SENTENZA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA N. 358 2025 – N. R.G. 00002083 2024 DEL 03 03 2025 PUBBLICATA IL 03 03 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI VENEZIA
Prima Sezione civile
R.G. 2083/2024 e 2094/2024
La Corte d’Appello di Venezia, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
dott.ssa NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei procedimenti riuniti di reclamo ex art. 18 l.f. iscritti in data 12.12.2024 e 14.12.2024 ai nn. 2083/2024 e 2094/24 R.G.
da
C.F. e P.I.
), con sede in Roma, INDIRIZZO, in
persona del legale rappresentante pro tempore ,
( C.F. e P.I.
), con
sede in Bussolengo (VR), INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore ,
(C.F.
), rappresentati e difesi dall’Avv. NOME
Lucchese;
reclamanti nel procedimento n. 2083/2024
(C.F.
)
e
(C.F. e P.IVA
), con sede legale in Mozzecane (VR), INDIRIZZO in persona del legale P.
P.
P.
C.F.
C.F.
rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME;
reclamanti nel procedimento n. 2094/2024
CONTRO
con sede con sede in Mozzecane (VR), INDIRIZZOC.F. ) in persona del Curatore, Avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dal Prof. Avv. NOME COGNOME P.
FALLIMENTO DELLA SRAGIONE_SOCIALE
,
,
con sede con
Contr
sede in Mozzecane (VR), INDIRIZZO in persona dei Curatori Avv. NOME COGNOME e Dott.
rappresentato e difeso dal Prof. Avv. NOME COGNOME (c.f.
; PEC
come da separata
procura alle liti sottoscritta e autografata in originale e poi scansionata e firmata digitalmente
(All. 1b) e con domicilio eletto in Milano alla INDIRIZZO
TABLE
CF SdF ), tutti in persona del Curatore Avv. NOME COGNOME P.
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VERONA ;
reclamati
Oggetto: reclami ex art. 18 l.f. promossi da e (procedimento n. 2083/2024) e da e (procedimento n. 2094/2024) avverso la sentenza dichiarativa di fallimento del Tribunale di Verona n. 2247/2024 pubblicata
il 13 novembre 2024 e comunicata il 14 novembre 2024.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
-per i reclamanti nel procedimento n. 2083/2024 :
‘IN INDIRIZZO
Sospendere l’efficacia esecutiva della Sentenza n. 247/24 del Tribunale di Verona, comunicata in data 14.11.2024, con decreto inaudita altera parte od in subordine previa fissazione di udienza di comparizione delle parti;
IN INDIRIZZO NEL MERITO:
Per i motivi di cui al presente reclamo, in riforma della Sentenza n. 247/2024 del Tribunale di Verona, revocare la sentenza di fallimento e la contestuale declaratoria di inammissibilità della Domanda Concordataria depositata da e con ogni effetto di legge; Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa’;
-per i reclamanti nel procedimento n. 2094/2024 :
‘- accertata l’insussistenza della supersocietà di fatto costituita da e tutti gli altri presunti soci indicati in sentenza e/o comunque avente quali soci di fatto e
stante l’assoluta carenza dei relativi presupposti di cui all’art. 2247 c.c. , in riforma totale e/o parziale dell’impugnata sentenza, revocarsi il fallimento ‘ascendente’ della medesima supersocietà di fatto e quello ‘ripercussivo’ dei presunti soci, e/o revocarsi in ogni caso il fallimento di e non essendo mai divenuti soci;
– con vittoria di spese e compensi, oltre contributo forfettario spese generali, CPA ed Iva di legge’;
: ‘Respingere il reclamo proposto ai sensi dell’art. 18 l.fall.
-per i fallimenti reclamati costituiti Con la rifusione delle spese del procedimento’.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con ricorso ai sensi dell’art. 147 comma 5 l.f., il Fallimento della società domandava al Tribunale di Verona: in via principale che fosse accertata la sussistenza di una società commerciale di persone irregolare, costituita di fatto tra
e , per l’esercizio in comune di un’unica attività d’impresa nell’ambito della compravendita di carburanti e prodotti petroliferi (c.d. super società di fatto) con lo specifico scopo (illecito) di generare risorse da suddividere tra i soci mediante condotte di evasione di Iva o, comunque, di svolgere insieme l’attività (lecita) di compravendita di prodotti petroliferi, creando anche artificiosamente (e mediante atti di frode nei confronti del Fisco) utili da suddividere tra i soci, con conseguente dichiarazione di fallimento di tale supersocietà di fatto nonché, per ripercussione, di tutti i soggetti suindicati, in qualità di soci illimitatamente responsabili; in via subordinata, che fosse accertata la sussistenza di una società commerciale di persone irregolare costituita di fatto tra e ed avente ad oggetto lo svolgimento dell’attività di direzione e coordinamento su e sulle altre società sopra indicate (c.d. società holding di fatto), esercitata in modo abusivo ai danni di con pregiudizio almeno pari al passivo fallimentare (e, quindi, la sussistenza in capo al fallimento ricorrente del relativo credito risarcitorio, con conseguente legittimazione ad instare per il fallimento di tale società holding), con conseguente dichiarazione, previo accertamento dell’insolvenza della società di fatto, del fallimento di tale compagine nonché di e in qualità di soci illimitatamente responsabili.
Tutti i resistenti si sono costituiti concludendo per il rigetto delle domande proposte dal fallimento ricorrente ed indicando le condotte richiamate dal fallimento come riferibili in via esclusiva all’attività tipica svolta dalla fallita non valorizzabili ai fini di
ritenere integrati gli elementi costitutivi delle allegate società di fatto; hanno altresì rappresentato che, in ogni caso, non risultavano dedotti e provati apporti dei singoli soci finalizzati alla costituzione del fondo comune necessario per ritenere costituita, seppur di fatto, una società; secondo i resistenti, e si erano limitati ad esercitare i poteri propri della qualità di socio o di amministratore nelle varie società, senza costituire tra di loro una stabile organizzazione finalizzata all’eterodirezione delle società stesse, sicché neppure sussistevano i presupposti per la configurazione della holding personale.
In data 6.11.24, giorno dell’udienza fissata per la comparizione delle parti nel procedimento come sopra introdotto, le società e hanno depositato ricorso ai sensi dell’art. 44 CCII ed hanno chiesto che, previa riunione di tutti i procedimenti, la decisione sul ricorso proposto dal fallimento fosse accantonata, in attesa della definizione dei procedimenti di risoluzione della crisi a cui le suddette società intendevano accedere.
Con sentenza n. 247/2024 pubblicata il 14.11.2024, il Tribunale di Verona, rigettata tale ultima istanza ed escluso che dai nuovi ricorsi potesse derivare una preclusione decisoria sulle istanze del , ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda principale proposta dalla curatela e ha dichiarato il fallimento della società in nome collettivo irregolare
Avverso la sentenza hanno proposto – e notificato insieme al decreto di fissazione dell’udienza distinti reclami, da un lato, e e, dall’altro
e , sulla base dei motivi che saranno di seguito esaminati.
Si sono costituiti, evidenziando l’infondatezza dei reclami, a mezzo del curatore, il
nonché quello della società di fatto tra
e ; non si sono costituiti i fallimenti dei singoli soci illimitatamente responsabili della società di fatto, che dunque, ritenuta la regolarità della notificazione, devono essere – e sono con il presente atto – dichiarati contumaci. Le parti hanno discusso ed ulteriormente illustrato le rispettive posizioni e conclusioni all’odierna udienza, all’esito della quale la Corte si è riservata la decisione.
*
e hanno innanzitutto lamentato che il Tribunale abbia deciso sull’istanza di fallimento senza prima provvedere sull’istanza di accesso a procedura alternativa dalle stesse proposta, laddove secondo le reclamanti si sarebbe dovuto procedere a riunione, instaurazione del contraddittorio ed esame anzitutto di tale seconda istanza.
Premesso che il reclamo riguarda la sola posizione delle due società predette, si ritiene in proposito corretta la decisione del Tribunale di Verona, che ha osservato: ‘In primo luogo va evidenziato che nessuna preclusione decisoria può essere anche solo astrattamente ipotizzata rispetto all’accertamento ed alla declaratoria di fallimento della super società di fatto tra
e tutte le parti resistenti (come da domanda principale del fallimento), nonché della società di fatto holding tra l e il (come da domanda subordinata), per l’evidente ragione che i procedimenti ex art 44 CCII non riguardano tali società di fatto e non mirano quindi a risolvere la loro crisi o insolvenza secondo uno strumento di regolazione alternativo al fallimento o alla liquidazione giudiziale. Ma neppure risulta preclusa la possibilità di declaratoria del fallimento (o della liquidazione giudiziale) di e in qualità di soci illimitatamente responsabili, quale conseguenza del fallimento della super
società.
Invero, ai sensi dell’art 147, c. 1 legge fall tale fallimento conseguirebbe automaticamente e necessariamente (come suole dirsi, per ripercussione) a quello della società, prescindendo totalmente da ogni accertamento in merito alla qualità di imprenditore commerciale ed all’insolvenza del soggetto riconosciuto quale socio illimitatamente responsabile (cfr Cass. 1095/16). Infatti, l’unica insolvenza che viene regolata attraverso l’apertura della procedura liquidatoria (fallimento o liquidazione giudiziale) è quella della società di persone (in questo caso irregolare e di fatto), sicché non può porsi alcuna questione di continenza per incompatibilità rispetto al diverso procedimento di regolazione della crisi che riguardi in via esclusiva l’insolvenza propria del socio, inerente alla diversa e distinta attività imprenditoriale da questi eventualmente svolta. E quindi solo la declaratoria in via principale del fallimento (o della liquidazione giudiziale) di un imprenditore commerciale insolvente (su sua domanda o ad istanza di un creditore) che risulta preclusa sino alla definizione dello strumento alternativo di definizione della crisi e dell’insolvenza, secondo i noti principi espressi da Cass. SU 9935 e 9936/15 (sotto la vigenza della legge fallimentare) o secondo quanto oggi previsto dall’art. 7, c. 2 e 3 CCII (sotto la vigenza del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza)’.
In altri termini, il procedimento de quo è stato introdotto con ricorso in estensione ai sensi dell’art. 147, comma 5, l.f. in quanto è stata dichiarata fallita in base agli artt. 1, 5 e 17 l.f.; con quel ricorso, il ha chiesto che fosse accertata l’esistenza di una società di fatto tra varie persone, fisiche e giuridiche. Avrebbe certo assunto priorità una domanda di accesso al concordato preventivo assunta dall’imprenditore cui si riferiva il procedimento (la società o supersocietà di fatto); così non poteva essere per le due società indicate come soci illimitatamente responsabili della società irregolare, proprio in quanto oggetto
di cognizione non erano i presupposti oggettivo e soggettivo riferiti alle stesse (ma alla società di fatto), rispetto alle quali il contraddittorio è stato comunque rispettato, posto che esse hanno potuto prendere (ed in effetti preso) posizione sull’esistenza e fallibilità della supersocietà e sulla loro natura di soci illimitatamente responsabili della medesima (cfr. Cass., n. 10507/2016, secondo cui ‘nel caso in cui venga accertata l’insolvenza di una società di fatto nella quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da società di capitali, il fallimento di quest’ultime costituisce una conseguenza ex lege prevista dall’art. 147, comma 1, l.f. senza che sia necessario l’accertamento della loro specifica insolvenza’); in altri termini, il procedimento relativo alla loro posizione autonoma di imprenditori commerciali in crisi non poteva ostare alla conclusione di quello già instaurato, il cui esito favorevole alla curatela comportava il loro fallimento solo in quanto socie della supersocietà, tema estraneo alla procedura introdotta con ricorso ex art. 39-40 CCII, sulla cui instaurazione e sui cui effetti con riguardo al precedente procedimento, in ogni caso, il contraddittorio è stato assicurato all’udienza già fissata.
Il secondo articolato motivo di reclamo nel procedimento n. 2083/24 R.G. è in parte inammissibile, in quanto non si confronta con la decisione impugnata, in parte infondato.
Con esso i reclamanti lamentano, in primo luogo, che il Tribunale abbia ‘ritenuto di avallare’ il ricorso della curatela utilizzando, a fondamento della decisione assunta, l’accertamento contenuto nella sentenza penale di primo grado che ha visto condannati e per reati di natura fiscale di rilevanza tributaria, non essendo ammissibile, hanno sottolineato i reclamanti, che l’accertamento di un fatto di reato contestato ai ‘singoli’ imputati (persone fisiche) possa essere considerato da solo sufficiente per la declaratoria resa.
Come meglio si osserverà esaminando, anche con riferimento agli altri motivi di reclamo, il merito delle questioni, il Tribunale non ha affatto tratto direttamente dalle asserzioni della
curatela e dalla condanna penale le proprie statuizioni, bensì ne ha ricavato alcuni elementi di fatto che, non essendo stati, se non del tutto genericamente, contestati dai resistenti, sono stati posti alla base delle valutazioni, anche in diritto, ampiamente esposte nella sentenza impugnata. Quanto alla contestazione dei reclamanti secondo cui in applicazione del comma 5 dell’art. 147 l.f., pur in presenza dei requisiti per la dichiarazione di fallimento della ritenuta esistente S.d.f., non può procedersi al fallimento ‘in estensione’ della RAGIONE_SOCIALE ritenuta socia, salvo la prova della ‘irregolarità della S.s.d.f. dichiarata fallita’, con riqualificazione della natura della RAGIONE_SOCIALE partecipante, in ‘socio illimitatamente responsabile’ (reclamo, pag. 30), non si comprende come possa dubitarsi della natura irregolare della supersocietà di fatto ritenuta esistente, pacificamente non essendo questa registrata.
Seppur in termini generici ed ancora una volta testualmente riferiti all’insufficienza degli elementi che si traggono dalla condanna penale, i predetti reclamanti evidenziano la carenza del ricorso originario e di conseguenza della decisione, che avrebbe dovuto verificare (ciò che, evidentemente, secondo i reclamanti, non ha fatto) la sussistenza degli elementi idonei a ritenere sussistenti una s.d.f. quale soggetto diverso dai partecipanti, l’oggetto sociale diverso, lo scopo sociale o l’operatività, i conferimenti dei soci, l’organizzazione di mezzi per il perseguimento di scopi estranei ai propri, singoli, oggetti sociali. Al tempo stesso, secondo i reclamanti non poteva ritenersi provata la condotta fraudolenta loro imputata né che l’attività fosse finalizzata ad arricchire terzi e/o una presunta supersocietà di fatto.
Tale parte del reclamo merita di essere esaminata congiuntamente con i motivi del reclamo proposto nel procedimento n. 2094/2024 R.G., che investono la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il presupposto della supersocietà di fatto costituito dall’esercizio in comune di un’attività illecita distinta e trascendente rispetto a quella di (pagg.
5-10) e nella parte in cui ha ritenuto sussistente il presupposto di configurabilità della supersocietà di fatto rappresentato della costituzione di un fondo comune attraverso gli apporti attivi dei presunti soci di fatto (pagg. 10-19).
Si deve premettere che, con sentenza n. 1095/2016, la Suprema Corte, dopo aver affermato che la società di fatto si caratterizza per la mancanza di forme e di formalità, pur essendo effettivo lo svolgimento di attività economica in comune che consiste, per definizione, nel materiale e continuo esercizio di attività economica organizzata, ha affermato la necessità di ricercare una prova rigorosa dell’esistenza della s.s.d.f. che si caratterizza per il patrimonio e l’attività comune, nonché l’effettiva partecipazione ai profitti e alle perdite dei soggetti interessati e per il vincolo di collaborazione tra i predetti, con quote che si presumono uguali ai sensi degli artt. 2253 e 2263 c.c. (v. anche Cassazione nn. 4784/23, 7903/20, 4712/21, 12120/2016, 10507/2016).
Come osservato anche dai reclamanti, il Tribunale di Verona ha ritenuto anzitutto dimostrati (pagg. 4 e 5 della sentenza) una serie di fatti:
-era società attiva nel commercio di carburanti e prodotti petroliferi e, in particolare, avendo ottenuto (in data 24 ottobre 2016) l’autorizzazione ad operare quale ‘destinatario registrato’, aveva iniziato ad effettuare prevalentemente servizi di nazionalizzazione di prodotti petroliferi (con pagamento dell’accisa al momento del deposito) importati dall’estero dalla propria clientela e stoccati presso il proprio deposito ubicato in Mozzecane, INDIRIZZO;
– con la legge 205 del 2017 il legislatore aveva introdotto una nuova disciplina per l’estrazione dei prodotti petroliferi dai depositi in chiave antifrode, che prevedeva l’obbligo di immediato versamento dell’iva quale presupposto per la messa in commercio del prodotto sul territorio nazionale, con coobbligazione solidale del titolare del deposito per il caso di mancato pagamento
dell’imposta;
– a partire dal 2018 aveva iniziato ad acquistare direttamente dall’estero il prodotto petrolifero stoccandolo poi presso il proprio deposito, atteso che solo in tale caso, secondo la nuova normativa di cui sopra, l’Iva avrebbe potuto essere assolta secondo le tempistiche ordinarie (quindi in momento successivo alla estrazione del prodotto dal deposito e alla sua consegna al cliente finale);
– negli anni 2018, 2019 e 2020 aveva sempre provveduto ad addebitare e ad incassare l’Iva sul prodotto petrolifero estratto dal deposito e venduto ai propri clienti considerando nella base imponibile ai fini del calcolo dell’imposta anche l’accisa a suo tempo pagata e addebitata in rivalsa al cliente;
– al contempo, al termine di ogni mese aveva emesso nei confronti di sé stessa note di variazione in diminuzione dell’iva (n. 25 in totale) scomputando dalla base imponibile l’accisa e, quindi, determinando in misura inferiore l’iva da versare all’Erario;
– la maggior Iva incassata dalla propria clientela non era stata a questa restituita, ma era stata contabilmente considerata quale ricavo, con pagamento delle imposte sul reddito (Ires, Irap) per importo maggiore ma, comunque, ben inferiore a quello dell’Iva non versata all’erario (invero mentre tale iva era interamente dovuta, le imposte sugli elementi reddituali attivi avrebbero ovviamente dovuto essere pagate solo in percentuale, in base all’aliquota di riferimento);
– operando nel modo sopra descritto, nel triennio 2018 – 2020 aveva omesso di versare all’Erario Iva per il complessivo importo di € 103.532.604,21.
Tali elementi sono certamente desunti dagli esiti degli accertamenti tributari svolti nei confronti di ma essi sono stati oggetto di puntuale allegazione da parte della curatela e sono stati contestati in modo del tutto generico dai reclamanti, che non hanno mai negato in
termini concreti nessuno dei fatti specifici sopra riportati, così che correttamente il Tribunale li ha posti alla base delle proprie valutazioni, necessariamente autonome rispetto alla contestazione dell’amministrazione finanziaria e al procedimento penale.
Osservano i reclamanti che ha esercitato per diversi anni prima del 2018 (almeno dal 2012) l’attività di commercializzazione di prodotti petroliferi, essenzialmente consistente nell’acquisto dei prodotti da terzi fornitori, per lo più esteri, nello stoccaggio degli stessi presso il deposito di Mozzecane (Vr) di proprietà della società immobiliare controllante e concesso in locazione, o comunque in detenzione, da quest’ultima, e la rivendita ai clienti, lucrando la differenza tra costi (prezzo di acquisto ed oneri di gestione) e ricavi (prezzo di rivendita) e che anche dopo il 2018, ha proseguito la medesima attività di commercializzazione di prodotti petroliferi, utilizzando i medesimi beni strumentali e rifornendo gli abituali clienti, ‘con le sole predette (ed ipotetiche) irregolarità tributarie, in qualche modo favorite ed indotte, ove realmente illecite, dalle modifiche al regime tributario del settore introdotte del 2017 (essenzialmente consistenti nella facoltà concessa ai ‘destinatari registrati’ di versare le accise solo a seguito della rivendita del prodotto stoccato presso gli stessi, invece che anticipatamente)’.
Quanto così rilevato non contrasta tuttavia con la constatazione del fatto che, a partite dal 2018, all’ordinaria attività economica di si è affiancata o meglio sovrapposta un’attività che, per metodo e consistenza, ha, come ritenuto dal Tribunale, snaturato ovvero reso secondaria la prima, con la partecipazione di ciascuno dei soggetti che sono stati ritenuti soci della supersocietà di fatto.
Quanto sopra è evidentemente accaduto dopo che, a seguito della novella intervenuta nella normativa di settore, è stata ideata una conduzione fraudolenta degli adempimenti fiscali relativi
all’acquisto e alla successiva vendita del prodotto petrolifero fondata sulla (invero non sussistente, come si ricava dalla lettura degli artt. 1 e 13, c. 1 DPR 633/72 e della Direttiva 2006/112/CEE e come ben argomentato nella sentenza penale del Tribunale di Verona di data 23.11.2022 a carico di e , non ancora passata in giudicato: doc. C di parte ricorrente nel giudizio di primo grado) incertezza del nuovo dato normativo: da un lato applicava (e ha continuato ad applicare per quasi tre anni) l’Iva sulle accise, dall’altro, mostrando di ritenere, con palese contraddizione, che nella base imponibile ai fini della determinazione dell’Iva sulle compravendite dei prodotti petroliferi non dovesse essere considerato l’importo relativo all’accisa, non versava all’Erario l’importo incassato a quel titolo dalla propria clientela, ma emetteva note di variazione per ‘eliminare’ l’accisa dalla base imponibile e produrre una riduzione dell’imposta da versare all’Erario, senza però restituire l’apparente indebito al cliente bensì imputando l’importo a corrispettivo/ricavo; anche se ciò poteva incidere sul dovuto per imposte sui redditi, non è chi non veda l’ampia differenza tra questo effetto ed il versamento all’Erario dell’intero importo.
Il Tribunale ha in termini ineccepibili osservato come la consapevolezza della frode si ricavi chiaramente dalla perpetuazione del meccanismo in termini identici tra il 2018 e il 2020; parimenti risulta condivisibile la valutazione secondo cui l’ingente effetto economico che tale metodo assicurava induce a ritenere che, da quando esso è stato concepito, proprio il conseguimento del profitto illecito abbia costituito il reale o comunque il principale fine perseguito mediante l’attività di impresa, e dunque l’effettivo oggetto sociale rispetto al quale la compravendita di prodotti petroliferi costituiva attività necessaria ma strumentale; in tal senso, l’elemento di novità rispetto alla preesistente impresa esercitata dalla sola è evidente e giustifica una diversa considerazione del soggetto cui la deviata e differente impresa
emersa è stata riferita: la supersocietà di fatto.
Primario indice nella specie di esistenza della società di fatto, oltre alla sostanziale identità delle compagini sociali ed amministrative e all’identità della sede legale risultante da Registro delle imprese (come da visure in atti), è la comune destinazione dei patrimoni all’esercizio di un’unica impresa, senza che tale comune destinazione trovi fisiologica causa in contratti di scambio.
Allo stesso modo è risultata unitaria la gestione finanziaria caratterizzata soprattutto dal notevole flusso di denaro generato dalla pratica fiscale illecita e ‘passato’, sulla base di un unitario disegno, ai soci di fatto, ben potendosi tale passaggio di denaro (ri)qualificare in termini di distribuzione di utili.
In questo senso è emerso che tutte le persone giuridiche coinvolte sono riconducibili alle persone fisiche e , che ne sono a seconda dei casi soci e/o amministratori:
presenta quale socia unica dal 3.10.18 che ha quale socio unico e amministratore unico ; di è amministratore unico , ma gli accertamenti svolti hanno indicato una presenza di quale amministratore di fatto (v. comunicazioni email il cui testo è riportato alle pagine da 22 a 26 e da 62 a 64 del PVC dell’Agenzia delle Entrate del 24.7.20, prodotto dal fallimento istante, da cui si ricava che si recava giornalmente presso la sede di ove aveva a disposizione anche un ufficio, che lo stesso disponeva anche di un proprio account aziendale — mediante il quale impartiva direttive ai dipendenti ed interloquiva con l’amministratore di diritto ); è anche socio unico e amministratore unico di
Il sodalizio tra le due persone fisiche e la sua manifestazione tramite attività imprenditoriali caratterizzate dalla non impeccabile conduzione sul piano fiscale è confermato anche dalla più
recente – e documentata dalla curatela – vicenda che ha visto l’adozione di misure cautelari personali e reali nei confronti dei predetti e in relazione ad attività nel settore del food & beverage con fatturazione di operazioni inesistenti per consistenti valori (c.d. cartiera).
Quanto agli apporti forniti dai soci alla società di fatto dichiarata fallita, è risultato che ha messo a disposizione dell’attività sopra descritta il proprio compendio immobiliare, senza peraltro incassare canoni di locazione, si apprestava a sostituire
nell’esercizio dell’attività e già era subentrata nella detenzione di immobile strumentale, e hanno in ogni fase ideato e diretto l’impresa ed in particolare la frode fiscale (apporto d’opera essenziale, distinto dalla mera funzione di amministratore di fatto o di diritto in virtù dell’ampiezza dell’attività di ideazione dell’attività specificamente finalizzata a conseguire un profitto illecito comune), tutti i predetti soci e quest’ultima facendo figurare la prestazione di servizi non resi, hanno beneficiato di flussi di denaro in uscita da
soggetto cui era formalmente imputata l’attività e che dunque conseguiva gli incassi, e che poi provvedeva – ricevendo, in parte solo a distanza di tempo, documentazione atta a fornire apparente giustificazione dei movimenti – a distribuire l’ingente denaro illecitamente accumulato.
Orbene, da un lato, dal 2017 al 2020 ha versato il complessivo e davvero notevole importo di € 19.410.958,53 a favore di di cui € 2.175.000,00 a titolo di dividendi per gli anni 2019 e 2020 e di € 17.235.958,53 tra il 2017 ed il 2019 a titolo di caparre/acconti per il futuro acquisto dell’immobile di Mozzecane, INDIRIZZO in cui aveva la sede ed esercitava la propria attività (sino al 27.6.21, momento in cui la sede era stata trasferita presso l’immobile di Mozzecane, INDIRIZZO.
La vicenda dei rapporti tra è assai significativa: la seconda ha messo a disposizione della prima un immobile di significativo valore senza che risultino versati corrispettivi per il godimento (risulta stipulato un contratto di locazione, che prevedeva il versamento di canoni per circa € 80.000,00 annui, ma non risultano versamenti riferiti a tale titolo); al tempo stesso, è stato formato (invero, secondo gli accertamenti della G.d.F., a posteriori) un preliminare di compravendita dell’immobile di Mozzecane, datato 31.12.2015, al prezzo di € 12.000.000,00, con rogito da stipulare entro il 31.12.23 e con previsione di pagamento da parte della promissaria acquirente di caparre/acconti da scomputare dal prezzo finale, con previsione in capo a di facoltà di recesso e diritto di di trattenere definitivamente le somme versate da a titolo di caparra.
Ebbene, con tale esplicita causale sono stati versati oltre 17 milioni di euro, ben oltre il corrispettivo pattuito, eppure in data 7.5.19 ha comunicato a la propria volontà di recesso dal contratto e con comunicazione di data 4.6.19 ne ha preso atto e ha dichiarato che avrebbe trattenuto definitivamente le somme già versate a titolo di caparre/acconto, senza incontrare obiezione.
Rilevanti seppur meno ingenti flussi di denaro in uscita sono stati registrati anche in favore delle altre società interessate.
In particolare, ha ricevuto tra il 23.11.08 e il 4.12.18 versamenti per €
1.058.000,00 a titolo di deposito cauzionale, in apparente esecuzione di un contratto datato 26.6.17 che avrebbe dovuto far conseguire, entro il 31.12.18, a la partecipazione totalitaria in senza che ne sia mai seguito il trasferimento delle quote e senza che sia avvenuta la restituzione dell’importo versato, registrato nella contabilità di
nel conto ‘provvigioni agenti’, privo di riscontro nella realtà; inoltre tra marzo e
agosto del 2018 ha versato a € 1.586.000,00 in pagamento di tre fatture emesse con causale riferita alla esecuzione di lavori sull’immobile di Mozzecane, INDIRIZZO di proprietà di anche in tal caso con formazione risultata postuma di documentazione giustificativa, sulla base della quale risultavano conduttrici in locazione dell’immobile dapprima dal 1.2.14 e poi dal 26.6.17, con obbligo della prima di versare alla seconda, cessionaria del contratto, la spesa sostenuta per l’esecuzione dei lavori sull’immobile; oltretutto dalla tabella riportata a pagina 33 del PVC dell’Agenzia delle Entrate del 24.7.20 prodotta dalla curatela emerge che gli interventi erano state eseguiti da varie imprese con l’assistenza di professionisti per una spesa complessiva di € 1.270.893,00 oltre iva, sostenuta in parte da e in parte da una società di leasing, e non da Come osservato dal Tribunale ‘ essendo pacifico che gli immobili di Mozzecane INDIRIZZO erano stati infine conseguiti in godimento da il risultato finale è stato che: a) ha concesso in godimento gli immobili a senza alcun corrispettivo, essendo stata lei stessa a sostenere il costo degli interventi di fabbricazione (di cui non risulta avere ottenuto il rimborso né da né da e non risultando che la stessa abbia mai chiesto a il pagamento del canone; b) oltre ad ottenere da il godimento dellimmobile senza corrispettivo, ha anche percepito da la suddetta ingente somma di euro 1.586.000,00 ‘.
Quanto a tra il 7.8.19 e il 27.2.2020 ha corrisposto a la complessiva somma di € 1.025.000,00 in pagamento di tre fatture emesse per € 1.525.000,00 in relazione a prestazioni di servizi (ricerche di mercato, sistema gestionale di controlli ed altri servizi) della cui sussistenza effettiva non è stata trovata conferma e al tempo stesso sono
intervenuti versamenti per € 1.403.000,00 da parte di a favore di per lavorazioni edili che pure non sono risultate eseguite, quantomeno non da In conclusione, gli elementi acquisiti confermano la sussistenza dell’intento di esercizio in comune di attività economica tramite commistione di patrimoni e partecipazione agli utili. Tutti i reclamanti hanno infine impugnato la sentenza del Tribunale di Verona nella parte in cui ha ritenuto sussistente il presupposto oggettivo dell’insolvenza, lamentando che lo stesso sia stato
ritenuto in relazione alla società già dichiarata fallita anziché alla società di fatto.
Il denunciato vizio di accertamento o di motivazione non risulta tuttavia sussistente, poiché il giudice di primo grado ha rilevato che il passivo era costituito innanzitutto dal passivo di
(per oltre € 100.000.000,00), ma ha raffrontato tale indebitamento non solo con quello della società dichiarata fallita ma anche con le risorse dei soci della società di fatto, dando atto, senza incontrare specifica contestazione sul punto, che queste non superavano il valore di € 25.000.000,00 e che peraltro il patrimonio personale di e era stato sequestrato in funzione della confisca nell’ulteriore procedimento penale cui gli stessi risultano, come sopra si è ricordato, sottoposti; d’altra parte la supersocietà in quanto tale non risulta titolare di patrimonio proprio.
Si deve a tale proposito osservare che secondo Cass. 27.12.2023 n. 35942, ‘il fallimento della supersocietà costituisce presupposto logico e giuridico della dichiarazione di fallimento, per ripercussione, dei soci, per cui l’indagine del giudice dev’essere indirizzata all’accertamento sia dell’esistenza di una società occulta (o di fatto) cui sia riferibile l’attività dell’imprenditore già dichiarato fallito, sia della sua insolvenza, posto che all’insolvenza del socio già dichiarato fallito potrebbe non corrispondere l’insolvenza della supersocietà di fatto’.
Peraltro, la condivisa giurisprudenza di legittimità (Cass. 29.12.2023 n. 36378), mentre nega
rilevanza all’insolvenza del socio in quanto tale, riconosce che ‘qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale o societario, risulti che la relativa impresa è, in realtà, riferibile ad una società di fatto tra il soggetto già fallito e uno o più soci occulti, che possono essere a loro volta altre società o persone fisiche ( id est una cd. supersocietà di fatto), i debiti assunti da tale soggetto in relazione all’impresa che si palesa sostanzialmente sociale sono giuridicamente imputabili alla società occulta’.
In specie, visto che nei rapporti coi terzi ha operato, come si è ampiamente osservato, principalmente risulta corretto ai fini della valutazione dell’insolvenza della società di fatto il riferimento all’esposizione debitoria di questa, specie verso l’Erario, esposizione che costituisce l’effetto negativo specifico delle peculiari modalità di esercizio dell’impresa sopra rilevate, indebitamento cui la supersocietà non è in grado di far fronte né in una, ormai superata, prospettiva di continuità, né mettendo a disposizione il patrimonio proprio e quello dei soci, in quanto di entità inferiore.
Rigettato il reclamo, le spese devono essere regolate per la presente fase secondo soccombenza, e liquidate come in dispositivo, in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55/14 come aggiornato con d.m. n. 147/22 per procedimenti di valore indeterminabile di media complessità, secondo valori medi, con esclusione di un compenso per la fase istruttoria, che non si è tenuta.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dev’essere dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’introduzione del presente giudizio, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, a carico dei reclamanti.
P. Q. M.
La Corte d’Appello di Venezia, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore
deduzione disattesa, così provvede nelle cause riunite n. 2083/24 e n. 2094/24 R.G.:
1. rigetta in quanto infondati i reclami proposti e, per l’effetto, conferma la sentenza dichiarativa di fallimento n. 2247/2024 del Tribunale di Verona, pubblicata il 13 novembre 2024;
2. condanna i reclamanti in solido alla rifusione in favore delle liquidazioni giudiziali reclamate costituite delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in € 7.122,00 per compenso professionale, oltre a rimborso forfetario 15% per spese generali ed oltre Iva e cpa se ed in quanto dovute per legge;
3. dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/02 a carico di parte reclamante.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 13.2.2025.
Il Consigliere COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME