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Codice Penale

Contratto preliminare, esistenza di un vincolo reale sul bene

Contratto preliminare, esistenza di un vincolo reale sul bene oggetto del futuro trasferimento che non sia stato dichiarato.

Pubblicato il 25 September 2023 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

CORTE DI APPELLO DI MESSINA Prima Sezione Civile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Messina, Prima Sezione Civile, riunita in camera di consiglio, composta dai sigg.ri magistrati:

ha emesso la seguente

SENTENZA n. 726/2023 pubblicata il 01/09/2023

Nella causa civile iscritta al n. 465/2020 R.G. vertente:

TRA

XXX, nella sua qualità di erede di YYY

-Appellante-

CONTRO
ZZZ,

-Appellata-

Oggetto: APPELLO avverso la sentenza n. 323/2020, depositata in data 19/03/2020 e notificata in data 11/06/2020, emessa dal Tribunale di Barcellona P.G. Sez. Civile, a definizione del Giudizio portante n. R.G. 15414/2008;

Conclusioni delle parti
Per l’appellante:- 1) In via preliminare: ritenere ammissibile in rito il presente atto di appello e concedere la sospensione della provvisoria esecutività della sentenza impugnata, per i motivi esposti in narrativa, ai sensi degli artt. 283 e 351 c.p.c; 2) nel merito riformare la sentenza n. 323/2020, depositata in data 19/03/2020 e notificata in data 11/06/2020, resa dal Tribunale di Barcellona P.G. Sez. Civile, (G.O. Dott.ssa ), a definizione del Giudizio portante n. R.G. 15414/2008; 3) accogliere il presente appello e per l’effetto annullare, revocare e/o riformare con qualsiasi statuizione la sentenza come impugnata, rigettando le domande della Signora ZZZ, pertanto; A) Accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità della Signora ZZZ in ordine agli obblighi nascenti dal contratto preliminare di vendita; B) Per l’effetto condannare la stessa al conseguente pagamento della somma di 239.233,69, quale valore del bene oggetto di preliminare come quantificato dal CTU C) condannare la stessa al rimborso dei canoni maturati dalla data di immissione in possesso del bene, nella misura di € 95.150,00, in considerazione della stima del valore dell’immobile effettuata dalla CTU. D) Condannare l’appellata all’integrale risarcimento di tutti i danni già esistente in re ipsa dall’appellante come quantificati in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dalla domanda al soddisfo e, comunque, nella misura di responsabilità ritenuta provata, equa e di giustizia. 4) Con vittoria di spese e compensi oltre IVA e Cassa del doppio grado di giudizio”.

Per l’appellata: – Rigettare le domande di cui all’atto di citazione in appello, poiché destituite di fondamento in fatto e di attendibilità in diritto, confermando in ogni sua parte e con ogni statuizione la validità, efficacia, legittimità della sentenza appellata, in quanto corretta, logica e ben motivata; – Condannare l’appellante alla rifusione, in favore del concludente, delle spese e compensi del presente giudizio.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 25/05/2008, la Sig.ra XXX conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Barcellona P.G. la Sig.ra ZZZ al fine di ottenere la risoluzione, inefficacia e/o nullità dell’accordo preliminare di vendita, per presunto inadempimento contrattuale imputabile alla odierna appellata, nonché per ottenere il risarcimento dei danni da lucro cessante e danno emergente ed il rilascio dell’immobile – asseritamente occupato dal 1990 senza titolo e senza avere mai versato alcunché a parte attrice- libero e sgombro da cose.

In particolare, la controversia ruotava intorno al contratto preliminare intercorso tra le parti in data 28 aprile 1988, relativo ad un immobile sito in Milazzo Piazza S.Papino, posto al piano 2° (terza elevazione fuori terra), promesso in vendita dall’attrice. Con la scrittura privata in questione, il prezzo della compravendita veniva fissato in Lire 147.200.000 (€ 76.000,00) e veniva pattuito l’importo di Lire 30.000,00 (oggi € 15.493,71) come caparra confirmatoria, oltre ad essere previsti ed eseguiti pagamenti in acconto, nonché un residuo prezzo da versarsi all’atto definitivo.

Si costituiva in giudizio ZZZ la quale, contestando le domande di controparte ne chiedeva il rigetto e, in via riconvenzionale chiedeva: “2) ritenere e dichiarare che l’inadempienza dell’obbligo di concludere il contratto, di cui il preliminare di vendita del 28 aprile 1988, è imputabile, prima al promissario venditore e poi alla sua erede, attuale attrice; 3) ritenere e dichiarare che la convenuta ha versato in acconto al sig. YYY la somma di £. 105.000.000 pari a euro 54.227,97 e che ha speso per le rifiniture dell’appartamento l’importo di £. 19.400.000, ora euro 10.019,26. 4) ritenere e dichiarare che l’attrice è tenuta a restituire il doppio della caparra. 5) Conseguentemente condannare l’attrice a pagare alla sig.ra ZZZ la complessiva somma di euro 79.740,95, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di causa.”

Con l’impugnata sentenza n. 323/2020, depositata in data 19/03/2020 e notificata in data 11/06/2020, il Tribunale di Barcellona P.G., a definizione del Giudizio portante n. R.G. 15414/2008, così statuiva: Rigetta le domande attrici perché infondate. Dichiara l’inadempimento di parte attrice Condanna XXX al pagamento della somma di € 30.987,42 quale restituzione del doppio della caparra, cui vanno aggiunti gli interessi legale dal dovuto al soddisfo. Condanna altresì XXX al pagamento della somma di € 15.493,71 cui vanno aggiunti interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo. Condanna parte attrice, come in atti rappresentata, alla rifusione delle spese processuali nei confronti della convenuta ZZZ che liquida in € 3.972,00 oltre le spese vive comprese le spese di CTU, le spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge”.

In particolare, secondo il Giudice di prime cure “Sia la documentazione prodotta in atti, che la prova testimoniale, conferma che il promissario venditore, YYY si è reso inadempiente e, pertanto, il promissario acquirente era legittimato a sospendere il pagamento del prezzo e rifiutarsi di stipulare l’atto pubblico di compravendita. Come risulta dalla nota di iscrizione ipotecaria, prodotta in giudizio, il sig. YYY ha concesso, a garanzia delle obbligazioni assunte, alla Gestione del Credito Fondiario mutuante, ipoteca di primo grado sopra il terreno sito in Piazza S. Papino, particelle fg. del Comune di Milazzo, ivi compreso l’edificio che sulla stessa area era in corso di costruzione, con esclusione dell’appartamento al terzo piano, quarta elevazione fuori terra, unità 7 a destra salendo confinante a Nord con area sovrastante piazza S. Papino e chiostrina condominiale e due appartamenti adiacenti al quarto piano, quinta elevazione fuori terra, unità 9 e 10”, comprendente anche l’appartamento promesso in vendita con la citata scrittura privata, circostanza non indicata nel contratto preliminare.

Conseguentemente veniva accertato e riconosciuto “il grave inadempimento del promittente alienante il quale, pur invitato più volte a cancellare l’ipoteca gravante sull’immobile non vi ha provveduto e tale comportamento giustifica l’esercizio del diritto da parte del promissario acquirente riconosciuto dal citato art. 1482 c.c.”.

Con atto di appello del 6/07/2020, notificato in data 07/07/2020, la Sig.ra XXX, ha proposto appello avverso la suddetta sentenza, affidandolo ai motivi di cui infra si dirà e chiedendo in via preliminare la concessione della sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza medesima.

Con comparsa di costituzione depositata telematicamente in data 06/11/2020 si costituiva la signora ZZZ la quale preliminarmente eccepiva l’inammissibilità dell’atto di appello ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 348 bis e ss. c.p.c., contestando, altresì, in via preliminare, la sussistenza dei presupposti della chiesta inibitoria. Nel merito chiedeva il rigetto dell’atto di appello, ritenendo l’infondatezza di tutti i motivi dedotti da controparte, e la conferma della sentenza di primo grado, con vittoria di spese e compensi di causa.

Con ordinanza emessa in data 04/12/2020, la Corte di Appello, ritenuto che non ricorrevano le condizioni per la pronuncia di inammissibilità dell’appello, di cui all’art. 348 bis c.p.c., avuto riguardo alla necessità di pronunciare con sentenza sulle questioni prospettate con l’appello, relative alla nullità della decisione impugnata e che la richiesta di sospensione non potesse essere accolta per mancanza di periculum, rigettava l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata e rinviava per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 05/12/2022.

A tale udienza (svoltasi in modalità cartolari), acquisite le note scritte di trattazione delle parti, la causa veniva assunta in decisione con concessione di termini per il deposito di comparse conclusionali (60 gg) e di memorie di repliche (gg. 20).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Per quanto attiene all’eccezione preliminare sollevata dall’appellata (art. 348 bis c.p.c.) la Corte l’ha già disattesa con l’ordinanza emessa in data 04/12/2020, con la quale ritenute carenti le condizioni per una pronuncia ai sensi dell’invocata norma, ha fissato l’udienza di precisazione delle conclusioni, momento peraltro incompatibile con l’adozione di un provvedimento ai sensi della norma invocata.

Sul punto, è appena il caso di precisare che “la scelta del giudice d’appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l’accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l’inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell’art. 348-ter, comma 1, c.p.c., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l’appello, che è l’unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, “in procedendo” o “in iudicando”, e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate” (Cfr., per tutte: Cassazione civile, sezione 6-L., ordinanza n. 37272 del 29.11.2021).

§ 1. Con il primo motivo di appello la signora XXX lamentava la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. – violazione della necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato- art. 161 c.p.c.

Secondo l’appellante, il Tribunale non si sarebbe pronunciato su punti decisivi della vertenza omettendo di statuire sulle domande avanzate da parte attrice.

In particolare, rievocava parte appellante di avere con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado chiesto, tra l’altro, che il Giudice ritenesse e dichiarasse che la sig.ra ZZZ occupava senza titolo l’appartamento per cui è causa (punto 5) delle conclusioni); che la convenuta aveva occupato l’immobile senza avere pagato alcunché all’attrice (punto 8) delle conclusioni). Conseguentemente, aveva richiesto al punto 10) che si dichiarasse risolto, inefficace, e/o nullo, con qualsiasi statuizione, l’accordo preliminare di vendita datato 24/08/1988, per inadempimento esclusivamente imputabile alla sig.ra ZZZ; e che (punto 11) si ordinasse alla convenuta di rilasciare immediatamente, libero e sgombero da persone e/o cose, l’appartamento de quo in favore di parte attrice, oltre al risarcimento dei danni; ancora conseguentemente che la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni per lucro cessante e danno emergente (punto 12).

Precisava ancora l’appellante che nel corso del giudizio di primo grado era stato dimostrato che la Signora ZZZ, si era immessa nell’appartamento oggetto di controversia, a partire dal 1990, e che la stessa aveva pagato solo parzialmente il prezzo pattuito. Tale prezzo era fissato in £ 1.150.000 a metro quadro ed era quantificato dal CTU in complessive £ 158.057.217 (€ 81.629,74). A fronte di tale somma pattuita la Signora ZZZ avrebbe versato complessivamente solo £ 60.000.000 (€ 30.987,42), rimanendo debitrice della somma di £ 98.057.217 (€ 50.642,32) Nonostante la scrittura privata sottoscritta tra le parti, prevedesse che il pagamento si sarebbe dovuto concludere entro il 31/07/1989, data entro cui stipulare l’atto pubblico, la Signora ZZZ non aveva provveduto al pagamento e si era rifiutata di stipulare.

Quindi, sosteneva sempre l’appellante, veniva dimostrato che dal 1990 l’appellata aveva occupato ed usato l’appartamento senza averne pagato il prezzo di acquisto o, in alternativa, senza averne pagato il prezzo a titolo di locazione.

Ciò premesso, lamentava che la sentenza impugnata non aveva toccato e deciso tali punti fondamentali della vertenza, lasciando senza risposta una domanda di tutela sostanziale.

Tale motivo risulta infondato.

Avendo accolto la domanda di risoluzione per inadempimento dello stesso promittente venditore, il Giudice di prime cure ha espressamente ritenuto assorbite dalla suddetta statuizione le ulteriori domande formulate da parte attorea (cfr. pag. 6 dell’impugnata sentenza).

Ciò basta ad escludere il suddetto vizio di omessa corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

E’ principio consolidato nell’ambito della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale “Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto” (Cfr. Cassazione civile, Sez. 2 – , Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020 (Rv. 658279 – 01).

Nel caso di specie, l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dalla promissaria acquirente volta ad ottenere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario venditore risultava del tutto incompatibile con la pretesa fatta valere da parte attorea con la domanda di risarcimento danno per occupazione senza titolo, atteso che quest’ultimo è venuto meno per fatto e colpa dell’attore (oggi appellante) e quindi, legittimamente, ne ha comportato il rigetto per assorbimento.

Allo stesso modo, l’intervenuto inadempimento del promittente venditore ha legittimato l’acquirente a sospendere il pagamento del prezzo, ai sensi dell’art. 1482 c.c. ed in tal senso si è correttamente pronunciato il giudice di prime cure.

Recita, invero, l’art. 1482 c.c. che “Il compratore può altresì sospendere il pagamento del prezzo se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorate. Egli può inoltre far fissare dal giudice un termine, alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risoluto con l’obbligo del venditore di risarcire il danno ai sensi dell’art. 1479 c.c. Se l’esistenza delle garanzie reali o dei vincoli sopra indicati era nota al compratore, questi non può chiedere la risoluzione del contratto, e il venditore è tenuto verso di lui solo per il caso di evizione. La richiesta al giudice di fissazione di un termine per la cancellazione dell’ipoteca è comunque una facoltà del compratore il quale può, legittimamente, preferire di tenersi l’immobile in attesa della sua liberazione”.

Tale disciplina risulta applicabile anche al contratto preliminare (c.d. compromesso). Invero, si è riconosciuto nell’ambito della condivisa giurisprudenza di legittimità che “in tema di contratto preliminare, l’esistenza di un vincolo reale sul bene oggetto del futuro trasferimento, che non sia stato dichiarato dal promittente venditore e non fosse conosciuto dal promissario compratore, legittima quest’ultimo all’attivazione dei rimedi a tutela della propria posizione, quali l’istanza di risoluzione del contratto ovvero – qualora egli voglia, comunque, darvi esecuzione – la sospensione del pagamento del prezzo ancora dovuto” (Cfr. Cassazione civile, Sez. 2, Sentenza n. 23956 del 22/10/2013 (Rv. 628016 – 01)

Così, il promissario acquirente di un immobile, garantito libero da ipoteche ma, in realtà, da esse gravato, può legittimamente rifiutare di stipulare il contratto definitivo finché tali formalità pregiudizievoli non siano cancellate dal promittente venditore e, al riguardo, “ha la facoltà e non l’obbligo, ex art. 1482, comma 1, c.c. (applicabile al contratto preliminare), di chiedere al giudice la fissazione a quest’ultimo di un termine per la liberazione dal vincolo; ove, tuttavia, il promissario acquirente comunichi al promittente venditore, in presenza di un inadempimento grave di costui ed allo stesso imputabile, il proprio recesso dal contratto, quest’ultimo non può, per effetto dell’art. 1453, comma 2, c.c., attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia”(Cfr. Cassazione civile Sez. 2 – , Ordinanza n. 20961 del 08/09/2017 (Rv. 645422 – 01)

2. Quale secondo motivo di gravame, l’appellante lamentava l’omessa pronuncia sulla domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita avanzata dalla signora XXX.

Sosteneva, in particolare, l’appellante che dal coordinamento temporale degli atti che sono alla base della vicenda che ci occupa, emergerebbe che, premesso che la stipula del preliminare risaliva al 28/04/1988 e che il saldo del prezzo ed il rogito sarebbero dovuti avvenire entro il 31/07/1989, l’iscrizione ipotecaria era stata stipulata in data 28/12/1989, quindi ben 20 mesi dopo la sottoscrizione del preliminare e 5 mesi dopo che era già spirato il termine per il saldo del prezzo da parte della Signora ZZZ.

Pertanto, asseriva l’erede del promittente venditore, nessuna mala fede poteva essere ascritta a quest’ultimo, atteso che al momento della stipula del preliminare nessuna ipoteca era stata costituita.

Contestava, quindi, la sentenza di primo grado nella parte in cui affermava: “Appare chiaro, che l’immobile promesso in vendita era gravato da ipoteca in quanto non rientrante tra quelle esclusi da tale gravame, e che tale circostanza non era indicata nel preliminare di vendita”.

Sosteneva, dunque, che l’esistenza dell’iscrizione ipotecaria non poteva essere assunta dalla signora ZZZ per giustificare il mancato pagamento del prezzo del bene, atteso che comunque tale iscrizione era successiva alla data contrattualmente prevista per il saldo.

Anche tale doglianza risulta infondata, per i motivi di cui si dirà.

Va premesso che il preliminare di compravendita oggetto di causa, stipulato in data 28 aprile 1988, prevedeva all’art. 2. che l’appartamento avrebbe dovuto essere consegnato, ultimato e rifinito, entro il 30 luglio 1989.

La discrasia temporale evidenziata nell’atto di appello tra la data di stipula del preliminare di compravendita (avvenuta il 28/04/1988) ed il momento in cui l’ipoteca è stata iscritta (risalente, come emerge dagli atti di causa, al 18/12/1989) non rileva ai fini del contestato ed accertato inadempimento del promittente venditore, atteso l’obbligo da questi assunto di stipulare il contratto definitivo del bene, nelle medesime condizioni -anche giuridiche- in cui lo stesso si trovava al momento dell’assunzione della relativa promessa di vendita, laddove l’immobile era stato promesso in vendita “con tutte le garanzie di legge per tutti i casi di evizione e molestie”, senza alcun riferimento a pesi o pregiudizi a carico dell’immobile.

La natura dell’istituto ha indotto la giurisprudenza anche risalente a ritenere applicabile al preliminare di compravendita, la citata disposizione di cui all’art. 1482 c.c., anche indipendentemente dalla esistenza di una clausola del preliminare che lo autorizzi in tal senso, e ciò tanto nella ipotesi di garanzia preesistente al preliminare, quanto di garanzie sorte nel tempo intercorrente tra la data del compromesso e quella prevista per la stipula del contratto definitivo (cfr. Cassazione civile, Sez. 2, Sentenza n. 11709 del 24/11/1997; in termini vedi Cass. 26 maggio 1967 n. 1150), consentendo, così, al promittente compratore di rifiutare, in sede di stipulazione del contratto definitivo, il pagamento del prezzo dell’immobile che, nel momento della stipulazione, risulti gravato da garanzie o vincoli non dichiarati dal promittente venditore.

Analogamente ininfluente, nel caso di specie, risulta la circostanza che tale ipoteca sia stata iscritta in epoca successiva alla data inizialmente fissata per la consegna e la stipula dell’atto pubblico di compravendita (30/07/1989), posto che la lettura degli accadimenti porta a ritenere come vi sia stata una consensuale proroga dell’iniziale concordata tempistica, ove si consideri che solo nell’anno 1990 veniva trasferito dal promittente venditore il possesso dell’immobile al promissario acquirente.

Lo stesso teste di parte attorea (oggi parte appellante) Sig. ***, sentito su questa circostanza, ha dichiarato che “tra il 1990/91 mio suocero consegnò le chiavi alla Signora ZZZ ..”

3. Con il terzo motivo di gravame parte appellante ripropone le medesime censure di cui sopra, contestando le conclusioni dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto “grave inadempimento del promittente alienante il quale, pur invitato più volte a cancellare l’ipoteca gravante sull’immobile non vi ha provveduto” ed ha al contempo ritenuto a seguito di tale comportamento giustificato “l’esercizio del diritto da parte del promissario acquirente riconosciuto dall’art. 1482 c.c..”.

Contrariamente a quanto affermato in sentenza, secondo l’appellante, dalla documentazione e dalle dichiarazioni della Signora ZZZ emergerebbe come il mutuo e l’ipoteca non solo erano costituiti dopo che era spirato il termine previsto per il saldo e per la stipula dell’atto “(31/07/1989)”, ma erano immediatamente portati a conoscenza della promissaria acquirente, tant’è che la convenuta (ZZZ) in sede di interrogatorio formale aveva avuto modo di dichiarare: “E’ vero noi ci immettemmo nell’appartamento nel 1990” “Dopo il 1990 non pagai più nulla”; “Io fui invitata dal Signor YYY a stipulare l’atto”; e ancora “il Signor YYY si era dichiarato pronto ad estinguere l’ipoteca alla stipula del contratto”.

Tale motivo di appello, oltre che ripetitivo rispetto alle censure prima mosse dallo stesso appellante, risulta comunque infondato.

Non vi è alcun elemento istruttorio pretermesso dal giudice, tale da consentire un sovvertimento della decisione assunta in esito al giudizio di primo grado.

La circostanza che la promissaria acquirente sia venuta a conoscenza dell’iscrizione ipotecaria, avvenuta dopo la conclusione del contratto preliminare in cui il trasferimento l’immobile era promesso libero da pesi ed ipoteche, ed abbia in conseguenza di ciò sospeso i pagamenti e rifiutato la stipula dell’atto fino all’ottenimento della liberazione del bene, rappresenta uno sviluppo degli avvenimenti idoneo a legittimare, nel caso di specie, la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore e a giustificare il comportamento dell’appellata, ai sensi del citato art. 1482 c.c.

Né rilevano a tale fine le dichiarazioni rese dal teste della convenuta, arch. ***, genero della signora ZZZ, enfatizzate dall’appellante nella parte in cui ha riferito “A quell’epoca sempre (1988)……andai ad eseguire una visura così scoprendo che erano ipotecati terreno e fabbricato”, tralasciando di trascrivere le parti sostituite dai puntini di sospensione ed il prosieguo della dichiarazione, dalle quali si può facilmente arguire come fosse frutto di un mero errore (o di percezione o di scrittura) il riferimento all’anno 1988.

Questo, invero, il passaggio completo della deposizione del testimone: “ADR: A quell’epoca sempre (1988) risultando già versato l’importo di £. 105.000.000, nell’interesse di mia cognata andai ad eseguire una visura così scoprendo che erano ipotecati terreno e fabbricato, di ciò il YYY nulla ci aveva detto e fu questo il motivo per il quale non venne stipulato l’atto definitivo”.

Appare, quindi, evidente come le predette circostanze non possano che essere contestualizzate ad un momento successivo all’avvenuto versamento delle ulteriori somme previste in contratto (che il teste quantificava in £. 105.000.000) e all’iscrizione dell’ipoteca (avvenuta a dicembre 1989) e conseguentemente confermano ancora un volte come all’epoca della sottoscrizione del preliminare la promissaria acquirente fosse ignara dell’ipoteca iscritta.

4. Con il quarto motivo di appello l’appellante ripropone la censura relativa all’omessa pronuncia e all’omessa motivazione in ordine alla domanda di occupazione senza titolo dell’appartamento per cui è causa avanzata da parte attrice, così come in merito alle domande di risarcimento dei danni per lucro cessante e danno emergente, relativi sia alla mancata commercializzazione dell’immobile, sia all’ammontare del suo valore locatizio o di indennizzo.

Anche tale motivo risulta infondato.

Non può che ribadirsi come tali ulteriori domande siano del tutto incompatibili con l’accoglimento della domanda avversa di risoluzione per inadempimento del promittente venditore, qui confermata, e devono ritenersi assorbite da essa.

Va peraltro rilevato che non avendo la Sig.ra XXX (quale erede del YYY) provveduto a togliere le ipoteche iscritte, il creditore Sicilcassa Spa (ora Cross Factor Spa) ha pignorato l’appartamento in questione e, tramite la procedura n. R.G 74/03 es. del Trib. di Barcellona PG, lo stesso bene è stato successivamente messo in vendita all’asta ed aggiudicato dal Sig. Stramandino Giuseppe, marito dell’odierna appellata, previo versamento della somma di € 91.100,00.

5. Con il quinto motivo di appello, l’appellante lamenta l’arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze istruttorie – mancata valutazione della CTU- difetto di motivazione.

Secondo parte appellante, il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto delle conclusioni cui era giunto l’Arch. ***, nominato consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva accertato il valore dell’immobile sia a titolo di valore di acquisto, sia a titolo di canoni di locazione che la signora ZZZ avrebbe dovuto pagare.

Con il sesto motivo di appello l’appellante denunciava violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, lamentando l’omessa valutazione da parte del giudice dell’ingiustificato arricchimento che parte attrice aveva richiesto in citazione, quali canoni mensili di locazione derivanti dalla mancata trasformazione della situazione giuridica del possesso in proprietà, a causa dell’inadempienza della parte promissaria acquirente.

Secondo l’appellante la Signora ZZZ avrebbe trattenuto indebitamente l’appartamento sin dal 1990, occupandolo pur consapevole di non averne il titolo per il suo stesso rifiuto di procedere alla stipula del rogito notarile, nonostante gli inviti del promissario venditore, pertanto, considerata la sua mala fede e l’impossibilità di restituzione del bene alla odierna convenuta, sarebbe tenuta a corrisponderne il valore in denaro. Per quanto attiene ai danni, evidenziava che l’inadempimento di un contratto preliminare determina tra le sue conseguenze l’obbligo di risarcire i danni che ne sono derivati.

E’ conseguenziale, alla luce di quanto sopra esposto, l’infondatezza anche di tali motivi di gravame che presuppongono (riproponendo ancora la medesima questione) l’asserito inadempimento della promissaria acquirente, definito dalla parte appellante “particolarmente grave”, che è stato, invece, disatteso dal giudice di appello in seguito al rigetto dei precedenti motivi di gravame e la conferma della sentenza impugnata nella parte in cui, di contro, ha decretato l’inadempimento del promissario venditore.

Ne deriva che anche tali motivi devono ritenersi assorbiti.

L’appello dunque va integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico di parte appellante, in favore dell’appellato costituito, liquidandole sulla base dei parametri di cui al D. M. n. 55/2014, come parzialmente modificato da ultimo con D. M. n. 37/2018 (in vigore dal 26 aprile 2018) – qui applicabile ratione temporis, avuto riguardo al valore della controversia (indeterminata- complessità bassa) determinato in base alla domanda e applicando i valori tra i minimi ed i medi, adeguati rispetto all’entità delle questioni trattate, in complessivi € 4.800,00 (di cui € 1.500,00 per la fase di studio della controversia, € 1.000,00 per la fase introduttiva e € 2.300,00 per la fase decisionale -non rilevandosi prestazioni effettivamente riconducibili alla fase istruttoria), oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA ove dovuta per legge.

A termini dell’art. 13 del T.U. n. 115 del 30.5.2002 e modif succ. (ed in particolare in riferimento a quella dettata dall’art. 17 della legge n. 228 del 24.12.2012, cd. “di stabilità” per l’anno 2013), secondo cui “… quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis …”, questa Corte dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente, con l’avvertenza che l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Messina, Prima Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunziando sull’appello proposto da XXX (nella qualità di erede di YYY), sopra generalizzata, contro ZZZ, avverso la sentenza n. 323/2020, depositata in data 19/03/2020 e notificata in data 11/06/2020, emessa dal Tribunale di Barcellona P.G. Sez. Civile, a definizione del Giudizio portante n. R.G. 15414/2008, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:

– Rigetta l’appello;

– Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’appellata ZZZ delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive €. 4.800,00 a titolo di compensi professionali (come in parte motiva ripartiti), oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15%, ed IVA CPA come per legge.

– dà atto che sussistono i presupposti perché la parte appellante, in quanto soccombente ut supra, versi un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, con avvertenza per cui “… l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito …” della presente pronuncia.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Messina nella camera di consiglio del 14 luglio 2023

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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