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Domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione

Nel giudizio che si instaura a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione.

Pubblicato il 25 March 2020 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI RAGUSA

Il Tribunale in composizione monocratica nella persona del Giudice Dott., ha emesso la seguente

SENTENZA n. 269/2020 pubblicata il 20/03/2020

nella causa civile iscritta al n. /2010 R.G. avente ad oggetto “opposizione a decreto ingiuntivo” promossa da:

XXX S.N.C. in liquidazione, con sede a, e YYY, nata a, cod.fiscale, rappresentati e difesi dall’Avv., giusta procura in atti,

Opponenti contro

BANCA ZZZ SOC. COOP. PER AZIONI, con sede in, codice fiscale, rappresentata e difesa dall’Avv.,

Opposta

* * *

All’udienza del 28 gennaio 2020, la causa veniva posta in decisione senza assegnazione di termini, sulle conclusioni delle parti precisate come da verbale in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato il 15.12.2010 la Soc. XXX s.n.c. in liquidazione e YYY proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. /10 del 28.9.2010, con il quale era stato loro ingiunto, in solido, di pagare in favore della Banca ZZZ la somma di € 33.004,01, quale saldo debitore in linea capitale al 9.1.2008 dell’apertura di credito in conto corrente n. /47 di € 30.000,00 concessa dalla Filiale di della banca con contratto del 28.12.2004.

Eccepivano in via preliminare l’incompetenza territoriale del Tribunale di Ragusa, essendo competente il Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Giarre; nel merito evidenziavano: la nullità del decreto ingiuntivo opposto, essendo stato lo stesso emesso solo sulla base dell’estratto conto certificato ex art. 50 D.Lgs. n. 385/93 anziché dell’estratto conto analitico con l’indicazione di tutte le operazioni dall’apertura del conto; il superamento del tasso soglia ex lege 108/96 con conseguente perdita integrale del diritto della banca al pagamento degli interessi; l’illegittima applicazione di interessi non convenuti validamente ex art. 117 T.U.B., nonché delle commissione di massimo scoperto e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, sin dalla nascita del rapporto risalente al 1993; YYY era priva di legittimazione passiva non essendo erede di *** per avere da lui divorziato con sentenza del Tribunale di Catania n. del 22.6.2005 passata in giudicato prima del suo decesso; la banca doveva essere condannata al risarcimento dei danni avendo illegittimamente segnalato alla Centrale Rischi della Banca d’Italia la società opponente senza che ne ricorressero i presupposti.

Chiedevano pertanto di dichiarare l’incompetenza del Tribunale di Ragusa in favore del Tribunale di Catania, di dichiarare nullo, annullare o revocare il decreto ingiuntivo opposto; di ritenere e dichiarare che il credito di cui al conto corrente oggetto di causa andava rideterminato sin dall’inizio senza capitalizzazione degli interessi passivi e senza applicazione degli interessi, spese e c.m.s. per violazione delle prescrizioni della Legge 108/96 ovvero applicando il tasso ex art. 117 comma 7 lett. a) T.U.B. in caso di mancato superamento del tasso soglia; di riconoscere un saldo attivo dell’opponente pari ad € 91.297,02 condannando la banca in via riconvenzionale alla restituzione; di condannare la banca in via riconvenzionale al risarcimento del danno cagionato alla società opponente per l’illegittima segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. da liquidare in via equitativa; di dichiarare il difetto di legittimazione passiva dell’opponente YYY. Con vittoria di spese e compensi.

Si costituiva in giudizio la Banca ZZZ deducendo, quanto all’eccezione di incompetenza, che il contratto di apertura di credito in conto corrente stipulato il 28.12.2004 conteneva una clausola derogatoria della competenza in favore del Tribunale di Ragusa; quanto all’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo, che l’art. 50 D.Lgs. 385/93 consente l’emissione del decreto sulla base di un estratto conto certificato conforme alle scritture contabili che non riporti la specificazione analitica di tutte le operazioni. Nel merito la banca evidenziava l’infondatezza dell’eccezione relativa al superamento dei tassi-soglia ex lege 108/96 in quanto i tassi di interesse passivi si erano sempre mantenuti al di sotto di tale limite; la stipula in forma scritta del contratto del 28.12.2004 che aveva un effetto novativo rispetto al precedente e prevedeva la capitalizzazione degli interessi con la medesima periodicità e la determinazione del tasso d’interesse e della commissione di massimo scoperto; la prescrizione del diritto alla restituzione relativo al decennio antecedente la chiusura definitiva del conto avvenuta nel 2008; la legittimità della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia stante la persistente morosità della società debitrice, peraltro in liquidazione, nonché l’esistenza di una precedente ipoteca legale e di un pignoramento immobiliare. Quanto alla posizione di YYY, la stessa pur non essendo erede di *** rimaneva obbligata al pagamento delle somme dovute quale socio della XXX s.n.c..

Chiedeva pertanto il rigetto dell’opposizione e delle domande riconvenzionali, confermando la validità e legittimità del decreto ingiuntivo n. /10, con vittoria di spese e compensi.

Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Ragusa. Va invero rilevato che sia il contratto del 28.12.2004 che quello precedente del 6.4.1993 contengono la clausola secondo la quale “Per ogni controversia che potrebbe sorgere tra il correntista e la banca in dipendenza dei rapporti di conto corrente e di ogni altro rapporto di qualunque natura, foro competente potrà essere, a scelta della banca, quello di Ragusa” (cfr. art. 19 del contratto del 2004 ed art. 22 del contratto del 1993).

Va parimenti rigettata l’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo in quanto emesso sulla base dell’estratto conto contenente solo il saldo passivo al 9.1.2008 certificato conforme alle scritture contabili. Invero l’art. 50 D.Lgs. 385/93 consente alle banche di chiedere il decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido; non occorre pertanto, diversamente da quanto sostenuto dagli opponenti l’estratto conto analitico con l’indicazione di tutte le operazioni in base alle quali è stato determinato il saldo passivo. Sul punto la giurisprudenza di legittimità è pacifica (cfr. Cass. Sez. III n. 14357/19 e Sez. I n. 14640/18).

Passando all’esame del merito, deve essere accolta l’opposizione di YYY, disponendo la revoca del decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti in favore della banca opposta.

Invero, la Banca ZZZ con il ricorso per decreto ingiuntivo ha agito nei confronti della YYY nella qualità di erede di ***, deceduto a Catania il 23.6.2006, il quale aveva prestato fideiussione in favore della società correntista XXX s.n.c. in liquidazione come da dichiarazione del 28.12.2004.

YYY non è tuttavia erede di *** essendo stata pronunciata dal Tribunale di Catania in data 10.10.2000 sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra la YYY e *** e successiva sentenza definitiva sulla regolazione degli aspetti patrimoniali in data 22.6.2005.

Pertanto la YYY è priva della titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio dalla banca opposta.

Va poi considerata inammissibile la modifica della domanda nei confronti di YYY effettuata in comparsa di risposta dalla Banca ZZZ che, preso atto dell’insussistenza della qualità di erede dell’opponente a seguito del divorzio, ha fatto valere l’obbligazione della YYY al pagamento delle somme ingiunte quale socia della XXX s.n.c.; tale modifica rappresenta una mutatio libelli preclusa alla parte opposta in quanto viene dedotto un fatto costitutivo della pretesa (la qualità di socio) differente rispetto a quello dedotto con il ricorso per decreto ingiuntivo (la fideiussione prestata dal *** e la successione nei relativi obblighi quale erede dello stesso).

A tale riguardo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “Nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione” (Cass. n. 17440/2003); all’opposto è consentito solamente di modificare la domanda nei limiti di quanto disposto dagli artt. 183 e 184 c.p.c., senza possibilità di modificare la causa petendi (Cass. n. 6202/2004).

Deve essere accolta l’opposizione proposta dalla XXX s.n.c., in quanto la somma richiesta nel decreto ingiuntivo quale saldo dell’apertura di credito in conto corrente è stata ottenuta applicando la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, come previsto dall’art. 8, comma 2, delle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e i servizi connessi nel contratto originario sottoscritto il 6.4.1993.

Va innanzitutto osservato che il rapporto di apertura di credito in conto corrente intrattenuto tra la XXX s.n.c. e la Banca ZZZ è unitario, essendo iniziato in data 6.4.1993 e modificato in data 28.12.2004, come da documenti contrattuali in atti. Contrariamente a quanto sostenuto dalla banca opposta, il contratto del 28.12.2004 non è autonomo rispetto a quello del 6.4.1993, come è reso palese dall’esame degli estratti conto tutti riguardanti un unico conto corrente, sempre con il medesimo IBAN (), dai quali risultano movimentazioni senza soluzione di continuità alla data del 28.12.2004; in particolare dall’estratto conto dell’ultimo trimestre del 2004 risulta un saldo debitore al 30.9.04 di € 51.135,92, ridotto al 31.12.04 ad € 31.344,08 in considerazione dell’erogazione di un finanziamento di € 24.752,50 in data 28.12.04.

Orbene, la clausola in questione è nulla per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c..

Sulla nullità della clausola in esame deve evidenziarsi come sia mutato nel tempo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione che, nella materia de qua, si mostrava univoca nel ritenere sussistenti usi normativi atti a consentire, in deroga all’art 1283 c.c., l’anatocismo nei rapporti bancari nella forma della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti alla banca (Cass. 12675/98 e 3296/97). Ciò sul presupposto della costante affermazione della natura normativa degli usi in materia bancaria attesa la sussistenza dei caratteri obiettivi della costanza, della generalità e della durata e del carattere soggettivo della opinio iuris, tipici della norma consuetudinaria (Cass. 9227/95).

Nel 1999 la Cassazione in tre diverse sentenze (Sez. I, 23.3.1999 n. 2374; Sez. III, 30.3.1999 n. 3096 e 11.11.1999 n. 12507; poi riprese da Sez. I 4.5.2001 n. 6263; 13.6.2002 n. 8442 e 20.8.2003 n. 12222) ha rivisitato l’argomento finendo con il rivedere la propria posizione in materia: abbandonando il presupposto ermeneutico che consentiva di garantire legittimità all’anatocismo nei rapporti bancari e negandosi, quindi, natura normativa agli usi che in materia bancaria consentivano la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alla banca dal cliente in deroga alla regola generale sancita dall’art. 1283 c.c., la Suprema Corte ha proposto una diversa ricostruzione della questione in esame.

Segnatamente, richiamando pedissequamente il ragionamento seguito dalla Corte nelle tre statuizioni sopra citate, si è rilevato che solo gli usi normativi possono consentire una deroga al divieto dell’anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c.; per poi negarsi che “le cosiddette norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, predisposte dall’ABI (per la prima volta, con effetto dall’1.1.1952), nella parte in cui dispongono che i conti che risultino anche saltuariamente debitori siano regolati ogni trimestre e che, con la stessa cadenza, gli interessi scaduti producano ulteriori interessi, attestino l’esistenza di una vera e propria consuetudine” concretandosi, le stesse, in mere prassi negoziali “cui non può riconoscersi efficacia di fonti di diritto obiettivo se non altro per l’evidente difetto dell’elemento soggettivo della consuetudine; con la precisazione che “dalla comune esperienza emerge, infatti, che l’inserimento di clausole prevedenti la capitalizzazione degli interessi ogni tre mesi a carico del cliente (ed ogni anno a carico della banca) è acconsentito da parte dei clienti non in quanto esse siano ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell’associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l’opinio juris ac necessitatis, se non altro per l’evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente”.

Sì è così conclusivamente affermato che “la capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’ABI nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla opinio juris ac necessitatis” (così in motivazione Cass 3096/99). L’orientamento esposto è stato avallato dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 21095 del 4.11.2004, la quale ha evidenziato che “In tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76, Cost., l’art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, cod. civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (“opinio juris ac necessitatis”)”.

Precisa, in relazione a quest’ultimo profilo, la Suprema Corte che “va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione ‘medio tempore’ di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata”.

La giurisprudenza di legittimità successiva non si è discostata da questo orientamento (ex multis Sez. I n. 6514/2007, n. 23974/2010, Sez. III n. 6518/2011).

Ritenuta l’invalidità della clausola pattizia relativa alla previsione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sul conto corrente per cui è causa, va evidenziato che la delibera del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio del 9 febbraio 2000, emanata in attuazione dell’art. 120, comma 2, D.Lgs. n. 385/93, aggiunto dall’art. 25 D.Lgs. n. 342/99, ha stabilito, all’art. 2, che nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti e il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità; nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.

Atteso che la banca, successivamente all’1.6.2000, ha adeguato il contratto di conto corrente a quanto prescritto dalla delibera CICR, prevedendo la capitalizzazione degli interessi creditori e debitori con la stessa periodicità trimestrale, va rilevata la legittimità del meccanismo anatocistico applicato dall’istituto di credito sugli interessi debitori, a partire dal secondo trimestre del 2000.

Per quanto attiene all’eccezione di nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi in quanto usurari, ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c. e della Legge 7.3.1996 n. 108, la stessa va rigettata. L’opponente non ha infatti prodotto in giudizio i decreti ministeriali di cui all’art. 2 L. n. 108/96, contenenti le determinazioni trimestrali, per categorie di operazioni finanziarie, dei tassi superati i quali gli interessi si considerano usurari ai sensi dell’art. 2, comma 4, L. n. 108/96.

Come messo in luce dalla Suprema Corte, i decreti ministeriali determinativi del tasso di interesse, di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 108/96, hanno natura di atti amministrativi, per cui non è agli stessi applicabile il principio “jura novit” curia, di cui all’art. 113 c.p.c., che va coordinato con l’art. 1 delle disp. prel. cod. civ., il quale non comprende detti atti nelle fonti del diritto (Cass., Sez. III, 26.6.2001 n. 8742; nello stesso senso Sez. III, 5.8.2002 n. 11706). Gli stessi pertanto costituiscono documenti ed in quanto tali vanno prodotti dalle parti entro i termini assegnati ai sensi dell’art. 183 c.p.c..

È irrilevante che il CTU abbia effettuato la verifica dell’usurarietà degli interessi acquisendo i decreti in quanto l’attività del consulente non può supplire all’onere probatorio incombente sulla parte.

In mancanza di prova dell’usurarietà del tasso convenzionale al momento della stipula del contratto, l’eccezione dell’opponente deve essere rigettata.

In ogni caso, è irrilevante l’usurarietà sopravvenuta dedotta nel caso di specie in quanto il contratto, del 1993, è antecedente rispetto alla Legge 108/96. Invero, come chiarito recentemente dalla Suprema Corte, “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto” (Cass. Sez. unite n. 24675/2017).

Per quanto riguarda il saggio degli interessi, va evidenziato che, contrariamente a quanto affermato dall’opponente, le parti ne hanno determinato per iscritto la misura superiore a quella legale, ai sensi dell’art. 1284 c.c.: invero, dal contratto del 6.4.1993 risulta un tasso debitore del 13,75% entro il fido di L. 200 milioni e dalla modifica contrattuale del 28.12.2004 risulta un tasso debitore del 7,9782% entro il fido e del 13,9230% oltre il fido. Per quanto riguarda le commissioni di massimo scoperto non trova applicazione la disciplina introdotta dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, trattandosi di rapporto esauritosi prima della sua data di entrata in vigore. Ritiene al riguardo questo giudice che la c.m.s. sia una voce di costo che, unitamente al separato calcolo degli interessi debitori a carico del correntista, risulta costituire (in una alle spese postali, le spese di estratto conto e ogni altro onere connesso all’amministrazione del conto, contrattualmente previste) una delle componenti del compenso globale dovuto dal cliente, oggetto di liquidazione e capitalizzazione al termine di ogni dato periodo; la c.m.s. costituisce il corrispettivo dell’obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente affidato una determinata somma e viene calcolata non sulla somma rimasta disponibile (e quindi in quel momento non utilizzata dal cliente), bensì sulla somma massima utilizzata nel periodo e per tutti i giorni del periodo di riferimento.

Come evidenziato in maniera condivisibile da una parte della giurisprudenza di merito, la c.m.s. rientra nell’oggetto del contratto quale controprestazione per la messa in disponibilità della somma da parte della banca e per la erogazione effettiva dei fondi: anche questa prestazione deve trovare adeguata remunerazione da parte del cliente, comportando un sicuro onere per l’istituto che è comunque costretto, a prescindere dal concreto utilizzo da parte dei clienti, a tenere a disposizione degli stessi una certa giacenza liquida con corrispondente incremento del costo di gestione della propria tesoreria, mentre per converso gli affidati conseguono un sicuro vantaggio economico, potendo gestire al meglio la propria liquidità, conseguendo in qualsiasi momento e senza preavviso l’erogazione del credito nei limiti dell’affidamento (cfr. Corte Appello Lecce 27 giugno 2000, in Banca, borsa, titoli di credito, 2002, II, 145).

Rientrando nell’oggetto del contratto, la c.m.s. deve essere determinata nel suo ammontare, sia pure percentuale, o comunque determinabile (cfr. App. Lecce 27.6.2000, cit.; Trib. Roma 28.11.2002 in Giur. Merito 2003, 899). Nel caso di specie le commissioni di massimo scoperto sono state espressamente pattuite nella misura di 0,125% e 0,250% nel contratto originario e di 0,250% e 0,750% nella modifica contrattuale; è previsto che le stesse siano calcolate sull’utilizzo massimo raggiunto nel trimestre.

Non va invece affrontata la questione della computabilità delle commissioni di massimo scoperto sul TAEG utile ai fini del raffronto con il tasso-soglia in quanto la relativa eccezione va rigettata per carenza di prova, come sopra esposto.

Tanto premesso, va evidenziato che il secondo consulente d’ufficio, dott. ***, ha correttamente ricalcolato il saldo di conto corrente, secondo il mandato conferito dal G.I. con ordinanza del 23.4.14. Ha provveduto in particolare: 1) all’azzeramento, per l’intera durata del rapporto, della capitalizzazione trimestrale delle spese e delle commissioni di massimo scoperto; 2) all’azzeramento, fino al 30.6.2000, della capitalizzazione trimestrale degli interessi; 3) alla capitalizzazione, a far data dall’1.7.2000 (in ossequio alla delibera CICR 9.2.2000), della capitalizzazione periodica dei soli interessi, provvedendo all’imputazione delle rimesse prima agli interessi e poi al capitale, in ossequio all’art. 1194 del codice civile (cfr. relazione di CTU del 20.1.18, pag. 11).

Relativamente al punto 2), per il periodo intercorrente tra l’apertura del rapporto sino alla data del 30.6.2000, si è provveduto all’azzeramento di qualsiasi capitalizzazione degli interessi (attivi e passivi) e della commissione di massimo scoperto, i quali sono stati calcolati e cumulati in un’apposita colonna separata rispetto alle spese addebitate trimestralmente, le quali, invece, sono state capitalizzate dette competenze, accolte alla colonna denominata “interessi passivi + c.m.s.“, sono state annualmente cumulate ed assommate al saldo finale al 30.6.2000, in quanto, a far data dall’1.7.2000, le competenze maturande andavano trattate secondo le previsioni di cui all’art. 2 della delibera CICR 9.2.2000. Relativamente al superiore punto 3), il CTU, a far data dal terzo trimestre dell’anno 2000, ha operato l’omologa capitalizzazione trimestrale tanto per gli interessi attivi quanto per quelli passivi calcolati a fine trimestre.

Il CTU ha inoltre provveduto a rispondere al quesito dell’ordinanza del 23.4.14 riguardante le condizioni economiche sfavorevoli non concordate espressamente con il correntista e la loro concreta incidenza; per la quantificazione della “incidenza numerica” delle “condizioni economiche sfavorevoli” ha inizialmente riclassificato tutte le scritture operate nel c/c bancario secondo le condizioni applicate dalla Banca, onde determinare un saldo finale che, raffrontato a quello derivante dall’applicazione delle condizioni recate dai due contratti sottoscritti, ha restituito, per differenza, il dato numerico in questione.

Il consulente ha altresì verificato che il TAEG è stato sempre inferiore al tasso soglia ex art. 2 L. 108/96 tranne che per il periodo successivo all’1.1.2008 e fino al 22.7.2010; riguardo a questo lasso temporale ha proceduto, nella prima relazione del 20.1.18 a sostituire il tasso convenzionale con il saggio legale vigente e, nella relazione integrativa del 20.10.18, a mantenere il tasso convenzionale. Si dovrà tenere conto di quest’ultima determinazione del saldo in quanto l’usurarietà sopravvenuta non ha rilievo per quanto sopra evidenziato. Infine, conformemente all’incarico, il CTU ha determinato il saldo sia alla data del 9.1.2008 (data di revoca dell’apertura di credito e di recesso della banca dal rapporto) sia a quella del 22.7.2010 (data dell’ultima operazione prima del passaggio in sofferenza del conto). Si dovrà tenere conto del saldo relativo a quest’ultima data in quanto il rapporto ha avuto effettiva esecuzione fino al 22.7.2010, quando è stata registrata l’ultima operazione prima del “passaggio a sofferenza del conto”; i rapporti di dare ed avere tra le parti vanno computati con riferimento alla cessazione definitiva del conto corrente.

Il saldo alla data del 22 luglio 2010 è stato calcolato in € 501,12 a debito del correntista, importo risultante dalla somma algebrica tra il saldo creditore di € 5.643,31 e gli oneri maturati e non capitalizzati (spese e cms) di € 6.144,43 (cfr. “addendum” alla relazione integrativa del 26.3.18 e tabella a pag. 10 della relazione del 20.10.18).

In conclusione la Soc. XXX s.n.c. in liquidazione deve essere condannata a corrispondere alla Banca ZZZ la somma di € 501,12, oltre agli interessi di mora al tasso del 12,75% dal 27 settembre 2010 fino all’effettivo soddisfo. Deve essere rigettata la domanda riconvenzionale volta alla condanna della banca alla restituzione delle somme risultanti dal ricalcolo del saldo, essendo lo stesso negativo. Va parimenti rigettata la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per l’illegittima segnalazione dei nominativi di *** e YYY alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.

Invero il danno è stato dedotto in maniera del tutto generica ed è rimasto del tutto sfornito di prova, per cui non può essere liquidato neanche in via equitativa.

Osserva questo giudice che, anche per ottenere la liquidazione del danno in via equitativa, sono comunque necessarie la specifica allegazione e la prova dell’esistenza del danno e della sua concreta natura, considerato che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l’entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno stesso (cfr. Cass., Sez. II, 18.11.2002 n. 16202; 7.6.2007 n. 13288).

In considerazione della notevole riduzione della somma oggetto di condanna rispetto a quella ingiunta e del fatto che in via stragiudiziale la società opponente aveva offerto il pagamento della somma di € 2.000,00, superiore a quella dovuta, sussistono gravi ed eccezionali ragioni ex art. 92 c.p.c. per compensare integralmente le spese tra la società opponente e la banca opposta.

Invece, le spese tra YYY e la banca devono seguire la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e si liquidano come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al n. /2010 R.G.:

REVOCA, in accoglimento dell’opposizione, il decreto ingiuntivo n. /10 emesso dal Tribunale di Ragusa in data 28.9.2010 nei confronti della Società XXX s.n.c. in liquidazione e di YYY.

CONDANNA la Società XXX s.n.c. in liquidazione a corrispondere alla Banca ZZZ la somma di € 501,12, oltre agli interessi di mora al tasso del 12,75% dal 27 settembre 2010 fino all’effettivo soddisfo.

RIGETTA le domande riconvenzionali degli opponenti.

CONDANNA la banca opposta alla rifusione in favore di YYY delle spese processuali, che liquida in complessivi € 3.000,00 per compenso ed € 195,00 per esborsi, oltre a rimborso spese generali, Iva e Cpa.

COMPENSA le spese tra la Società XXX s.n.c. in liquidazione e la Banca ZZZ.

Così deciso in Ragusa il 20/03/2020.

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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