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Trasferimento di imprese o parti di imprese

Trasferimento di imprese o parti di imprese il cui cedente sia oggetto di una procedura fallimentare, esclusione delle tutele di cui all’art. 2112 c.c.

Pubblicato il 26 August 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai

Sigg.:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 235/2022 pubblicata il 23/08/2022

nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato in Cancelleria il giorno 17/05/2022 iscritta al n. 108/2022 R.G.

Sezione Lavoro e posta in discussione all’udienza collegiale del 14.07.2022

da

INPS in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti

dell’Avvocatura

Distrettuale INPS di Brescia, come da procura generale in atti OGGETTO:

RICORRENTE APPELLANTE Altre controversie in

contro materia di assistenza obbligatoria

XXX, YYY, ZZZ, tutti rappresentati e difesi dall’avv., domiciliataria giusta delega in atti

RESISTENTI APPELLATI

In punto: appello a sentenza n. 152 del 2022 del Tribunale di Bergamo.

Conclusioni:

Del ricorrente appellante:

Come da ricorso

Dei resistenti appellati:

Come da memoria

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 152/2022 del Tribunale di Bergamo Sezione Lavoro veniva accolto il ricorso proposto dagli odierni appellati nei confronti dell’Inps con condanna dello stesso all’intervento del Fondo di Garanzia per il pagamento delle ultime tre mensilità e del TFR maturato dai medesimi alle dipendenze delle società *** s.r.l. e *** s.p.a. fino al 14 febbraio 2017 nonché, quanto al lavoratore YYY, anche delle quote di TFR non versate al fondo di previdenza complementare dal datore di lavoro.

Il Tribunale aveva evidenziato che, benchè le datrici di lavoro avessero affittato e poi ceduto il ramo d’azienda cui appartenevano i lavoratori, il regime della solidarietà di cui all’art. 2112 c.c. era stato derogato in base all’accordo ex art. 47 l. 428/1990 posto in essere con le associazioni sindacali, idoneo a produrre effetti anche nei confronti dell’Inps.

Veniva quindi ritenuto illegittimo il diniego dell’intervento del Fondo di Garanzia che era stato fondato dall’ente previdenziale sulla responsabilità solidale del cessionario in ordine ai crediti lavorativi maturati dai lavoratori nel periodo alle dipendenze del cedente.

Le spese di lite venivano poste a carico dell’Inps soccombente.

L’istituto ha impugnato la sentenza e chiesto il rigetto del ricorso introduttivo.

In primo luogo, ha censurato la decisione per avere accolto la domanda di pagamento da parte dell’Inps in favore direttamente del ricorrente YYY della somma corrispondente alle quote di TFR non versate dal datore di lavoro cedente al fondo di previdenza complementare.

In secondo luogo, ha lamentato la violazione e falsa applicazione da parte del giudice dell’art. 47, comma 5, della L. n. 428/1990 e dell’art. 2112 c.c. ribadendo che il Fondo di Garanzia interviene ai sensi dell’art. 2 della L. 297/82 solo nel caso di insolvenza del datore di lavoro che è tale al momento della cessazione del rapporto lavorativo e non, come nel caso di specie, nell’ipotesi di esistenza di eventuali obbligati in solido cessionari dell’azienda.

Per tali principali ragioni, domandava la riforma della sentenza di primo grado con il rigetto delle domande proposte dai ricorrenti.

Questi ultimi si sono tempestivamente costituiti nel secondo grado del giudizio contestando l’appello sulla base di articolate argomentazioni giuridiche e chiedendo la conferma della sentenza.

L’udienza di discussione si è svolta mediante scambio e deposito telematico di note scritte ai sensi dell’art.221, comma 4, del D.L. 34/2020, conv. in L.77/2020, e successive modifiche ed integrazioni, in materia di emergenza epidemiologica da COVID-19, e all’esito della camera di consiglio, la causa è stata decisa come da dispositivo comunicato alle parti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si rende necessaria, preliminarmente, una ricostruzione del quadro fattuale di riferimento.

Gli odierni appellati hanno lavorato alle dipendenze di *** s.r.l. (XXX dal 15.10.1997 e YYY dall’01.12.2003) e di *** s.p.a. (ZZZ dal 02.08.2004).

Dopo esperimento della procedura di consultazione sindacale ex art. 47 L. 428/90 veniva sottoscritto il 31.01.2017 presso il MISE un accordo che prevedeva la stipula di un contratto di affitto d’azienda da parte di *** s.r.l. e *** s.p.a., la cui efficacia sarebbe stata condizionata alla rinuncia a mezzo di accordi individuali ex art. 410 e 411 c.p.c. da parte dei dipendenti alla solidarietà ex art. 2112 c.c. nei confronti dell’affittuaria per tutti i crediti e le rivendicazioni dei lavoratori trasferiti, maturati nei confronti delle concedenti al momento dell’affitto.

Seguivano i verbali di conciliazione in sede sindacale sottoscritti dagli odierni appellati e in data 14 febbraio 2017 la stipula del contratto di affitto di azienda nei confronti di *** s.p.a. con rinuncia alla solidarietà ex art. 2112 c.c. verso la cessionaria da parte dei lavoratori.

E’ pacifico che gli odierni appellati a seguito del contratto di affitto sono transitati alle dipendenze dell’affittuaria.

Il 15 Marzo 2017 *** e *** sono state dichiarate insolventi dal Tribunale di Monza ai sensi del d.lgs. 270/1999 e rispettivamente l’8 e il 9 giugno sono state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria.

I tre lavoratori hanno ottenuto l’ammissione al passivo della procedura per le somme dagli stessi richieste (ultime tre mensilità, TFR e, quanto al lavoratore YYY, quote di TFR non versate al Fondo di previdenza complementare).

Successivamente, in data 18.04.2019 è stato sottoscritto un ulteriore accordo sindacale ai sensi dell’art. 47 L. 428/1990 in forza del quale è stata disposta da parte delle cedenti sottoposte ad amministrazione straordinaria la cessione d’azienda in favore della *** s.p.a. previo ottenimento dell’autorizzazione del MISE, con rinuncia, anche in questa occasione, alla solidarietà passiva ex art. 2112 c.c. della cessionaria per i crediti dei lavoratori maturati prima dell’affitto del ramo d’azienda.

Le parti avevano previsto al punto 9 che : “…in deroga a quanto previsto dall’art. 2112 cod. civ. non verranno trasferiti alla cessionaria e rimarranno in carico alla cedente tutti i crediti di lavoro ( TFR , previdenza complementare , ferie , permessi , mensilità aggiuntive e quant’altro previsto a titolo di normali competenze, e in ogni caso collegato anche indirettamente al rapporto di lavoro maturati ante data di affitto dei rami di azienda ( 14 febbraio 2017 ) dei lavoratori trasferiti e di quelli non trasferiti retrocessi alle cedenti”.

Gli appellati hanno, quindi, presentato all’Inps domanda di ammissione al Fondo di Garanzia, respinta con la seguente motivazione : “a seguito di contratto di affitto intervenuto fra aziende in bonis il rapporto di lavoro è proseguito con *** *** SRL senza soluzione di continuità.. Trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 2112 c.c…..”. ***

Tanto premesso in fatto, la Corte ritiene opportuno, per ordine di esposizione, partire dall’esame del secondo motivo del gravame relativo alla pretesa violazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 2112 c.c. sulla responsabilità solidale del cessionario e dell’art. 47 l. 428/90, che disciplina ipotesi di accordi in deroga alla solidarietà del cessionario dell’azienda.

Come detto in premessa, tra le società datrici di lavoro in amministrazione straordinaria e le associazioni sindacali in data 18 aprile 2019 è stato sottoscritto un accordo ex art. 47 L. 428/90 contenente una deroga alla regola di cui all’art. 2112 c.c.. In dettaglio, veniva stabilito : -che la cessionaria avrebbe scelto i lavoratori trasferiti ai quali sarebbe stato mantenuto il trattamento normativo ed economico goduto presso le cedenti; -che i lavoratori individuati dalla cessionaria che non avessero accettato il passaggio sarebbero stati retrocessi alle cedenti e collocati in CIGS; -che ai lavoratori non trasferiti sarebbe stata riconosciuta la somma di € 4.000,00; -che ai lavoratori non trasferiti la cessionaria avrebbe riconosciuto il diritto di precedenza nelle eventuali nuove assunzioni o in caso di sostituzioni; -che in deroga all’art. 2112 c.c. non sarebbero stati trasferiti alla cessionaria e sarebbero rimasti a carico delle cedenti tutti i crediti di lavoro maturati prima della data dell’affitto dei rami di azienda del 14 febbraio 2017 dai lavoratori trasferiti e da quelli non trasferiti e retrocessi alle cedenti.

L’appellante sostiene l’inefficacia nei confronti dell’ente previdenziale di tale accordo; afferma anche che i rapporti di lavoro degli appellati erano proseguiti con la cessionaria con conseguente inoperatività del Fondo di Garanzia, che interviene ex lege solo in caso di insolvenza del soggetto che è datore di lavoro al momento della cessazione del rapporto e non nel caso, come quello di specie, in cui l’insolvenza aveva riguardato la cedente e il rapporto di lavoro era continuato con il cessionario.

L’esame di detta doglianza, invero, rende necessario affrontare la questione giuridica della idoneità degli accordi ex art. 47 L. 428/1990 a derogare alla regola della solidarietà del cessionario di cui all’art. 2112 c.c..

Ebbene, l’orientamento costante della Corte di Giustizia ( sentenza Abels del 7 febbraio 1985; sent, D’Urso del 25 luglio 1991; sentenza Spano del 7 dicembre 1995 ) si è sempre espresso nel senso della intangibilità della tutela riservata in caso di trasferimento ai lavoratori dell’azienda con la sola eccezione che il trasferimento avvenga nell’ambito di una procedura di fallimento o di altra procedura concorsuale che, oltre a svolgersi sotto il costante controllo di una autorità pubblica competente, siano finalizzate alla liquidazione del complesso aziendale e non già alla conservazione del patrimonio ed alla continuazione dell’impresa.

La Corte di Giustizia (sent. 11.6.2009, C-561/07), inoltre, all’esito della procedura di infrazione, ha affermato che, mantenendo in vigore le disposizioni di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47, commi 5 e 6, in caso di “crisi aziendale” a norma dell’art. 2, comma 5, lett. c), della L. n. 675 del 1977, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza della Direttiva 2001/23/CE. La Corte di giustizia ha così distinto, agli effetti dell’interpretazione delle deroghe alle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della Direttiva, “la situazione dell’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi”, il cui procedimento mira a favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di una futura ripresa, rispetto alla situazione di imprese nei cui confronti siano in atto procedure concorsuali liquidative, rispetto alle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. Per la prima categoria di imprese l’art. 5, paragrafo 2, lettera b), così come richiamato dal paragrafo 3 della Direttiva 2001/23, autorizza gli Stati membri a prevedere che possano essere modificate “le condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa”, ma – secondo la Corte di Giustizia – “senza tuttavia privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23”.

Il legislatore italiano, quindi, per dare attuazione alla pronuncia della Corte di Giustizia, ha modificato l’art. 47 introducendo il comma 4 bis con l’art. 19 quater d.l. 135/2009, che così dispone : “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale , dell’occupazione, l’art. 2112 del cod. civ. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende : a ) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale ai sensi dell’art. 2 , quinto comma , lettera c della legge 12 Agosto 1977 n. 675; b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999. 27 in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività ; b bis) per le quali vi sia astata la dichiarazione di apertura della procedura ; b ter) per le quali vi sia stata l’a l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.”. Il comma 5 dell’art. 47, invece, prevede : “Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa , ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, al lavoratore il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 , salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore predetto accordo può anche prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere in tutto in parte alle dipendenze dell’alienante”.

A parere del Collegio l’interpretazione delle due disposizioni, comma 4 bis e comma 5 dell’art. 47, va necessariamente effettuata alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia sopra citati che, come detto, hanno sempre distinto l’ipotesi in cui la cessione d’azienda avvenga nell’ambito di una impresa sottoposta a procedura concorsuale con finalità conservativa e nella prospettiva della continuazione dell’attività aziendale, rispetto a quella in cui la cessione avvenga da parte di impresa sottoposta a fallimento o ad altra procedura con finalità esclusivamente liquidatoria; solo in quest’ultimo caso, giova ripetere, è consentita la deroga alle garanzie previste per i lavoratori nel trasferimento d’azienda da parte della direttiva, mentre nel caso della continuazione dell’attività tale deroga non è consentita.

Ed infatti, mentre il comma 5 dell’art. 47 nel caso di trasferimento d’azienda nell’ambito di procedure liquidatorie prevede l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., facendo salve solo eventuali condizioni di miglior favore, il comma 4 bis disciplina l’ipotesi inversa, in cui sia stata stabilita la continuazione dell’attività stabilendo, al contrario, l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. seppur “nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”.

Simile interpretazione trova conforto nelle più recenti pronunce della Suprema Corte che, occupandosi della portata applicativa dell’art. 47, ha affermato : “nel contesto del comma 5 dell’art. 47, in caso di trasferimento di imprese o parti di imprese il cui cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso, il principio generale è (per i lavoratori trasferiti alle dipendenze del cessionario) l’esclusione delle tutele di cui all’art. 2112 cod.civ., salvo che l’accordo preveda condizioni di miglior favore. La regola è dunque l’inapplicabilità, salvo deroghe; al contrario, nel comma 4-bis la regola è di ordine positivo (“trova applicazione”), per cui la specificazione “nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo” non può avere un significato sostanzialmente equivalente – con sovrapposizione di effetti – rispetto al comma 5, se non contraddicendo la ratio sottesa alla diversità testuale delle previsioni. Insomma, il comma 4-bis dell’art. 47 ammette solo modifiche, eventualmente anche in peius, all’assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori, ma non autorizza una lettura che consenta anche la deroga al passaggio automatico dei lavoratori all’impresa cessionaria” (cfr. tra le altre Cass. sez. L. Ord. n. 20531 del 2022). Seguendo simile impostazione, in sintesi, ove il trasferimento avvenga nell’ambito di una procedura che comporta la continuazione dell’attività vanno necessariamente applicate le garanzie fondamentali di cui all’art. 2112 c.c., vale a dire il trasferimento dei lavoratori e la responsabilità solidale del cessionario, potendo l’accordo ex art. 47 comma 4 bis prevedere soltanto disposizioni, eventualmente anche in senso sfavorevole ai lavoratori, concernenti il mero trattamento economico o normativo dei lavoratori.

Del resto, non può essere ignorato che il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (“Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155”) all’art. 368, comma 4 (in vigore dal 15 luglio 2022- v. disposizioni transitorie e finali ex art. 389-) nel disporre la sostituzione dei commi 4-bis e 5 ha recepito l’interpretazione abbracciata dalla giurisprudenza di legittimità conforme al diritto dell’Unione. In particolare, il nuovo comma 4 bis dell’art. 47 dispone : “nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, con finalita’ di salvaguardia dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, qualora il trasferimento riguardi aziende:…c ) per le quali e’ stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attivita’»; il comma 5 invece è stato sostituito in questi termini : “« Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attivita’ non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Tuttavia, in tali ipotesi, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, possono comunque stipularsi, con finalita’ di salvaguardia dell’occupazione, contratti collettivi ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in deroga all’articolo 2112, commi 1, 3 e 4, del codice civile” ; va anche evidenziata, per quel che qui rileva, l’aggiunta del comma 5ter, che si riferisce specificamente all’ipotesi dell’amministrazione straordinaria e che così recita : “Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attivita’ non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore.”.

Così chiarito il quadro normativo di riferimento alla luce della interpretazione conforme ai principi affermati dalla Corte di Giustizia in tema di diritti dei lavoratori nelle vicende circolatorie dell’azienda, si tratta, a questo punto, di stabilire in quale ipotesi va correttamente collocato l’accordo sindacale dell’aprile del 2019 oggetto del presente giudizio.

Ebbene, dalla lettura dell’accordo si capisce che la fattispecie rientra nell’ambito di applicabilità dell’art. 47 comma 4 bis della L. 428/90 in quanto disposizione espressamente richiamata nel testo; l’accordo, inoltre, è intervenuto nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria che aveva una chiara finalità conservativa : nel decreto di sottoposizione delle due società all’amministrazione straordinaria si dà atto che dalla relazione del commissario giudiziale erano emerse concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico e che l’apertura della procedura, anche tramite i contratti di affitto e la previsione di future cessioni, avrebbe garantito la conservazione di una parte significativa dell’apparato produttivo “che è scopo primario del legislatore della disciplina in esame” nonché la salvaguardia di almeno una parte dei posti di lavoro (v. doc. n. B n. 3 e n. 4 del fascicolo di primo grado degli appellati).

Così stando le cose, l’accordo del 18.04.2019 con cui le parti hanno derogato alla solidarietà del cessionario per i crediti dei lavoratori trasferiti, maturati alle dipendenze della cedente in epoca antecedente all’affitto di azienda, non è idoneo a produrre effetti nei confronti dell’ente previdenziale : non rientrando nell’ipotesi del comma 5 dell’art. 47, che come detto sancisce l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., bensì in quella del comma 4 bis, l’art. 2112 c.c. per espressa previsione di legge andava necessariamente applicato e non poteva essere derogato dalle parti; era fatta salva solo la possibilità per le parti di concordare diverse condizioni di impiego, anche in senso peggiorativo per il lavoratori, tra le quali, peraltro, non rientra la solidarietà del cessionario per i crediti di lavoro gravanti sul cedente di cui all’art. 2112 comma 2 c.c..

Posto, dunque, che l’accordo del 18.04.2019 oggetto del giudizio è disciplinato dal comma 4 bis, che, come detto, non consente agli accordi da esso previsti di derogare alle garanzie fondamentali di cui all’art. 2112 c.c., lo stesso resta inopponibile all’Inps, che ne è rimasto estraneo, nella parte in le parti hanno pattuito l’esonero della cessionaria dall’obbligo del pagamento dei debiti della cedente contratti verso i lavoratori.

La questione giuridica oggetto di causa, in definitiva, va risolta in senso favorevole all’Istituto.

L’Inps, infatti, convenuto in giudizio per il pagamento della prestazione da parte del Fondo di Garanzia, deve poter contestare la operatività della regola di intervento del Fondo e domandare la verifica giudiziale della sussistenza dei presupposti di esigibilità della prestazione, anche e nonostante l’ammissione allo stato passivo del credito del lavoratore o l’esistenza di un titolo giudiziale conseguito dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

In tale direzione si è sviluppato l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’autonomia del credito “previdenziale” vantato nei confronti del Fondo di garanzia, se certamente impedisce all’Inps di poter opporre eccezioni derivanti da “ragioni interne al rapporto di lavoro e che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti” in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro, “non può tuttavia avere sempre quale proprio effetto la totale inibizione dell’accertamento giudiziale relativo agli elementi soggettivi ed oggettivi al cui ricorrere scatta l’obbligo di tutela assicurativa e che sono interni alla stessa autonoma fattispecie previdenziale” (v. tra le altre Cass. n. 19277 e 19278 del 2018 ).

Detta autonomia, non può, sempre ad avviso della Suprema Corte, avere quale necessaria conseguenza quella secondo cui, una volta ottenuta (a torto o a ragione) l’ammissione della domanda di insinuazione al passivo, ciò determini l’impossibilità per l’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare la concreta operatività della regola di intervento del Fondo, incentrata sul ricorrere degli elementi previsti dalla stessa fattispecie di cui alla legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 2 ed anche all’art. 2 del d.lgs. n. 82 del 1990, sulla cui autonomia si è fondata la giurisprudenza della Corte sopra ricordata. Tale principio, affermato dalla Cassazione in relazione alla ipotesi di cessione d’azienda, in cui era stato ritenuto che lo stato passivo del fallimento del datore di lavoro cedente al quale era stato ammesso il credito maturato per t.f.r. fino al momento della cessione d’azienda non poteva vincolare l’Inps, che era estraneo alla procedura e che perciò doveva poter contestare il credito per t.f.r. sostenendo che esso non fosse ancora esigibile finchè permaneva il rapporto di lavoro alle dipendente del cessionario, ad avviso del Collegio ben può essere applicato anche nel presente giudizio.

Con specifico riferimento al pagamento del TFR domandato al Fondo di Garanzia ai sensi dell’articolo 2 legge 297/1982, la Suprema Corte ha precisato che “l’oggetto dell’obbligo assicurativo è individuato attraverso il richiamo alla disciplina dell’articolo 2120 cod.civ. sicchè i presupposti di intervento del fondo vanno in tale fattispecie così individuati: a) sia venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento del TFR in capo al datore di lavoro; b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza” (sent. Cass. sez. Lav. n. 31128 del 2019).

A fronte di questi principi, l’Inps ha legittimamente contestato la sussistenza dei presupposti di intervento del Fondo di Garanzia in quanto il rapporto di lavoro degli appellati è proseguito con la cessionaria rimasta ex lege obbligata al pagamento anche della quota di TFR e, in generale, dei crediti di lavoro maturati dai dipendenti presso la cedente; oltre a ciò, il titolo giudiziale (ammissione al passivo) accertativo dei crediti di lavoro è stato ottenuto nei confronti della cedente che non è il datore di lavoro.

Ne deriva la fondatezza del motivo del gravame.

***

Per le medesime ragioni risulta fondato anche l’ulteriore rilievo sollevato dall’Inps, con cui contesta la sentenza per avere condannato l’istituto a pagare tramite il Fondo di Garanzia in favore dell’appellato YYY le quote di TFR non versate dalla cedente insolvente al fondo di previdenza complementare.

La norma di riferimento, in questo caso, è l’art. 5 del d.lgs. n. 80/1992 che dispone : “contro il rischio derivante dall’omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti ad una delle procedure di cui all’art. 1 dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare di cui all’art. 9 bis del d.l. 29 Marzo 1991 n. 103 , convertito con modificazioni nella legge 1 giugno 1991 n. 166 , per prestazioni di vecchiaia , comprese quelle per i superstiti , è istituito presso l’Istituto Nazionale della previdenza sociale un apposito Fondo di Garanzia . Nel caso in cui a seguito dell’omesso o parziale versamento dei contributi di cui al comma 1 ad opera del datore di lavoro, non possa essere corrisposta la prestazione alla quale avrebbe avuto diritto il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito a una delle procedure indicate al comma 1, può richiedere al fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultanti omessi. Il Fondo è surrogato di diritto al lavoratore per l’equivalente dei contributi omessi , versati a norma del comma 2”.

Anche a tale riguardo l’Inps ha eccepito l’insussistenza dei presupposti di legge per l’intervento del Fondo di Garanzia lamentando, innanzitutto, la mancata cessazione del rapporto di lavoro, proseguito alle dipendenze della cessionaria, rimasta obbligata in solido nei rapporti con i terzi per i debiti non adempiuti verso i lavoratori da parte della cedente.

Il rilievo è meritevole di accoglimento alla luce di quanto sopra esposto dovendosi richiamare, ancora una volta, la legittimazione dell’Inps a contestare l’operatività dell’intervento del Fondo di Garanzia per mancata ricorrenza dei presupposti normativamente previsti, a prescindere dall’esistenza di un titolo di accertamento del credito (nella specie ammissione del credito de quo al passivo dell’amministrazione straordinaria della cedente).

Ed infatti, a fronte della cessione dei rami d’azienda, il rapporto lavorativo del YYY era transitato alle dipendenze della cessionaria e al momento della presentazione della domanda all’Inps non era ancora terminato, ciò ostando all’intervento del Fondo di Garanzia anche per l’integrazione delle quote di TFR non versate dal dalla cedente al Fondo di previdenza complementare, integrazione che presuppone la cessazione del rapporto di lavoro analogamente a quanto avviene per l’intervento del Fondo di Garanzia di cui all’art. 2 della L. 297/82.

È proprio il meccanismo di funzionamento del Fondo di Garanzia nell’ipotesi di cui al citato art. 5, infatti, a comportare che, ove il lavoratore, dopo la cessazione del rapporto di lavoro non abbia i requisiti normativamente previsti per accedere alla prestazione da godere a causa dei mancati versamenti da parte del datore di lavoro alla previdenza complementare, scatta l’obbligo dell’Inps del pagamento.

Tanto emerge anche dai plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità che, là dove a diversi fini ha affrontato il tema della natura dei versamenti del datore di lavoro al Fondo di previdenza complementare (cfr. Cass. 19792/2015 ; Cass. Sezioni 4684/2015; Cass. Sez .Unite 4949/2015; Cass. Sezioni Unite 6928/2018), ha rilevato che “i versamenti del datore di lavoro non trovano fondamento nel rapporto di lavoro subordinato, ma in un ulteriore rapporto contrattuale, finalizzato a garantire, in presenza delle condizioni prescritte, il conseguimento di una pensione integrativa rispetto a quella obbligatoria, la cui previsione costituisce certamente un beneficio per il lavoratore, ma non modifica i diritti e gli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro e non incide sulle modalità di erogazione del trattamento di fine rapporto. La mancanza di un nesso di corrispettività tra la contribuzione e la prestazione lavorativa trova d’altronde conferma nel duplice rilievo che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro senza diritto alla pensione integrativa, il lavoratore non ha diritto alla restituzione dei contributi versati dal datore di lavoro” (v. anche Cass. sez. lav., n. 2406 del 2022).

Nel caso di specie, inoltre, sempre richiamandosi quanto sopra esposto da questa Corte, la cessione dell’azienda è intervenuta nell’ambito di una procedura concorsuale nel corso della quale è stato adottato un accordo ai sensi dell’art. 47 comma 4 bis che, nella parte in cui ha previsto l’esonero del cessionario dall’obbligo del pagamento in via solidale dei crediti dei lavoratori verso il cedente, tra cui anche quello relativo alla previdenza complementare, non è opponibile all’Inps.

***

In sintesi, l’appello dell’Inps merita accoglimento.

Ne deriva la necessità di riformare la sentenza di primo grado e il rigetto delle domande tutte proposte nel ricorso introduttivo.

La novità della questione giuridica affrontata e la complessità del caso giustificano, a parere del Collegio, la integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

PQM

1) in riforma della sentenza n. 152/2022 del Tribunale di Bergamo Sezione Lavoro, respinge la domanda proposta dagli appellati con il ricorso introduttivo;

2) compensa le spese del primo e del secondo grado di giudizio.

Brescia, 14 luglio 2022

Il consigliere estensore

Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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