente ribadito in analoghi precedenti di questa Corte (vd. da ultimo la sentenza n. 883/2020 del 18.11.2020), pur non sussistendo una vera e propria gerarchia, è indubbio che l’infermiere professionale, anche in considerazione del percorso formativo per l’accesso alla professione (laurea triennale ed eventualmente specializzazione, nonché necessità di formazione continua con i corsi ECM) svolge mansioni maggiormente qualificate e pertanto superiori, tanto è vero che il citato D.M. n. 739/1994 dispone che l’infermiere coordini il personale di supporto.

In tale contesto, non vi è pertanto giustificazione ad un ricorso, in via ordinaria e non eccezionale o saltuaria, agli infermieri professionali per lo svolgimento quotidiano, costante e continuativo di mansioni inferiori, oltre a quelle proprie della qualifica rivestita.

Situazione che al contrario è dato riscontrare nella fattispecie dove la circostanza di una carenza cronica di personale ausiliario (OSS e OTA) nel reparto di ortopedia ha costituito un dato oggettivo che corrobora quanto riferito dai testi escussi circa la sistematica sostituzione di detto personale con gli infermieri professionali.

Deduce parte appellante che per le peculiarità del reparto di ortopedia, ove buona parte dei degenti sono non autosufficienti e bisognevoli di cura ed assistenza anche per l’igiene personale, l’intervento del personale infermieristico dovrebbe ritenersi ascrivibile alle mansioni proprie dell’inquadramento rivestito.

Osserva la Corte che sebbene un’attività di supplenza svolta nell’interesse primario degli assistiti e dell’organizzazione del servizio, rientrerebbe comunque nei compiti di compensazione previsti dall’art. 49 del codice deontologico dell’infermiere, nel caso in esame dall’istruttoria svolta in primo grado è emerso che tale supplenza non è stata affatto occasionale, bensì quotidiana, costante e continuativa, nonché protratta negli anni.

Inoltre, sebbene alcune mansioni possano risultare effettivamente complementari, le altre mansioni (attività di pulizia e di riordino dei locali, movimentazione dei degenti, cambio lenzuola e rifacimento dei letti dei pazienti) sono invece inferiori, in quanto del tutto estranee alla professionalità propria dell’infermiere.

Invero i testi escussi hanno riferito che solo a decorrere dal 2018 è stato affidato ad una ditta esterna il servizio di pulizia dei locali (vd. dichiarazioni del teste Pitocchi), con ciò confermando la carenza di personale interno alla struttura ospedaliera in epoca precedente.

Alla stregua di tali assorbenti considerazioni il motivo non merita accoglimento.

In minima parte fondato è il secondo motivo di gravame.

Dall’espletata istruttoria è emerso che sin dall’assunzione la YYY ha espletato con abitualità le mansioni igienico-domestico-alberghiere descritte in ricorso, pur dovendosi escludere che tutte le mansioni espletate dalla YYY siano da ritenersi inferiori, avendo ella stessa dedotto di aver continuato a svolgere anche le funzioni proprie della qualifica posseduta. Invero, l’infermiere di categoria D, in base al D.M. n. 739/1994, è il responsabile dell’assistenza generale infermieristica e garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; pertanto pure attività collaterali, come ad esempio l’alimentazione del paziente non autonomo e la movimentazione del paziente immobilizzato a letto o comunque non autosufficiente, al fine di provvedere alla sua igiene personale, sono mansioni proprie dell’infermiere, poiché non sono né semplici né di tipo esclusivamente meccanico; esse comportano infatti un contatto diretto con il paziente e consentono di verificare le sue condizioni generali di salute, in modo da valutare la risposta alle terapie praticate e l’eventuale necessità di un ulteriore supporto assistenziale o la necessità dell’intervento del personale medico. Tali attività, pur essendo delegabili all’ausiliario per la parte più squisitamente meccanica, tuttavia devono ritenersi proprie dell’infermiere, poiché questi è l’unico in grado di capire e valutare la natura ed il grado di assistenza da apprestare al paziente. Invece non sono certamente dell’infermiere le attività di pulizia e riordino dei locali, il rifacimento dei letti dei pazienti, il riordino dei carrelli per le cure igieniche, la sistemazione della biancheria. Dunque l’adibizione a mansioni inferiori è risultata solo parziale ed in aggiunta all’attività propria dell’infermiere professionale.

In ogni caso, la assenza di personale di supporto nel reparto ortopedia impone di ritenere, in via logica e presuntiva, che abitualmente le mansioni inferiori fossero svolte appunto dagli infermieri professionali, fra cui la YYY, che dunque è stata adibita allo svolgimento quotidiano, costante e continuativo di mansioni inferiori in aggiunta a quelle proprie della qualifica professionale rivestita.

Ribadito il principio di diritto, secondo cui il danno, anche non patrimoniale, non può dirsi in re ipsa, ritiene la Corte che la più che apprezzabile durata (dall’ottobre 2012 al maggio 2018) dello svolgimento anche di mansioni inferiori, consente di presumere quantomeno la sussistenza di un danno alla dignità professionale della lavoratrice e alla sua immagine lavorativa, che può essere liquidato equitativamente. Invero, nel caso in esame è emerso che, per quasi sei anni, la YYY è stata quotidianamente impegnata nello svolgimento anche di mansioni inferiori abitualmente e continuativamente.

In conclusione, tenuto conto che alcune mansioni (l’alimentazione e la movimentazione del paziente immobilizzato a letto o comunque non autosufficiente, al fine di provvedere alla sua igiene personale) devono dirsi effettivamente complementari e quindi non dequalificanti mentre solo alcuni dei compiti descritti nell’originario ricorso possono ritenersi propri delle qualifiche inferiori, in quanto del tutto estranei alla professionalità propria dell’infermiere, la liquidazione del danno risulta essere stata correttamente effettuata in via equitativa nella misura del 10% della retribuzione netta del periodo dal 26.7.2013 al 31.12.2017.

Quanto al periodo dal 1.1.2018 al 18.5.2018, dall’espletata istruttoria è emerso che è stato appaltato ad una ditta esterna il servizio di pulizia dei locali, talché deve ritenersi che i compiti più dequalificanti non siano più stati espletati dalla lavoratrice, se non in casi eccezionali. Ne consegue che il danno derivante dalla dequalificazione professionale nel periodo in esame deve essere equitativamente determinato nella misura dell’8% della retribuzione netta percepita dalla lavoratrice, oltre alla maggior somma fra interessi e rivalutazione come per legge.

L’esito complessivo del giudizio e la sostanziale soccombenza dell’ASL appellante, essendo stato accolto il gravame limitatamente ad una modesta riduzione del risarcimento dovuto in relazione a pochi mesi rispetto alla durata della accertata dequalificazione professionale, impone la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano nella misura di cui in dispositivo, così determinata in applicazione dei criteri di cui al D.M. 147/2022, con attribuzione al procuratore antistatario. P.Q.M.

In parziale riforma della gravata sentenza, che nel reso conferma, condanna l’appellante al risarcimento del danno subito nella misura del 10% della retribuzione netta percepita dal 26.7.2013 sino al 31.12.2017 e nella misura del

8% della retribuzione netta percepita dal 1.1.2018 al 18.5.2018; condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali che liquida quanto al primo grado in € 2.789,00 e quanto all’appello in € 2.000,00, oltre rimborso spese forfettario in misura pari al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi.

Roma, 04/04/2023

Il Presidente est.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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