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Sentenza della Corte d’Appello di Milano sulla restituzione di somme di denaro a seguito di convivenza more uxorio

La sentenza chiarisce la distinzione tra adempimenti dovuti in costanza di convivenza e la ripetibilità di somme prestate. Vengono analizzati i concetti di obbligazione naturale, arricchimento senza causa e la rilevanza della causale nei bonifici. Si sottolinea l’importanza della prova in merito alla sussistenza del vincolo di convivenza e della mancata contestazione tempestiva come elemento probatorio. Si ribadisce che la coabitazione e la contribuzione alle spese familiari non sono elementi sufficienti a provare la convivenza in caso di contestazione. Si precisa che la compensazione delle spese legali in caso di soccombenza reciproca non deve essere necessariamente proporzionale al valore delle domande accolte.

N. R.G. 3676/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione prima civile nelle persone dei seguenti magistrati:
dr. NOME COGNOME Presidente dr.
NOME COGNOME Consigliere rel.
dr. ssa NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 442_2020_- N._R.G._00003676_2018 DEL_04_02_2020 PUBBLICATA_IL_10_02_2020

nella causa iscritta al n. r.g. 3676/2018 promossa in grado d’appello (C.F. ), elettivamente domiciliato in 20129 presso lo studio dell’avv. , che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. NOME APPELLANTE C.F. C.F. CONTRO (C.F. ), elettivamente domiciliato in 20135 presso lo studio dell’avv. , che lo rappresenta e difende come da delega in atti, unitamente all’avv. NOME
APPELLATO

CONCLUSIONI

DELLE PARTI Per l’appellante “Voglia la Corte d’Appello di Milano Ecc.ma, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, così giudicare:

NEL MERITO:
a) Respingere la domanda di restituzione dell’importo di € 70.000,00, oltre interessi, proposta dall’attore, perché infondata in fatto ed in diritto;
b) Accogliere la domanda riconvenzionale, formulata dalla convenuta e, per l’effetto, condannare il Sig. al pagamento in favore di quest’ultima, della somma di € 90.000,00 a titolo di occupazione e godimento, per oltre 15 anni, dell’unità abitativa sita in , di esclusiva proprietà dell’appellante, per il venir meno della condizione sospensiva della prosecuzione e permanenza della convivenza;
c) Disporre la compensazione, per le quantità corrispondenti, tra i rispettivi crediti e debiti, a sensi degli artt. 1341 e 1342, I comma c.c. e condannare l’appellato al pagamento dell’eventuale differenza;
d) Confermare nel resto;
e) Spese rifuse, di entrambi i gradi di giudizio, con distrazione, in favore del sottoscritto difensore, Avv. , che dichiara di aver anticipato le spese e non riscosso gli onorari.

” Per l’appellato “Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adita, contrariis reiectis, così giudicare C.F. C.F. IN INDIRIZZO PRELIMINARE 1) Rigettare la domanda di sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza, in quanto non sussistono i requisiti ex art.283 c.p.c., per i motivi esposti in narrativa;
2) Nella denegata ipotesi in cui la Corte d’Appello ritenesse sussistente il credito di € 90.000, si reitera l’eccezione di prescrizione nel periodo compreso tra il 1997 ed il 2010.

IN VIA PRINCIPALE 1) Rigettare tutti i motivi d’appello proposti dall’appellante perché infondati sia in fatto, che in diritto, per le ragioni sopra esposte e per l’effetto, confermare integralmente i capi n.1) e n. 2.3) della sentenza impugnata;
2) Accertare e dichiarare l’avvenuta acquiescenza dell’appellante sul capo n. 2.2 della sentenza, in quanto capo autonomo non impugnato, e, per l’effetto, dichiarare sceso il giudicato parziale ex art. 329 co. 2 c.p.c.;

IN INDIRIZZO Nella denegata ipotesi in cui non fosse ritenuta accertata la domanda di restituzione del mutuo relativo all’importo di € 70.000, si reitera, in via subordinata, la richiesta di accertare e dichiarare che la sig.ra si è ingiustificatamente arricchita ex art. 2041 c.c. nei confronti dell’attore e, conseguentemente, condannarla ad indennizzare il sig. in misura della correlativa diminuzione patrimoniale, nei limiti dell’arricchimento, pari ad € 70.000,00 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.

In riforma parziale dell’impugnata sentenza, accogliere il motivo di appello incidentale proposto in relazione al capo n. 2.1 della sentenza e, per l’effetto, accertare e dichiarare la carenza di titolarità del diritto soggettivo del sig.
in relazione alla domanda sull’assegno da € 24.925,00, per i motivi sopra esposti, e pertanto rigettare la domanda proposta dall’attrice in riconvenzione;
2) In riforma parziale dell’impugnata sentenza, accogliere il motivo di appello incidentale proposto in relazione al capo n. 3 e, per l’effetto, rigovernare le spese di lite del primo grado in misura di maggior favore al per motivi esposti in narrativa;
IN OGNI CASO Condannare l’appellante principale alla rifusione delle spese di lite di ogni fase e grado del giudizio.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO 1) Decisione oggetto dell’impugnazione Sentenza n. 7145 del Tribunale di Milano, pubblicata il 2) Il fatto Vengono di seguito esposti i fatti rilevanti per la decisione che sono pacifici tra le parti (in quanto allegati da una parte e non contestati dalle altre) o che sono indubitabilmente provati dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado:
.
tra è intercorso un rapporto di convivenza more uxorio dal (circostanza pacifica tra le parti);
.
per l’intero periodo suddetto hanno coabitato nell’appartamento di proprietà della seconda in (circostanza pacifica tra le parti); .
in data ha emesso l’assegno bancario n. , tratto dal conto corrente bancario n. 27297, cointestato tra per l’importo di € 24.925 in favore di , indicata come beneficiaria (cf. docc. 8 e 16 appellante);
.
in data ha emesso tre bonifici per l’importo complessivo di € 70.000, in favore di , con la causale “prestito per lavori ristrutturazione casa” (cf. 1, 2, 3 e 4 appellato);
.
in data ha sollecitato a la restituzione della suddetta somma di € 70.000 (cf. doc. 5, 5, 6, 7 e 8 appellato).

3) Lo svolgimento del processo di primo grado.

Con atto di citazione, notificato in data ha convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, , chiedendo la condanna alla restituzione di € 70.000, a lei asseritamente corrisposti a titolo di mutuo, in occasione della ristrutturazione dell’immobile di , di proprietà della convenuta, nel quale erano vissuti entrambi more uxorio.

si è costituita ritualmente in giudizio, con comparsa del , chiedendo il rigetto delle domande attoree, perché infondate in fatto ed in diritto e, in via riconvenzionale, la condanna di. al pagamento di un corrispettivo per il godimento dell’abitazione di sua proprietà in cui erano convissuti entrambi fino alla separazione, pari € 500 mensili, per la complessiva somma di € 90.000, . alla restituzione della somma di € 12.135,00, dall’attore prelevata dal conto corrente comune in modo asseritamente arbitrario, . alla restituzione della somma di € 24.925,00, corrisposta dalla convenuta con assegno

Il Tribunale ha trattenuto la causa in decisione ed ha quindi pronunciato la sentenza oggetto della presente impugnazione.
4) La decisione Tribunale di Milano Il Tribunale di Milano ha così deciso:
“1) condanna parte convenuta a pagare in favore di parte attrice la somma di euro 70.000,00, oltre interessi legali dal 2) condanna parte attrice a pagare in favore di parte convenuta la somma di euro 24.925,00;
3) rigetta le altre domande di parte convenuta;
4) compensa le spese di giudizio nella misura di ½ e condanna parte convenuta a rimborsare in favore di parte attrice la rimanente quota, che liquida nella misura già ridotta di euro 6.715,00 per compensi ed euro 393,00 per spese esenti.

A sostegno della propria decisione il Tribunale ha esposto quanto segue.

1) Con riguardo alla richiesta di restituzione del prestito di € 70.000, concesso dall’attore alla convenuta per sostenere le spese di ristrutturazione di un immobile di proprietà di questa sito in , la domanda dell’attore è fondata.

L’attore ha infatti provato documentalmente il versamento della predetta somma di denaro a favore della convenuta mediante tre bonifici:

in data per € 20.000, in data per € 25.000 e in data 576/2014 per € 25.000;

l’attore ha altresì prodotto l’estratto del proprio conto corrente, sul quale sono stati registrati i predetti bonifici, che recano tutti la causale: “prestito per lavori ristrutturazione casa”.

La causale è indicata da chi effettua il bonifico e quindi essa non dimostra di per sé un accordo delle parti sulla stessa;
tuttavia la causale è visibile anche al beneficiario e la convenuta non ha allegato, né provato, di aver mai contestato la causale di prestito, né all’epoca dei bonifici, né quando l’attore ha cominciato a chiedere la restituzione della somma in data

Pertanto le circostanze evidenziate dimostrano il versamento della somma, la volontà dell’attore di effettuare un prestito e costituiscono altresì una presunzione in tale senso anche per la condotta della convenuta.

Nella fattispecie in esame, inoltre, i versamenti dell’attore sono intervenuti oltre un anno e mezzo dopo la cessazione della convivenza;
in questa situazione non si può presumere che la prestazione patrimoniale sia ancora ascrivibile ai doveri derivanti dall’unione, cessata da tempo, e quindi non sia ripetibile ai sensi dell’art. 2034 c.c., ma occorre verificare se le parti abbiamo manifestato una volontà in tal senso.

L’attore però fin dall’origine ha qualificato i versamenti come prestiti e nulla ha contestato la convenuta fino alla costituzione in giudizio;

tale circostanza, valutata unitamente al fatto che la convivenza era cessata da oltre un anno e mezzo, consente di ritenere provata la causale di mutuo per i versamenti in questione.

2) Con riguardo alla richiesta di restituzione del prestito di € 24.925, asseritamente concesso dalla per fare fronte ad esigenze della figlia da lui avuta da altra relazione, la domanda della convenuta è fondata.

L’eccezione di prescrizione sollevata dall’attore è infatti infondata, perché l’assegno di euro 24.925 è stato tratto in data , mentre la comparsa di risposta, contenente la domanda riconvenzionale, è stata depositata in data e quindi prima dello scadere del termine decennale.

L’attore nulla di specifico ha contestato in ordine al prestito allegato dalla convenuta e pertanto la circostanza deve ritenersi pacifica, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., perché non contestata nella prima difesa utile;

le contestazioni in fatto, svolte solo nelle memorie di trattazione, sono tardive e quindi non possono essere esaminate.

3) Con riguardo alla richiesta di restituzione dei prelievi arbitrari per l’importo complessivo di € 12.135, che l’attore avrebbe “arbitrariamente” trasferito dal c/c cointestato ad un suo conto personale tra il , la domanda della convenuta è infondata.

L’attore infatti ha allegato e adeguatamente documentato di aver trasferito nel periodo in questione (tra ) complessivamente € 28.306 dal suo conto personale al conto cointestato, a cui devono essere aggiunti € 8.907, corrispondenti ad emolumenti dell’attore accreditati sul c/c comune, risultanti dallo stesso estratto conto prodotto dalla convenuta.

Tali circostanze di fatto risultano documentalmente provate e non sono state contestate dalla convenuta.

Dai documenti sopra evidenziati risulta quindi che, nel periodo in questione, l’attore ha alimentato il conto comune per € 37.213,00, mentre ha prelevato euro 12.135;

ne deriva che egli ha contribuito alla cassa di famiglia per circa euro 25.000;

pertanto i giroconti effettuati in suo favore, dal punto di vista contrattuale, erano legittimi, in quanto l’attore era cointestatario del conto, e nella sostanza l’attore non ha sottratto somme necessarie per le esigenze della famiglia di fatto, avendo adeguatamente contribuito ai bisogni dell’unione.

4) Con riguardo alla richiesta di pagamento a carico dell’attore della somma di € 500 al mese per tutta la durata del rapporto, pari complessivamente a € 90.000, a titolo di canone di locazione per aver abitato nell’appartamento di proprietà della convenuta, la domanda di questa è palesemente infondata.

L’attore, infatti, ha abitato per 15 anni nell’immobile della convenuta non quale conduttore in forza di una locazione, ma quale parte della famiglia di fatto che la coppia ha costituito e padre delle due figlie nate da quell’unione.

Le unioni di fatto, quali formazioni sociali rilevanti ex art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza;
proprio in attuazione di tali doveri si deve presumere che parte convenuta abbia messo a disposizione dell’attore la sua abitazione.

5) Le difese delle parti nel giudizio di appello A) Nell’appello e nella comparsa conclusionale ha chiesto la riforma parziale dell’impugnata sentenza del Tribunale di Milano per i motivi di seguito esposti.

Quarta, nella propria memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c., si è limitato ad eccepire la prescrizione del credito, fatto valere in via riconvenzionale dalla , riservandosi di contestare “nella successiva memoria” “gli ulteriori crediti surrettiziamente richiesti dalla convenuta”;

nessuna contestazione specifica quindi è stata formulata dalla controparte, pertanto i fatti posti a fondamento della domanda riconvenzionale proposta da e quelli da questa dedotti, in opposizione alla domanda avversaria, devono ritenersi incontroversi e pacifici.

1) L’asserito credito per € 70.000, vantato da nei confronti di , a titolo di restituzione di un mutuo.
La somma di € 70.000, pur essendo stata versata dopo la fine della coabitazione, è stata utilizzata per soddisfare i bisogni abitativi delle due figlie e, cioè, per la ristrutturazione e creazione di due camerette (e tale circostanza non è stata contestata da , relative ad un immobile, nel quale aveva abitato ininterrottamente per quindici anni ed aveva, pertanto, contribuito, insieme alle ragazze, a renderlo bisognoso di interventi di restauro.

Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, sono da considerarsi irripetibili non solo le attribuzioni patrimoniali, effettuate nel corso della convivenza, ma anche quelle effettuate in relazione alla convivenza.

La somma messa dall’attore a disposizione della sua famiglia di fatto è stata utilizzata per la ristrutturazione e realizzazione di due camerette per le figlie minori, per soddisfare cioè le esigenze della prole, e quindi sono irripetibili in quanto effettuate “in relazione alla convivenza stessa”.

Il concetto di convivenza fa riferimento anche alla presenza dei figli minori, che continuano a convivere nella casa comune, ancorché con un solo genitore;

se dunque le contribuzioni avvengono per soddisfare i bisogni della famiglia e, soprattutto, dei figli minori, a nulla rileva la contestualità di tali contribuzioni con la convivenza, ben potendo avvenire anche dopo la fine della coabitazione, purché siano elargite “in relazione alla convivenza”, essendo la coabitazione un elemento secondario rispetto alla convivenza.

La prova del rapporto di convivenza dovrà essere ricavata dall’esame complessivo degli elementi che concorrono alla definizione del rapporto stesso, quali, ad esempio, la compartecipazione alle spese familiari e la reciproca assistenza morale e materiale, requisiti, questi ultimi, entrambi presenti nel caso di specie.

La domanda proposta a sensi dell’art. 2041 c.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 c.c., che esclude la proponibilità dell’azione nel caso in cui il danneggiato abbia la possibilità di esercitarne un’altra per ottenere il ristoro del presunto pregiudizio subito, come accaduto nella fattispecie in esame.

2) Il credito per € 24.925, vantato da nei confronti di a titolo di restituzione del prestito.

L’appellato non ha contestato all’udienza di prima comparizione di avere ricevuto personalmente da l’assegno per l’importo di € 24.925, pertanto la circostanza deve ritenersi pacifica, ai sensi dell’art. 115
c.p.c., essendo irrilevanti, in quanto tardive e perciò inammissibili, le contestazioni di fatto svolte nelle memorie successive di trattazione.

In particolare le modalità del prestito, il nome del richiedente ( , la consegna dell’assegno, da parte della allo stesso la successiva consegna alla figlia di quest’ultimo costituiscono quindi circostanze pacifiche, perché non contestate entro i termini di legge.

3) Il credito per € 90.000, vantato da nei confronti di a titolo di indennità di occupazione dell’appartamento di sua proprietà.

L’utilizzo dell’appartamento della da parte di è svincolato dall’ambito di applicabilità dell’art. 2034 c.c. e, conseguentemente, è una obbligazione coattivamente esigibile, per effetto della unilaterale interruzione della convivenza.

L’appellato, nella propria memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c., non ha contestato specificamente la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta circa il godimento dell’appartamento, essendosi limitato a chiederne il rigetto “in quanto infondata sia in fatto che in diritto, come l’espletanda istruttoria dimostrerà”, nonché ad eccepire la prescrizione del credito vantato dalla , ma soltanto per il periodo 1997-2010.

B) Nella comparsa di risposta e nella comparsa conclusionale ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale di Milano per i motivi di seguito esposti.

1) Il credito per € 70.000, vantato da nei confronti di , a titolo di restituzione di un mutuo.

La qualificazione giuridica della dazione di denaro da parte del è provata, documentalmente, nella causale degli ordini di bonifico, in cui è indicata chiaramente come “prestito per lavori ristrutturazione casa”.

Tale qualificazione non è mai stata contestata dalla , non avendo la stessa mai obbiettato alcunché nelle numerose Emails, inviate da in cui questi chiedeva la restituzione della somma concessa a titolo di mutuo.

Il Tribunale non ha accertato quale parte della casa sia stata ristrutturata da con la somma ricevuta da anche perché non è assolutamente credibile che la ristrutturazione di due camerette possa costare € 70.000;
grazie a tale ristrutturazione però il patrimonio della si è notevolmente arricchito, con contestuale depauperamento di quello dell’appellato.

La convivenza more uxorio tra le parti è durata dal 1997 al 2012 e i bonifici, relativi all’importo di € 70.000, sono stati effettuati nel 2014, quando la convivenza era cessata da oltre un anno e mezzo.

Tale prestazione non è pertanto ascrivibile ai doveri derivanti dalla filiazione, in quanto tali doveri sono sempre stati assolti da secondo le modalità prescritte e regolate dal Tribunale competente.

2) L’asserito credito per € 24.925 vantato da nei confronti di a titolo di restituzione del prestito.

Con riguardo alla richiesta di restituzione della somma di € 24.925,00 che, in base alla versione sostenuta da , sarebbero stati versati, a mezzo assegno, in favore di dalla produzione della copia dell’assegno in giudizio, effettuata da entrambe le parti, si evince, che l’accipiens dell’assegno non era bensì che non è figlia della , ma del solo La stessa , inoltre, ha prodotto (doc. 8 fasc.
1° grado) l’estratto conto, da cui emerge come l’assegno fosse stato tratto su di un conto corrente cointestato fra le parti, e, pertanto, sino a prova contraria (mai fornita), non poteva essere richiesta in restituzione l’intera somma.

Al riguardo, il giudice può sempre rilevare l’insussistenza di un fatto storico che emerga dalla produzione documentale, perfino in assenza di qualsivoglia eccezione o negazione della controparte, ma comunque la suddetta circostanza era stata reiteratamente contestata.

3) L’asserito credito per € 90.000, vantato da nei confronti di a titolo di indennità di occupazione dell’appartamento di sua proprietà.

L’impugnazione relativa al capo della sentenza inerente il rigetto della richiesta di pagamento di € 90.000 è inammissibile per violazione del disposto, di cui all’art. 345 c.1 c.p.c., atteso che controparte stessa ammette di aver mutato la causa petendi, contravvenendo al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., avendo cambiato il titolo della domanda riconvenzionale da un supposto contratto di locazione, in costanza di convivenza more uxorio, ad un incomprensibile “corrispettivo per l’interruzione della convivenza”, di cui è ignota la norma giustificatrice. La domanda relativa al pagamento di € 90.000, “a titolo di occupazione e godimento per il venir meno della condizione sospensiva della prosecuzione e permanenza della convivenza”, è comunque destituita di qualsivoglia fondamento giuridico, oltre ad essere ai limiti della comprensibilità, in quanto, secondo la tesi di controparte, il patto di convivenza configurerebbe un’obbligazione incoercibile e non azionabile, sottoposta alla condizione sospensiva della rottura del rapporto, quantificata in € 90.000, a titolo di occupazione e godimento. In ogni caso si reitera l’eccezione di prescrizione così come formulata in primo grado, per tutto il supposto credito vantato compreso tra il 1997 ed il 2010.

4) La compensazione delle spese di lite in primo grado.

La compensazione per metà delle spese di lite, operata dal Tribunale, non rispetta la proporzione delle domande accolte e respinte delle rispettive parti, pertanto lede il principio di cui all’art. 92.c.p.c.

6) La decisione della Corte d’Appello sui punti controversi La Corte d’appello ritiene di Milano ritiene di riformare parzialmente l’impugnata sentenza del Tribunale di Milano.

Innanzi tutto, si premette che non ha impugnato la parte della sentenza del Tribunale di Milano che ha respinto la sua richiesta di condanna di a restituirle la somma di € 12.135 per asseriti prelievi arbitrari.

Pertanto tale statuizione è diventata definitiva.
1) Il credito per € 70.000, vantato da nei confronti di , a titolo di restituzione di un mutuo.
Come sopra esposto nella parte in fatto, ha consegnato a la somma complessiva di € 70.000, per mezzo di tre bonifici effettuati tra aprile e , sulla cui causale, visibile anche al destinatario del pagamento, è esplicitamente indicato “prestito per lavori ristrutturazione casa”;

la nel ricevere tali somme non ha mai contestato la correttezza della causale apposta, né l’ha contestata quando, nel periodo da gennaio a ha chiesto la restituzione della somma in questione, da lui qualificata anche in tali richieste come prestito.

Nella fattispecie in esame dunque, a fronte dell’esplicita imputazione, effettuata dal soggetto che ha eseguito il pagamento, e a fronte della mancata tempestiva contestazione da parte della destinataria della somma dell’imputazione suddetta, era onere del soggetto che ha ricevuto il pagamento fornire la prova che il pagamento in questione avesse una causale differente da quella indicata dal soggetto che aveva eseguito il pagamento.

Nel presente giudizio l’appellante ha sostenuto che il pagamento suddetto costituiva l’adempimento di un’obbligazione naturale, ai sensi dell’art. 2034 c.c., in quanto era stato effettuato da “in relazione alla convivenza” e la somma, da lui corrisposta, era stata utilizzata per la ristrutturazione della camere da letto delle due figlie nate dalla loro unione, che avevano continuato ad abitare presso la casa della madre.

In primo luogo, però, le somme in questione sono state corrisposte da oltre un anno e mezzo dopo la cessazione della coabitazione tra i due e, quand’anche si ritenesse, come sostenuto da , che la cessazione della coabitazione potrebbe non far cessare la convivenza, era onere dell’appellante fornire la prova che tra la stessa e era comunque continuato il vincolo della convivenza, pur essendo pacificamente cessato da tempo l’elemento di fatto della coabitazione, ma nessuna prova è stata fornita in tal senso;
in particolare, non costituisce prova del permanere della convivenza, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la compartecipazione alle spese familiari e la reciproca assistenza morale e materiale (circostanze che, nella fattispecie in esame, a dire dell’appellante, sarebbero state presenti), in quanto tali elementi possono essere presenti (ed anzi possono anche essere parzialmente imposti da provvedimenti giudiziari) pure in caso di cessazione delle unioni di fatto, come quella che caratterizza la presente controversia. In secondo luogo, quand’anche fosse accertato che le somme in questione siano state utilizzate da per la ristrutturazione delle camere, utilizzate dalle due figlie minori comuni (rimaste con lei coabitanti), nei confronti delle quali ovviamente continuava a mantenere gli obblighi morali e patrimoniali derivati dalla paternità, da un lato, non è provato che fosse a conoscenza, nel momento in cui ha consegnato a le somme in questione, che le stesse dovessero essere utilizzate, anziché per generici lavori di ristrutturazione della casa di proprietà di (come risulta dalle causali dei bonifici), per specifici lavori di ristrutturazione delle camere delle figlie, dall’altro lato, in ogni caso, lo scopo suddetto, potrebbe tutt’al più giustificare come adempimento di un’obbligazione naturale, la concessione di un mutuo gratuito, senza cioè il pagamento di interessi da parte del mutuatario (come appunto è avvenuto), ma non potrebbe certo giustificare, per la sua evidente sproporzione, un arricchimento significativo (per l’importo di € 70.000) del patrimonio di un soggetto ), nei cui confronti non aveva più alcun dovere morale o sociale. In conclusione, come ritenuto dal Tribunale, deve ritenersi escluso che le somme in questione siano state corrisposte, da alla , in adempimento di un’obbligazione naturale del primo nei confronti della seconda.

2) Il credito per € 24.925, vantato da nei confronti di , a titolo di restituzione di un prestito.

Come sopra esposto nella parte in fatto, ha sottoscritto e consegnato a un assegno tratto dal conto corrente, di cui entrambi erano contitolari, in cui era indicato come beneficiario figlia del primo matrimonio di Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. (primo atto difensivo di successivo alla proposizione della domanda riconvenzionale da parte di ha solo contestato di dover restituire la somma in questione, in quanto l’assegno indicava come beneficiario e non lui.

Quarta cioè non ha contestato né che la somma suddetta avesse natura di mutuo e quindi dovesse essere restituita (essendo peraltro evidente che nessun dovere morale o sociale poteva gravare sulla nei confronti della figlia del convivente), né che l’assegno fosse stato consegnato a lui, per sopperire ad esigenze personali della figlia Pertanto, a prescindere dal fatto che il beneficiario finale dell’assegno fosse la figlia non vi è dubbio che l’obbligo di restituire la somma ricevuta sia stato assunto dallo stesso Dato però che l’assegno in questione, anche se sottoscritto da , è stato tratto dal conto corrente cointestato a e quindi, ai sensi degli art. 1854 e 1298 c.c., l’eventuale saldo attivo di tale conto si presume di spettanza in misura uguale per entrambi, è obbligato a restituire a solamente la metà del suddetto importo di € 24.925 e quindi la somma di € 12.462,50. 3) Il credito per € 90.000, vantato da nei confronti di , a titolo di indennità di occupazione dell’appartamento di sua proprietà.
Come sopra esposto nella parte in fatto, ha abitato presso la casa di proprietà di per circa quindici anni cioè per tutto il periodo in cui è durata la convivenza tra gli stessi.
Come già accertato dal Tribunale, è del tutto pacifico che tale permanenza di nell’abitazione in questione trovava la sua causa giustificatrice nel rapporto di convivenza, dallo stesso instaurato con , rapporto che aveva anche consentito la procreazione di due figlie comuni.
E’ quindi del tutto evidente che ha messo la sua casa a disposizione di e ne ha a questi consentito il godimento proprio in esecuzione dei doveri morali e sociali, presi in considerazione dall’art. 2034 c.c., e quindi è del tutto insussistente qualunque diritto di di ottenere la restituzione o comunque il pagamento di qualunque somma per l’avvenuto godimento anche da parte di dell’immobile, comunque abitato contemporaneamente anche da e dalle due figlie comuni.
D’altro canto mai nel corso del rapporto e neppure prima della proposizione della presente azione giudiziale da parte di aveva chiesto il pagamento di alcunché per il godimento suddetto.
4) La compensazione delle spese di lite in primo grado.
L’art. 92 c. 2 c.p.c., in caso di soccombenza reciproca, come è avvenuto in primo grado e come questa Corte conferma, consente la compensazione totale o parziale delle spese di lite, ma non prevede che la compensazione sia necessariamente rigorosamente proporzionale al valore delle domande accolte e respinte delle rispettive parti;
non sussiste, pertanto, la lesione della suddetta norma lamentata da Le spese di lite del presente grado, vista la reciproca soccombenza e attesa la particolare natura della causa, sono interamente compensate tra le parti.

La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, in parziale riforma dell’impugnata sentenza n. 7145 del Tribunale di Milano, pubblicata il , così dispone:

1) In riforma del capo n. 2 dell’impugnata sentenza del Tribunale di Milano, condanna a pagare a la somma di € 12.462,50, da quello ricevuta a titolo di prestito.
2) Conferma i capi n. 1, 3 e 4 dell’impugnata sentenza del Tribunale di Milano.
3) Compensa interamente tra le parti le spese di lite del giudizio d’appello.
4) Sussistono i presupposti di cui all’art. 13 c. 1 quater DPR 115/2002 per il pagamento a carico di dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Milano il Il Consigliere est. NOME COGNOME Il Presidente NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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Carmine Paul Alexander TEDESCO - Avvovato
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