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Mancata conclusione del contratto di vendita

Il caso analizza i requisiti di forma e di comunicazione per la conclusione di un contratto, con particolare riferimento all’accettazione della proposta e alla formazione del consenso tramite silenzio o comportamento concludente.

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Pubblicato il 10 giugno 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 106/2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE APPELLO DI TRIESTE

PRIMA SEZIONE CIVILE La Corte d’Appello di Trieste, composta dai magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere rel. dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A N._166_2025_- N._R.G._00000106_2024 DEL_28_05_2025 PUBBLICATA_IL_28_05_2025

nella causa iscritta al n. r.g. 106/2024 promossa con atto di citazione in appello notificato il 19.03.2024 P.I. ), in persona del legale rappresentante ora rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Udine, INDIRIZZO risulta elettivamente domiciliata, per procura a margine della comparsa di costituzione del nuovo difensore dd. 30.1.2025; APPELLANTE contro RAGIONE_SOCIALE.I. , in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso il cui studio in Treviso, INDIRIZZO risulta elettivamente domiciliata, come da procura allegata alla comparsa di costituzione in appello;

APPELLATA

OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 14/2024 pubblicata il 09.01.2024, non notificata l’appellante:

come da comparsa di costituzione del nuovo difensore del 30.1.2025, e quindi:

“Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Trieste In via pregiudiziale e cautelare, sospendere e/o revocare la provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata per i motivi tutti meglio dedotti nell’atto;

In via principale di merito, accogliere per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza nr. 14/2024 emessa dal Tribunale di Udine, Giudice Dott. NOME COGNOME accogliere tutte le conclusioni avanzate nel giudizio di primo grado che qui si riportano “Voglia l’Ill.mo Sig. Giudice, ogni avversa deduzione e conclusione, sia di merito che istruttoria, contestata e reietta NEL MERITO IN

VIA

PRINCIPALE

Accertati i fatti di cui in parte narrativa e conseguentemente le gravi inadempienze della condannare la al risarcimento della somma di euro 11.400,00 o della diversa somma ritenuta di giustizia a titolo di danni patrimoniali, oltre alla somma da liquidarsi in via equitativa a titolo di danni non patrimoniali.

Spese e compenso per l’attività difensiva integralmente rifusi.

In via istruttoria, si chiede l’ammissione delle istanze istruttorie non ammesse dal Giudice di primo grado e segnatamente quelle di cui alla memoria ex art, 183 VI comma c.p.c.:

1. Vero che nel febbraio del 2021 la ordinava a parte convenuta n. 93 capi di abbigliamento per la stagione A/I 2021/2022 per un importo complessivo di € 5.222,00 (IVA esclusa) con consegna prevista a partire dalla metà del mese di settembre 2021, come si evince dal documento che Le si rammostra (Doc. 1).

2. Vero che il pagamento per la merce di cui al capitolo 1 era concordato tra le parti a mezzo di n. 3 RI.BA.

con scadenza, rispettivamente, novembre 2021, dicembre 2021 e gennaio 2022, come si evince dal documento che Le si rammostra (Doc. 1).

3.

Vero che a metà settembre 2021 la merce non veniva consegnata da 4. Vero che a metà settembre 2021 la contattava telefonicamente la al fine di ricevere chiarimenti circa la data prevista per la consegna di quanto ordinato (doc. 1), atteso l’approssimarsi della stagione autunnale.

[… .

Vero che con comunicazione pec. del 16.09.2021 la comunicava alla che la merce ordinata (e di cui al doc. 1) sarebbe stata prodotta solo a fronte del pagamento anticipato del prezzo complessivo concordato scontato del 3% (Doc. 2) 7. Vero che la il 29.09.2021, a mezzo pec, comunicava la risoluzione del contratto e avanzava contestuale richiesta di risarcimento danni ai sensi dell’art. 1453 c.c., come risulta dal documento che Le si rammostra (Doc. 3).

8. Vero che, a causa della condotta della si è ritrovata priva della merce per la vendita della stagione invernale e nell’impossibilità di reperirla altrove.

9. Vero che il ricavo sul quale la faceva affidamento in ragione della vendita dei capi non consegnati ammontava a euro 11.400,00.

Si indicano come testimone:

residente in Udine INDIRIZZO Si chiede di essere ammessi a prova contraria su eventuali capitoli di prova avversari che saranno ammessi con il teste sopra indicato.

Con vittoria di spese e compensi oltre il rimborso forfettario per spese generali oltre IVA e Cassa come per legge relativi ad entrambi i gradi di giudizio.

” Per l’appellata:

come da note del 24.1.2025, e quindi:

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Trieste rigettare il gravame proposto dalla avverso la sentenza n. 14/2024 del Tribunale di Udine poiché infondato in fatto ed in diritto e, per l’effetto, confermare la sentenza di primo grado.

Con rifusione di spese e competenze del presente grado di giudizio in favore di

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il 09.11.2022 conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Udine chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali nella misura di Euro 11.400 e dei danni non patrimoniali, da liquidarsi in via equitativa, per inadempimento del contratto di vendita concluso tra le parti.

Parte attrice esponeva di essere titolare di un rinomato negozio di abbigliamento maschile a Udine e di avere, nel febbraio del 2021, ordinato a parte convenuta 93 capi di abbigliamento per la stagione autunno/inverno 2021/2022 per un importo complessivo di Euro 5.222,00 IVA esclusa, con consegna prevista a partire dalla metà del mese di settembre 2021 e pagamento riscontro, aveva contattato il fornitore chiedendo chiarimenti circa la data di consegna dell’ordine, apprendendo soltanto in quella circostanza che la merce non era ancora stata prodotta; che, successivamente, con pec del 16.09.2021, il fornitore le aveva comunicato che la merce ordinata sarebbe stata prodotta solo a fronte del pagamento anticipato del prezzo complessivo concordato, scontato del 3%;

che, ritenendo che con ciò parte convenuta avesse modificato unilateralmente le condizioni contrattuali, “dando altresì prova di non aver dato esecuzione all’impegno contrattuale (produzione della merce)” (pag. 3 dell’atto di citazione), con pec del 29.09.2021 aveva comunicato a la risoluzione del contratto con contestuale richiesta di risarcimento dei danni.

L’attrice allegava, dunque, che a causa della condotta inadempiente del fornitore, consistente nella mancata produzione e consegna della merce alla scadenza contrattuale, si era ritrovata, nell’imminenza dell’inizio della stagione autunnale, priva di capi da vendere e nell’impossibilità di effettuare nuovi ordini (essendo il periodo utile per fare campionari invernali ormai chiuso), con conseguente impossibilità di soddisfare la clientela.

Deduceva, inoltre, quale ulteriore violazione degli obblighi contrattuali, l’avvenuta modifica unilaterale delle condizioni essenziali del contratto relative alle modalità di pagamento, in violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto ex artt. 1175 e 1375 c.c..

I danni patrimoniali di cui chiedeva il risarcimento, quantificati in Euro 11.400, corrispondevano al “ricavo” (pag. 5 dell’atto di citazione) atteso dalla vendita dei capi non consegnati, mentre quelli non patrimoniali – da liquidarsi in via equitativa – attenevano all’immagine del negozio.

2.

Si costituiva la società convenuta, eccependo preliminarmente il difetto di competenza del Tribunale di Udine in favore del Tribunale di Bari e, nel merito, rilevando che tra le parti non si era perfezionato alcun contratto, atteso che la proposta d’ordine del febbraio 2021 di cui al doc. 1 di parte attrice non recava la sottoscrizione “della proponente, odierna attrice, da valersi come accettazione dell’ordine” (pag. 2 della comparsa di risposta) e che non vi era stata accettazione implicita ovvero per facta concludentia; aggiungeva che tra le parti non vi erano stati precedenti rapporti contrattuali dai quali desumere l’esistenza di usi e/o accordi differenti.

Negava, conseguentemente, la sussistenza di un inadempimento contrattuale tale ultimo profilo, precisava che nel colloquio telefonico intercorso con nel settembre 2021 essa aveva rappresentato alla società attrice che la proposta iniziale non aveva avuto alcun seguito e si era resa disponibile a evadere un nuovo ordine avente a oggetto i medesimi beni e con consegna in ogni caso in tempo utile per la vendita della stagione autunno-inverno;

che tale nuova proposta prevedeva, tuttavia, differenti condizioni di pagamento giustificate dal fatto che la cliente aveva immotivatamente abbandonato la precedente trattativa e che, medio tempore, era emerso un report negativo sull’affidamento aziendale di , pertanto, che tale offerta, lungi dal rappresentare una modifica unilaterale delle condizioni del precedente contratto, mai perfezionatosi, costituiva una proposta contrattuale del tutto nuova, il cui mancato accoglimento aveva dato luogo alla presente controversia. Parte convenuta contestava anche la quantificazione dei danni patrimoniali dedotti dall’attrice, ritenendoli non provati e sproporzionati rispetto al valore del presunto contratto stipulato fra le parti, nonché dei danni non patrimoniali in quanto speculativi e non provati.

Insisteva, dunque, per l’accoglimento dell’eccezione preliminare e, nel merito, in via principale, per il rigetto della domanda attorea poiché infondata in fatto e in diritto e, in via subordinata, per la riduzione della domanda nei limiti di quanto ritenuto di giustizia.

3. Respinta, alla prima udienza di comparizione, l’eccezione di incompetenza per territorio, e disposto lo scambio delle memorie di cui all’art. 183, VI comma c.p.c., la causa – istruita mediante parziale ammissione e quindi assunzione delle prove orali rispettivamente dedotte dalle parti – era decisa all’udienza del 09.01.2024 ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. in esito a discussione orale.

4.

Il Tribunale di Udine, ribadita la propria competenza per territorio, respingeva le domande di parte attrice, che condannava alla rifusione delle spese di lite.

Evidenziati in premessa i fatti non controversi in corso di causa – ossia che l’agente di si fosse recato presso il negozio di ove era stato compilato il modulo d’ordine, successivamente trasmesso alla convenuta – il Tribunale rilevava come tale modulo, pur contenendo tutti gli elementi (parti, oggetto della compravendita, condizioni di consegna e di pagamento) dell’accordo negoziale, non recasse alcuna manifestazione di volontà dell’una o dell’altra parte, difettando dunque lo scambio di proposta e accettazione che le parti fossero incorse in un equivoco sulla natura, o meglio, sulla provenienza della proposta, non essendo sufficiente la circostanza che il modulo fosse stato predisposto dal fornitore con i propri dati prestampati – e riempito con i dati del cliente – a qualificarlo come proposta proveniente dal fornitore e diretta al cliente. Al contrario, la presenza nel modulo in questione di uno spazio destinato a raccogliere il “timbro e firma per accettazione” lasciava intendere, secondo il Tribunale, che l’apposizione della firma in quello spazio da parte del fornitore dovesse considerarsi accettazione della proposta proveniente dal cliente.

Esaminate le dichiarazioni rese sul punto dal teste di parte attrice ( , il quale all’epoca lavorava presso il negozio gestito da , secondo cui “per prassi, trascorsi trenta giorni (dalla trasmissione del modulo al fornitore) senza che l’una o l’altra delle parti abbiano sollevato obiezioni, l’ordine si intende accettato”, e dal teste a prova contraria di parte convenuta (COGNOME, agente di , secondo cui, invece, il modulo costituiva una “proposta d’ordine” che “doveva essere accettata dalla azienda produttrice, che avrebbe dovuto mandare la conferma d’ordine al negoziante”, con anche la facoltà di modificare i relativi termini di fornitura o di pagamento, il Tribunale concludeva che tale ultima ricostruzione appariva “assai più conforme a delle normali modalità di conclusione di un contratto commerciale” (pag. 6), non essendo logico che il cliente “sollevi obiezioni” riguardo a un modulo compilato sulla base delle proprie indicazioni, e non potendo il solo decorso dei trenta giorni, nel silenzio del fornitore, dare certezza in ordine alla conclusione del contratto. Doveva quindi ritenersi che il modulo costituisse una proposta di acquisto che il cliente, per il tramite dell’agente, aveva trasmesso al venditore, e che necessitava di un’accettazione da parte di quest’ultimo mediante apposizione di “timbro e firma per accettazione”, e da comunicare al cliente, condizione cui l’art. 1326, co. 1 c.c. subordina la conclusione del contratto.

Né, secondo il Tribunale, poteva ipotizzarsi che il contratto si fosse concluso oralmente, non essendovi prova né di una accettazione orale proveniente dal fornitore (il quale non aveva avuto contatti diretti con la cliente fino al colloquio di metà settembre), né della sussistenza di poteri rappresentativi in capo all’agente di commercio che aveva raccolto l’ordine, poteri il cui difetto peraltro si presume, salvo prova contraria, né, infine, di manifestazioni di consenso dirette alla conclusione del contratto provenienti dalla cliente, non potendo conclusione, il Tribunale riteneva che il contratto di acquisto non si fosse mai perfezionato, e che la società attrice non avesse potuto nemmeno confidare sulla sua conclusione, non potendosi dunque ravvisare in capo a né una responsabilità contrattuale da inadempimento, né una responsabilità di natura precontrattuale. 5.

Avverso tale pronuncia ha proposto appello la società attrice chiedendone la riforma, previa sospensione dell’esecutività, sulla base di tre motivi.

5.1

Con il primo (pagg. 4 ss. dell’atto di appello) l’appellante ha censurato il “Capo della sentenza concernente la valutazione probatoria delle testimonianze dei sigg.ri (teste della e COGNOME (teste a prova contraria della (pag. 6 sentenza di primo grado)” poiché erroneo, contraddittorio e non adeguatamente motivato.

In particolare, il Tribunale avrebbe trascurato di dare rilievo alla dichiarazione del sig. COGNOME secondo cui “la mancata accettazione è stata comunicata da al cliente, non per mio tramite”.

Tale circostanza non sarebbe corrispondente al vero, e, in ogni caso smentirebbe l’assunto sul quale poggia la decisione, ossia che le pattuizioni commerciali si perfezionino soltanto con la formale sottoscrizione di un ordine, senza che il venditore abbia l’onere di comunicare formalmente al cliente l’eventuale mancata accettazione.

Detta testimonianza convergerebbe, al contrario, con le dichiarazioni rese dal teste secondo cui nello specifico ambito commerciale di cui ci si occupa i contratti possono perfezionarsi con il decorso di trenta giorni dall’ordine senza che il cliente sollevi obiezioni o il fornitore comunichi la non accettazione;

in tale ultimo caso, soltanto la comunicazione di non accettazione impedirebbe l’insorgenza in capo al cliente di un affidamento circa la futura esecuzione della fornitura.

5.2

Con il secondo motivo l’appellante ha contestato che il modulo d’ordine dovesse essere necessariamente sottoscritto per accettazione dal fornitore perché il contratto potesse dirsi concluso.

Ha sostenuto, infatti, che l’accettazione di un’offerta può avvenire sia mediante la sottoscrizione del modulo, sia “per fatti concludenti come avvenuto nel caso che ci occupa conformemente all’art. 1326 c. 2 c.c.” (pag. 6 atto di appello).

A sostegno di tale conclusione ha dedotto:

a) che il modulo rappresentava un ordine completo “non si accettano annullamenti trascorsi 10 giorni dalla data dell’ordine”, la quale – oltre a confermare che il modulo rappresentava un ordine completo e non una generica proposta – nel far decorrere il termine per l’annullamento dell’ordine dalla data della sua trasmissione al fornitore e non dalla data della sua formale accettazione, confermava che nel caso di specie il vincolo contrattuale si perfezionava per effetto del mero decorrere del tempo, senza necessità della formale accettazione da parte del fornitore. Ha aggiunto che nella vita commerciale è logico e normale che il cliente possa avere un parziale ripensamento dopo il completamento dell’ordine e la previsione di un termine oltre il quale l’ordine non è più annullabile è posta a favore del fornitore, consentendo a quest’ultimo di conoscere il momento a partire dal quale poter dare avvio alla produzione della merce;

allo stesso modo, però, il termine sarebbe produttivo di effetti anche nei confronti del cliente, generando il suo decorso – in assenza di ogni diversa comunicazione da parte del fornitore – un affidamento nella avvenuta conclusione del contratto.

In ogni caso, ha concluso, la previsione di un termine per l’annullamento non avrebbe senso se il completamento dell’ordine fosse subordinato alla formale accettazione del fornitore.

Ulteriori doglianze sviluppate con il medesimo motivo riguardano la valutazione probatoria della pec del 16.9.2021 e le dichiarazioni del teste In particolare, il giudice avrebbe errato nel ritenere che la pec del 16.9.2021 (con cui comunicava che la merce ordinata era in produzione e che sarebbe stata consegnata a fronte del pagamento anticipato del prezzo, scontato del 3%) contenesse una nuova proposta a condizioni differenti, non essendo ciò “credibile” (pag. 8) a distanza di oltre sette mesi dalla proposta originaria ed in concomitanza con il periodo previsto per la relativa consegna. Al contrario, tale pec provava l’inadempimento del contratto originario:

la circostanza che al momento della prevista consegna la merce fosse in produzione starebbe, infatti, a significare che l’ordine era stato accettato ed era in esecuzione, sebbene tardiva.

Non solo; il documento contrastava con le dichiarazioni del teste dipendente di secondo cui quest’ultima, una volta ricevuto l’ordine, avrebbe atteso la conferma d’ordine da parte della dichiarazioni da reputarsi inverosimili e confliggenti anche con le deposizioni dei testi COGNOME e 5.3

Il terzo motivo censura come erroneo e non motivato il capo della sentenza con cui il ’appellante ha dedotto che la condotta complessiva di – non aver comunicato nulla alla cliente dopo la conclusione dell’ordine;

aver messo in produzione la merce con ritardo;

aver richiesto, a seguito di sollecito, condizioni di pagamento diverse da quelle originarie senza indicare i tempi di consegna della merce e prospettando, in caso di mancata accettazione, la sospensione della produzione – rappresenterebbe una “violazione della buona fede contrattuale, che come tale riconduce i fatti nel perimetro applicativo anche della responsabilità precontrattuale” (pag. 10).

5.4 Ciò esposto, l’appellante ha quindi richiesto che, in riforma della sentenza impugnata, sia accertato l’inadempimento della convenuta e condannata la stessa al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali e al pagamento delle spese di lite.

In via istruttoria, ha insistito per l’”ammissione delle istanze istruttorie non ammesse dal Giudice di primo grado e segnatamente quelle di cui alla memoria ex art, 183 VI comma c.p.c.”.

6.

Si è costituita insistendo per il rigetto dell’istanza di sospensione e dell’appello.

Ribadita la correttezza delle argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, ha precisato quanto segue.

6.1

Quanto al primo motivo, ha evidenziato la presenza nel modulo – accanto allo spazio per “timbro e firma per accettazione” – della dicitura “Le commissioni sono assunte salvo approvazione della Casa e senza impegno o responsabilità per mancata o ritardata consegna totale o parziale La merce fornita rimane di nostra esclusiva proprietà fino all’avvenuto pagamento della stessa”:

ciò proverebbe ulteriormente che era necessario che il modulo fosse accettato dal fornitore e la relativa accettazione comunicata al cliente ai sensi dell’art. 1326 comma 1 c.c. perché il contratto fosse validamente concluso.

6.2

Con riguardo al secondo motivo ha rilevato che il 2° comma dell’art. 1326 c.c. – diversamente da quanto affermato da controparte – non disciplina l’accettazione per facta concludentia, ma unicamente il termine entro cui l’accettazione deve giungere al proponente (e, dunque, che una accettazione deve giungere al proponente);

e, in ogni caso, che l’accettazione per fatti concludenti presuppone un comportamento dell’oblato che rifletta l’inequivoca volontà di avvalersi del contratto, comportamento cui non è certamente assimilabile il silenzio.

Ha eccepito che la clausola secondo cui “non si accettano annullamenti trascorsi 10 giorni , ma che, decorsi 10 giorni dalla data della proposta contrattuale, la stessa diventa irrevocabile, fermo restando il diritto del fornitore di rifiutarla.

Ha ribadito di avere con la pec del 16.09.2021 formulato una controproposta ai sensi dell’art. 1326, co.

5 c.c., precisando che il riferimento alla merce attualmente in produzione (“La merce da Voi ordinata è attualmente in produzione e vi potrà essere consegnata a saldo entro la fine di settembre, unicamente alle seguenti condizioni:

bonifico anticipato sconto 3%”) non riguardava la specifica merce ordinata da bensì tutta la merce di quella tipologia ordinata dai vari clienti e destinata alla vendita per la collezione autunno-inverno 2021;

non avrebbe avuto senso, infatti – ha osservato – accettare l’ordine della mandare in produzione i relativi capi e poi modificare le condizioni di pagamento, col rischio di rimanere con dell’invenduto in caso di mancata accettazione della nuova proposta.

Quanto, infine, alle dichiarazioni rese del teste (“Quando è arrivata la proposta, noi abbiamo aspettato la conferma, perché la proposta non era firmata”), questi non avrebbe inteso affermare – come suggerito da controparte – che la conferma dell’ordine dovesse pervenire da ma che la proposta era pervenuta al magazzino e alla contabilità priva di timbro e firma per accettazione della e pertanto i relativi addetti, fra i quali figurava il Notarnicola, avevano atteso la conferma da parte dei preposti della Del resto, non sarebbe ragionevole ipotizzare che il fornitore, ricevuto il modulo dal cliente, debba attendere una ulteriore “conferma d’ordine” proveniente dal medesimo. In sintesi, secondo l’appellata le deposizioni testimoniali deporrebbero per l’univoca conclusione che nessun contratto si era mai perfezionato tra le parti, in contrario non rilevando le dichiarazioni rese dal teste , in quanto non attendibili e riferite a una prassi indimostrata e contraria alle norme di legge che disciplinano la conclusione del contratto.

6.3 Nulla è infine stato allegato dall’appellata in relazione al terzo motivo attinente alla responsabilità precontrattuale.

7. Con ordinanza del 17.9.2024 il Collegio ha respinto l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata formulata dall’appellante e disposto lo scambio degli atti previsto dall’art. 352, co. 1, nn. 1, 2 e 3 c.p.c..

Scaduto il 1.4.2025 il termine assegnato ex art. 127 ter c.p.c. in sostituzione dell’udienza, la.1 Con il primo motivo l’appellante ha lamentato che il giudice di primo grado abbia ritenuto, in ordine alle modalità di conclusione del contratto, maggiormente attendibile la deposizione del teste COGNOME rispetto a quella del teste , senza però valutare le dichiarazioni del primo nella loro integralità, e, in particolare, omettendo di considerare il riferimento alla comunicazione, da parte di della mancata accettazione della proposta d’ordine (“la proposta d’ordine della non è stata accettata e la mancata accettazione è stata comunicata al cliente, non per mio tramite”). Tale riferimento – ha sostenuto l’appellante – oltre ad avere a oggetto una circostanza non vera, smentirebbe la tesi dell’appellata, secondo cui l’accordo si conclude, secondo la prassi commerciale del settore in questione, solo con la sottoscrizione dell’ordine da parte del venditore, posto che, se così fosse, il RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto alcuna necessità di precisare che avrebbe comunicato la mancata accettazione dell’ordine.

Risulterebbe invece confermato quanto dichiarato dal , e cioè che l’accordo si perfeziona con il decorso del termine (30 giorni) dalla trasmissione della richiesta di fornitura senza che il fornitore comunichi la sua mancata accettazione.

8.2

Il motivo va disatteso.

Va rilevato che la circostanza riferita dal teste non è idonea a escludere la credibilità soggettiva dello stesso, né l’attendibilità – ritenuta dal giudice di primo grado – della sua deposizione.

In primo luogo, l’invio di una comunicazione di non accettazione risulta compatibile anche con la tesi – fatta propria dal Tribunale – secondo cui il contratto si perfeziona solo a seguito di accettazione espressa, secondo lo schema di cui all’art. 1326 c.c., ben potendo l’oblato rispondere alla proposta, oltre che con un’accettazione conforme o con una accettazione difforme avente il valore di nuova proposta, anche mediante un semplice rifiuto, al quale si riconduce l’effetto di far cadere definitivamente la proposta impedendo all’oblato di concludere il contratto con una successiva accettazione. In secondo luogo, è ben possibile che la menzionata comunicazione avesse valore meramente ricognitivo, di semplice chiarimento o esplicitazione del mancato perfezionamento del contratto, e si riferisse quindi al colloquio telefonico intercorso tra la fornitrice e la cliente alla metà di settembre, nel corso del quale, come specificamente allegato da ’ultima “dichiarò che alcun1 seguito aveva avuto la proposta per cui oggi è causa” (pag. 2 della comparsa di risposta).

Infine le dichiarazioni rese dal teste circa la comunicazione della non accettazione dell’ordine hanno a oggetto fatto appreso da terzi e cui egli era rimasto estraneo (“non per mio tramite”), e quindi di minor rilevanza probatoria rispetto a quelli, dal teste conosciuti direttamente e correttamente apprezzati dal Tribunale per la loro coerenza rispetto al contenuto del modulo scritto contenente la proposta d’ordine, oggetto del secondo motivo di appello, di seguito esaminato.

9. Con il secondo motivo, l’appellante ha censurato l’erroneità della decisione del Tribunale, per avere ritenuto non concluso alcun contratto tra le parti, in mancanza di accettazione scritta del venditore in calce al modulo d‘ordine.

9.1

Il motivo è infondato.

È noto che lo schema normativo generale di formazione del contratto è quello disciplinato dagli artt. 1326 e 1335 c.c., secondo cui il contratto si considera concluso nel tempo e nel luogo in cui il proponente ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, e che esso trova applicazione in tutte le ipotesi in cui non sia prevista una diversa modalità di conclusione del contratto.

È altrettanto pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che modalità di formazione del contratto diverse da quelle indicate dall’art. 1326 c.c. (quali, ad esempio, la conclusione mediante inizio di esecuzione ai sensi dell’art. 1327 c.c., ovvero mediante proposta non tempestivamente rifiutata ai sensi dell’art. 1333 c.c.) possano trovare spazio – proprio in ragione della natura derogatoria rispetto alla previsione generale dell’art. 1326 c.c. – soltanto nelle ipotesi tassativamente previste e in particolare, quanto all’inizio di esecuzione, se ciò sia richiesto dal proponente ovvero sia desumibile dalla natura dell’affare o dagli usi, così come indicato dall’art. 1327 c.c. (Cass. n. 13132/2006; Cass. n. 21516/2004; Cass. n. 5874/2002; Cass. n. 3296/200; Cass. n. 4699/1999; Cass. n. 2858/1995) e, quanto al silenzio, soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altro (“In tema di formazione del contratto, l’accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altro” (Cass. n. 25460/2023; in senso conforme, v. anche Cass. n. 10533/2014; Cass. n. 3403/2004; Cass. n. 6162/2007; Cass. n. 25290/2007; Cass. n. 5363/1997; Cass. n. 8083/1987).

La Suprema Corte ha inoltre in più occasioni chiarito che “il silenzio non costituisce mai una manifestazione implicita di volontà, tranne nei casi in cui sia circostanziato:

cioè accompagnato da condotte inequivoche” (Cass. n. 32467/2024) e che “I comportamenti concludenti possono assumere rilevanza nella genesi di una fattispecie negoziale sia in quanto una consuetudine generale o un uso contrattuale attribuiscano un particolare significato al contegno omissivo, sia in quanto sia la legge stessa a recepire il senso che viene comunemente attribuito a questo, sicché l’illazione che si trae dal silenzio poggia su di un processo di tipizzazione” (Cass. n. 18227/2024).

Non risulta che l’appellante abbia dato prova del ricorrere, nel caso di specie, di alcuna delle ipotesi che legittimano una deroga alla previsione di cui all’art. 1326 c.c., non avendo dimostrato né che le parti avessero previamente concordato in modo esplicito tale deroga, né che essa fosse corrente nella prassi commerciale, né che nel caso di specie il silenzio sia stato accompagnato da condotte inequivoche.

9.2

Né paiono decisive l’asserita completezza della proposta e la presenza in calce al modulo di una clausola contenente un termine per l’annullamento in favore dell’acquirente.

Quanto alla prima, non può condividersi la distinzione introdotta da parte appellante tra “proposta generica”, ossia una proposta che richiederebbe di essere ulteriormente specificata con successivi contatti tra le parti, e “proposta che ha tutte le caratteristiche di un impegno serio e definitivo” (pag. 6 dell’atto di appello), in quanto completa in ogni suo aspetto;

distinzione dalla quale si vorrebbe, verosimilmente, far discendere che solo nel primo caso sia necessaria una manifestazione negoziale esplicita dell’altro contraente, mentre nel È pacifico, infatti, in dottrina e giurisprudenza, che, pur in assenza di una apposita previsione normativa, la proposta debba obbligatoriamente contenere tutti gli elementi necessari e sufficienti a identificare il futuro contratto almeno nei suoi aspetti essenziali, e che dunque la completezza ne rappresenti un requisito essenziale (Cass. n. 15964/2009). È evidente, pertanto, come il semplice requisito della completezza del modulo non escluda la necessità di una accettazione espressa proveniente dall’oblato.

Il modulo – completo di tutti i suoi elementi – costituisce dunque una semplice proposta contrattuale, che necessita, ai fini della conclusione del contratto, di essere accettata dall’altro contraente mediante invio all’acquirente di una apposita conferma d’ordine.

Quanto alla previsione di un termine per l’annullamento dell’ordine (“non si accettano annullamenti trascorsi 10 giorni dalla data dell’ordine”), parte appellante interpreta la relativa clausola nel senso che essa riconoscerebbe al committente il termine di dieci giorni dalla trasmissione dell’ordine al fornitore per annullarlo, decorso il quale l’ordine deve intendersi perfezionato.

Decorrendo, dunque, tale termine dalla trasmissione dell’ordine al fornitore e non dalla formale accettazione dello stesso, esso confermerebbe che “la decorrenza del tempo senza riscontro è comunque idonea a perfezionare il vincolo contrattuale sorto con l’ordine”, senza necessità di formale accettazione (pag. 7 dell’atto di appello).

Ritiene il Collegio che la clausola vada invece interpretata nel senso che al cliente non sia consentito esercitare il diritto di recesso decorsi 10 giorni dalla ricezione della conferma d’ordine.

Paiono chiari indici del fatto che il perfezionamento del contratto fosse subordinato a una espressa manifestazione del consenso da parte dell’oblata sia la collocazione in calce al modulo di uno spazio per “timbro e firma per accettazione” destinato ad accogliere la sottoscrizione dell’oblato, sia la presenza della clausola “Le commissioni sono assunte salvo approvazione della Casa”, clausola che – secondo la dottrina e la giurisprudenza – in assenza di espliciti poteri di rappresentanza conferiti all’agente che contratta con la controparte (poteri che non sono stati allegati dalle parti e che l’istruttoria svolta in primo grado non ha evidenziato), pacificamente esclude la vincolatività della dichiarazione, sottoponendola alla condizione sospensiva delle successiva approvazione (rectius, accettazione) della casa (v. l’agente per conto del venditore è sfornito di poteri di rappresentanza di modo che la commissione vale come proposta contrattuale che si considera presentata dall’acquirente con la relativa sottoscrizione e trasmessa dallo stesso agente al venditore”). 9.3 Infondati sono i rilievi relativi alla pec del 16.09.2021 con cui comunicò a che la merce ordinata era in produzione e che sarebbe stata consegnata a fronte del pagamento anticipato del prezzo, scontato del 3%.

Appare logico ritenere che, non essendosi perfezionato alcun contratto tra le parti, a tale dichiarazione non possa che assegnarsi il valore di una nuova proposta (o, come sostiene parte appellata, di una accettazione non conforme, equivalente a nuova proposta, ai sensi dell’art. 1326, co. 5 c.c.), a nulla rilevando che essa sia intervenuta a sette mesi di distanza da quella originaria.

9.4 L’appellante ha infine dedotto il contrasto tra il modulo d’ordine e le dichiarazioni, non valutate dal Tribunale, del teste , addetto al magazzino e alla contabilità “secondo il quale la ricevuto l’ordine avrebbe atteso la conferma d’ordine” (pag. 8 dell’atto di appello, ove viene precisato che, secondo il teste “la conferma doveva essere fornita dalla e non dalla , in palese contraddizione – si sostiene – anche con le deposizioni dei testi COGNOME e Si osserva che il significato delle dichiarazioni rese sul punto dal Notarnicola appare diverso da quello sostenuto dall’appellante, posto che il teste, riferendo che “Quando è arrivata la proposta, noi abbiamo aspettato la conferma, perché la proposta non era firmata”, appare chiaramente distinguere tra “proposta” da un lato, e “conferma” dall’altro, la prima “arrivata … non firmata” da e la seconda necessariamente proveniente da 10. Con il terzo e ultimo motivo l’appellante ha chiesto la riforma del capo della sentenza con cui il Tribunale ha negato l’esistenza di una responsabilità precontrattuale di quanto erroneo e non motivato. 10.1 Anche tale motivo è infondato.

Il mancato riscontro, da parte di alla proposta di non poteva fondare alcun legittimo affidamento, da parte di quest’ultima, in ordine alla conclusione del contratto, per la quale – come osservato – era necessaria un’accettazione scritta in calce al modulo d’ordine.

.

Parte appellante ha, infine, reiterato la richiesta di “ammissione delle istanze istruttorie non ammesse dal Giudice di primo grado e segnatamente quelle di cui alla memoria ex art. 183 VI comma c.p.c.”.

Sul punto, giova osservare che con ordinanza del 7.6.2023 il giudice ha ammesso la prova testimoniale dedotta dall’attore sui capitoli 1, 2, 8 e 9 formulati in detta memoria istruttoria, e rigettato le altre poiché aventi a oggetto circostanze non contestate (n. 3, 4, 5, 6) ovvero documentalmente provate (n. 7).

Tale motivazione non è stata specificamente censurata da parte appellante, limitatasi a insistere per l’ammissione della prova per testi, e risulta in ogni caso corretta, avendo la convenuta, in primo grado, espressamente qualificato come non contestate le circostanze di cui ai capitoli 3, 4 e 5, e risultando documentate le circostanze di cui ai successivi capitoli 6 e 7. 12.

Va quindi respinto l’appello proposto da avverso la sentenza n. 14/2024 del Tribunale di Udine, che viene per l’effetto confermata.

Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate, come da nota spese del 10.3.2025, in applicazione dei valori medi previsti dal D.M. 55/2014 (e aggiornati dal D.M. 147/2022) per lo scaglione di riferimento (da Euro 5.200,01 a Euro 26.000,00) relativamente alle fasi di studio, introduttiva e decisionale, escluso il compenso per la fase istruttoria, non essendo la stessa stata espletata.

12.1 Si dà infine atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’appello a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

La Corte d’Appello di Trieste, nella suindicata composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 106/2024 R.G., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

– rigetta l’appello proposto da avverso la sentenza n. 14/2024 del Tribunale di Udine che, per l’effetto, conferma;

– condanna l’appellante alla rifusione, in favore dell’appellata, delle spese di lite, liquidate in – dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’appello a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Trieste, 15 aprile 2025

Il Consigliere estensore Il Presidente dott. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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