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Assegno di divorzio, presupposti nel corso del giudizio

Assegno di divorzio, deve escludersi la preclusione nel caso in cui i presupposti del diritto all’assegno maturino nel corso del giudizio.

Pubblicato il 05 August 2022 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI PRIMA SEZIONE CIVILE

composta da:

SENTENZA n. 352/2022 pubblicata il 19/07/2022

Nella causa n. 467 del ruolo generale per l’anno 2022 promossa da:

XXX

APPELLANTE contro

YYY

APPELLATA

All’udienza del 20.05.2022 la causa è stata trattenuta in decisione sulle seguenti

CONCLUSIONI

Nell’interesse dell’appellante:

“in riforma della sentenza n. 2003/2021 del Tribunale di Cagliari emessa dal Tribunale di Cagliari 23.06.2021 e notificata il 27.09.2021, e accogliere le seguenti conclusioni:

– Dichiarare inammissibili le domande formulate da YYY nell’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado e ribadite nella comparsa conclusionale depositata;

– Determinare nella misura di euro 400,00, ovvero quella maggiore e/o minore che risulterà di giustizia, il contributo che il Sig. YYY deve corrispondere a titolo di mantenimento della Sig.ra XXX;

– Assegnare la casa familiare alla ricorrente.

Nell’interesse dell’appellato:

L’Ecc.ma Corte adita Voglia accogliere le seguenti conclusioni:

– Dichiarare inammissibile e comunque rigettare, perché destituito di fondamento giuridico e fattuale, l’appello proposto dalla sig.ra XXX avverso la sentenza n. 2003/2021 emessa dal Tribunale di Cagliari il 23 giugno 2021.

– Condannare parte appellante alle spese e competenze professionali difensive del doppio grado di giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso in data 4 luglio 2013 XXX ha adito il Tribunale di Cagliari chiedendo: la pronuncia dello scioglimento del matrimonio contratto con YYY il 23 luglio 2004; l’affidamento condiviso del figlio minore *** con collocamento prevalente presso di sé e assegnazione a proprio favore della casa coniugale; la previsione a carico dello YYY di un assegno non inferiore a 400,00 euro a titolo di contributo nel mantenimento del figlio, oltre al 70% delle spese straordinarie e un assegno di euro 300,00 a titolo di assegno divorzile, disponendone il versamento diretto da parte del datore di lavoro.

Ha allegato che i coniugi si erano separati con sentenza n. 98/2012, che aveva previsto l’affidamento condiviso del minore e, a carico dello YYY, un assegno di mantenimento di euro 400,00 complessivi, di cui euro 150,00 da destinarsi al mantenimento della XXX, disoccupata e priva di reddito.

Ha soggiunto di essere tuttora disoccupata e di essere aiutata dalla famiglia di origine; che il marito si era reso inadempiente agli obblighi di mantenimento a suo carico ed era quindi stato disposto il versamento diretto delle somme dovute da parte del datore di lavoro.

Si è costituito in giudizio YYY, il quale non si è opposto alla domanda di scioglimento del matrimonio, ma ha chiesto la conferma dell’importo di 400,00 euro previsto a suo carico in sede di separazione poiché il proprio reddito non era aumentato. Ha negato di essere stato inadempiente, dichiarando di versare ogni mese l’importo stabilito oltre all’assegno familiare, e di provvedere a tutti i bisogni del figlio ***. Ha precisato di corrispondere mensilmente anche la somma di 272,00 per un prestito contratto per completare l’abitazione di proprietà della madre della ricorrente, ove i coniugi avevano vissuto, e di sostenere una spesa mensile di carburante di euro 200,00 circa per recarsi al lavoro. Ha evidenziato come la XXX, dell’età di soli 38 anni, non si fosse mai attivata per reperire un’occupazione.

Con ordinanza in data 16.04.2014, il Presidente f.f., sentiti i coniugi e dato atto dell’esito negativo del tentativo di conciliazione, ha confermato le condizioni della separazione, ritenendo non sopravvenute significative modificazioni delle condizioni economiche delle parti.

Con sentenza non definitiva n 2809/2014 del 13.10.2014, pubblicata il 17.10.2014, è stato pronunciato lo scioglimento del matrimonio tra le parti.

Nelle more del giudizio è stato instaurato un procedimento penale nei confronti di XXX ex artt. 110, 609 ter e 609 quater c.p in danno del figlio minore. È intervenuto il Tribunale dei Minorenni di Cagliari, che ha sospeso entrambi i genitori dalla responsabilità, affidato il minore ai Servizi sociali, interrotto i rapporti fra il minore e la madre disponendo incontri protetti con il padre, e ha aperto la procedura di adottabilità del minore.

A seguito del provvedimento del Tribunale per i Minorenni, che aveva anche disposto il collocamento del minore presso una comunità, YYY ha chiesto la revoca dell’obbligo di corrispondere ad XXX il contributo economico per il mantenimento del figlio. Con provvedimento del 18.07.2017 è stata disposta la revoca del contributo in favore di ***, pari a 250,00 euro, e confermato l’obbligo per lo YYY di corrispondere 150,00 euro per il mantenimento della ex coniuge.

All’ esito del procedimento penale, XXX è stata riconosciuta colpevole del reato ascrittole (609 ter e quater c.p.) e condannata alla pena detentiva di 8 anni, oltre alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, decadenza dalla responsabilità genitoriale e dal diritto agli alimenti.

YYY ha quindi chiesto, con istanza depositata telematicamente il 5 maggio 2017 e reiterata nel verbale d’udienza del 18 maggio 2017, la revoca dell’obbligo di corrispondere alla convenuta quanto dovuto per il suo mantenimento.

Il giudice, rilevato che la pena accessoria della perdita del diritto agli alimenti era stata disposta nei confronti della persona offesa e che YYY non risultava titolare del bene giuridico leso dal reato, ha rigettato l’istanza.

Il Tribunale dei Minorenni ha, infine, accertato l’idoneità genitoriale del padre YYY, il quale è stato reintegrato nell’esercizio della responsabilità, e ha disposto il rientro del minore presso di lui. XXX è stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale e sono stati interrotti i rapporti fra la stessa e il figlio.

Con sentenza definitiva n. 2003 del 8.06.2021 pubblicata il 23.06.2021, il Tribunale di Cagliari ha affidato il figlio *** in via esclusiva al padre e disposto in capo ad XXX l’obbligo di corrispondere l’assegno mensile di euro 200,00 in favore di YYY per il mantenimento del figlio; ha poi rigettato la domanda volta al riconoscimento di assegno divorzile formulata dalla XXX

Il Tribunale ha fondato il proprio convincimento sul presupposto del mancato assolvimento da parte della richiedente dell’onere della prova relativamente all’esistenza e all’entità dello squilibrio economico tra le parti e all’inadeguatezza dei propri redditi, nonché alla riconducibilità di tale inadeguatezza alle scelte di vita matrimoniali, alle condizioni dei coniugi, alla durata del matrimonio e all’età degli stessi.

* * *

Contro tale decisione propone appello XXX, con il quale chiede: a) che venga dichiarata l’inammissibilità della domanda di revoca dell’assegno divorzile, formulata dallo YYY in sede di precisazione delle conclusioni e di comparsa conclusionale; b) il riconoscimento di un assegno divorzile in proprio favore nella misura di euro 400,00 mensili e, infine c); l’assegnazione della casa coniugale.

Quanto alla domanda sub a) l’appellante eccepisce la novità della domanda di revoca dell’assegno divorzile, in quanto formulata dalla controparte per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.

In particolare, evidenzia come nella comparsa di costituzione YYY avesse chiesto la conferma delle condizioni della separazione e solo in sede di precisazione delle conclusioni avesse invece domandato il rigetto della domanda di assegno divorzile e la previsione di un contributo della madre al mantenimento del figlio; tale modifica aveva comportato l’impossibilità per la XXX di esercitare il suo diritto di difesa. Ha altresì sottolineato che la valutazione della tempestività delle domande deve essere riferita solo al procedimento principale, senza considerare i subprocedimenti instaurati in corso di causa.

Ha poi censurato l’interpretazione operata dal Tribunale nel ritenere insussistenti i presupposti dell’assegno divorzile a suo favore; ha precisato di essere stata costretta a trasferirsi in altra provincia a seguito del provvedimento di allontanamento disposto dal GIP, ivi incontrando difficoltà di inserimento, anche lavorativo; di essersi sempre occupata dell’educazione del figlio, di essere stata vittima di accuse infamanti e di aver proposto appello avverso la sentenza penale di condanna.

Ha, infine, allegato di essere affetta da patologie fisiche e psichiche incidenti sulla propria capacità lavorativa, segnatamente da ernie discali, per le quali era stata operata nel 2007, nonché da “disturbo narcisistico di personalità di tipo arrogante, grave”, emerso in sede di giudizio penale e che per tali ragioni, lo stato di disoccupazione non poteva essere a lei imputato.

Ha dichiarato di sostentarsi unicamente grazie all’apporto dei genitori, mentre YYY disponeva di un reddito mensile non inferiore a 1.600,00 euro.

L’appellante, infine , ha censurato la sentenza di primo grado in punto di spese, di cui chiede la integrale compensazione, sostenendo di essere stata condannata alla relativa rifusione in ragione della soccombenza, che tuttavia era conseguita all’accoglimento di domande inammissibili. YYY, costituitasi, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’impugnazione, con condanna dell’appellante alle spese.

Ha affermato che la modifica delle proprie domande era dovuta ai significativi mutamenti intervenuti nella vicenda per cui è processo, nelle more del procedimento, verificatisi oltre il termine di cui all’art. 183 c.p.c.

Il giudice di primo grado non avrebbe potuto non considerare i risvolti economici conseguenti alla decadenza della XXX dalla responsabilità genitoriale e all’affidamento esclusivo del figlio minore al padre con collocamento presso di lui.

Da tali risultanze il Tribunale ha fatto discendere l’obbligo della stessa di provvedere al mantenimento del figlio, in quanto dotata di capacità lavorativa, seppur priva di occupazione. Ha poi contestato lo stato patologico dedotto dalla XXX, la quale, nonostante avesse sempre goduto di ottima salute, non aveva mai svolto attività lavorativa in vita sua.

All’udienza del 20.05.2022 la causa è stata tenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte. ***

Con il primo motivo l’appellante censura l’operato del collegio di prime cure che non ha dichiarato inammissibili le domande nuove proposte in sede di precisazione delle conclusioni e le ha invece accolte, in particolare con riguardo alla revoca dell’assegno divorzile, formulata, nel procedimento principale, per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.

Il motivo non è fondato.

Va in linea generale osservato che nella materia che ci occupa tutti i provvedimenti relativi ai rapporti tra gli ex coniugi e nei confronti dei figli possono essere modificati qualora mutino le condizioni che li hanno determinati. Le suddette statuizioni in tema di diritto matrimoniale, infatti, hanno valore rebus sic stantibus, atteso che la decisione del tribunale e gli accordi omologati dei coniugi trovano il proprio fondamento nei presupposti di fatto che hanno dato luogo alle relative decisioni, sicché dal mutamento dei presupposti che avevano fondato le decisioni pregresse, discende la modifica dei provvedimenti stessi. Tanto implica che essi potranno costituire oggetto di revisione da parte del Tribunale in ogni tempo. La ratio dell’intero sistema normativo familiare si preoccupa così di perseguire una giustizia sostanziale indipendentemente dal giudicato formale. Possono essere modificati sia i provvedimenti che concernono i rapporti tra i coniugi, che i provvedimenti che riguardano la prole, sia se disposti con sentenza ovvero se frutto di un accordo omologato. Il principio di modificabilità con riferimento ai rapporti tra i coniugi è espressamente previsto dall’art. 156 ultimo comma c.c. secondo cui “qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti”. L’art. 709 c.p.c. prevede che i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’art. 708 c.p.c. possono essere modificati e revocati dal giudice istruttore. L’art. 4 comma 8, seconda parte, l. div. dispone che l’ordinanza presidenziale può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell’art. 177 c.p.c., anche in questo caso, sempre e non solo in linea di principio se si verificano fatti sopravvenuti. Quindi sia i provvedimenti presidenziali sia i provvedimenti emessi dal giudice istruttore possono essere sempre modificati in corso di causa in attuazione del principio generale di modificazione delle ordinanze da parte del giudice che le ha pronunziate ai sensi dell’art. 177 c.p.c

Tanto premesso, va richiamata in particolare l’ordinanza 29290/2021 con la quale la Corte di Cassazione ha ribadito che “nel giudizio di divorzio, se, da un lato, la domanda di assegno deve essere proposta nel rispetto degli istituti processuali propri di quel rito, quindi (…) nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nella comparsa di risposta, tuttavia, dall’altro, deve escludersi la relativa preclusione nel caso in cui i presupposti del diritto all’assegno maturino nel corso del giudizio, in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime della separazione, postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto”.

La tempestività della domanda deve allora essere valutata in relazione al verificarsi delle evenienze sopravvenute.

Dagli atti di causa emerge che XXX, in data 16.11.2020, è stata ritenuta colpevole, fra gli altri, del reato ex art. 609 quater, in danno del figlio minore e condannata alla pena di anni 8 di reclusione e alla perdita del diritto a percepire gli alimenti.

In data 13.11.2020 YYY con separata istanza ex art. 709 c.p.c ha chiesto al giudice istruttore la revoca dell’assegno in favore della moglie.

Al di là della fondatezza della domanda di revoca per i motivi in quella sede formulati, la stessa è da considerarsi senz’altro tempestiva.

Non può, pertanto, ritenersi nuova la domanda di revoca dell’assegno disposto a favore della XXX, formulata dall’ex coniuge in sede di precisazione delle conclusioni, in quanto già correttamente formulata in precedenza nel corso del giudizio a nulla rilevando, evidentemente, che la stessa fosse stata trattata, a seguito di autonoma istanza, nell’ambito di un c.d subprocedimento allo scopo dedicato. Tale prassi, infatti, come noto, ha un valore meramente organizzativo interno, che non fa venire meno la natura unitaria del procedimento.

Le medesime considerazioni devono essere svolte in relazione alle domande di contenuto economico relative al figlio minore, che costituiscono la conseguenza necessaria dei provvedimenti del giudice istruttore e del Tribunale dei Minorenni, che hanno disposto la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale e l’affidamento del minore in via esclusiva al padre, con collocamento presso di lui.

Invero, dal mutato quadro e dalla collocazione del figlio presso il padre, discende la legittima richiesta di un contributo al mantenimento dello stesso, cui per legge sono obbligati entrambi i genitori, in ragione dei loro redditi e dei tempi di permanenza del minore presso ciascuno di essi.

Neanche lo stato di disoccupazione è in grado di far venire meno quest’obbligo, ove si accerti che il genitore ha capacità lavorative e/o reddituale.

Con il secondo motivo l’appellante ha contestato la decisione nel merito, lamentando l’errata valutazione delle circostanze di fatto da cui il Tribunale avrebbe fatto discendere il mancato adempimento dell’onere della prova. Ha allegato che il proprio stato di disoccupazione consegue alle accuse infamanti che le sono state rivolte e dal suo stato di salute fisico e mentale, ed ha evidenziato come, a suo avviso, la decisione del giudice fosse sorretta da un intento punitivo conseguente alla condanna penale inflittale.

Il motivo è infondato.

Sul punto il giudice di prime cure ha giustamente richiamato, facendone corretta applicazione nel caso concreto, l’orientamento in materia di assegno divorzile espresso dalle SS.UU., con la sentenza 11/07/2018 n. 18287. Tale pronuncia, rivisitando la propria nota sentenza 11504/2017 (la quale, enunciando il parametro “dell’indipendenza o autosufficienza economica” aveva sovvertito un più che consolidato panorama di diritto vivente, da oltre un trentennio orientato a commisurare l’entità dell’assegno divorzile al “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”), ha ritenuto di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, nel testo risultante dalla novellazione operatane dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito dagli artt. 2,3 e 29 Cost..

In tale cornice è maturata la convinzione, che “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente”. Si è così, di riflesso, affermato che “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

Successivamente, le Sezioni Unite hanno precisato che l’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, possiede una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e che l’accertamento dell’esistenza del relativo diritto richiede la prova dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; a tal fine debbono applicarsi i criteri pari-ordinati di cui alla prima parte della norma, che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. (Sez. U, n. 18287 del 11/07/2018, Cass. 17 settembre 2020, n. 19330).

Le Sezioni Unite hanno quindi, per un verso, integrato i principi formulati dalla sentenza n. 11504/2017, confermando il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita” e il riparto degli oneri probatori (che grava il coniuge richiedente di provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno); per altro verso, hanno riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli assicuri l’autosufficienza), ma anche riequilibrartice, o ancor meglio “compensativoperequativa”, ove ne sussistano i presupposti.

In tal caso, e cioè quando sussista la condizione, necessaria ma non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell’uno e dell’altro coniuge, all’esito del divorzio, non siano equilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza, non vige alcuna distinzione tra criteri attributivi, rilevanti ai fini dell’an del diritto all’assegno, e criteri determinativi, rilevanti solo successivamente ai fini del quantum.

Tanto premesso, lo stato di disoccupazione della XXX costituisce una circostanza incontestata nel corso dell’intero giudizio, e già al tempo della separazione; tuttavia, YYY ha evidenziato come l’odierna appellante non si fosse mai attivata, nonostante la giovane età, per reperire un’occupazione lavorativa. È quindi necessario esaminare tale condizione si imputabile o meno alla stessa appellante.

In primo luogo, occorre verificare se essa sia una conseguenza di scelte compiute dai coniugi nell’organizzazione della vita familiare e coniugale. In merito risulta che la convivenza matrimoniale durata appena quattro anni: le parti avevano contratto matrimonio nel 2004, e nel 2008 è stato presentato ricorso per separazione. In ragione della brevissima durata della vita comune della coppia, non può ravvisarsi in essa la ragione della mancata realizzazione personale e professionale della XXX, che non può dunque ascrivere la propria condizione di non autosufficienza alle scelte familiari e al relativo sacrificio. Inoltre, al momento del matrimonio la stessa aveva 29 anni, età nella quale l’individuo, ormai adulto, se non impegnato in un percorso di formazione, dovrebbe aver già raggiunto l’autosufficienza economica.

L’appellante ha poi lamentato di non riuscire a trovare lavoro anche a causa dell’allontanamento dal proprio comune di residenza disposto dal giudice penale, a seguito del quale ella sarebbe stata sradicata dal proprio contesto d’origine.

Questa contestazione appare non solo irrilevante ma anche priva di fondamento: non solo la misura cautelare in questione è stata disposta a seguito delle condotte penalmente rilevanti tenute dalla XXX, ma la stessa riguarda la provincia di Treviso, o comunque la regione Veneto, ove sono notoriamente maggiori le opportunità lavorative rispetto alla Sardegna.

Quando alla allegata condizione di salute della XXX, si rileva che le patologie fisiche, precisamente le ernie discali, non sono state documentate ma soltanto allegate, né è stato in alcun modo accertato che, in ragione di queste o delle patologie psichiatriche emerse in sede penale, derivi alla stessa un’inabilità al lavoro. Inoltre, se pure in sede penale è stato diagnosticato un “disturbo narcisistico della personalità di tipo arrogante, grave”, in ogni caso è stato accertato che esso “non inibisce la capacità di intendere ma individua esclusivamente tratti di personalità disfunzionali, causa di problemi relazionali ed affettivi”, tanto che è stata ritenuta capace di stare in giudizio; senza conseguenze quindi sulla possibilità di svolgere un’attività lavorativa.

Alla luce di tali argomentazioni, non è possibile dunque attribuire all’assegno richiesto dalla XXX funzione assistenziale e neppure funzione perequativa, non essendo riscontrabile, sotto tale profilo, alcun apporto positivo da parte della stessa alla vita familiare e alla crescita patrimoniale e lavorativa del coniuge, dovendosi al contrario, qualificarsi l’effetto delle sue condotte in termini di pregiudizio al nucleo familiare.

Invero, sebbene la menzionata sentenza penale non sia passata in giudicato, il giudice civile può comunque valutarla quale elemento di prova sui cui fondare il proprio convincimento, anche alla luce degli ulteriori elementi acquisiti nel corso del processo.

Un particolare rilievo assume in tal senso la confessione resa dalla stessa XXX ai Carabinieri di Furtei in data 2.03.2017, senza che possa invece attribuirsi valore alla successiva ritrattazione (oggetto della conversazione telefonica del 3.04.2017) in quanto palese tentativo di sottrarsi alle conseguenze di quanto riferito ai Carabinieri.

Infatti, la XXX avrebbe riferito, in data 16.03.2017 anche agli operatori del Consultorio Familiare di Sanluri e all’assistente sociale di Furtei, dai quali era stata convocata, di essersi recata presso il comando per denunciare il fatto di cui si riteneva vittima. Con eloquio che il servizio scrivente definiva “fluido, intellegibile e spontaneo”, la stessa ha riportato nel dettaglio le stesse circostanze già riferite ai militari, riguardanti la sua relazione con un soggetto conosciuto on-line e i video (che quantificava in 10 o 12) a contenuto erotico coinvolgenti il figlio minore.

Inoltre, nella medesima relazione, si legge che la stessa XXX il 20.04.2017, si era recata presso il Consultorio Familiare, mostrando le conversazioni intercorse con l’uomo conosciuto in rete, e dichiarando di essere vittima di un’ingiustizia da parte del Tribunale poiché al padre era concesso di avere incontri con il minore, mentre i rapporti per lei erano stati interrotti. Sul punto la relazione testualmente riporta le parole della donna “il bambino è cresciuto con me. Ora per un momento di debolezza, per un errore, non devo vederlo? Non lo farei più”. Anche il minore, sentito dalle psicologhe del UOCF e del UONPI, ha confermato che la madre gli faceva dei video, promettendogli in cambio ricariche telefoniche, e si mostrava arrabbiata nel chiederglielo e risentita se lui si rifiutava.

L’inidoneità della madre era stata poi lamentata, nel corso dell’intero processo dal padre, il quale già dalla fase presidenziale aveva domandato l’intervento dei Servizi sociali.

E’ evidente come anche a livello di organizzazione della vita e del lavoro in relazione all’accudimento del minore, la vicenda ha certamente inciso sulla vita dello ***. Il figlio minore, infatti, ora, e a differenza di quanto accadeva al momento dell’istaurazione del giudizio di divorzio, vive con lui, ed è il padre che deve, quindi, farsi carico in toto della sua cura, caratterizzata da esigenze particolari in ragione delle condizioni di salute del ragazzo (cui è stato diagnosticato un disturbo ossessivo compulsivo con terapia farmacologica) nonché dai sicuri traumi derivati dalla tragica vicenda, personale e giudiziaria, in cui è stato, suo malgrado coinvolto.

L’appellante ha poi domandato l’assegnazione della casa coniugale. Tale domanda è infondata e deve quindi essere rigettata. L’assegnazione del domicilio familiare ha come presupposto la convivenza del figlio, minore o maggiorenne ed incolpevolmente non autosufficiente. È infatti per la tutela del figlio essa viene disposta: solo il superiore interesse della prole legittima, infatti, la deroga alle normali regole della proprietà o degli altri regimi di godimento del bene. (all’udienza presidenziale avevano dichiarato che la casa coniugale era di proprietà pubblica).

Le spese del giudizio , liquidate come in dispositivo ex DM 55/2014 e succ. mod ( scaglione indeterminabile basso, valori medi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale), seguono la soccombenza.

La manifesta infondatezza dell’appello, con particolare riferimento alla domanda di assegnazione della casa coniugale, comporta la revoca dell’ammissione alla XXX al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente decidendo sull’appello proposto dal XXX avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari n. 2003/2021 dell’8.6.2021:

rigetta l’appello ; condanna XXX al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nella somma complessiva di euro 5.534,00 a titolo di compensi, oltre spese generali e accessori di legge.

Revoca l’ammissione di XXX al beneficio del patrocinio a spese dello stato.

Dichiara che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13 DPR 115/2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, L. n 228/2012 per il pagamento, da parte dell’ appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Cagliari nella Camera di consiglio della sezione civile della Corte d’appello il 26.5.2021.

Il consigliere estensore

Il Presidente

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