R.G. 1158/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO
DI TORINO SEZIONE I
CIVILE RIUNITA IN CAMERA DI CONSIGLIO NELLE PERSONE DEI SIGNORI MAGISTRATI:
Dott.ssa NOME COGNOME Dott.ssa NOME COGNOME
CONSIGLIERE ISTRUTTORE Dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._528_2025_- N._R.G._00001158_2023 DEPOSITO_MINUTA_17_06_2025_ PUBBLICAZIONE_17_06_2025
nel procedimento civile iscritto al n. R.G. 1158/2023 promosso da:
(P.I. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in calce all’atto di citazione in appello, dall’ Avv. NOME COGNOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, INDIRIZZO – parte appellante – contro (Codice Fiscale e Partita Iva ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in calce alla comparsa di costituzione in appello, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in INDIRIZZO – parte appellata –
CONCLUSIONI
DELLE PARTI Per parte appellante “Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, contrariis rejectis, così giudicare:
in riforma della sentenza n. 499/2023 del 4/7/2023 del Tribunale Civile di Asti, accogliere il presente appello, respinta ogni domanda, eccezione e difesa avversaria, da ritenersi specificatamente contestate ex art. 115 c.p.c., riformare in toto e/o annullare la sentenza di primo grado in tutti i suoi capi, salvo il capo sulle spese, e per l’effetto, per tutte le ragioni esposte in narrativa così decidere:
– in INDIRIZZO
per i motivi di cui in narrativa, con violazioni di legge, di regolamenti e di ed aggiuntivi a carico di quantificati attualmente dalla banca convenuta nella misura di euro € 101.306,03, ovvero nella diversa somma risultante in corso di causa e comunque accertare e dichiarare che, per effetto delle sospensioni delle rate di mutuo usufruite in applicazione dell’art. 56 del Dl. , e ss. mm. la società attrice nulla deve alla banca convenuta per i titoli dedotti nel presente atto, ordinando la restituzione e/o il risarcimento di ogni somma indebitamente trattenuta o versata alla banca a tale titolo;
– in ogni caso:
spese, competenze e onorari di causa interamente rifusi da distrarsi in favore del sottoscritto Avv. NOME COGNOME COGNOME che si dichiara antistatario ex art. 93 1° c. c.p.c.” Per parte appellata “Respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, Piaccia Codesta Ecc.ma Corte di Appello di Torino, Rigettare l’avversario gravame e confermare integralmente la sentenza appellata, con rigetto di ogni domanda ex adverso proposta ed assoluzione della da ogni avversaria pretesa.
Con il favore delle spese ed onorari di patrocinio di entrambi i gradi di giudizio.
” SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il giudizio di primo grado Con atto di citazione notificato il 22.12.2021, la società conveniva in giudizio la al fine di sentir accertare come non dovuta la somma di € 101.306,03, addebitata dalla a titolo di oneri aggiuntivi in relazione alla sospensione delle rate del mutuo, di cui la società attrice aveva beneficiato ai sensi dell’art. 56 del D.L. 17.3.2020 n. 18, il quale disponeva che “per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 giugno 2021 è sospeso sino al 30 giugno 2021 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facoltà delle Imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale”.
Parte attrice lamentava che la una volta concessa la sospensione del pagamento di tre rate semestrali (capitale e interessi) scadenti il 31.03.2020, il 30.09.2020 e il residuo alla data di inizio del periodo di sospensione, con un aggravio di nuovi e maggiori oneri per un valore di € 101.306,03, così violando la disposizione prevista dal suddetto art. 56 D.L. 18/2020, secondo cui la sospensione del pagamento delle rate non doveva comportare nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti.
Parte attrice riteneva che l’art. 56 avesse uno scopo solidaristico, per cui gli interessi avrebbero dovuto essere calcolati al tasso legale e soltanto sulle rate scadute durante il periodo di sospensione, così da evitare che il mutuatario subisse un aggravio economico dalla sospensione, che si poneva in contrasto sia con le finalità, sia con il tenore letterale della disposizione normativa.
Si costituiva in giudizio la contestando la fondatezza di tutte le doglianze avversarie e chiedendo il rigetto della domanda.
Riteneva di aver correttamente interpretato e applicato la disposizione normativa in questione, ciò anche alla luce dei chiarimenti forniti dallo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo cui:
“In caso di sospensione dell’intera rata (quota capitale e quota interessi), si determina lo spostamento del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata.
Gli interessi che maturano durante il periodo della sospensione sono calcolati sul capitale residuo al tasso di interesse del contratto di finanziamento originario.
L’ammontare corrispondente a tali interessi sarà ripartito in quote nel corso dell’ammortamento residuo”.
Domandava, pertanto, l’integrale rigetto delle domande di parte attrice.
La sentenza di primo grado Con sentenza n. 499/2023, depositata in data 04.07.2023, il Tribunale di Asti rigettava la domanda attorea, in quanto infondata, e compensava le spese, ritenuta l’assoluta novità della questione trattata e l’assenza di precedenti giurisprudenziali.
Il Tribunale riteneva non condivisibili le doglianze di parte attrice, poiché basate su una interpretazione dell’art. 56 che comportava un’alterazione della disciplina negoziale sbilanciata a favore del mutuatario, in violazione del dettato normativo secondo cui la sospensione deve essere attuata “secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti”.
Affermava, quindi, che durante la moratoria maturavano interessi (aggiuntivi rispetto a quelli previsti dall’originario piano di ammortamento) in favore della posto che, diversamente opinando, l’intero costo della dilazione del debito sarebbe finito per gravare esclusivamente sull’Istituto di credito.
Ciò posto, per quanto riguardava il calcolo degli interessi aggiuntivi applicabili durante il richiamava il criterio sotteso all’originario piano di ammortamento pattuito tra le parti (interessi convenzionali), così da evitare l’alterazione della regolamentazione negoziale ed escludere l’applicazione di maggiori oneri “per entrambe le parti”.
Il contratto di mutuo stipulato in data 29.09.2008, oggetto di successivo atto di consolidamento del 25.10.2017, mutuo Rep. 27588 Racc. 7011 del 25.10.2017 a rogito Notaio di Monza, prevedeva l’applicazione di un tasso di interesse variabile pari al Tasso Euribor a 6 mesi, aumentato di 3 punti percentuali secondo il piano di ammortamento predeterminato in linea capitale e con la quota interessi calcolata sul residuo debito risultante dopo il pagamento di ciascuna rata.
Il Tribunale affermava, quindi, la correttezza dell’elaborazione del nuovo piano di ammortamento da parte della calcolato in base agli interessi al tasso convenzionale sopra indicato, da applicarsi sul capitale residuo alla data di inizio del periodo di sospensione e ripartendo poi in quote l’ammontare corrispondente a tali interessi;
l’importo così calcolato doveva essere pagato dal mutuatario nel corso dell’intero residuo periodo di ammortamento.
Il criterio di calcolo così determinato era corretto, in quanto conforme a quello pattuito tra le parti nel contratto e, quindi, idoneo a mantenere inalterate le condizioni economiche relative agli interessi durante il periodo di sospensione.
Alla luce di tutto ciò, il Tribunale rigettava la tesi di parte attrice secondo cui gli interessi andavano calcolati sul capitale delle sole rate venute a scadenza durante la sospensione, tenuto conto che ciò avrebbe alterato l’equilibrio negoziale discendente dalle pattuizioni intercorse tra le parti, sostituendo alle modalità di calcolo del piano di ammortamento originario un diverso criterio che non trovava fondamento nel testo contrattuale e non appariva corretto dal punto di vista della matematica finanziaria. Il capitale residuo, infatti, rimaneva nella disponibilità del mutuatario durante la sospensione, mentre non poteva dirsi che ciò fosse limitato alle quote capitale delle rate che scadevano in quel periodo, bensì si estendeva a quello delle rate successive a scadere.
A ciò il Giudice aggiungeva che, sempre nell’ottica di assicurare il mantenimento delle condizioni economiche pattuite tra le parti e quindi l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe, in conformità al dettato normativo citato, gli interessi dovevano essere calcolati al tasso convenzionale, espressione del costo del finanziamento concordato tra le parti.
Il maggior costo, corrispondente all’incremento dell’importo complessivo degli interessi a carico del mutuatario, non era la conseguenza di un aggravio aggiuntivo, che poneva il e, quindi, della prolungata disponibilità della somma finanziata a fronte della quale erano dovuti in favore del mutuante gli interessi convenzionali maturati nel periodo corrispondente, nel pieno rispetto del sinallagma contrattuale insito nell’accordo raggiunto tra le parti all’atto della stipulazione del mutuo.
Per cui, l’applicazione del tasso legale invocato da parte attrice, in sostituzione di quello convenzionale, avrebbe determinato una riduzione del costo del finanziamento per il mutuatario nel periodo di sospensione, in violazione della disposizione normativa che imponeva di non aggravare il trattamento di una parte a vantaggio dell’altra.
Il Giudice affermava, inoltre, che l’interpretazione dell’art. 56 fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, pur non avendo valore di norma di interpretazione autentica né carattere vincolante, costituiva comunque un elemento significativo che deponeva a favore dell’interpretazione operata dalla Banca, trattandosi peraltro di un chiarimento fornito dalla stessa autorità governativa che aveva emesso l’art. 56.
Il Tribunale evidenziava che non erano pertinenti al caso di specie le pronunce, richiamate dalla parte attrice, rese da alcuni collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario, con riferimento alle disposizioni emergenziali adottate a seguito di eventi calamitosi che avevano interessato in particolare l’Emilia e l’Abruzzo.
Le pronunce in questione, le quali avevano affermato che i cosiddetti “interessi di sospensione” andavano calcolati non sull’intero capitale residuo, ma soltanto sull’ammontare delle rate sospese, muovevano infatti dalla considerazione della finalità solidaristica della normativa in oggetto, che avrebbe consentito di individuare un dovere delle Banche di concorrere alla realizzazione delle istanze di tutela delle popolazioni colpite dagli eventi sismici;
una simile interpretazione era, tuttavia, preclusa dal dettato normativo dell’art. 56 del D.L. 18/2020, secondo cui dalla sospensione non dovevano derivare maggiori oneri per nessuna delle parti, di talché quand’anche fosse ravvisabile anche in questo caso un intento solidaristico, esso non potrebbe comunque farsi ricadere sugli Istituti di credito, la cui posizione non doveva essere aggravata in alcun modo dall’effetto sospensivo e dalla conseguente dilazione del piano di rimborso.
Il Tribunale rigettava, pertanto, la domanda di parte attrice, atteso che il maggior costo finale del finanziamento rispetto al piano di ammortamento originario, pari a € 101.306,03, era la conseguenza non già dell’applicazione di un nuovo onere in capo al mutuatario (vietato dall’art. 56, comma 2, lett. c) D.L. 18/2020), ma unicamente della dilazione di termini di tasso, sia in termini di modalità di calcolo degli interessi previste per la restante parte del piano di rimborso non interessata dalla moratoria. Il giudizio di appello Con atto di citazione in appello notificato il 21.09.2023, la società impugnava la sentenza n. 499/2023 del Tribunale di Asti, pubblicata in data 04.07.2023 e non notificata;
nel merito, formulava due motivi di appello, con vittoria di spese e compensi da distrarsi in favore dell’avvocato antistatario.
Con il primo motivo di doglianza parte appellante eccepiva che il Giudice aveva ritenuto corretta la condotta della convenuta, la quale durante il periodo di moratoria aveva “continuato ad applicare le stesse condizioni economiche sia in termini di tasso che di modalità di calcolo degli interessi previste per la restante parte del piano di rimborso non interessata dalla moratoria”.
Secondo parte appellante, la tesi adottata dal Giudice non era condivisibile, in quanto propugnava una modalità di applicazione della norma che comportava un’alterazione della disciplina negoziale sbilanciata a sfavore del mutuatario, finendo così per violare il chiaro dettato normativo in base al quale la sospensione doveva essere attuata “secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti” (cfr. art. 56).
Parte appellante non condivideva la motivazione del Tribunale, secondo cui l’individuazione dell’intero debito residuo al momento della sospensione, quale base di calcolo, fosse la soluzione più coerente con le regole di matematica finanziaria che dovrebbero governare il differimento del piano di rimborso.
Precisava, infatti, che le due possibili soluzioni adottabili dal Tribunale, quella dell’«accodamento» delle rate sospese oppure dello «slittamento» del piano di rimborso comportavano inevitabilmente un «maggiore onere» per il cliente.
Evidenziava, inoltre, che la soluzione del differimento considerava «il debitore come se non avesse adempiuto», mentre quella dell’accodamento – applicabile nel caso di specie, secondo parte appellante – «considera il debitore come se avesse adempiuto».
Le indicazioni fornite dalla normativa pandemica deponevano inequivocabilmente nel senso “dell’accodamento”, non potendo essere imputata al debitore alcuna responsabilità per il ritardo, che era invece accordato dal factum principis.
Il Tribunale avrebbe dovuto interpretare e applicare la legge al caso di specie in modo più aderente alla ratio legis, vale a dire mediante il criterio di un “accodamento” delle rate scadute nel periodo di sospensione “in fondo” al piano di ammortamento, così che al dovuta al momento della ripartenza, mentre le rate sospese fossero “recuperate” al termine della scadenza originaria del piano di ammortamento.
Con riferimento al costo affrontato dall’intermediario per il rifinanziamento, dovuto all’allungamento dei tempi del rimborso, evidenziava che il danno da questo subito per la sospensione non doveva calcolarsi sull’intero capitale residuo alla data di inizio della moratoria – come ritenuto dal Giudice – ma soltanto sulle rate scadute durante il periodo di sospensione, le quali dovevano costituire la base di calcolo per gli interessi maturati nel predetto periodo.
Con il secondo motivo di appello parte appellante censurava la sentenza nella parte in cui il Giudice riteneva che il “maggior costo” posto a carico dell’odierno appellante non violava il divieto contenuto nell’art. 56.
La formulazione normativa “assenza di nuovi e maggiori oneri” conteneva la promessa – non mantenuta dalla appellata – di una “specie di gratuità bilaterale”.
Per individuare un criterio equo, coerente con l’ispirazione della disciplina, il Tribunale avrebbe dovuto ricercare una soluzione che si limitasse a garantire alla la copertura dei costi di produzione e non un’entrata volta a garantire un profitto durante il periodo di moratoria per emergenza pandemica.
L’applicazione del saggio contrattuale sulla base di calcolo dell’intero debito residuo significava rendere per il cliente la moratoria un’ipotesi economicamente più svantaggiosa.
Per contro, l’applicazione del saggio legale consentiva di raggiungere quell’equilibrio cercato dall’art. 56.
Un’altra questione ignorata dal Tribunale, secondo parte appellante, era la circostanza per cui il creditore sarebbe comunque stato protetto da una forma di garanzia statale in caso di insolvenza, tale da limitare in misura considerevole il rischio di mancati rientri del cliente.
Costituendo la sospensione ex lege una parentesi estranea alle determinazioni contrattuali – che per l’appunto riguardavano il rapporto tra le parti come disegnato dal contratto – sulla stessa doveva essere applicata la disposizione dell’art. 1815, comma 1, c.c., che, nel fissare il principio della “naturale” onerosità del mutuo, prevedeva l’applicazione del saggio legale ex art. 1284, comma 2, c.c. in caso di mancata previsione di un saggio di interesse contrattuale.
Tutto ciò premesso, parte appellante chiedeva che fossero dichiarati non dovuti gli oneri nuovi ed aggiuntivi a proprio carico, quantificati in € 101.306,03 e che fosse accertato che, per effetto delle sospensioni delle rate del mutuo ex art. 56, la società nulla doveva alla per titoli, con la conseguente restituzione o risarcimento di ogni somma indebita interamente rifusi da distrarsi in favore del sottoscritto Avv. NOME COGNOME che si dichiara antistatario ex art. 93, 1° c., c.p.c.”.
Si costituiva in giudizio la chiedendo l’integrale rigetto dell’appello di controparte, in quanto infondato in fatto e in diritto.
Quanto al primo motivo di appello, parte appellata sottolineava – in riferimento alla previsione dell’art. 56 secondo cui non devono derivare “nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti” – che mentre per il mutuatario remunerare il denaro ricevuto a prestito non configurava un maggior onere, certamente tale sarebbe per la la mancata remunerazione del danaro prestato.
Tutte la Banche italiane, secondo parte appellata, si erano attenute alle istruzioni normative del MEF in merito alla tecnica di conteggio degli interessi, e tutte avevano applicato la medesima tecnica, calcolando gli interessi nel periodo della sospensione con applicazione del tasso contrattuale al debito residuo nel momento della sospensione:
l’importo derivante veniva poi “spalmato” in pari misura su tutte le rate decorrenti dopo la sospensione e fino al termine del piano di rimborso prolungato per numero di rate (e tempo) pari alla sospensione.
In ordine alla questione relativa alla circostanza per cui la non aveva proceduto ad un “accodamento” delle rate impagate a causa della moratoria, parte appellata contestava quanto affermato da controparte;
analizzando il piano di ammortamento aggiornato post moratoria prodotto nel precedente grado, si evinceva documentalmente che il rimborso era originariamente previsto in n. 50 rate e che, a seguito della richiesta moratoria, erano diventate 54.
La aveva, pertanto, sospeso per due anni il pagamento delle rate di mutuo del cliente, il tutto per n. 4 rate semestrali.
Quanto al secondo motivo di doglianza, parte appellata sosteneva che il Tribunale avesse correttamente applicato alla moratoria gli interessi al tasso convenzionale, rigettando la richiesta avversaria di applicazione degli interessi al tasso legale.
La questione, invero, era stata definita e chiarita espressamente dal MEF, oltre che confermata dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario del 10.06.2020, essendo stato espressamente previsto che “gli interessi che maturano durante il periodo della sospensione sono calcolati sul capitale residuo al tasso di interesse del contratto di finanziamento originario.
” Secondo parte appellata le pronunce dell’Arbitro Bancario e Finanziario richiamate da controparte confermavano la correttezza del comportamento tenuto dalla con Era, invece, inconferente l’avversario tentativo di “equiparazione” della fattispecie in oggetto (moratoria RAGIONE_SOCIALE) con la moratoria concessa per gli eventi sismici accaduti in Abruzzo, a seguito dei quali con D.L. n.39/2009 (convertito con modificazioni in legge n.77/2009) era stata genericamente e laconicamente disposta la “sospensione del pagamento delle rate dei mutui… in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella ragione Abruzzo nel mese di aprile 2009”. In merito a detta disposizione l’ABF aveva ripetutamente avuto modo di precisare che, in assenza di differenti determinazioni normative, gli interessi dovuti a causa della sospensione di pagamento delle rate maturerebbero solo sull’importo delle rate scadute, e non su tutto il capitale da restituire.
L’avversario richiamo era privo di costrutto, in quanto si trattava di fattispecie eccezionali del tutto differenti tra di loro, e la normativa inerente il “sisma Abruzzo” nulla statuiva in merito alla modalità di calcolo degli interessi dovuti sulle rate sospese.
Le disposizioni riguardanti la sospensione Covid oggetto del presente giudizio, avevano invece previsto e normato la questione, con la conseguenza che non c’era spazio alcuno ad interpretazioni che divergessero del preciso dettato normativo.
Tutto ciò premesso, parte appellata chiedeva il rigetto dell’appello di controparte e la conseguente conferma della sentenza impugnata, “con il favore delle spese ed onorarti di patrocinio di entrambi i gradi di giudizio”.
Precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta a decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda proposta dalla società in primo grado e qui nuovamente reiterata non è fondata e va, pertanto, respinta.
La sentenza appellata ha rigettato la domanda di parte attrice, fornendo una corretta interpretazione del DL 17 marzo 2020, n. 18, cosiddetto “Decreto Cura Italia”, emesso durante l’emergenza epidemiologica da RAGIONE_SOCIALE che aveva colpito l’Italia, al fine di prevedere misure di potenziamento sanitario nazionale, nonché sostegno economico per le famiglie, i lavoratori e le imprese.
Nella controversia in oggetto, in particolare, rileva l’art. 56, comma 2, lettera c), del suddetto decreto, che testualmente recita:
“per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, il pagamento delle rate o unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti;
è facoltà delle Imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale”.
appellata, in seguito alla concessione, sulla base della suddetta normativa, della sospensione richiesta dalla controparte relativa al pagamento delle rate di mutuo, aveva poi reclamato, decorso il periodo di sospensione (il quale scadeva con la rata del 31.03.2021 per la sospensione integrale di capitale ed interessi, e con la rata del 30.09.2021 per la sospensione parziale del solo capitale), il pagamento degli interessi convenzionali sull’intero capitale residuo, a far data dall’inizio del periodo di sospensione, ossia il 31.03.2020. Parte appellante ha contestato la legittimità di tale richiesta, evidenziandone il contrasto con la ratio di sostegno economico sottesa alla normativa in oggetto.
La Corte, in conformità a quanto già statuito dal Giudice di primo grado, evidenzia la correttezza del calcolo svolto dalla circa gli interessi ancora da corrispondere in capo alla parte appellante.
È, invero, pacifico che il calcolo predisposto dall’Istituto di credito sia basato sulle pattuizioni inizialmente stabilite tra questo e la società appellante:
non si tratta, infatti, di una richiesta di nuovi ed ultronei emolumenti, bensì di una quantificazione di interessi ed oneri che erano già stati previsti sin dall’inizio del rapporto contrattuale.
Stante la certezza circa l’an degli interessi richiesti, si ritiene che l’ammontare del quantum sia pacificamente ascrivibile a quanto inizialmente pattuito dalle parti, sulla base dei criteri sottesi all’originario piano di ammortamento relativo al contratto di mutuo.
Rileva questa Corte che, allo stato, non vi è ancora giurisprudenza in merito all’interpretazione della normativa controversa;
tuttavia, la questione è stata oggetto di diverse pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario.
In particolare, si richiama la decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario di Roma del 21 gennaio 2022, n. 1411, la quale ha previsto che:
“Alla luce di queste disposizioni, l’applicazione degli interessi di sospensione appare legittima in quanto per l’art. 56 la dilazione del piano di rimborso delle rate sospese deve avvenire «secondo le modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti».
L’espressione costituisce specificazione della clausola generale di correttezza e buona fede In particolare, l’espressa indicazione normativa «per entrambe le parti» pone in evidenza come la dilazione non possa recare pregiudizio alle credito.
Questa interpretazione risulta coerente con le previsioni di legge nel senso che la sospensione determini uno slittamento in avanti delle rate di ammortamento, e, allungandosi il periodo di rimborso, l’intermediario abbia diritto alla corresponsione degli interessi nei limiti di quanto contrattualmente previsto”.
A ciò si aggiunga che il conteggio effettuato dalla nella propria richiesta di regolazione, oggetto di contestazione da parte appellante, è stato effettuato sulla base della circolare del MEF nella sezione di “Liquidità a famiglie e imprese” al punto 19, prevedendo che:
“In caso di sospensione della sola quota capitale della rata, si determina la traslazione in avanti del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata.
Gli interessi sul capitale ancora da rimborsare sono corrisposti alle scadenze originarie.
In caso di sospensione dell’intera rata (quota capitale e quota interessi), si determina lo spostamento del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata.
Gli interessi che maturano durante il periodo della sospensione sono calcolati sul capitale residuo al tasso di interessi del contratto di finanziamento originario.
L’ammontare corrispondente a tali interessi sarà ripartito in quote nel corso dell’ammortamento residuo”.
Alla luce delle predette considerazioni, si ritiene che non ci siano ragioni per accogliere i motivi di appello e conseguentemente riformare la sentenza di primo grado, che deve, dunque, essere integralmente confermata.
Spese legali Atteso l’esito del giudizio e il rigetto dell’appello, si ritiene che le spese del presente grado di giudizio vadano poste a carico della parte appellante soccombente, e liquidate sulla base dello scaglione di valore applicabile, ricompreso tra € 52.001,00 ed € 260.000,00.
Ex art. 13, comma 1 quater DPR n. 115/2002, sussistono, inoltre, i presupposti perché parte appellante sia dichiarata tenuta a versare un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato, pari a quella dovuta per l’impugnazione.
P.Q.M
La Corte d’Appello, Sezione Prima Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di impugnata;
b) Condanna la parte appellante al pagamento delle spese legali a favore della liquidate in complessivi € 9.991,00, di cui € 2.977,00 per fase di studio, € 1.911,00 per fase introduttiva ed € 5.103,00 per fase decisionale, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario del 15%;
c) Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater DPR n. 115/2002 a carico di parte appellante.
Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile della Corte d’Appello, il 06.06.2025.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Istruttore Dott.ssa NOME COGNOME
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