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Anzianità di servizio, interesse ad agire

Anzianità di servizio, può essere oggetto di verifica giudiziale senza termine di tempo purchè sussista nel ricorrente l’interesse ad agire.

Pubblicato il 09 July 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE LAVORO – PRIMO GRADO 3^

IL GIUDICE, Dott., quale giudice del lavoro, all’udienza del

01.03.2022 ha pronunciato la seguente

SENTENZA 6263/2022 pubblicata il 01/07/2022

nella causa iscritta al n.10391/2021 R.G e vertente

TRA

XXX E YYY,

RICORRENTI

E

INVALSI –ISTITUTO NAZIONALE PER LA VALUTAZIONE DEL
SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E DI FORMAZIONE,

RESISTENTE

E

FATTO E DIRITTO

XXX e YYY hanno convenuto in giudizio Invalsi-Istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione– per sentir accogliere nei confronti del medesimo le seguenti conclusioni:” accertarsi e dichiararsi la natura subordinata del rapporto di lavoro della dott.ssa YYY alle dipendenze di INVALSI a far data dal 27 agosto 2001 con mansioni ascrivibili al profilo di ricercatore/tecnologo – III livello professionale; b) dichiararsi la conversione dei contratti co.co.co. sottoscritti dalle ricorrenti in contratti di lavoro a tempo determinato, profilo ricercatore/tecnologo – III livello professionale; c) il diritto delle ricorrenti a vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio pre-ruolo a tutti i fini giuridici ed economici non prescritti con conseguente obbligo dell’INVALSI di procedere alla ricostruzione di carriera; d) condannare di conseguenza la convenuta amministrazione al pagamento della somma in atto indicata, ovvero in quella maggiore o minore che dovesse risultare di giustizia, quali differenze retributive dovute in esito alla ricostruzione di carriera del ricorrente con interessi dal fatto al soddisfo; e) condannare la convenuta amministrazione al risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale derivanti dalla mancata osservanza della Direttiva 1999/70/CE; f) condannare la convenuta amministrazione al risarcimento dei danni per uso abusivo dei contratti a termine; g) dichiarare l’illegittimità del comportamento della convenuta amministrazione; h) condannarsi la convenuta al pagamento delle spese di lite in favore del sottoscritto procuratore antistatario”. Invalsi si è costituito eccependo la prescrizione e il giudicato (limitatamente alla sig.ra XXX) e chiedendo di rigettare il ricorso in quanto infondato.

Dopo avere tentato inutilmente la conciliazione, il giudice ha disposto doversi procedere alla discussione con le modalità della c.d. “trattazione scritta” e ha autorizzato il deposito di note.

Le parti costituite hanno depositato le note richieste.

All’odierna udienza la causa è stata infine decisa.

****

Risulta dagli atti che le ricorrenti sono dipendenti a tempo indeterminato dell’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione con mansioni di Ricercatore e che, prima dell’assunzione in ruolo, hanno svolto le medesime mansioni dei colleghi a tempo indeterminato in forza di una serie di contratti di prestazione d’opera e a termine.

Con il presente giudizio lamentano che, al momento dell’assunzione a tempo indeterminato non è stata loro riconosciuta l’anzianità di servizio pregressa sia ai fini economici che a quelli giuridici.

In particolare: la dott.ssa XXX veniva assunta dal CEDE con contratto di prestazione d’opera intellettuale dal 29.03.99 al 30.04.99 al fine di svolgere i seguenti compiti: “Realizzazione, nell’ambito del sistema di gestione dei materiali documentali prodotti da enti esterni al CEDE e raccolti per la costruzione dell’archivio docimologico, di un rapporto che riassuma l’analisi, e relativa classificazione, delle tipologie degli strumenti di accertamento e valutazione dei processi scolastici” (All.6); seguiva ulteriore contratto di prestazione d’opera intellettuale dal 03.01.00 al 30.06.00 al fine di svolgere i seguenti compiti: “operazioni di editing di documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica e mansioni di supporto segretariale” (All. 7 – protocollo n. 8051); seguiva ulteriore contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 3 luglio 2000 – 30 dicembre 2000 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing di documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica e mansioni di supporto segretariale” (All. 8 – protocollo n. 3887); seguiva ulteriore contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 8 gennaio 2001 – 30 giugno 2001 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing di documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica e mansioni di supporto segretariale” (All. 9 – protocollo n. 6987). Con Decreto n. 113 del 29.12.2000, visto il D.Lvo 20.07.99 n. 258 che trasforma il C.E.D.E. in Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, venivano prorogate le attività di ricerca riguardanti il progetto SNQI (All.10). La ricorrente veniva, successivamente assunta con contratto di prestazione d’opera professionale dal 27.08.01 al 31.12.01 (All.11 – protocollo n. 4500). Seguivano: – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 07.01.2002 – 28.06.02 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing di documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica e mansioni di supporto segretariale” (All. 12 – protocollo n. 20 del 3.01.02); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 08.07.2002 – 31.12.02 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica” (All. 13 – protocollo n. 3849 del 8.07.02); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 02.01.2003 – 28.02.03 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing di documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica” (All. 14 – contratto n.70 del 2.01.03); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 03.03.2003 – 31.03.03 al fine di svolgere i seguenti interventi:

“operazioni di editing di documentazione, gestione dati, inserimento di dati su archivi, costruzione di documentazione elettronica” (All. 15 – protocollo n.1313 del 3.03.03); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 01.04.2003 – 31.12.03 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing di documentazione elettronica, organizzazione di informazioni delle scuole” (All.16 – protocollo n.2020 del 7.04.03); – contratto di prestazione d’opera con decorrenza 02.01.2004 – 28.02.04 al fine di svolgere i seguenti interventi: “operazioni di editing di documentazione elettronica, organizzazione di informazioni, analisi statistiche di dati con software specialistico, attività di consulenza delle scuole via telefono o strumenti informatici” (All.17 – protocollo n. 172 del 14.01.04); – contratto di prestazione d’opera con decorrenza 01.03.2004 – 31.12.04 al fine di svolgere i seguenti interventi: “collaborazione al coordinamento attività progetto 440; collaborazione alla progettazione dell’attività di monitoraggio; analisi documentale; partecipazione alle attività del comitato tecnico-scientifico; collaborazione alla stesura di documenti; costruzione e revisione strumenti di rilevazione dati; collaborazione alla stesura del piano analisi dei dati; collaborazione alla stesura del report finale” (All. 18 – protocollo n.1626 del 07.04.04); – contratto di prestazione d’opera con decorrenza 10.01.2005 – 28.02.05 al fine di svolgere i seguenti interventi: “collaborazione con il responsabile del progetto; collaborazione alla progettazione della strumentazione; alla partecipazione alle attività del gruppo di lavoro; alla stesura di documenti; costruzione e revisione strumenti di rilevazione dati; collaborazione alla stesura del piano analisi dei dati; collaborazione alla stesura del report finale. Progetto Centri giovanili: redazione documenti; collaborazione alla revisione degli strumenti di rilevazione; collaborazione alla stesura e alla revisione di documenti” (All. 19 – protocollo n. 474 del 14.01.05); – contratto di prestazione d’opera con decorrenza 01.03.2005 – 31.12.05 al fine di svolgere i seguenti interventi: “collaborazione con il responsabile del progetto; collaborazione alla progettazione della strumentazione; alla partecipazione alle attività del gruppo di lavoro; alla stesura di documenti; costruzione e revisione strumenti di rilevazione dati; collaborazione alla stesura del piano analisi dei dati; collaborazione alla stesura del report finale. Progetto Centri giovanili: redazione documenti; collaborazione alla revisione degli strumenti di rilevazione; collaborazione alla stesura e alla revisione di documenti” (All. 20 – protocollo n. 1625 del 23.03.05); – contratto di collaborazione coordinata e continuativa con decorrenza 09.01.2006 – 30.06.06 al fine di svolgere gli interventi meglio individuati dal contratto stesso ed in perfetta continuità con le attività svolte in precedenza (All. 21 – protocollo n. 213 del 16.01.06); – contratto di collaborazione coordinata e continuativa con decorrenza 01.07.2006 – 31.12.06 al fine di svolgere gli interventi meglio individuati dal contratto stesso ed in perfetta continuità con le attività svolte in precedenza (All. 22 – protocollo n. 0004647 del 05.07.06); – contratto di collaborazione coordinata e continuativa con decorrenza 08.01.2007 – 30.06.07 al fine di svolgere gli interventi meglio individuati dal contratto stesso ed in perfetta continuità con le attività svolte in precedenza (All. 23 – protocollo n. 0000521 del 05.02.07; All. 24 – protocollo n. 0002036 del 03.04.07); – contratto di collaborazione coordinata e continuativa con decorrenza 20.08.2007 – 20.02.08 al fine di svolgere gli interventi meglio individuati dal contratto stesso ed in perfetta continuità con le attività svolte in precedenza (All. 25 – protocollo n. 0004579 del 20.08.07). Tale contratto veniva rinnovato con decorrenza 21.02.08 e sino al 20.02.09 (All.26 – protocollo n. 0001105 del 21.02.08). Con protocollo n. 2227 dell’11.02.09 la ricorrente veniva assunta dall’INVALSI con contratto di lavoro a tempo determinato con decorrenza dal 01.03.09 al 29.02.12 (All.27). Il contratto veniva prorogato sino al 31.08.12, come da protocollo n. 0000322 del 13.01.12 (All.28). Seguivano ulteriori proroghe, senza soluzione di continuità: dal 01.09.2012 al 31.12.2013, come da protocollo n. 0009981 del 31.08.12 (All.29); dal 01.01.14 al 31.12.2014, come da protocollo n. 0013367 del 04.12.13 (All.30); ° dal 01.01.15 al 31.12.2016, come da protocollo n. 0013675 del 23.12.14 (All.31); dal 01.01.2017 al 31.12.2018, come da protocollo n. 0010651 del 24.11.2016 (All.32).

Con protocollo n. 0005013 del 23.06.2017 la stessa ricorrente veniva assunta a tempo indeterminato con la qualifica di Ricercatore – III livello professionale, prima fascia stipendiale (con azzeramento di tutta l’anzianità pregressa e delle fasce precedentemente riconosciute) (All.33). Fin dalla data della prima assunzione la ricorrente ha svolto pacificamente funzioni tipiche del III livello – profilo Ricercatore.

La continuità ed identità di mansioni sono facilmente accertabili dalla documentazione prodotta, nemmeno contestata da Invalsi. Anzi, l’attività per gli anni 2009-2012 e 2012-2017 ha formato oggetto di accertamento ai fini dell’attribuzione della fascia stipendiale successiva. In seguito alla verifica dell’attività svolta alla ricorrente veniva riconosciuta la fascia superiore (Relazione attività 2009-2012 come da protocollo n. 0004768; Relazione attività 2012-2017 come da protocollo n. 0000764; Determinazione n. 113 del 2016; – Determinazione n. 133 del 15.06.2017 (All.34, 35, 36, 37).

Il riconoscimento della superiore fascia è prova inconfutabile della regolarità dell’attività svolta e certificazione di quanto riportato nella relazione presentata ai sensi dell’art. 4, comma 6, del CCNL 1994-95 (All.38).

Sono state depositate, inoltre, relazione attività periodo 2016 – 2019 e Delibera n. 19 del 20.04.20 (All.39); Dichiarazione attività svolte marzo 2000 (All.40); Dichiarazione attività svolte giugno 2000 (All.41); Dichiarazione attività svolte settembre 2000 (All.42); Dichiarazione attività svolte novembre 2000 (All.43); protocollo n. 2786 del 12 luglio 2000 (All.44); Incarico di consulenza del 10 maggio 2001 (All.45); Dichiarazione attività svolte gennaio 2001 (All.46); Contratti consulenza giugno 2001 (All.47); Progetto SNQI7 proroga contratti gennaio 2001 – giugno 2001 (All.48); Report finale di ricerca “La valutazione dei dirigenti scolastici” 29.03.02 (All.49); Contratti consulenza dicembre 2003 (All.50); Contratti consulenza dicembre 2004 (All.51); Collaborazione a progetti anno 2006 (All.52); protocollo n. 321 del 18.01.06 – Nomina ad incaricato del trattamento dei dati personali (All.53); Attestazione partecipazione a progetti (All.54); Attestazione attività lavorativa maggio 2008 (All.55). Incarichi di Attività di docenza (protocollo n. 0014275 del 28.11.12; protocollo n. 0003203 del 11.04.13; protocollo n. 0005939 del 09.07.13; protocollo n. 0002346 del 05.03.10; protocollo n. 0001672 del 18.02.10; protocollo n. 0014027 del 21.11.12; protocollo n. 0007961 del 25.08.10) (All.56), Incarico di docenza – protocollo n. 0007961 del 26.08.10 (All.57), Richiesta nulla osta per attività di docenza – protocollo n. 0014027 del 21.11.12 (All.58), nulla osta incarico di docenza – protocollo n. 0002346 del 05.03.10 (All.59), nulla osta incarico di docenza – protocollo n. 0001672 del 18.02.10 (All.60). Commissioni e comitati (protocollo n. 0008952 del 9.11.15 – determinazione n. 1/2015 con la quale la ricorrente veniva nominata membro del Nucleo di Valutazione dei curricula; protocollo n. 0007067 del 18.09.19 – Ordine di Servizio “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0004036 del 08.05.13 – Disposizione Commissariale n. 24/13 “nomina componente commissione esaminatrice”; protocollo n. 0007958 del 02.08.16 – Disposizione Presidenziale n. 5/16 “nomina componente commissione esaminatrice”; protocollo n. 0006659 del 04.09.17 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0007168 del 22.09.17 – nomina quale membro del Nucleo di Valutazione dei curricula; protocollo n. 0002427 del 20.02.18 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0005549 del 16.05.18 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0007352 del 06.07.18 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0006690 del 12.06.18 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0010053 del 20.09.18 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; protocollo n. 0000071 del 08.01.19 “nomina componente Nucleo Valutazione CV”; Determinazione n. 25 del 05.02.18 – Nomina quale membro del Comitato di vigilanza per la prova scritta per lo svolgimento della prova scritta della procedura selettiva per la partecipazione a corsi formativi finalizzati alla costituzione di un elenco di autori delle prove INVALSI d’inglese) (All.61). Determinazioni assegnazione personale (Determinazione n. 98 del 24.04.18 Assegnazione Settore Ricerca Valutativa – Responsabile diffusione prove invalsi; Determinazione n. 41 del 01.03.19 – Assegnazione Settore Ricerca Valutativa – Responsabile diffusione prove invalsi; Determinazione n. 147 del 02.09.19 – Riorganizzazione aree della ricerca – Nomina quale responsabile della diffusione prove invalsi) (All.62). Incarichi PON (protocollo n. 0013962 del 12.12.13

– nomina a responsabile dei Progetti “Piano di formazione e informazione dei team di valutazione alle indagini nazionali e internazionali” e “Piano di informazione e formazione sull’indagine OCSEPISA e altre ricerche nazionali e internazionali”; protocollo n. 0005214 del 17.05.11- Incarico partecipazione Comitato di sorveglianza della Commissione Europea – Napoli, 18.05.11; protocollo n. 005166 del 17.05.11 – Determina n. 84/11 – Assegnazione al progetto “Piano di formazione e sensibilizzazione sull’indagine OCSE-PISA”; protocollo n. 0000789 del 29.01.13 – Incarico di missione; protocollo n. 0000384 del 17.01.13 – Incarico quale responsabile di progetto – Milano, 18.01.13; protocollo n. 0014674 del 7.12.12 – Padova, 10-11.12.12) (All.63). Ed inoltre curriculum vitae (All.64), elenco pubblicazioni (All.65), rapporti di ricerca su progetti invalsi (All.66), interventi a convegni e seminari (All.67), volumi saggi (All.68), n. 2 disciplinari d’incarico (All.69, 70), buste paga (All.71).

Davvero non si comprende come potrebbe allora essere negata l’esistenza di una prestazione che si è svolta di fatto per molti anni, già prima della stabilizzazione, con modalità tipiche di un normalissimo rapporto di lavoro subordinato

Circostanza questa che invalsi non ha contestato e neanche avrebbe potuto contestare poiché con ricorso iscritto al RG 4841/2016, conclusosi con la sentenza n. 565/2018 (All.72), il Tribunale di Velletri ha accertato che “nonostante la formale natura autonoma degli incarichi di prestazione d’opera professionale e di collaborazione coordinata e continuativa, di cui ai richiamati contratti stipulati dalla ricorrente nel periodo dal 2001 al 2009 il rapporto di lavoro è stato contrassegnato dalla sussistenza del vincolo giuridico della subordinazione” con la conseguenza che anche tutti i contratti precedenti al rapporto di lavoro a tempo determinato andranno conteggiati ai fini dell’anzianità complessiva vista la natura subordinata degli stessi e l’identità di mansioni svolte negli anni.

La dott.ssa YYY veniva dal canto suo assunta con contratto di prestazione d’opera intellettuale dal CEDE con decorrenza 27 agosto 2001 – 31 dicembre 2001 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Elaborazione di materiali di verifica e valutazione; Interviste telefoniche per la verifica e l’approfondimento dei dati; Conduzione dei gruppi di approfondimento e di studio di caso; Codifica delle domande aperte e immissione di alcuni dati; Corrispondenza e rapporti con i laboratori; Archiviazione della documentazione” (All.76 – protocollo n. 4500 del 31.07.01); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 01.02.2002 – 31.07.02 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Elaborazione di materiali di verifica e valutazione; Interviste telefoniche per la verifica e l’approfondimento dei dati; Conduzione dei gruppi di approfondimento e di studio di caso; codifica delle domande aperte e immissione di alcuni dati; Corrispondenza e rapporti con i laboratori; Archiviazione della documentazione” (All.77 – protocollo n. 459 del 28.01.02); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 08.08.2002 – 31.12.02 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Elaborazione di materiali di verifica e valutazione; Interviste telefoniche per la verifica e l’approfondimento dei dati; Conduzione dei gruppi di approfondimento; codifica delle domande aperte e immissione di alcuni dati; Corrispondenza e rapporti con i laboratori; Archiviazione della documentazione e collaborazione alla scelta dei materiali ai fini del CD-ROM finale” (All.78 – protocollo n. 4189 del 08.08.02); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 03.03.2003 – 31.03.03 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Interviste telefoniche e non per la verifica e l’approfondimento dei dati; Conduzione dei gruppi di approfondimento; codifica delle domande aperte e immissione di alcuni dati; Corrispondenza e rapporti con i laboratori; Archiviazione della documentazione e collaborazione alla scelta dei materiali ai fini del CD-ROM finale” (All.79 – protocollo n. 1313 del 03.03.03); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 01.04.2003 – 31.12.03 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Elaborazione e adattamento di strumenti di verifica e valutazione; collaborazione ai rapporti intermedi e finali; indagini documentarie a livello europeo per il CoE-CHE; raccolta e analisi della produzione dei diversi paesi” (All.80 – protocollo n. 2015 del 07.04.03); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 02.01.2004 – 28.02.04 per lo svolgimento dei seguenti interventi:

“Elaborazione e adattamento di strumenti di verifica e valutazione; collaborazione ai rapporti intermedi e finali; indagini documentarie a livello europeo per il CoE-CHE; raccolta e analisi della produzione dei diversi paesi” (All.81 – protocollo n. 147 del 14.01.04); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 01.03.2004 – 31.12.04 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Elaborazione e adattamento di strumenti di verifica e valutazione; collaborazione ai rapporti intermedi e finali; indagini documentarie a livello europeo per il CoE-CHE; raccolta e analisi della produzione dei diversi paesi” (All.82 – protocollo n. 1629 del 07.04.04); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 10.01.2005 – 28.02.05 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Messa a punto della matrice SPSS; codifica delle domande aperte e immissione dei dati; analisi ed elaborazione dei dati finalizzati alla valutazione sia dei nuovi elaborati, sia di quelli già esistenti; Interviste telefoniche, e non, per la verifica e l’approfondimento dei dati; Approfondimento e studio di casi; Corrispondenza e rapporti con i laboratori; Analisi ed archiviazione della documentazione; Collaborazione alla scelta del Gruppo di approfondimento; Sistema dei rapporti intermedi e finale” (All.83 – protocollo n. 206 del 14.01.05); – contratto di prestazione d’opera intellettuale con decorrenza 01.03.2005 – 31.12.05 per lo svolgimento dei seguenti interventi: “Messa a punto della matrice SPSS; codifica delle domande aperte e immissione dei dati; analisi ed elaborazione dei dati finalizzati alla valutazione sia dei nuovi elaborati, sia di quelli già esistenti; Interviste telefoniche, e non, per la verifica e l’approfondimento dei dati; Approfondimento e studio di casi; Corrispondenza e rapporti con i laboratori; Analisi ed archiviazione della documentazione; Collaborazione alla scelta del Gruppo di approfondimento;

Sistema dei rapporti intermedi e finale” (All.84 – protocollo n. 21489 del 16.03.05). Successivamente, la ricorrente veniva assunta con contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 09.01.06 al 30.06.06 al fine di: “Costruzione della maschera per i questionari della ricerca Valmuss2 codifica delle domande aperte e immissione dei dati dei questionari Valmuss2; analisi ed elaborazione dei dati Valmuss2 finalizzati alla valutazione sia dei laboratori musicali aperti all’inizio di questo anno scolastico, sia di quelli già esistenti; interviste telefoniche, e non, per la verifica e l’approfondimento dei dati Valmuss2; corrispondenza e rapporti con i laboratori musicali, comprese alcune visite agli stessi; analisi e archiviazione della documentazione della ricerca Valmuss2; coordinamento del Gruppo di approfondimento e collaborazione alla conduzione dello stesso in vista del seminario conclusivo della ricerca Valmuss2; collaborazione alla stesura del rapporto finale della ricerca Valmuss2 e alla progettazione e preparazione del Cd-rom finale della ricerca Valmuss2; costruzione della maschera per l’immissione dei dati del questionario sulla disabilità” (All. 85 – protocollo n. 176 del 16.01.06); – contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 01.07.06 al 31.12.06 al fine di svolgere le seguenti attività: “Collaborazione alla sistemazione di un data base delle prove 2005-2006 dei disabili intellettivi on line per SNV rilevazione degli apprendimenti 2006 – 2007; collaborazione alla stesura del documento introduttivo sulle prove dei disabili intellettivi 2006-2007 per SNV rilevazione degli apprendimenti 2006- 2007; collaborazione alla revisione del questionario on line sulle prove svolte dai disabili intellettivi per SNV rilevazione degli apprendimenti 2006-2007; collaborazione all’elaborazione di un questionario sulle prove svolte dagli studenti stranieri per SNV rilevazione degli apprendimenti 2006-2007” (All.86 – protocollo n. 0004657 del 05.07.06); – contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 08.01.07 al 30.06.07 al fine di svolgere le seguenti attività: “Collaborazione alla fase di redazione del Rapporto relativo alla Ricerca azione in corso per reperimento dati, ricerca bibliografica, analisi dei documenti, stesura del testo per il Progetto IDE Indagine sul disagio educativo; incontri con le scuole per approfondimenti della Ricerca Azione per il Progetto IDE; collaborazione alla fase di redazione del Rapporto Disabilità del SNV, per reperimento dati, ricerca bibliografica, analisi dei contenuti, stesura del testo; collaborazione alla realizzazione del Seminario di presentazione del Rapporto Disabilità (All.87 – protocollo n. 0000507 del 05.02.07).

Successivamente, la sig.ra YYY andava in astensione obbligatoria per maternità e con protocollo n. 0004988 del 27.09.07 il contratto di cui sopra veniva prorogato dal 29.09.07 al 01.12.07 (All.88).

Seguiva altro contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 22.12.07 al 21.06.08 al fine di svolgere le seguenti attività: “Reperimento dati, ricerca bibliografica, analisi dei contenuti per la stesura del rapporto intermedio nell’ambito del progetto IDE; collaborazione all’organizzazione di seminari; aggiornamento e sviluppo della sezione “SID” del sito dell’Istituto; gestione degli archivi del Progetto Disabilità; revisione del questionario disabilità; realizzazione degli strumenti per studi di caso; selezione di un campione di giudizio per gli studi di caso; partecipazione agli studi di caso; attività di supporto alle scuole”(All.89 – protocollo n. 0006591 del 21.12.07).

Con protocollo n.0005497 del 20.06.08 il contratto veniva prorogato sino al 20.02.09 (All.90).

Successivamente, la ricorrente veniva assunta dall’INVALSI con contratto di lavoro a tempo determinato dal 01.03.09 al 29.02.12, come da protocollo n. 0002637 del 16.02.09 (All.91 – protocollo n. 4500 del 31.07.01). Il contratto veniva prorogato dal 1.03.12 al 31.08.12, come da protocollo n. 0000340 del 13.01.12 (All.92). Seguivano ulteriori proroghe, senza soluzione di continuità: dal 01.09.2012 al 31.12.2013, come da protocollo n. 0009770 del 27.08.12 (All.93); dal 01.01.14 al 31.12.2014, come da protocollo n. 0013368 del 04.12.13 (All.94); dal 01.01.15 al 31.12.2016, come da protocollo n. 0013675 del 23.12.14 (All.95); ° dal 01.01.2017 al 31.12.2018, come da protocollo n. 0010654 del 24.11.2016 (All.96).

Con protocollo n. 0005012 del 23.06.2017 anche la sig.ra YYY veniva assunta a tempo indeterminato con la qualifica di Ricercatore – III livello professionale, prima fascia stipendiale (con azzeramento di tutta l’anzianità pregressa e delle fasce precedentemente riconosciute) (All.97).

Fin dalla data della prima assunzione la ricorrente è stata inquadrata nel III livello – profilo Ricercatore.

La continuità ed identità delle mansioni svolte, con modalità analoghe a quelle di un qualsiasi normale dipendente, sono facilmente accertabili, nonostante la contestazione di stile di Invalsi, dalla documentazione prodotta in atti.

Del resto, l’attività per gli anni 2009-2012 e 2012-2017 ha formato oggetto di accertamento ai fini dell’attribuzione della fascia stipendiale successiva. In seguito alla verifica dell’attività svolta alla ricorrente veniva riconosciuta la fascia superiore (All.98 – Relazione attività 2009-2012; 99 – Relazione attività 2012- 2017; 100 – Determinazione n. 113 del 2016; 101 – Determinazione n. 133 del 15.06.2017). Il riconoscimento della superiore fascia è prova inconfutabile della regolarità dell’attività svolta e certificazione di quanto riportato nella relazione presentata ai sensi dell’art. 4, comma 6, del CCNL 1994-95 (All.102).

Sono state depositate per la sig.ra YYY, inoltre: n. 19 comunicazioni tenute a convegni (All. da 103 a 122), n. 10 rapporti di ricerca e relazioni tecniche (All. da 122 a 131), protocollo n. 0004494 del 09.03.09 – invito al Seminario Gruppo di Lavoro “Progetto Nuove Tecnologie e Disabilità – presentazione Rapporto Intermedio” (All.132); protocollo n. 0016173 del 10.11.09 – invito al Seminario di formazione dei correttori “Rilevazione degli Apprendimenti. Prove scritte di italiano” (All.133); protocollo n. 0010117 del 25.11.10 – Incarico di partecipazione, come relatrice, alla manifestazione di “Handimatica 20100” (All.134); protocollo n. 0004917 del 09.05.11: Determinazione n. 80/2011 – nomina quale membro di Commissione esaminatrice Nucleo di Valutazione dei curricula (All.135); protocollo n. 0009818 del 13.10.11 – Incarico partecipazione al “Seventh National Research Coordinator’s Meeting” (All.136); protocollo n. 0004504 del 20.05.13 – Incarico di missione: partecipazione al Seminario di “Formazione e Informazione dei team di Valutazione alle indagini nazionali e internazionali” (All.137); protocollo n. 0002056 del 11.03.15 – Determinazione n. 47/2015 – nomina quale componente di commissione giudicatrice (All.138); protocollo n. 0002231 – Determinazione n. 33/2013 – nomina quale componente di commissione giudicatrice (All.139); protocollo n. 0003478 del 18.04.2013 – Determinazione n. 47/2013 nomina quale componente di commissione giudicatrice (All.140); protocollo n. 0004298 del 13.05.2013 – Determinazione n. 74/2013 – nomina quale componente di commissione giudicatrice (All.141); protocollo n. 0002666 del 15.03.16 – Determinazione n. 94/2016 (All.142); protocollo n. 0002683 del 17.03.16 – nomina quale presidente della Commissione per l’affidamento, mediante procedura in economia, dei servizi di editing, stampa e allestimento dei materiali relativi alle prove da somministrare in sede di Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione per l’anno scolastico 2015/2016 (All.143); protocollo n. 0005661 del 24.05.16 – Determinazione n. 170/2016 – nomina quale componente di commissione giudicatrice (All.144): protocollo n. 000621 del 30.05.18 – Ordine di Servizio – nomina quale membro del Nucleo di Valutazione dei curricula (All.145); Nomina quale componente di commissione giudicatrice, 03.11.2017 (All.146); Assegnazione – Responsabile

Processi di Supporto all’autovalutazione, 01.03.2019 (All.147). Nonchè curriculum vitae (All.148), n. 17 pubblicazioni (All.149), partecipazione a ricerche universitarie (All.150), incarichi di docenza (All.151), collaborazioni universitarie (All.152), interventi a convegni e seminari (All.114), abilitazioni (All.153), altri incarichi (All.154). Sulla natura subordinata del rapporto di lavoro della dott.ssa YYY dal 2001 al 2009.

E’ quindi evidente che dal 2001 e sino l’assunzione in ruolo, anche la sig.ra YYY, come la sig.ra XXX, ha prestato la sua attività, con mansioni ascrivibili al profilo di ricercatore/tecnologo – III livello, in virtù di contratti formalmente denominati “contratti di collaborazione coordinata e continuativa” ma aventi carattere di rapporto di lavoro subordinato. Aveva a disposizione una stanza con recapito telefonico personale, pubblicato nella rubrica del personale in servizio presso la sede, una postazione con indirizzo di posta elettronica istituzionale; era tenuta alla presenza giornaliera e regolare sul posto di lavoro secondo gli stessi impegni orari del personale di ricerca dell’Ente; aveva le chiavi di accesso sin dal primo giorno come gli altri colleghi, partecipava a corsi pagati dall’ente partecipava a progetti diversi da quello per il quale era stata assunta, era sottoposta alle visite mediche riservate anche al personale non assunto la cui prestazione lavorativa si svolga, però, nei luoghi di lavoro del committente; usufruiva delle ferie non retribuite nel periodo natalizio e nel mese di agosto secondo un calendario delle assenze deciso nell’ambito di tutto il personale del gruppo di ricerca atto a garantire la continuità delle attività lavorative presso la sede di servizio anche nei periodi tipicamente feriali; nei tempi vuoti tra la scadenza di un progetto e l’inizio di un altro continuava a lavorare per l’ente.

Tutte circostanze che peraltro Invalsi nella sua comparsa di costituzione non ha specificatamente contestato (art. 416, comma 3, C.P.C).

Dunque, nonostante la formale natura autonoma dei co.co.co, il rapporto di lavoro è stato contrassegnato dalla sussistenza del vincolo giuridico della subordinazione, con svolgimento da parte della Dott.ssa YYY, di mansioni proprie del III livello – profilo ricercatore/tecnologo.

L’elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato, rispetto a quello di lavoro autonomo, è costituito infatti dall’assoggettamento del prestatore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente subordinazione, intesa come vincolo di natura personale, che si esplica sulle modalità di esecuzione della prestazione e non già sul solo risultato da essa prodotto.

Altri elementi sono lo stabile inserimento del prestatore nell’organizzazione aziendale in contrapposizione ad una condizione di autonomia gestionale ed organizzativa propria del lavoro non subordinato, la continuità della prestazione, la sua localizzazione, l’osservanza di un orario di lavoro – che per i ricercatori/tecnologi è configurata secondo un’ampia flessibilità con l’unico vincolo delle 36 ore medie settimanali nel quadrimestre – l’incidenza del rischio economico, l’inesistenza di una struttura organizzativa in capo al prestatore di lavoro, l’utilizzo da parte del prestatore delle attrezzature messegli a disposizione da parte del datore di lavoro.

In particolare, la Circolare n. 4/04 (All.155) ha specificato quanto segue: “dalla lettura delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001 e all’art. 110, comma 6, del decreto legislativo 267/2000, si evidenzia la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da UNA ELEVATA AUTONOMIA nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo.

L’elemento dell’autonomia deve risultare prevalente, poiché in caso contrario sarebbero aggirate e violate le norme di accesso alla pubblica amministrazione.

L’affidamento dell’incarico a terzi può dunque, avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.

La consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti ha ribadito l’impossibilità di affidare, mediante rapporti di collaborazione, i medesimi compiti che sono svolti dai dipendenti dell’amministrazione. CARATTERISTICHE: – corrispondenza agli obiettivi dell’amministrazione; – impossibilita per l’amministrazione conferente di procurarsi all’interno della propria organizzazione le figure professionali idonee allo svolgimento delle prestazioni oggetto dell’incarico, da verificare attraverso una reale cognizione; – specifica indicazione delle modalità e dei criteri di svolgimento dell’incarico; – temporaneità dell’incarico Inoltre, deve ritenersi che tali condizioni debbano tutte ricorrere perché l’incarico possa essere considerato conferito lecitamente. E’ ammissibile una proroga del contratto quando sia funzionale al raggiungimento dello scopo per il quale il contratto era stato posto in essere. Al contrario una successione indiscriminata e non giustificate di proroghe o di rinnovi sarebbe evidentemente illegittima. La necessità di ricorrere ad un incarico di collaborazione esterna, e nello specifico di collaborazione coordinata e continuativa, deve costituire, dunque, un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari per le quali l’amministrazione necessita dell’apporto di apposite competenze professionali”.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 28250/2018 (All.156), ha ribadito che indici rivelatori dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sono lo svolgimento delle stesse mansioni indipendentemente dalla definizione contenuta in ciascuno dei contratti, rispetto di un orario predeterminato, retribuzione fissa, svolgimento di compiti rientranti nella normale attività del datore di lavoro: “ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico”.

Ma allora dalla lettura dei contratti sottoscritti tra le parti risulta immediatamente evidente: a. la mancanza di elevata autonomia; b. l’assenza del requisito della temporaneità (12 anni di co.co.co); c. lo svolgimento delle stesse mansioni indipendentemente dalla definizione contenuta in ciascuno dei contratti (ovvero inventario forestale); d. lo svolgimento di compiti perfettamente rientranti nei fini istituzionali dell’ente.

Quanto poi alla volontà espressa dalle parti in seno al contratto di assunzione essa non può assurgere a elemento decisorio della controversia qualora alla medesima volontà le parti non si siano attenute, se risulta che nello svolgimento del rapporto questo si è concretizzato nel senso della subordinazione.

Pertanto, la volontà espressa nel contratto deve piegarsi rispetto alla concretezza del rapporto.

Nel caso di specie, la YYY ha : a. reso la propria prestazione lavorativa in modo continuativo per INVALSI dal 2001 sino all’assunzione in ruolo per 36 ore settimanali osservando un orario di lavoro etero-determinato; b. Era sottoposta al rispetto dell’orario; c. Non ha sopportato alcun rischio d’impresa; d. È stata retribuita mensilmente; e. Ha utilizzato strumenti e mezzi di lavoro di proprietà dell’ente resistente ed ha svolto la prestazione in ambienti posti all’interno della sede dello stesso; f. Aveva una propria stanza e una propria postazione di lavoro; g. Aveva un indirizzo di posta elettronica istituzionale e un numero di telefono rimasto invariato ad oggi; h. Ha partecipato a progetti extra contrattuali; i. Ha partecipato a Corsi pagati dall’ente; j. E’ stata sottoposta a visite mediche.

Anche la dott.ssa YYY (al pari della collega XXX), nonostante la formale natura autonoma degli incarichi di prestazione d’opera professionale e di collaborazione coordinata e continuativa, di cui ai richiamati contratti stipulati dalla ricorrente nel periodo dal 2001 al 2009, il rapporto di lavoro è stato contrassegnato dalla sussistenza del vincolo giuridico della subordinazione con la conseguenza che anche tutti i contratti precedenti al rapporto di lavoro a tempo determinato andranno conteggiati ai fini dell’anzianità complessiva vista la natura subordinata degli stessi e l’identità di mansioni svolte negli anni. Entrambe le ricorrenti hanno interrotto la prescrizione in data 07.08.19 (All.158, 159).

In sintesi, dalla documentazione depositata risulta che le ricorrenti hanno svolto per anni e con continuità attività identiche a quelle svolte dai colleghi assunti a tempo indeterminato e hanno, nel tempo, acquisito un’esperienza del tutto identica, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, a quella maturata dai colleghi di pari anzianità, legati all’amministrazione da un rapporto a tempo indeterminato. ****

Dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio emerge che a fondamento della domanda volta al riconoscimento ai fini giuridici ed economici della c.d ”anzianità pregressa” (pre stabilizzazione), le ricorrenti hanno invocato il principio di non discriminazione.

Il problema che si pone è infatti quello di accertare l’esistenza o meno di una discriminazione costituita dalla differenziazione della retribuzione dei lavoratori a termine, ovvero con contratti di collaborazione, rispetto a quella del personale a tempo indeterminato ai fini degli aumenti e delle progressioni di carriera da ricollegare all’anzianità di servizio.

La domanda appare fondata.

Perché la Corte di Cassazione (v., ad esempio, la sentenza n. 20980/2011 relativa alla nota vicenda del personale Ata) ha ribadito che, ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme dell’Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr.,per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011) precisando che l’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr.Corte cost. sentenze n. 113 del 1985,n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

E perché nel caso in esame esistono certamente norme dotate di efficacia diretta nel nostro ordinamento costituite dal principio di non discriminazione contenuto nella direttiva 1999/70/CE.

Disposizioni dal punto di vista sostanziale “incondizionate e sufficientemente precise”, di cui i singoli possono quindi far valere l’efficacia diretta in quanto self executing.

La Corte di Giustizia, peraltro, ha più volte statuito, a tal riguardo, che risulta tanto dalla formulazione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, quanto dal loro sistema generale nonché dalla loro finalità, che le prescrizioni ivi enunciate possono applicarsi anche ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e con altri enti del settore pubblico (sentenze 23 aprile 2009, causa C-380/07, Angelidaki e a., 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler e a., 7 settembre 2006, causa C-53/04, Marrosu e Sardino, e causa C-180/04, Vassallo).Quindi tali principi risultano anche dalla citata sentenza 23 aprile 2009, causa C-380/07, ricorrente Angelidaki e altri.

Secondo la Corte di Giustizia, lo scopo della direttiva è non solo di stabilire un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, ma anche di garantire il rispetto del divieto di discriminazione per quanto riguarda il lavoro a tempo determinato, come si evince dalla clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro, secondo cui l’obiettivo di quest’ultimo è di «migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione». Ne consegue che l’accordo quadro mira a dare applicazione al divieto di discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato, per cui non sarebbe corretto impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione.

Così il lavoratore il quale abbia lavorato per una stessa amministrazione per un determinato arco temporale in esecuzione di uno o di una pluralità di contratti a termine non può essere trattato, sotto il profilo retributivo, in maniera deteriore rispetto ad altro lavoratore che abbia lavorato per un tempo equivalente ma che sia assunto con contratto a tempo indeterminato.

E tale discriminazione va rimossa perché altrimenti verrebbe pregiudicato il principale effetto utile del precetto di parità sancito dalla direttiva, “che è quello di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato e impedire che tale tipo di contratto venga utilizzato per privare i lavoratori coinvolti dei diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato” (cfr. punto 54 della sentenza Gavieiro e Torres nonchè sentenza del Cerro punto 57).

Insomma il divieto di discriminazione è posto anch’esso in chiave antiabusiva dello strumento del contratto a termine e quindi va applicato anche ad una delle più significative condizioni di impiego, il trattamento retributivo progressivamente collegato all’anzianità di lavoro, perché altrimenti verrebbe pregiudicato il principale effetto utile del precetto di parità sancito dalla direttiva, “che è quello di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato e impedire che tale tipo di contratto venga utilizzato per privare i lavoratori coinvolti dei diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato” (cfr. punto 54 della sentenza Gavieiro e Torres nonchè sentenza del Cerro punto 57).

In altre parole, se la legge o il contratto collettivo applicabile fanno discendere dall’anzianità di servizio taluni effetti, gli stessi devono trovare applicazione sia che il contratto sia stato stipulato a termine, sia che sia stato stipulato a tempo indeterminato.

Senza che a tal fine possa rilevare la legittimità o meno dei contratti a termine poiché il divieto di discriminazione costituisce una autonoma causa petendi, pur se anch’essa ricollegabile agli abusi vietati dalla direttiva n. 70/99.

In sintesi, questi principi, rispetto al caso in esame, risultano ben sintetizzati nella sentenza 22 dicembre 2010 (caso Gavieiro) che ha fissato e seguenti regole generali:

a)la clausola n. 4, punto 1, dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da parte di dipendenti assunti con contratti a tempo determinato perché siano loro riconosciuti i benefici economici collegati alla maturazione di una determinata anzianità di servizio; b) il carattere meramente temporaneo del rapporto di lavoro non può costituire di per sé una ragione oggettiva che consenta di giustificare la mancata corresponsione di simili benefici economici a coloro che sono assunti a termine e si trovano in una situazione comparabile con i lavoratori a tempo indeterminato che usufruiscono di quei benefici.

Nella fattispecie, Invalsi non ha indicato, e comunque non ha provato, alcun elemento o circostanza o modalità di esecuzione che valga a distinguere l’attività lavorativa prestata dal personale assunto a tempo determinato rispetto a quella svolta dai colleghi assunti a tempo indeterminato.

Né ha contestato la descrizione delle mansioni svolte dalle ricorrenti contenuta in ricorso.

Non a caso,allora, la Cassazione, con la sentenza n.22558/2016, con specifico riferimento al personale della scuola pubblica, ha fissato il seguente principio di diritto che vincola ovviamente anche questo giudice e vale anche per qualsiasi categoria di personale: “la clausola 4 … impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale …..assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo….”.

Tale orientamento è oggi del tutto consolidato: “Quanto alla comparabilità degli assunti a tempo determinato con il personale stabilmente immesso nei ruoli dell’amministrazione ed alle ragioni oggettive che sole potrebbero giustificare la disparità di trattamento, il Collegio ribadisce l’orientamento già espresso nelle pronunce richiamate al punto 8, con le quali si è evidenziato che non si può fare leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego, sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, sulle modalità di reclutamento del personale e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare perchè, la giurisprudenza della Corte di Giustizia, richiamata anche nella sentenza 20.9.2018, Motter, è ferma nel ritenere che la giustificazione deve essere fondata su “elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi” e che “possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato…o, eventualmente da una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”.Nel caso di specie la totale sovrapponibilità delle mansioni espletate dagli assunti a tempo determinato e dai dipendenti stabilmente immessi nei ruoli è stata accertata dalla Corte territoriale …….. Una volta esclusa la sussistenza di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento quanto alla valutazione dell’anzianità di servizio, correttamente la Corte territoriale ha disapplicato la norma di diritto interno che prevede l’abbattimento dell’anzianità riconoscibile dopo l’immissione in ruolo perchè, come già ricordato nel punto 8.1 lett. a), la clausola 4 dell’accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell’Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusa l’interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Rosado Santana punti da 49 a 56)…. “…… Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione, l’intero servizio effettivo prestato”(così Cass. n. 31150 del 28/11/2019).

E’ importante poi sottolineare che le esposte conclusioni non sono affatto smentite dalla sentenza della Corte di Giustizia, Sez VI, del 20 settembre 2018, causa C466/17, che si limita invece a confermare gli stessi principi: “Secondo una costante giurisprudenza della Corte, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma nazionale generale e astratta, quale una legge o un contratto collettivo (sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C-677/16, EU:C:2018:393, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata). Detta nozione richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui essa si inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. I suddetti elementi possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C-677/16, EU:C:2018:393, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata). Il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme a tali requisiti e non può dunque configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell’accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato svuoterebbe di ogni sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 nonché dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C-302/11 a C-305/11, EU:C:2012:646, punto 52)”.

La sentenza della Corte di Giustizia conferma che l’amministrazione deve fornire la dimostrazione delle ragioni che giustificano il diverso trattamento, fornendo “elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi”, come non è avvenuto nel caso in esame.

Come evidenziato dalla Suprema Corte (sent. n. 31149 e 31150/2019 cit.):”I richiamati principi non sono stati smentiti dalla sentenza 20.9.2018……”. ****

La materia merita ulteriore approfondimento in diritto.

E’ vero infatti che l’efficacia diretta delle direttive riguarda sempre i rapporti tra i cittadini e lo Stato (effetto verticale delle direttive) e solo nei casi in cui l’ordinamento comunitario prevede norme più favorevoli per i cittadini rispetto alla normativa interna che non è stata adeguata (v., ad esempio Corte di Giustizia, sent. 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall c. Southampton Area Health Authority, nonchè la sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori c. Recreb).

Ma nel caso di specie l’efficacia diretta può operare, persino rispetto al periodo anteriore alla ricezione della direttiva tramite il D.lgs. n. 368/2001, perchè il datore di lavoro è proprio un pubblico potere e non un soggetto privato secondo un principio consolidatosi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia a partire dalla sentenza Marshall del 26/2/86 (v. anche, più di recente, sentenza Impact del 15/4/2008, punto 57, nonchè sent. 22/12/2010, C-444/09 Gavieiro e C-456/09 Torres).

In effetti si tratta solo di stabilire quale trattamento spetti al lavoratore già stabilizzato e non sembra rilevare allora il principio che prevede come regola la costituzione di rapporti di pubblico impiego in assenza di concorso.

A tali conclusioni si perviene attraverso l’analisi della normativa europea in relazione agli effetti della successione di una pluralità di contratti a termine, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

In particolare, la direttiva n. 1999/70/CE prevede quale obiettivo (clausola n. 1) «a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato». La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro dispone quanto segue: «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (seconda sezione) con la già ricordata sentenza del 13 settembre 2007, ricorrente Del Cerro, ha statuito che la nozione di «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che essa può servire da base ad una pretesa come quella in esame, che mira all’attribuzione, ad un lavoratore a tempo determinato, di scatti di anzianità che l’ordinamento nazionale riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato, in quanto la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa osta all’introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato.

Dunque non si può distinguere tra il personale di ruolo e non di ruolo, come sembra ritenere il resistente.

Ciò che rileva invece è solo il fatto che non si può giustificare un diverso trattamento tra lavoratori inquadrati negli stessi livelli e che svolgono le stesse mansioni per il solo fatto che hanno cominciato con contratti a termine o d’opera e non sono stati assunti con pubblico concorso.

Perchè altrimenti, come evidenziato proprio dalla sentenza del Cerro, verrebbe messa in discussione la stessa efficacia pratica della direttiva e dell’accordo quadro, nonchè la loro applicazione uniforme negli Stati membri, “riservando a quest’ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari”.

Non è condivisibile allora l’opinione secondo la quale il caso esaminato dalla Corte di Giustizia sarebbe diverso perché il giudice comunitario non ha dovuto affrontare il problema della continuità giuridica tra il rapporto a tempo determinato e quello a tempo indeterminato e il principio di non discriminazione sarebbe stato rispettato dalla normativa interna, anche contrattuale.

La sentenza del Cerro (relativa ad una assistente amministrativa che aveva lavorato per molti anni come precaria presso vari ospedali pubblici, prima della stabilizzazione) appare invece del tutto pertinente perchè afferma proprio (punti 16 e 17) che non è legittimo escludere i lavoratori a termine dal trattamento economico di anzianità nel corso del rapporto di lavoro precario, quando lo stesso è attribuito ad un lavoratore comparabile a tempo indeterminato e afferma, inoltre, che non è legittimo nemmeno assumere a tempo indeterminato un lavoratore già impiegato come prestatore di lavoro a termine prescindendo dalla anzianità maturata nel corso del precedente rapporto di lavoro precario.

Non basta allora, ad escludere la violazione di questi principi, richiamare le norme dei ccnl che disciplinano il trattamento economico e non basta neppure ricordare che comunque, a determinati fini, rispetto al personale appartenente ai livelli delle ricorrenti, l’anzianità di servizio a tempo determinato è riconosciuta ai fini delle progressioni economiche e di livello dalla contrattazione collettiva.

Il punto è che devono essere trattati nello stesso identico modo.

Come si è visto, la Corte di Giustizia, peraltro, ha più volte statuito, a tal riguardo, che risulta tanto dalla formulazione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, quanto dal loro sistema generale nonché dalla loro finalità, che le prescrizioni ivi enunciate possono applicarsi anche ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e con altri enti del settore pubblico (sentenze 23 aprile 2009, causa C-380/07, Angelidaki e a., 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler e a., 7 settembre 2006, causa C-53/04, Marrosu e Sardino, e causa C-180/04, Vassallo).

Quindi tali principi risultano anche dalla sentenza 23 aprile 2009, causa C-380/07, ricorrente Angelidaki e altri.

E sono stati ribaditi da numerose sentenze recenti.

La verità è che le funzioni del ricercatore a termine svolte dalle odierne ricorrenti sono e restano le stesse del personale a tempo indeterminato. Le “funzioni” sono esattamente le stesse, così come le “caratteristiche” del loro concreto espletamento.

E Invalsi non ha dimostrato il contrario.

Sussiste, comunque, perfetta analogia tra le condizioni di lavoro dei dipendenti a tempo determinato e l’attività da essi espletata, rispetto a quelle proprie delle corrispondenti categorie di personale assunto a tempo indeterminato .

E quindi, vanno disapplicate le disposizioni del ccnl che negano questa necessaria equiparazione (v., per una applicazione del principio Cass. n.22558/2016).

Non risulta affatto che le condizioni di impiego del ricercatore a termine siano diverse da quelle del ricercatore di ruolo a tempo indeterminato e non si comprende in che cosa consisterebbe questa diversità.

In effetti, il criterio decisivo per determinare se una misura rientri nell’ambito delle «condizioni di impiego» ai sensi della citata clausola è precisamente quello del criterio dell’impiego, ossia del rapporto di lavoro sussistente fra un lavoratore e il suo datore di lavoro (in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Carratù, C-361/12).Non assumono, pertanto, rilievo i soli istituti retributivi in senso stretto, in quanto le condizioni di impiego comprendono l’intera disciplina del rapporto, anche quella relativa al licenziamento ed alle indennità di carattere risarcitorio (sentenza 13 marzo 2014, Malgorzata, C – 38/2013).

La Corte ha, poi, aggiunto che “occorre, in conformità delle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1,verificare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, sia possibile ritenere che tali persone si trovino in situazioni comparabili (sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C-302/11 a C-305/11)” ed ha precisato che la comparabilità sussiste qualora il lavoratore svolga “un lavoro simile o identico a quello del lavoratore a tempo indeterminato” ed a maggior ragione nel caso in cui il medesimo posto possa essere ricoperto dallo stesso soggetto una volta assunto a tempo indeterminato (C-38/13 Malgorzata punto 33).

Insomma, le ricorrenti hanno diritto a vedersi ricostruire la carriera considerando l’anzianità pregressa rispetto alla data di stabilizzazione del rapporto e devono pertanto percepire le stesse somme dei loro colleghi assunti sin dall’origine con contratti a tempo indeterminato secondo principi che si applicano anche nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato.

Una volta riconosciuto tale diritto ad essere integralmente equiparate al personale stabilizzato ab origine, nessun altro danno possono avere subito le ricorrenti ed ogni altra domanda va conseguentemente respinta.

Rispetto a queste “altre domande”, dallo stesso ricorso emerge che il giudice nell’ambito del lavoro pubblico non può operare alcuna “conversione“ dei contratti co.co.co mentre, quanto alla richiesta di risarcimento del danno per la mancata osservanza della Direttiva 1999/70/CE e per uso abusivo dei contratti a termine, che si riferisce appunto ai soli contratti a termine, si tratta di domanda nemmeno confortata da idonee allegazioni, visto che la prova della subordinazione non basta a dimostrare il danno richiesto e comunque il presunto illecito comunitario è stato sanato dall’avvenuta stabilizzazione.

Come chiarito anche dalla Corte Costituzionale (sent. N. 187/2016) la giurisprudenza della Corte di giustizia ha rimesso l’individuazione delle specifiche misure sanzionatorie dell’uso abusivo dei contratti a termine alle autorità nazionali, con il rispetto dei requisiti di dissuasività, proporzionalità ed effettività e ha indicato espressamente alcune misure (risarcimento del danno e procedure di assunzione certe, anche nel tempo), senza escluderne altre purchè rispondenti ai suddetti requisiti. Dette misure sanzionatorie sono tra loro alternative, dovendosi ritenere sufficiente l’applicazione anche di una sola di esse e quindi tutte idonee, compresa la stabilizzazione, a cancellare le conseguenze della violazione Anzi, al fine di cancellare le conseguenze della violazione si è affermato che tale idoneità si riscontra pure nella sola previsione di procedure di assunzione certe, anche nel tempo, che sostanzialmente costituiscono un risarcimento in forma specifica.

Si è visto che nella comparsa di costituzione di Invalsi non è contenuta alcuna specifica contestazione quanto alle mansioni svolte dalle ricorrenti e alle modalità di svolgimento delle prestazioni che sin dall’inizio sono state tipiche del rapporto di lavoro subordinato, peraltro provate per tabulas.

Invalsi ha eccepito il ne bis in idem rispetto alla sig.ra XXX e la nullità del ricorso in ragione di una presunta e insussistente violazione dell’art. 414 cpc, avendo le ricorrenti indicato (e documentato) con dovizia persino eccessiva di particolari le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento delle loro pretese.

Per il resto Invalsi (v. comparsa di costituzione) si è limitata a sollevare, in punto fatto, una contestazione del tutto generica che per legge equivale a omessa contestazione (art. 416.comma 3, C.P.C.) affermando che : “Ebbene, in realtà l’amministrazione resistente ha sempre operato nel pieno rispetto della normativa ad essa applicabile, seguendone pedissequamente le relative disposizioni. Infatti dai contratti emerge chiaramente che le mansioni svolte sono differenti rispetto a quelle attuali, pertanto non c’è quella uniformità delle stesse che determinerebbe l’accesso alle fasce stipendiali superiori, essendo l’oggetto dei contratti co.co.co. relativo a compiti meramente esecutivi, neanche lontanamente paragonabili all’attività che sono proprie di un ricercatore.

Dove non si comprende proprio in che cosa sarebbe consistita questa diversità e si tratta di affermazioni che, a parte la genericità, sembrano ignorare la copiosa documentazione prodotta dalle ricorrenti che dimostra esattamente il contrario e persino l’esistenza della sentenza del Tribunale di Velletri che ha ormai definitivamente accertato che la XXX ha sempre lavorato in condizioni di subordinazione e con modalità e compiti analoghi a quelli dei colleghi “stabili”. Nessuna violazione del ne bis in idem è poi configurabile rispetto alla sentenza n. 565/2018 del 2018 visto che nel presente giudizio viene chiesto il riconoscimento dei benefici connessi alla ricostruzione di carriera considerando l’anzianità pregressa, domanda che non era stata proposta e neppure poteva essere proposta in quel giudizio in cui era stata invece chiesto il risarcimento del danno per l’abuso dei contratti precari (che il giudice ha riconosciuto ai sensi dell’art. 36 comma 5, del D.lgs. n. 165/2001) nonchè del danno corrispondente alla perdita economica per il mancato pagamento, delle ferie, della 13° mensilità e del TFR, rispetto al periodo in cui la sig.ra XXX aveva lavorato come precaria.

Premesso che la domanda proposta in questo giudizio volta al riconoscimento dell’anzianità pregressa è diversa da quelle azionate davanti al Tribunale di Velletri e presuppone per definizione l’avvenuta stabilizzazione del rapporto, Invalsi ha ricordato che il giudicato compre il dedotto ed il deducibile ma è chiaro che questo principio non può essere applicato alla sig.ra XXX che nel 2016, epoca di deposito del ricorso davanti al Tribunale di Velletri, non era stata stabilizzata (ciò che sarebbe avvenuto solo nel giugno del 2017) e non poteva quindi proporre la domanda volta al riconoscimento dell’anzianità in questione.

Né risulta violato il noto principio del divieto di frazionamento delle domande e dei crediti in giudizio.

Infatti la condotta della XXX appare del tutto legittima alla luce del recente intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte che, con la sentenza n. 9040 del 2017, superando il precedente orientamento di alcune decisioni della stessa Corte, hanno affermato, in tema di frazionabilità del credito, che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (nello stesso senso Cass. 7 marzo 2019, n. 6591; 6 luglio 2018, n. 17893).

Nel caso di specie esiste certamente “un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata” e sicuramente, per le ragioni esposte, le domande proposte non potevano essere esaminate nello stesso giudizio davanti al Tribunale di Velletri.

Queste conclusioni sono confermate dalla giurisprudenza successiva alle sezioni unite con importanti chiarimenti: “La tesi secondo la quale più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, debbono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo non trova, infatti, conferma nella disciplina processuale, risultando piuttosto questa costruita intorno a una prospettiva affatto diversa.Il sistema processuale risulta, invero, strutturato su di una ipotesi di proponibilità in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti, come autorizza a ritenere la disciplina di cui agli artt. 31, 40 e 104 c.p.c. in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte. Ulteriori argomenti in tal senso possono trarsi dalla contemplata possibilità di condanna generica ovvero dalla prevista necessità, ex art. 34 c.p.c., di esplicita domanda di parte perché l’accertamento su questione pregiudiziale abbia efficacia di giudicato.D’altro canto, l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di estensione oggettiva del giudicato -in relazione alla preclusione per le questioni rilevabili o deducibili- perderebbe gran parte di significato se dovesse ritenersi improponibile qualunque azione per il recupero di un credito solo perché preceduta da altra, intesa al recupero di credito diverso e tuttavia riconducibile ad uno stesso rapporto di durata tra le medesime parti, a prescindere dal passaggio in giudicato della decisione sul primo credito o comunque dalla inscrivibilità della diversa pretesa creditoria successivamente azionata nel medesimo ambito oggettivo di un giudicato in fieri tra le stesse parti relativo al medesimo rapporto di durata.La mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata, e, soprattutto, la presenza nell’ordinamento di numerose norme che autorizzano, invece, l’ipotesi contraria, rafforzano la fondatezza ermeneutica della soluzione.Per altro verso, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorché relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore…… Quel che rileva è che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo.Sulla base delle considerazioni che precedono, va affermato il seguente principio di diritto: “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. …”. (così Cass. n. 1765 del 24/1/2018).

Ancora, Invalsi ha eccepito che “In ogni caso, la normativa per il passaggio delle fasce stipendiali prevede che lo stesso sia subordinato a un dettagliato procedimento amministrativo, come è ben noto anche alle ricorrenti. Si ricorda che l’art. 4, comma 5 e seguenti, citati nelle delibere di riconoscimento di fascia stipendiale depositati anche dalle ricorrenti (che ne hanno già usufruito per ben due volte), prevede che la stessa sia subordinata all’acquisizione “…di esperienza scientifico-professionale di appartanenza…” e verrà corrisposta previo “…accertamento positivo, da parte dell’Ente, dell’attività svolta in tutto l’arco del periodo considerato. L’accertamento consiste nella verifica complessiva della regolarità dell’attività prestata sulla base di apposite relazioni presentate dai soggetti interessati” (cfr. CCNL applicabile – doc. n. 3)… Ebbene nel nostro caso nulla di tutto ciò è avvenuto e, quindi, non sarebbe in ogni caso possibile procedere alla concessione delle fasce stipendiali superiori, peraltro per periodi ormai risalenti a vent’anni or sono.”

Tuttavia, quanto alla presunta mancanza di “automatismo” dei passaggi di carriera previsti dal CCNL, è del tutto ovvio che tale circostanza non può condurre al rigetto del ricorso visto che le ricorrenti non hanno ricevuto alcuna valutazione a detto fine (verifica positiva di attività) proprio a causa di un comportamento illegittimo del datore di lavoro, ciò che ha loro precluso l’accesso alla posizione che potevano ottenere se l’anzianità pregressa fosse stata interamente valutata a causa di previsioni, anche della contrattazione collettiva, come si è visto nulle e palesemente illegittime che hanno escluso il personale a termine in violazione della richiamata normativa sovraordinata.

Il meccanismo richiamato dal Invalsi costituisce proprio lo strumento con il quale è stata attuata l’illegittima discriminazione, i cui effetti lesivi devono essere rimossi dal giudice, assicurando alle lavoratrici gli stessi identici vantaggi sul piano retributivo che avrebbero conseguito se non fossero stati vittime della discriminazione.

E’ parzialmente fondata invece l’eccezione di prescrizione.

E’ vero infatti che, –in ragione del rilievo in ordine all’anzianità di servizio quale fatto giuridico che integra la fattispecie costitutiva di specifici diritti correlati al rapporto di lavoro, – l’anzianità non è suscettibile di un’autonoma prescrizione, – distinta, in quanto tale, da quella dei diritti, a contenuto patrimoniale, che su di essa si fondano

(posto che «Non esiste … un diritto all’anzianità di ignoto contenuto autonomamente prescrivibile, ma esiste una anzianità, che costituisce presupposto di fatto per l’attribuzione di alcuni diritti, questi sì soggetti a prescrizione secondo il regime loro proprio»; cfr. Cass., 27 maggio 1986, n. 3559) – e, pure che il diritto alla progressione economica, sia pur prescritto con riferimento ad un dato periodo, non preclude il conseguimento dei successivi aumenti stipendiali che «debbono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente e cioè come se quello precedente, maturato ma non più dovuto per effetto della prescrizione, fosse stato corrisposto.» (cfr. Cass., 22 agosto 1991, n. 9022 cui adde, ex plurimis, Cass., 21 luglio 2009, n. 16958; Cass., 17 luglio 2007, n. 15893; Cass., 27 febbraio 2004, n. 4076; Cass., 24 settembre 1996, n. 8430; Cass., 5 gennaio 1993, n. 36).La prescrizione estintiva, dunque, attinge i diritti patrimoniali fondati sull’anzianità di servizio ma non impedisce che di detta anzianità (insuscettibile di un’autonoma prescrizione) si debba tener (integrale) conto (per così dir, riportandola a nuovo, de die in diem) con riferimento a quei diritti (a contenuto economico) rispetto ai quali la stessa prescrizione non possa ritenersi perfezionata.

Né, altrimenti, rileva, la (parziale) trasposizione del principio di non discriminazione nell’ordinamento interno (d. lgs. n. 368 del 2001, art. 6, cit.) in quanto la clausola n. 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE è di diretta applicazione nel rapporto di lavoro in cognizione; difatti, in forza della efficacia diretta della clausola 4 dell’accordo quadro (in quanto «è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata dai singoli nei confronti dello Stato dinanzi ad un giudice nazionale»), la disparità di trattamento viene ad essere eliminata con la (semplice) estensione al lavoratore a tempo determinato del diverso (e migliore) trattamento riservato a quello a tempo indeterminato.

Con l’ulteriore (necessaria) precisazione che, anche a voler ritenere che in pendenza dei vari contratti a termine non possa decorrere la prescrizione, è pure evidente che questa comunque decorre dalla data di cessazione di ciascuno di essi (la legittimità di questi contratti non è peraltro in contestazione), con la conseguenza che le pretese quanto ai relativi periodi sono in ogni caso prescritte.

Infatti, secondo i principi generali, posto che il diritto alla progressione economica non dipende dalla pretesa illegittimità del termine, bensì spetta in forza dei contratti sottoscritti, il termine prescrizionale è quinquennale, essendo state fatte valere in giudizio delle differenze retributive, e tale termine è decorso sia in pendenza dei diversi contratti di lavoro a termine, sia durante gli eventuali intervalli tra un contratto e l’altro (cfr. Cass. Sez. Un., 16 gennaio 2003, n. 575: “nel caso che tra le stesse parti si succedano due o più contratti di lavoro a termine, ciascuno dei quali legittimo ed efficace, il termine prescrizionale dei crediti retributivi, di cui agli artt. 2948, numero 4, 2955, numero 2, e 2956, numero 1, cod. civ., inizia a decorrere, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento, dovendo – ai fini della decorrenza della prescrizione – i crediti scaturenti da ciascun contratto considerarsi autonomamente e distintamente da quelli derivanti dagli altri e non potendo assumere alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo correnti tra un rapporto lavorativo e quello successivo, stante la tassatività della elencazione delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 cod. civ., e la conseguente impossibilità di estendere tali cause al di là delle fattispecie da quest’ultime norme espressamente previste”).

Si intende dire che è comunque “inapplicabile il principio della sentenza della Corte Costituzionale n. 63/66 al caso di legittimi rapporti a termine plurimi e successivi” (Cass. n. 575/2003 cit.).

Non vi è quindi alcuno spazio per una possibile applicazione del termine di prescrizione decennale e tutte le pretese anteriori ai 5 anni rispetto all’unico atto interruttivo depositato (la missiva del 7.8.2019 ) devono ritenersi integralmente prescritte.

La più recente giurisprudenza della Cassazione conferma le esposte conclusioni: ”E’, invece, fondata la seconda censura, in relazione alla quale il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 8996 del 2018, pronunciata in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa. Non è in discussione la legittimità dei termini apposti ai singoli contratti, sicchè rileva il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 575/2003 secondo cui “nel caso che tra le stesse parti si succedano due o più contratti di lavoro a termine, ciascuno dei quali legittimo ed efficace, il termine prescrizionale dei crediti retributivi, di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, art. 2955 c.c., n. 2 e art. 2956 c.c., n. 1, inizia a decorrere, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento, dovendo – ai fini della decorrenza della prescrizione – i crediti scaturenti da ciascun contratto considerarsi autonomamente e distintamente da quelli derivanti dagli altri e non potendo assumere alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo correnti tra un rapporto lavorativo e quello successivo, stante la tassatività della elencazione delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c., e la conseguente impossibilità di estendere tali cause al di là delle fattispecie da quest’ultime norme espressamente previste.”.Con la richiamata pronuncia le Sezioni Unite hanno osservato che il metus, ritenuto dal Giudice delle leggi motivo decisivo per addivenire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, presuppone l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato nel quale non sia prevista alcuna garanzia di continuità. Invece, nel contratto a termine legittimamente stipulato, poichè il lavoratore ha solo diritto a che il rapporto venga mantenuto in vita sino alla scadenza concordata e l’eventuale risoluzione ante tempus non fa venir meno alcuno dei diritti derivanti dal contratto, non è configurabile quel metus costituente ragione giustificatrice della regolamentazione della prescrizione nel rapporto a tempo indeterminato non assistito dal regime di stabilità reale (negli stessi termini Cass. n. 8996/2018 cit., Cass. n. 14827/2018; Cass. n. 22146/2014).4.1. Il principio, che deve essere qui ribadito, è assorbente ed esime il Collegio dall’affrontare le ulteriori questioni poste dal ricorso, che fa leva sulla natura del datore di lavoro per sostenere l’applicabilità anche all’impiego pubblico contrattualizzato di quanto affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143/1969, in relazione ai rapporti di impiego di diritto pubblico” (così, Cass.n. 20918/2019).

Inoltre: “Questa Corte ha già da tempo fissato, con plurimi precedenti, un principio generale che, seppure dettato con riferimento al rapporto di lavoro privato, non puo’ non valere, dopo la contrattualizzazione, anche per l’impiego pubblico e quindi per il lavoro scolastico;2.2. l’anzianità di servizio non è uno status o un elemento costitutivo di uno status del lavoratore subordinato, nè un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti, quali quelli all’indennità di fine rapporto, alla retribuzione, al risarcimento del danno per omissione contributiva, agli scatti di anzianità (cfr. Cass., Sez. Un., 28 luglio 1986, n. 4812 cui adde, ex plurimis, Cass. 19 gennaio 1990, n. 281; Cass. 8 gennaio 1991, n. 71; Cass. 19 gennaio 1999, n. 477; Cass. 23 maggio 2003, n. 8228; Cass. 22 agosto 2003, n. 12354; Cass. 1 settembre 2003, n. 12756; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4076; Cass. 12 maggio 2004, n. 9060; Cass. 17 luglio 2007, n. 15893; Cass. 21 luglio 2009, n. 16958; Cass. 17 luglio 2007, n. 15893) e pertanto, nella fattispecie, del diritto ad una predeterminata progressione economica per effetto del riconoscimento dell’anzianità nel servizio di ruolo svolto quale docente di scuola materna;2.3. essa, pertanto, non può essere oggetto di atti di disposizione, traslativi o abdicativi (v. le citate Cass., Sez. Un., n. 4812/1986, Cass. n. 281/1999, Cass. n. 477/1999 e Cass. n. 12756/2003 nonchè la più recente Cass. 26 aprile 2018, n. 10131);2.4. è insuscettibile di un’autonoma prescrizione – distinta, in quanto tale, da quella dei diritti, a contenuto patrimoniale, che su di essa si fondano (posto che “non esiste… un diritto all’anzianità di ignoto contenuto autonomamente prescrivibile, ma esiste una anzianità, che costituisce presupposto di fatto per l’attribuzione di alcuni diritti, questi sì’ soggetti a prescrizione secondo il regime loro proprio” – cfr. Cass. 27 maggio 1986, n. 3559 -);2.5. ne consegue, più specificamente, che il diritto alla progressione economica (e così, nel caso qui in esame, alle differenze retributive per effetto dell’inquadramento nella fascia stipendiale corrispondente al riconoscimento dell’anzianità di servizio di ruolo nella scuola materna richiamandosi, al riguardo, l’orientamento costituito da Cass., Sez. Un., 6 maggio 2016, n. 9144 e le successive conformi Cass. 4 ottobre 2016, n. 19779; Cass. 12 aprile 2017, n. 9397; Cass. 5 aprile 2018, n. 8448; Cass. 19 novembre 2018, n. 29791 -), sia pur prescritto con riferimento ad un dato scatto di anzianità, non preclude il conseguimento degli scatti successivi che “debbono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente e cioè come se quello precedente, maturato ma non più dovuto per effetto della prescrizione, fosse stato corrisposto” (cfr. Cass. 22 agosto 1991, n. 9022; Cass. 5 gennaio 1993, n. 36; Cass. 24 settembre 1996, n. 8430; Cass. n. 4076/2004 cit.; Cass. n. 15893/2007 cit.; Cass. n. 16958/2009 cit.);2.6. l’anzianità di servizio, dunque, può essere oggetto di verifica giudiziale senza termine di tempo purchè sussista nel ricorrente l’interesse ad agire che va valutato in ordine alla azionabilità dei singoli diritti di cui la prima costituisce il,presupposto di fatto: da ciò deriva che l’effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata anche ai fini del riconoscimento del diritto ad una maggiore retribuzione per effetto del computo di un più alto numero di anni di anzianità salvo, in ordine al quantum della somma dovuta al lavoratore, il limite derivante dalla prescrizione quinquennale cui soggiace il diritto alla retribuzione;2.7. in particolare il diritto ad una diversa fascia retributiva ha natura autonoma e si estingue se non viene fatto valere entro il termine di prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948 c.c., n. 4, ma poichè l’anzianità di servizio può essere sempre fatta valere, se il lavoratore, prescrittosi il diritto ad una differenza retributiva maturata prima del quinquennio, agisca per ottenere l’attribuzione degli aumenti successivi, questi devono essere liquidati nella misura ad essi corrispondente, e cioè come se quello precedente, maturatosi ma non più dovuto per effetto dell’intervenuta prescrizione, fosse stato corrisposto;2.8. di riflesso il datore di lavoro può opporre al lavoratore che faccia valere il proprio diritto agli aumenti contrattuali di anzianità, la prescrizione quinquennale dei crediti relativi ai singoli aumenti ma non la prescrizione dell’anzianita’ di servizio quale fattispecie costitutiva di crediti ancora non prescritti..(così, da ultimo, Cass, ord. n. 2232 del 30/1/2020).

In applicazione di questi principi, non è prescritto il diritto al passaggio ad una fascia superiore ma sono prescritti i crediti (differenze retributive) maturati prima del 7.8.2014, avendo le ricorrenti interrotto il decorso del termine prescrizionale per la prima volta con la lettera del 7.8.2019 in atti.

Per il resto, in ordine al quantum, se è vero che il giudice ha richiesto di riformulare i conteggi nei limiti della prescrizione quinquennale, un più attento esame delle conclusioni del ricorso, ove non viene in alcun modo specificato il quantum delle somme dovute (si parla infatti di una non meglio precisata somma “in atto indicata”,che invece non è stata indicata), consente di ritenere che sia stata richiesta la sola condanna generica, come avviene del resto nella quasi totalità delle controversie in tema di riconoscimento di una anzianità pregressa e di ricostruzione della carriera.

E’ questa presumibilmente la ragione per la quale nella sua comparsa di costituzione Invalsi non aveva contestato il conteggio che, contrariamente a quanto si legge nelle note autorizzate del convenuto, era stato allegato al ricorso (doc. n. 157), pur se solo per la ricorrente YYY.

Tale conteggio non era sufficientemente analitico e questo può spiegare anche perchè il difensore delle ricorrenti abbia scelto nell’atto introduttivo del giudizio di non svolgere alcuna conclusione in ordine alla effettiva entità delle somme dovute. Infatti, con riferimento al rito del lavoro giurisprudenza ammette la possibilità della sentenza di condanna generica anche come unica domanda e anche in assenza della previa istanza di parte.

Così ad esempio secondo Corte di Cassazione – Sentenza 27 novembre 2019, n. 30997 :“Secondo un consolidato orientamento espresso da questa Corte, anche nel processo del lavoro, l’interpretazione della domanda rientra nella valutazione del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove motivata in modo sufficiente e non contraddittorio. Nello specifico la Corte distrettuale ha proceduto ad una interpretazione del ricorso introduttivo del giudizio, pervenendo al convincimento che il ricorrente avesse proposto una domanda di condanna generica, non avendo svolto alcuna conclusione in ordine alla entità delle reclamate retribuzioni con asserzione che non appare suscettibile di emendamento in questa sede di legittimità. Detta statuizione appare del tutto congrua sotto il profilo logico e corretta sul versante giuridico, giacché, una domanda di condanna senza specificazione del quantum altro non è che una domanda di condanna – appunto – in via generica, consentita dall’ordinamento che predispone, nel caso di impossibilità di provare il quantum debeatur, anche la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. o ex art. 432 c.p.c. E’ infatti ammissibile (con riguardo alle azioni di risarcimento del danno sia in materia contrattuale che extracontrattuale) la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso – espresso o tacito – del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall’ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell’attore (vedi Cass. 21/3/2016 n. 5551). E tale possibilità è ammessa anche nel rito del lavoro(non essendo limitata alle ipotesi di sentenza non definitiva con rinvio della liquidazione del “quantum” alla prosecuzione del giudizio),ben potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio all’accertamento dell’an”, con conseguente pronuncia di condanna generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del “quantum” . In tale prospettiva la pronuncia impugnata che ha interpretato “la pretesa” azionata – priva di alcuna specifica deduzione in ordine alla entità delle reclamate retribuzioni – nei termini di una domanda di condanna generica”, si sottrae alle censure svolte”.

Solo per completezza di esposizione è il caso di ricordare che, contrariamente a quanto affermato dalla parte convenuta, nessuna nullità del ricorso potrebbe derivare dall’omesso deposito o dalla erroneità/incomprensibilità dei conteggi.

Questi principi sono stati ribaditi dalla ordinanza della Cassazione n. 3143 del 1/2/2019: “questa Corte ha più volte affermato il principio in base al quale nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, non sia sufficiente l’omessa indicazione in modo formale dell’oggetto della domanda e degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui la stessa si fonda, essendo invece necessario che sia omesso o del tutto incerto il petitum sotto il profilo sostanziale e processuale, nel senso che non ne sia possibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto (Cass. 22/3/2018 n. 7199, Cass. 4/3/2017 n. 6610, Cass. 8/2/2011 n. 3126, Cass. 16/1/2007 n. 820).Si è talvolta anche precisato che non può aversi nullità tutte le volte in cui sia comunque possibile l’individuazione di tali elementi attraverso l’esame complessivo dell’atto ed i riferimenti anche ai documenti contenuti nella domanda introduttiva (Cass. 25/7/2001 n.10154, Cass. 9/8/2003 n.12059, Cass. 21/9/2004 n.18930)…” In questi limiti, il ricorso merita accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex dm 55/2014.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando:

dichiara il diritto delle ricorrenti a vedersi riconoscere la c.d. anzianità pregressa (pre ruolo) a far tempo dal primo contratto stipulato con il convenuto a tutti i fini giuridici ed economici e, per l’effetto, condanna Invalsi a ricostruire la carriera delle lavoratrici e a pagare alle ricorrenti le conseguenti differenze retributive, nei limiti della prescrizione quinquennale, e quindi, escludendo le differenze maturate prima del 7.8.2014; oltre interessi legali come per legge; respinge ogni altra domanda;

condanna invalsi a rifondere alle stesse ricorrenti le spese di lite, liquidate in euro 6000,00 per compensi, oltre spese generali (15%), IVA e CPA, da distrarsi.

Roma 01.07.2022

Il Giudice

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