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Nullità clausole anatocismo e CMS in conto corrente

La sentenza affronta la questione della validità delle clausole anatocistiche e di commissione di massimo scoperto (CMS) nei contratti di conto corrente bancario, affermando la nullità delle stesse per indeterminatezza dell’oggetto e mancata specifica pattuizione. Viene inoltre ribadito il principio di diritto secondo cui l’onere della prova dell’esistenza dell’affidamento e del suo limite grava sul correntista, che può avvalersi a tal fine anche di mezzi di prova diversi dalla produzione del contratto.

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Pubblicato il 16 maggio 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

R.G. 1991/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE seconda sezione civile in persona dei magistrati:

NOME COGNOME PresidenteNOME COGNOME Consigliere – NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._803_2025_- N._R.G._00001991_2023 DEL_30_04_2025 PUBBLICATA_IL_30_04_2025

nella causa civile di II grado tra titolare della omonima ditta individuale (C.F. con patrocinio dell’avv. COGNOME appellante (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME appellata Conclusioni per «Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Firenze, in tesi, nel merito, in accoglimento dei motivi di gravame ed in totale riforma C.F. C.F. C.F. – accertare e dichiarare l’invalidità e la nullità parziale, ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 1418, 1419, 1421 e 1346 c.c. del rapporto di conto corrente ed apertura di credito n. 6537.08, salvo altri, tra e la banca “ ”, in particolare in relazione: a) alle clausole di pattuizione dell’interesse anatocistico trimestrale;

b) all’applicazione della provvigione di massimo scoperto, c) all’applicazione dei tassi di interesse per l’apertura di credito non pattuiti per iscritto, e per l’effetto – rideterminare il saldo del rapporto di c/c n. 6537.08 alla data di chiusura (31.7.17) previa epurazione delle poste addebitate senza alcun valido titolo legale e conseguentemente accertare l’esatto dare – avere tra e la banca in base ai risultati del ricalcolo che verrà eventualmente confermato in sede di C.T.U. tecnico-bancaria e sulla base della documentazione relativa al rapporto bancario; – condannare la banca , in persona del suo legale rappresentante, alla restituzione in favore di ex art. 2033 c.c., delle somme illegittimamente addebitate e riscosse sul c/c n. 6537.08, nonché al pagamento degli interessi attivi non corrisposti a seguito dell’applicazione di clausole nulle su detto conto corrente, come esattamente accertata in corso di causa, quantificate in €. 17.537,21 o in quella somma maggiore o minore risultante all’esito dell’espletanda istruttoria, oltre agli interessi legali creditori dalla data del 2.7.18 al saldo, ovvero dalla domanda al saldo; – condannare, in ogni caso, alla refusione, totale o parziale, delle spese e dei compensi professionali di entrambi i gradi di giudizio, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA, come per legge, ed oltre alla restituzione dell’importo di €. 2.626,42 pagato dall’appellante in favore dell’appellata in esecuzione della sentenza di primo grado in punto di spese legali»;

per «Voglia l’Ecc.ma Corte di – In via principale, rigettare integralmente il proposto gravame, confermando, per l’effetto, l’intero contenuto della statuizione di primo grado.

– In via meramente subordinata, in denegata ipotesi di accoglimento anche parziale dell’avverso appello, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione formulata in primo grado dall’appellata e in questa sede reiterata, dichiarare prescritto il presunto diritto alla ripetizione di tutte le somme asseritamente versate e/o pagate da parte attrice, a qualunque titolo (anatocismo, interessi debitori, commissioni, spese, interessi usurari, ecc.), nel periodo antecedente il decennio per cui è stata interrotta la prescrizione. Sempre e comunque con il favore delle spese e compensi del giudizio».

Rilevato in qualità di titolare dell’omonima impresa, ha proposto appello ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c. avverso l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. del 19 settembre 2023 del Tribunale di Livorno, che ha rigettato le domande da egli proposte di accertamento della nullità delle clausole contrattuali anatocistiche e di quelle relative alla commissione di massimo scoperto (c.m.s.) relativamente al conto corrente n. 6537.08 intrattenuto con (nel prosieguo , nonché la domanda ripetizione delle somme illegittimamente addebitate, asseritamente pari a euro 17.537,21. Il Tribunale ha ritenuto che fossero prescritte tutte le rimesse di cui domandava la restituzione, il ricorrente non avendo provato la dedotta apertura di credito sul conto corrente, in mancanza della produzione del relativo documento contrattuale;

che da quello afferente al conto corrente emergesse la mera possibilità, per la banca, di concedere future aperture di credito, ma non che la stipula fosse effettivamente avvenuta;

infine, che dagli estratti conto non si evincesse «l’ammontare del credito concesso», non individuabile nemmeno tramite il «tasso di interesse del fido e delle Contrelementi.

Ha quindi considerato che, stante l’impossibilità di determinare «il limite dell’affidamento, non è neppure possibile accertare quali versamenti abbiano avuto la natura ripristinatoria».

Inoltre, ha negato «che il raggiungimento in concreto passivo regolamentato conto corrente possa automaticamente corrispondere al fido concesso in apertura di credito in quanto contraria all’esperienza comune che vede debiti regolati in conto corrente talvolta superiori alle aperture di credito concesse dalle Banche ai propri correntisti».

Ha poi rilevato che l’ultimo versamento risaliva al 22 marzo 2012, con la conseguenza che «il diritto alla ripetizione di tutte le rimesse effettuate sul conto per un totale di euro 15.236,74 è prescritto».

Ha altresì considerato che la domanda di mediazione non avesse interrotto la prescrizione, in quanto, «non recando esplicitamente una richiesta di pagamento alla , non costituiva un esercizio del diritto ai sensi dell’art. 2934 c.c. Stante la prescrizione di tutte le rimesse, ha considerato «superfluo accertare l’eventuale invalidità delle clausole sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi o sulla commissione di massimo scoperto».

Le spese di lite sono state poste a carico di in applicazione del principio di soccombenza.

L’appello avverso tale decisione è affidato ai seguenti motivi:

1. con il primo si sostiene che fosse gravata dell’onere di produrre il contratto di affidamento sul conto corrente;

2. con secondo deduce l’inammissibilità dell’eccezione prescrizione sollevata da per non avere, questa, consegnato copia del contratto di affidamento, richiesta dal correntista ai sensi RAGIONE_SOCIALE.

con il terzo si assume che il conto fosse affidato, articolando tre profili di doglianza:

a) non sarebbe necessaria la sua stipulazione in forma scritta;

b) non andrebbe provato per iscritto;

c) la prova emergerebbe dagli estratti conto;

4. con il quarto si contesta il fatto che, secondo il Tribunale, non fosse possibile determinare l’ammontare del fido;

5. con il quinto si lamenta che siano state ritenute irripetibili anche le rimesse effettuate entro il decennio anteriore alla domanda, non soggette a prescrizione;

6. con il sesto si sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto considerare la prescrizione interrotta il 2 luglio 2018 in conseguenza dell’istanza di mediazione;

7. con il settimo, si ripropongono le domande di primo grado, ossia:

a) l’eliminazione degli addebiti per capitalizzazione trimestrale dal 1° gennaio 2004 al 31 luglio 2017;

b) l’eliminazione degli addebiti per c.m.s.;

c) l’applicazione «dei soli tassi di interesse pattuiti nel contratto di c/c ed eliminando tutti gli addebiti, per interessi, CMS, spese, etc, per l’apertura di credito, in quanto privi di pattuizione in forma scritta».

Si è costituita protestando l’infondatezza delle censure.

Assegnati i termini di cui all’art. 352 c.p.c. – nel testo attualmente vigente e applicabile ratione temporis – precisate le conclusioni come in esergo, all’esito dell’udienza del 25 febbraio 2025 – sostituita ai sensi dell’art. 127-ter c.p.c. – la decisione è stata riservata al Collegio con ordinanza del 25 marzo 2025.

Considerato 1. Occorre scrutinare congiuntamente i primi sei motivi di gravame, stante la loro intima connessione, essendo tutte le censure dirette a Contrcontrastare l’eccezione, sollevata dalla banca, di prescrizione del diritto di ripetizione delle rimesse.

2.

Con il primo motivo l’appellante sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto considerare tenuta a produrre il contratto di affidamento sul conto corrente.

Ciò in quanto esso «non ha redatto» detto contratto «ovvero non ha mai consegnato al correntista copia del documento» – in violazione dell’art. 117 t.u.b. – e il medesimo correntista «prima dell’introduzione del giudizio, si era premurato di chiederne una copia a senza tuttavia riceverne riscontro», nonostante l’art. 119 t.u.b. sancisca il diritto di ottenerne detta copia «anche oltre il decennio rispetto alla sottoscrizione».

Asserisce poi l’appellante che, avendo allegato tali circostanze sin dal ricorso introduttivo, la banca sarebbe stata tenuta a «dimostrare che il documento gli era stato consegnato, soprattutto a seguito dell’emersione, dall’esame degli e/c, dell’effettiva sussistenza di un affidamento in c/c».

Inoltre, dato che la nullità prevista per la violazione del requisito della forma scritta del contratto e dell’obbligo di consegna di copia al cliente opererebbe solo a vantaggio dello stesso, non potrebbero «farsi ricadere su di lui le conseguenze del difetto di prova dell’esistenza di “contratti scritti” di affidamento».

Ciò in quanto, così facendo trarrebbe un vantaggio dalla illegittima condotta di omessa redazione per iscritto e consegna del contratto «comportando la violazione del diritto di difesa del cliente, che pure si era premurato, prima della instaurazione del giudizio, di richiedere la documentazione necessaria».

Con il secondo motivo l’appellante assume che il Tribunale avrebbe dovuto considerare inammissibile l’eccezione di prescrizione sollevata da Sostiene di non aver potuto produrre in giudizio «i contratti costitutivi dei rapporti di affidamento intercorsi con per avere questa «omesso di rilasciarne copia nonostante il correntista avesse proposto l’istanza ai sensi dell’art. 117 TUB» [rectius art. 119 t.u.b.).

In conseguenza non potrebbero «ritenersi gravanti sul ricorrente/appellante le conseguenze del Contr RAGIONE_SOCIALE Contrstate operate le rimesse della cui natura ripristinatoria o solutoria si discute».

Inoltre, dato che «i vizi e le eventuali nullità previste dal TUB operano solo a vantaggio del cliente», la banca «non può chiedere che la sottesa domanda sia rigettata per intervenuta prescrizione del diritto soprattutto ove il vizio denunciato risulta attribuibile ad un contegno palesemente illegittimo della banca».

Pertanto, risulterebbe «integrata la fattispecie del c.d. abuso del diritto (exeptio doli generalis)».

Con il terzo motivo d’impugnazione l’appellante sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere il fido esistente e articola tre profili di doglianza:

a) con il primo afferma che «le aperture di credito risultano disciplinate, anche relativamente ai tassi di interesse da applicare dal contratto di c/c che non prevede affatto, all’art. 6 , la forma scritta ad substantiam per la concessione di affidamenti», come invece considerato dal giudice di prime cure.

Ciò in quanto «se il contratto di apertura di credito risulta già previsto e disciplinato dal contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere redatto per iscritto, a pena di nullità»;

b) con il secondo sostiene che «l’esistenza del contratto di affidamento in c/c non deve necessariamente essere provata per iscritto», potendo il correntista provare che la stipula sia avvenuta «per facta concludentia anche tenuto conto che le nullità in materia bancaria sono “di protezione” e possono essere fatte valere solo dal cliente».

Sostiene poi che «risulta del tutto irragionevole ancorare la prova della sussistenza dell’affidamento alla produzione in giudizio di un contratto che potrebbe anche non esistere, posto che i contratti di apertura di credito rientrano nella categoria dei contratti per i quali dal 2003 è possibile la stipula in forma semplificata e senza forma scritta»;

c) con il terzo profilo sostiene che l’«esistenza del fido sul c/c oggetto di causa emerge dalla lettura degli e/c», come dato atto anche dal giudice di prime cure, che, quindi, avrebbe «dovuto ammettere CTU per determinarne l’ammontare».

Sostiene inoltre che «la deduzione circa l’esistenza di un credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto», che può essere rilevata anche d’ufficio.

Con il quarto motivo di gravame l’appellante contesta che il Tribunale abbia ritenuto impossibile determinare l’ammontare del fido.

Tale affidamento sarebbe stato concesso con decorrenza 12 gennaio 2004 per l’importo di euro 22.000,00, come ergerebbe dall’estratto conto del primo trimestre di tale anno, nel quale, a tale data, è stata «registrata una posta debitoria con variazione delle condizioni (e conseguente applicazione del tasso del 13,525%)» e dalla successiva applicazione, il 28 febbraio 2004, di tale tasso di interesse.

Ciò sarebbe confermato dalle «aliquote applicate alla CMS» ossia quella «dello 0,750% su una base di calcolo di €. 22.000,00» e «del 2,000% (cioè 0,750% + 1,250%) sulla medesima base di calcolo».

Parimenti, il limite del fido si evincerebbe dagli e/c successivi:

«ad esempio, II° trimestre 2004, ove la base di calcolo della CMS viene indicata in €. 27.900,00;

v., ancora e/c III

° trimestre 2006

ove la base di calcolo della CMS viene indicata in €. 82.417,31;

v., ancora e/c I° trimestre 2007 ove la base di calcolo della CMS viene indicata in €.59.891,50;

v., infine, e/c I° trimestre 2008, ove la base di calcolo della CMS viene indicata in €.15.972,56 e così via».

Di conseguenza, tutte le rimesse sarebbero ripristinatorie.

Sostiene poi che «è onere della banca contrastare e ribaltare la presunzione della natura ripristinatorie delle rimesse o provando l’inesistenza dell’affidamento o l’esistenza di un suo limite con la contestuale prova del suo superamento».

Inoltre, «essendo l’esistenza del limite del fido (al fine di dimostrare la natura solutoria delle rimesse che lo hanno valicato) un elemento di fatto che giova alla banca eccipiente la prescrizione», sarebbe questa a essere onerata della dimostrazione «che gli affidamenti erano stati concessi sino a un determinato importo.

O, a tutto voler concedere, il giudice avrebbe dovuto farsi carico di valutare anche gli altri elementi di giudizio, quali il comportamento della banca appellata, atti a fondare la prova presuntiva invocata dal correntista/ricorrente ed ammettere le condizioni delle parti e le loro allegazioni, può integrare la prova carente anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio».

Con il quinto motivo l’appellante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto irripetibili le rimesse, considerandole solutorie, anche per il periodo non coperto da prescrizione.

Sostiene che avrebbe «eccepito la prescrizione dei diritti restitutori dal 1.1.04 al 22.3.12, per cui, le rimesse in conto corrente, ripristinatorie o solutorie che siano, effettuate dal correntista nell’arco temporale che va dal 22.3.12 al 31.7.17, sono sempre ripetibili, non essendo maturata alcuna prescrizione».

Lamenta inoltre l’appellante che sarebbe erronea la c.t.p. di sulla cui scorta il Tribunale avrebbe considerato «che l’ultima rimessa risale al 22 marzo 2012 e quindi il diritto alla ripetizione di tutte le rimesse effettuate sul conto per un totale di euro 15.236,74 è prescritto».

Detta c.t.p., infatti, avrebbe «considerato solutorie tutte le rimesse , senza alcuna distinzione tra rimesse intra fido ed extra fido».

Il Tribunale avrebbe invece dovuto accertare la natura delle rimesse considerando:

a) che «gli interessi passivi, seppur calcolati in ipotesi di extra fido nell’arco del trimestre, vengono addebitati nel trimestre successiv e ove pagati in situazione di intra fido non possono essere considerati come rimesse solutorie»;

b) che la rimessa sarebbe «solutoria, solo per la parte necessaria a rientrare dallo sconfinamento»;

c) che il raffronto tra il limite dell’affidamento e la misura del saldo andrebbe effettuato previamente epurando quest’ultimo dagli addebiti illegittimi.

In base a tali criteri andrebbe effettuata la verifica della natura delle rimesse nel periodo soggetto a prescrizione.

Inoltre, anche qualora risultasse non ripetibile la predetta somma di euro 15.236,74, al correntista andrebbe pur sempre riconosciuta la differenza tra tale cifra e quella 17.537,21, domandata sin dall’atto introduttivo del giudizio.

Con il sesto motivo l’appellante lamenta che il Tribunale non abbia considerato la prescrizione interrotta il 2 luglio 2018 in conseguenza dell’istanza di mediazione.

Sostiene che essa era stata proposta per «la RAGIONE_SOCIALE Contrcapitalizzati trimestralmente e per CMS», per cui avrebbe errato il Tribunale nel reputare che la medesima non costituisse «esercizio del diritto ai sensi dell’art. 2934 cc, non recando esplicitamente una richiesta di pagamento alla.

Di conseguenza, dovrebbero essere ritenuti non soggetti a prescrizione tutti i versamenti effettuati successivamente al 2 luglio 2008 e non solo quelli successivi al 22 febbraio 2012.

I motivi sono fondati nei termini che seguono.

Va in primo luogo rilevato che, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, il correntista, nelle proprie note di trattazione di primo grado, del 18 settembre 2023, ha conto-eccepito che la stessa sarebbe stata interrotta in data 2 luglio 2018, quale conseguenza dello svolgimento della mediazione obbligatoria, come risulta dal relativo verbale (doc. 6 fasc. di primo grado Al riguardo deve rammentarsi che, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, nel testo applicabile ratione temporis, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dall’istanza di mediazione (doc. 5 fasc. di primo grado risulta chiaramente che essa era relativa alla domanda volta alla declaratoria di nullità di alcune clausole contrattuali (interessi ultralegali, capitalizzazione degli interessi, c.m.s. , giorni valuta, spese non previste)

e alla restituzione delle somme addebitate sine titulo, quantificate in euro 29.885,42.

Pertanto, non è revocabile in dubbio che la prescrizione sia stata interrotta in data 2 luglio 2018 e che quindi siano soggetti a prescrizione soltanto le rimesse effettuate prima del decennio anteriore a tale data, ossia il 2 luglio 2008.

Va poi rilevato che l’appellante ha prodotto gli estratti conto – con alcune lacune – dal 1° trimestre 2004 al 31 luglio 2017;

quest’ultimo (depositato separatamente come doc. 7 fasc. di primo grado , consistendo , da cui risultano da detrarre ulteriori spese per euro 15,65, indicate nello stesso estratto, per un residuo finale di euro + 222,83, sempre a suo credito, cifra riscossa con assegno circolare (sempre doc. 7, ibidem).

La banca, nella propria comparsa di costituzione in primo grado, ha eccepito la prescrizione di tutte le rimesse effettuate precedentemente al 27 febbraio 2013, data corrispondente al decennio anteriore al deposito del ricorso ai sensi dell’art. 702-bis, il 27 febbraio 2023.

Erroneamente il Tribunale ha ritenuto prescritte «tutte le rimesse effettuate sul conto per un totale di euro 15.236,74», assumendo che «l’ultima rimessa risale al 22 marzo 2012», circostanza documentalmente smentita dagli estratti conto disponibili in atti, dai quali emerge tanto la consistenza negativa del saldo in alcuni trimestri successivi a tale data, quanto le relative rimesse, dirette a ripianare tale passivo.

Pertanto, non sono coperti da prescrizione i versamenti effettuati dopo il 2 luglio 2008.

Quanto alla ripetibilità di quelli anteriori a tale data, va considerato, da un lato, che l’esistenza del fido – ossia, la natura ripristinatoria delle rimesse – dev’essere dimostrata da dall’altro lato, che l’esistenza di detto fido emerge dalla documentazione in atti e segnatamente dagli estratti conto.

A tal proposito va in primo luogo rammentato che la giurisprudenza di legittimità è pacifica nel ritenere che il termine prescrizionale per la ripetizione dei versamenti in conto corrente – nonché dell’accertamento della relativa illegittimità – decorre dalla data di chiusura del conto solo qualora, durante lo svolgimento del rapporto, il correntista abbia goduto di un’apertura di credito sul medesimo conto e gli stessi versamenti siano avvenuti entro i limiti del fido stesso:

in tal caso le rimesse hanno natura ripristinatoria, avendo proprio lo scopo di ricostituire la provvista della quale il correntista poteva continuare a beneficiare.

Il dies a quo del termine decorre in cui il saldo eccedeva l’affidamento, consistendo in veri e propri pagamenti, aventi natura solutoria.

Tale distinzione risulta invece superflua qualora non sussista un’apertura di credito in conto corrente:

in tal caso i versamenti devono reputarsi solutori e il dies a quo del decorso della prescrizione decennale va individuato nel momento in cui ognuno di essi è stato effettuato, essendo concettualmente insostenibile che le rimesse abbiano natura diversa da quella di pagamento, non sussistendo alcuna provvista da ripristinare (in tal senso, Cass., sez. un., n. 24418 del 2010; di recente, Cass. n. 20455 del 2023, Cass. n. 10262 del 2021, Cass. n. 29411 del 2020; Corte d’appello di Firenze n. 777 del 2024, n. 1674 del 2023, n. 874 del 2023 e n. 1880 del 2022).

Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, «in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass., sez. un., 13 giugno 2019, n. 15895), e, in materia di contratto di conto corrente bancario, poiché la decorrenza della prescrizione è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti effettuati dal cliente, essa matura sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; ne discende che, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata (Cass. 30 nello stesso senso, Corte d’appello di Firenze n. 1011 del 2024, n. 926 del 2024 e n. 757 del 2024).

Ebbene, nel caso in esame il conto dedotto in giudizio, il n. 6537.08, è stato stipulato in data 28 luglio 2003, come emerge dal relativo contratto (doc. 1 fasc. di primo grado ;

inoltre, come detto, sono potenzialmente soggette a prescrizione soltanto le rimesse effettuate prima del 2 luglio 2008, data corrispondente al decennio precedente all’istanza di mediazione.

Va quindi esaminata – e favorevolmente riscontrata, nei limiti che seguono – la dedotta sussistenza di affidamento sul conto nel periodo intercorrente tra le predette date.

Occorre in primo luogo rilevare che l’esistenza del fido non può desumersi dalla mancata produzione del relativo documento contrattuale da parte come invece sostenuto da secondo cui a tale deposito essa sarebbe stata onerata, avendo egli domandato la consegna di copia ai sensi dell’art. 119 t.u.b. (doc. 4 fasc. di primo grado A tal proposito va rammentato che, secondo la Corte regolatrice, «n tema di rapporti bancari, il diritto del cliente ad ottenere copia della documentazione relativa alle operazioni effettuate, previsto dall’art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993, ha natura di diritto sostanziale ed ha fondamento negli obblighi di buona fede “in executivis”. Esso è riferibile anche ai rapporti derivanti dai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. cit. e riguarda tutta la documentazione negoziale, compresi gli estratti conto, a prescindere dalla comunicazione periodica degli stessi, ma copre solo le operazioni degli ultimi dieci anni, operando, al di fuori di questo limite, il generale onere di conservazione della documentazione rappresentativa dei propri diritti, gravante in modo indifferenziato su tutte le parti» (Cass. n. 35039 del 2022, in massima). Inoltre, sempre secondo la Corte di cassazione, quanto prescritto dall’art. Contr consegna di “copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni” vale anche per il contratto di conto corrente» (Cass. n. 12178 del 2020), limitazione applicabile anche al contratto di apertura di credito in conto, stante l’identità di ratio.

Questa Corte ha fatto riferimento a tali principi nei recenti arresti n. 16 del 2025, n. 757 del 2024, n. 1437 del 2024, n. 1429 del 2024 e n. 2504 del 2023, ritenendo che, «in caso di rapporti iniziati da oltre dieci anni dal momento dell’istaurazione del giudizio, e per i quali il cliente in tale periodo non abbia mai contestato, anche con atti stragiudiziali, il mancato rispetto delle previsioni circa la forma scritta e consegna di copia, formulando in ipotesi un’istanza ex art. 119 t.u.b. oltre dieci anni dopo, l’onere probatorio a carico del cliente attore, che domandi la ripetizione di versamenti o il riaccertamento del saldo e che assuma in giudizio l’assenza originaria della forma scritta, non può dirsi assolto, neppure in via presuntiva, con la pura e semplice allegazione di tale circostanza correlata alla mancata produzione del contratto scritto a opera della banca convenuta, posto che in tale ipotesi la banca non è tenuta a conservare, consegnare ed esibire la documentazione oltre ragionevole limite decennale previsto dal legislatore conseguentemente non può essere chiamata a rispondere sotto alcun profilo della mancata conservazione delle dette scritture per un periodo più ampio; il cliente ha, obbiettivamente, tenuto un comportamento non diligente e in violazione degli obblighi di buona fede e correttezza che imponevano di attivarsi tempestivamente, nell’ambito del congruo lasso temporale concesso.

Al momento della richiesta di consegna di copia del contratto ai sensi dell’art. 119 t.u.b. – avvenuta con missiva del giugno 2019 (doc. 4 fasc. di primo grado – erano trascorsi 16 anni dalla data di stipula dello stesso, come detto, avvenuta nel 2003 e, pertanto, la banca non era obbligata a consegnarlo, né può essere considerata onerata alla sua produzione in giudizio.

, come accennato, l’affidamento emerge inequivocabilmente dagli estratti conto disponibili in atti.

A tal proposito va infatti rammentato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il correntista ha «la possibilità di fornire la prova dell’affidamento attraverso mezzi diversi dalla produzione del documento contrattuale, quali gli estratti conto o riassunti scalari, attestanti il reiterato adempimento da parte della Banca di ordini di pagamento impartiti dalla correntista, anche in assenza di provvista, le risultanze del libro fidi, attestanti l’esistenza di una delibera di concessione di un finanziamento, o la segnalazione alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, nella misura in cui gli stessi potevano essere considerati idonei a dimostrare l’esistenza di un accordo tra le parti per l’utilizzazione da parte della correntista d’importi eccedenti la disponibilità esistente sul conto ed i limiti di tale utilizzazione» (Cass. n. 2338 del 2024, in massima; analogamente, Cass. n. 5387 del 2024, Cass. n. 34997 del 2023 e Cass. n. 20455 del 2023, tutte in motivazione).

Peraltro, «l’onere probatorio gravante sul correntista, in quanto volto a distinguere le rimesse solutorie da quelle ripristinatorie, comprende anche la indicazione del limite dell’affidamento concesso dalla banca, essendo tale limite indispensabile ai fini della distinzione in concreto, atteso che hanno carattere ripristinatorio le rimesse effettuate allorché il saldo passivo non superava il limite del fido e carattere solutorio le altre» (Cass. n. 30670 del 2023, in motivazione, nonché Corte d’appello di Firenze n. 679 del 2024, cit., in motivazione). Ebbene, dall’estratto conto del 1° trimestre 2004 (doc. 2 fasc. di primo grado , nella sezione dedicata al “conteggio delle competenze”, a pag. 5 del relativo file telematico, risulta, all’esito delle movimentazioni operate dalla banca su disposizione del correntista, che l’applicazione della c.m.s.

– a prescindere dalla validità della relativa pattuizione, di cui si dirà – è concretamente, sul piano fattuale, avvenuta con l’aliquota dello 0,75% per il inferiore ad euro 22.000,00 e del 2% per quello superiore a tale soglia, come emerge dalla porzione del predetto estratto che di seguito si riproduce:

Ciò corrisponde alla pattuizione contenuta nel contratto di apertura del conto (doc. 1 ibidem) nel quale è indicato «comm.ne massimo scoperto: dec.

28.07.2003 aliquota 0,7500% (aliquota agg.va 1,2500% su sconfinamento se autorizzato)», dovendosi pertanto fare riferimento proprio all’importo di euro 22.000,00 quale limite dell’affidamento.

Tale fido risulta sussistere con certezza dal 28 febbraio 2004, in quanto in tale data sono stati applicati contemporaneamente sia il tasso di interesse passivo del 13,525%, attinente agli addebiti extra-fido, sia quello del 6,8%, relativo a quelli intra-fido.

Il limite del medesimo affidamento è stato poi elevato a euro 27.900,00 in data 11 giugno 2004, come dimostra analogo prospetto di calcolo delle competenze per c.m.s.

, contenuto nella relativa sezione dell’estratto del secondo trimestre dello stesso anno, che di seguito si riproduce:

La data dell’11 giugno emerge sia dal prospetto “scalare”, in corrispondenza della quale è indicata la dicitura “variaz. cond. ”, sia in quello contenente l’elenco analitico delle operazioni, che, sempre a tale data, contiene la scrittura “nuova concessione” e l’addebito di euro 50,00.

Tale conclusione è confermata dal contenuto dell’estratto conto successivo, nel quale ricorre ancora l’importo di euro 27.900,00, come base di calcolo dell’aliquota intra-fido, sempre nella sezione dedicata al conteggio delle A tali importi va fatto riferimento quale limite del fido per tutto il periodo soggetto a prescrizione.

Negli estratti successivi gli addebiti per c.m.s. indicano tutti soltanto l’utilizzo dell’aliquota intra-fido, ossia sempre nella misura dello 0,75%, e mai quella extra fido, mentre non sussistono elementi dai quali desumere un’ulteriore variazione dei predetti importi.

Pertanto, il conto risulta affidato dal 28 febbraio 2004 per euro 22.000,00 e dall’11 giugno del medesimo anno per la cifra di euro 27.900,00, rimasta immutata per tutto il periodo soggetto a prescrizione, ossia fino al 2 luglio 2008.

Nei termini che precedono vanno quindi accolti i primi sei motivi di gravame.

3. Passando al settimo motivo d’impugnazione – da trattare in correlazione e conseguenza di quanto precede – con esso l’appellante ripropone le domande di primo grado, afferenti a:

a) l’eliminazione degli addebiti per capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dal 1° gennaio 2004 al 31 luglio 2017, stante il difetto di «una pattuizione in linea con quanto previsto dagli art. 120 TUB e 2, 3 e 6 della Delibera CICR 2000».

Il sostiene al riguardo che tale capitalizzazione sarebbe stata applicata solo in favore della banca, e quindi in violazione del requisito di reciprocità, previsto dalla citata delibera.

Infatti, mentre il tasso d’interesse passivo sarebbe indicato nel contratto sia quale tasso annuo nominale (t.a.n.) , al 13,250%, sia nella misura risultante dall’effetto della capitalizzazione (tasso anno effettivo – t.a.e.) , al 13,923%, il tasso attivo sarebbe indicato solo nella misura dello 0,050% sia quale t.a.n. che quale t.a.e.

Inoltre, la relativa clausola contrattuale difetterebbe di «specifica sottoscrizione», in quanto nell’elenco dedicato alla sottoscrizione separata essa sarebbe richiamata solo nel numero (art. 7) «senza l’indicazione del titolo (capitalizzazione trimestrale) e del contenuto, per cui non può efficacemente sottoscritta».

Sostiene infine che l’anatocismo sarebbe comunque vietato dal 1° gennaio 2014;

b) l’eliminazione degli addebiti per c.m.s.

, in quanto «la clausola prevista nel contratto di c/c del 28.7.03 indicata nella mera percentuale dello 0,7500% senza alcuna specificazione sul concreto meccanismo di funzionamento»;

c) l’applicazione «dei soli tassi di interesse pattuiti nel contratto di c/c ed eliminando tutti gli addebiti, per interessi, CMS, spese, etc, per l’apertura di credito, in quanto privi di pattuizione in forma scritta (ex art.117 e 127 TUB)»;

d) senza tener conto dell’eccezione di prescrizione o, in subordine, considerandola solo per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2004 e il 2 luglio 2008, individuando le rimesse solutorie secondo i principi dianzi esposti.

Il motivo è fondato nei limiti che seguono.

3.1.

Quanto all’anatocismo, esso risulta illegittimo soltanto tra il 1° gennaio 2014 e il 14 aprile 2016.

Va infatti escluso che fino al 2014 tale voce di costo sia stata applicata solo in favore della banca, come sostenuto dall’appellante, secondo cui ciò sarebbe dimostrato dal fatto che il t.a.n. sarebbe stato indicato in misura pari al t.a.e.

, ossia lo 0,5%.

A tal proposito va rilevato che, effettivamente, in recenti pronunzie la Corte di cassazione ha stabilito che «a previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della delibera Cicr 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dall’articolo 3 della delibera, e non soddisfa la condizione posta dall’articolo 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, (Cass. n. 4321 del 2022, in massima; nello stesso senso, Cass. n. 18664 del 2023 e Cass n. 10775 del 2024).

Tale principio va peraltro coordinato con quello espresso sempre dalla Corte regolatrice, secondo cui, «in tema di conto corrente bancario, stipulato successivamente alla delibera cicr del 9 febbraio 2000, il requisito della reciprocità, quale presupposto per la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, non viene meno ove il tasso pattuito per i saldi periodici debitori sia diverso da quello previsto per quelli creditori, poiché l’effetto accrescitivo dell’anatocismo in favore del cliente non si annulla a causa della minor rilevanza del tasso percentuale e l’asimmetria dipende dall’incremento dell’indebitamento» (Cass. n. 11014 del 2024, in massima). Alla stregua di tali criteri, va considerato che nel caso in esame la coincidenza della misura del t.a.e. con quella del t.a.n. non è di per sé indicativa della mancata capitalizzazione trimestrale, bensì semplicemente un effetto matematico correlato ai tassi creditori relativamente bassi e alla conseguentemente limitata incidenza sul t.a.e. della capitalizzazione trimestrale.

Infatti, essendo stato pattuito un t.a.n. dello 0,50%, il relativo t.a.e., per effetto della capitalizzazione, è pari a 0,500938%, come risulta applicando la formula di matematica finanziaria di riferimento “t.a.e. = (((t.a.n./100)/4 + 1) – 1) X 100” (ossia, 0,5/100 = 0,005/4 = 0,00125+1 = 1,00125 = 1,005009383-1 = 0,005009383×100 = 0,500938281).

Posto che nel contratto l’indicazione del tasso di interesse era formulata con riferimento alle sole prime due cifre decimali, l’indicazione di un t.a.e. coincidente con il t.a.n. per tali cifre decimali era del tutto corretta anche dal punto di vista matematico.

Al contempo, non può non rilevarsi come la capitalizzazione degli interessi attivi sia espressamente prevista, ciò che induce a presumere che essa non sia fittizia.

Va parimenti escluso che la relativa clausola contrattuale difetti di «specifica sottoscrizione», in ragione del fatto che, nell’elenco dedicato alla sottoscrizione separata, essa sia richiamata solo nel numero (art. 7) «senza l’indicazione del titolo (capitalizzazione trimestrale) e del contenuto, per cui non può ritenersi efficacemente sottoscritta», come asserito dal correntista.

Occorre considerare che la delibera C.i.c.r.

del 9 febbraio 2000, che ha dato attuazione all’art. 120, comma 2, t.u.b., prevede, all’art. 2, che «1. Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti.

Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità.

2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.

3.

Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi.

Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica».

L’art. 6 della citata delibera ha previsto poi che «e clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto».

Nel caso in esame il contratto di apertura del conto contiene la clausola anatocistica all’art. 7, comma 2, secondo cui «i rapporti di dare e avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità.

Il saldo risultante dalla chiusura periodica così calcolato produce interessi secondo le medesime modalità».

inoltre documentalmente dimostrato che correntista specificamente approvato la clausola anatocistica, come emerge dalla sezione, che di seguito si riproduce:

Tale approvazione risulta validamente intervenuta, essendo chiaramente Non può trovare applicazione l’orientamento giurisprudenziale formatosi a proposito del regime dettato dall’art. 1341, secondo comma, c.c. – e sostanzialmente invocato dall’appellante – a termini del quale, «el caso di condizioni generali di contratto, l’obbligo della specifica approvazione per iscritto a norma dell’art. 1341 c.c. della clausola vessatoria

è rispettato anche nel caso di richiamo numerico a clausole, onerose e non, purché non cumulativo, salvo che, in quest’ultima ipotesi, non sia accompagnato da un’indicazione, benché sommaria, del loro contenuto, ovvero che non sia prevista dalla legge una forma scritta per la valida stipula del contratto» (Cass. n. 4126 del 2024, in massima).

La clausola anatocistica, infatti, non rientra nel novero delle clausole vessatorie di cui all’art. 1341, secondo comma, c.c. – a dispetto del richiamo a detta disposizione nello spazio riservato all’approvazione specifica – né risponde alla medesima esigenza di salvaguardia del soggetto che non le ha predisposte rispetto a pattuizioni a lui sfavorevoli, considerato che la ratio giustificatrice dell’approvazione specifica può essere rinvenuta in ragioni di trasparenza e che, al contempo, l’anatocismo, per essere validamente convenuto, dev’essere reciproco, quindi valere per entrambe le parti e non solo a danno dell’una e a beneficio dell’altra. L’anatocismo è stato quindi validamente pattuito.

Esso però, come accennato, è stato illegittimamente applicato dal 1° gennaio 2014 al 14 aprile 2016, periodo nel quale è stato in vigore l’art. 120, comma 2, t.u.b., come modificato dall’art. 1, comma 629, della legge n. 147 del 2013, che disponeva:

«l CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;

b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

A tal proposito va considerato quanto recentemente affermato dalla sentenza della Corte di cassazione n. 21344 del 2024, ossia che la predetta disposizione esprimeva «la finalità di evitare l’applicazione degli interessi anatocistici in materia bancaria.

Tale conclusione può trarsi, anzitutto, sul piano letterale, dalla diversa formulazione che presenta la prima parte del testo novellato dell’art. 120, comma 2, rispetto alla formulazione del testo corrispondente della disposizione anteriore.

Mentre, infatti, nella norma del 1999 era previsto che il CICR stabilisse modalità e criteri per “la produzione di interessi sugli interessi” maturati nelle operazioni eseguite nell’esercizio dell’attività bancaria, la l. n. 147 del 2013 ha previsto che il Comitato per il credito ed il risparmio fissasse modalità e criteri “per la produzione di interessi” sulle dette operazioni.

La norma del 2013 non contiene più, dunque, l’esplicito riferimento agli interessi anatocistici.

Il dato si combina con quanto è disposto, nella versione del 2013, alla successiva lettera b) del secondo comma dell’art. 120, ove è precisato che il CICR debba comunque prevedere che “gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Innegabile che tale dettato normativo sia involuto e impreciso.

In particolare, mal si comprende il riferimento agli “interessi periodicamente capitalizzati”:

locuzione che sembra presumere l’applicazione, agli interessi stessi, di ulteriori interessi.

Tuttavia, non pare possa approdarsi a una interpretazione diversa rispetto a quella, già suggerita dalla dominante dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di merito, secondo cui la disposizione vieta l’applicazione in radice dell’anatocismo.

Per conferire un senso all’enunciato secondo cui gli interessi vanno calcolati sulla sola “sorte capitale” deve infatti credersi che il legislatore, nel parlare di “interessi periodicamente agli interessi semplicemente contabilizzati, vale a dire a quegli interessi che, essendo maturati e da conteggiare a credito o a debito dell’una e dell’altra parte del rapporto bancario, debbano sommarsi al capitale, senza tuttavia confondersi con esso.

Lo scenario delineato dalla norma è, in altri termini, quello in cui è escluso l’effetto della vera e propria capitalizzazione, attraverso cui gli interessi, divenuti capitale, generano, quali frutti civili di questo, ulteriori interessi (art. 820, comma 3, c.c.).

Una volta riconosciuto che l’art. 120, comma 2, t.u.b. novellato nel 2013 fa riferimento a qualsiasi forma di anatocismo (non solo a quella operante dopo una prima capitalizzazione), deve escludersi che le banche potessero continuare a capitalizzare interessi in conformità della delib. CICR del 9 febbraio 2000;

tale pratica non poteva trovare attuazione, e ciò indipendentemente dall’intervento delle nuove disposizioni attuative che il CICR era incaricato di emanare»;

ciò in quanto «la delib. CICR del 9 febbraio 2000 dava attuazione alla versione del secondo comma dell’art. 120 t.u.b. che fu introdotta col d.lgs. n. 342/1999:

essa, era deputata a stabilire, secondo il preciso tenore della norma legislativa “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.

Il cit. art. 120, comma 2, è stato “sostituito” – così si è espresso il legislatore, nella circostanza – dal comma 629 dell’art. 1 della l. n. 147 del 2013:

quella versione della norma è stata dunque espunta dall’ordinamento e, in mancanza di alcuna disciplina transitoria, ha cessato di regolamentare la fattispecie da essa regolamentata.

Ciò ha reso inoperante la delib. CICR del 9 febbraio del 2000:

venuta meno la norma primaria che la legittimava, detta delibera non è stata più in grado di disciplinare i rapporti bancari per il periodo segnato dalla vigenza del nuovo quadro regolatorio.

È escluso, dunque, che nel periodo successivo all’entrata in vigore del nuovo art. 120, comma 2 t.u.b. la detta delibera potesse continuare a trovare applicazione.

Vero è, piuttosto, che con la l. n. 147 del 2013 venne rispristinato, anche con riguardo ai contratti bancari, il divieto codicistico, posto dall’art. 1283 c.c., di applicare interessi anatocistici».

Stante tale divieto l’applicazione dell’anatocismo avvenuta illegittimamente tra il 1° gennaio 2014 al 14 aprile 2016.

3.2.

Passando agli addebiti per c.m.s.

, essi risultano illegittimi, stante l’indeterminatezza della relativa pattuizione.

Il contratto di apertura del conto corrente (doc. 1 fasc. di primo grado) si è limitato a prevedere l’aliquota di tale voce di costo, priva tuttavia dell’indicazione delle modalità di calcolo e, segnatamente, del valore a cui applicare detta aliquota, come emerge dalla porzione del citato documento che si riproduce:

A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che «“deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che preveda la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare le modalità di calcolo e di quantificazione della stessa, posto che, in tal caso, il correntista non è, invero, in grado di conoscere quando e come sorgerà l’obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca.

Non è perciò legittima una clausola negoziale nella quale la commissione di massimo scoperto viene indicata unicamente mediante una determinata percentuale, senza alcun riferimento al valore sul quale dovesse essere calcolata tale percentuale” (cfr., in motivazione, Cass. n. 19825 del 2022, confermata in seguito da numerose pronunce v. per tutte Cass. n. 9712/2024)» (da ultimo, Cass. n. 30298 del 2024, in motivazione)».

Ciò al di là del fatto che, a posteriori, si possa ricostruire come la banca l’abbia concretamente applicata.

3.3.

Quanto alla domanda di applicazione «dei soli tassi di interesse , spese, etc, per l’apertura di credito, in quanto privi di pattuizione in forma scritta (ex art.117 e 127 TUB)», essa è inammissibile, trattandosi di domanda proposta per la prima volta nel grado d’impugnazione, come chiaramente emerge dalle conclusioni rassegnate in primo grado.

In esse viene domandato l’accertamento dell’invalidità unicamente con riferimento «a) alle clausole di pattuizione dell’interesse anatocistico trimestrale;

b) all’applicazione della provvigione di massimo scoperto».

Nessuna richiesta è invece avanzata con riferimento «all’applicazione dei tassi di interesse per l’apertura di credito non pattuiti per iscritto», contenuta per la prima volta nella citazione in appello.

3.4.

Pertanto, parziale accoglimento del settimo motivo d’impugnazione, gli addebiti illegittimamente operati vanno rideterminati tramite espletamento di c.t.u., previa formulazione di una proposta conciliativa da parte di questa Corte.

4.

Va poi respinta l’eccezione di che contestava la tardività dell’indicazione dell’importo dell’affidamento da parte di A tal proposito va rilevato che quest’ultimo, in primo grado, a fronte dell’eccezione prescrizione sollevata contro-eccepito l’esistenza dell’affidamento nella prima occasione utile, ossia con le note di trattazione scritta del 18 settembre 2023, avendo quindi tempestivamente allegato il fatto costitutivo della natura ripristinatoria delle rimesse, in base al quale il dies a quo della prescrizione del diritto alla loro restituzione decorre dalla chiusura del conto, attenendo invece la questione del limite del medesimo affidamento al profilo probatorio, da accertare tramite la documentazione disponibile in atti. Va altresì respinta l’accezione, sempre di secondo cui sarebbe inammissibile la domanda di ripetizione di «stante la carenza documentale degli estratti conto perché privi di tutto l’anno 2005; del 4° trimestre 2010; del 2°, 3° e 4° trimestre 2012; del 1° e 2° trimestre 2013;

del RAGIONE_SOCIALE ° e 2° trimestre 2017, avendo controparte allegato alle note di trattazione scritta per l’udienza del 19.09.2023, l’estratto conto di luglio 2017 che documenta l’estinzione del c/c al 31.07.2017».

A tal proposito la Corte di cassazione ha chiarito che «ei rapporti di conto corrente bancario, ove il correntista, agendo in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla ometta di depositare tutti gli estratti conto periodici e non sia possibile accertare l’andamento del conto mediante altri strumenti rappresentativi delle movimentazioni (come le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o le risultanze delle scritture contabili), va assunto, come dato di partenza per il ricalcolo, il saldo iniziale a debito, risultante dal primo estratto conto disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti, che, nel quadro delle risultanze, è il dato più sfavorevole al cliente, sul quale si ripercuote tale incompletezza, in quanto gravato dall’onere della prova degli indebiti pagamenti» (Cass. n. 37800 del 2022, in massima). Il correntista, quindi, ben può giovarsi dell’individuazione dei versamenti non dovuti, effettuati a fronte di addebiti illegittimi, limitatamente al periodo rispetto al quale ha prodotto i relativi estratti conto.

5. In conclusione, vanno accolti il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e, parzialmente, il settimo motivo di gravame, nei sensi e nei limiti fin qui indicati, e per l’effetto va accertata l’illegittimità degli addebiti effettuati per anatocismo, dal 1° gennaio 2014 e al 14 aprile 2016, e quelli per c.m.s.

, per tutto il periodo di svolgimento del rapporto, dovendosi quindi rimettere la causa sul ruolo onde procedere all’espletamento di c.t.u. per determinare l’importo dei versamenti concretamente ripetibili – avendo, per il periodo precedente al 2 luglio 2008, natura potenzialmente ripristinatoria e dovendosi altresì tenere conto della prescrizione – ove non abbia esito la proposta conciliativa formulata nella coeva ordinanza di rimessione della causa in istruzione.

P.Q.M.

L’intestata Corte d’appello, non definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. del 19 settembre 2023 del Tribunale di Livorno e in parziale riforma della stessa, così provvede:

1. accoglie il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e, parzialmente, il settimo motivo di gravame e, in parziale accoglimento delle domande proposte da accerta l’illegittimità degli addebiti, effettuati sul il conto corrente n. 6537.08, intrattenuto con la per anatocismo – limitatamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2014 e il 14 aprile 2016 – e quelli per c.m.s. , per tutto il periodo di svolgimento del rapporto;

2. accoglie l’eccezione di prescrizione sollevata da nei termini di cui in motivazione;

3. rimette la causa in istruzione con separata ordinanza;

4. spese al definitivo.

Così deciso nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in data 28 aprile 2025.

Il Consigliere relatore/estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

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