REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI TORINO SEZIONE LAVORO Composta da:
Dott. NOME COGNOME PRESIDENTE Dott.ssa NOME COGNOME CONSIGLIERA Dott. NOME COGNOME CONSIGLIERE Rel.
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._321_2025_- N._R.G._00000162_2025 DEPOSITO_MINUTA_20_06_2025_ PUBBLICAZIONE_20_06_2025
nella causa di lavoro iscritta al n. 162/2025 R.G.L. promossa da:
(c.f. ), elettivamente domiciliata in Torino, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono per procura allegata al ricorso in appello APPELLANTE CONTRO (c.f. ), elettivamente domiciliato in Venaria Reale (TO), INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende per procura in calce all’atto di intervento volontario del 3.6.2024 APPELLATO E CONTRO (P.IVA ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Bussoleno (TO), INDIRIZZO APPELLATA CONTUMACE Oggetto: Opposizione atto di precetto
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
come da ricorso depositato il 26.3.2025 Per l’appellato :
come da memoria depositata il 6.6.2025 C.F. C.F. ha chiesto al Tribunale di Torino che fosse dichiarato privo di ogni effetto l’atto di precetto notificato il 4.3.2024 e conseguentemente che fosse accertato che la convenuta non avesse diritto a procedere ad esecuzione forzata.
A fondamento dell’opposizione la società ricorrente ha esposto che:
– il 29.3.2023 il Tribunale di Torino aveva emesso decreto ingiuntivo con il quale la società opponente era stata condannata al pagamento di € 10.989,52, oltre accessori;
– la società aveva corrisposto acconti, dal marzo 2023 al febbraio 2024 per complessivi € 5.900,00;
– con l’atto di precetto notificato il 4.3.2024 la convenuta aveva chiesto il pagamento dell’erroneo importo capitale di € 7.189,52, così come erroneo era il conteggio degli interessi, essendo altresì inserite voci di spesa non dovute.
La sig.ra si costituiva in giudizio eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva della società opponente e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.
Interveniva volontariamente in giudizio il sig. , eccependo in via preliminare il beneficium excussionis e, nel merito, aderendo alle ragioni di opposizione svolte dalla società ricorrente.
Tentata vanamente la conciliazione, il giudice del primo grado, con sentenza n. 560/2025, pubblicata il 26.2.2025 ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della società opponente, dichiarando la nullità dell’atto di precetto notificato dalla sig.ra nei confronti del sig. , condannando la società ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della sig.ra e quest’ultima alla rifusione delle spese di lite sostenute dal sig. Propone appello la sig.ra , formulando due motivi di appello.
Resiste il sig. cui il ricorso in appello risulta regolarmente notificato, non si è costituita in giudizio ed è stata dichiarata contumace.
All’udienza del 18.6.2025, all’esito della discussione dei difensori delle parti, il Collegio decideva la causa come da dispositivo contestualmente pubblicato.
2.
Con il primo motivo di appello la sig.ra lamenta il vizio della sentenza di primo grado con la quale il primo giudice, pur accogliendo correttamente l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della società ricorrente, aveva comunque pronunciato sul merito , va osservato che il sig. ha spiegato in giudizio un tempestivo intervento volontario ex art. 105 c.p.c., chiedendo di dichiarare la nullità del precetto notificatogli in violazione del beneficium excussionis.
Detto intervento deve essere qualificato quale atto di intervento adesivo autonomo (o litisconsortile).
In particolare, mediante questo tipo di intervento, il terzo fa valere un diritto incompatibile con la posizione di una o di alcune delle parti originarie, di tal guisa che all’accoglimento della domanda proposta dal terzo necessariamente corrisponde la soccombenza di quelle che rappresentano un avversario comune.
Questo tipo di intervento implica un allargamento dell’oggetto del processo e attribuisce al terzo la qualità di parte unitamente a tutti i poteri connessi a tale posizione.
Ciò significa che, indipendentemente dal difetto di legittimazione attiva della parte ricorrente, il giudice deve scrutinare la domanda proposta dal terzo intervenuto, il quale ha assunto la qualità di parte ed ha formulato la propria domanda, nella specie, nei confronti della parte convenuta del primo grado, sig.ra Il difetto di legittimazione attiva comporta unicamente l’inammissibilità della domanda formulata dalla parte non legittimata attivamente e l’impossibilità per il giudice di pronunciarsi nel merito di detta domanda, ma non anche la nullità dell’intero giudizio ove sia formulata domanda da parte del terzo intervenuto, per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Il terzo intervenuto può, dunque, far valere domande anche diverse da quelle già proposte dalla parte ricorrente, purché connesse per l’oggetto, circostanza verificatasi nella specie, ove il sig. ha fatto valere il beneficium excussionis avuto riguardo alla pretesa creditoria azionata dalla sig.ra direttamente nei propri confronti con il titolo esecutivo opposto dalla Attraverso l’intervento adesivo autonomo il terzo propone una domanda che si affianca a quella già proposta dall’attore o, eventualmente, anche dal convenuto che abbia agito in riconvenzione e che si rivolge nei confronti di una o di tutte le altre parti, ma che bene avrebbe potuto essere proposta cumulativamente sin dal principio. Si verifica un cumulo di domande con la conseguenza che, seppure una possa essere dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione attiva della parte che l’ha proposta, l’altra può, al contrario, essere scrutinata nel merito e ciò anche a fini di economia tutto quanto sopra esposto, il primo motivo di appello non può che essere rigettato.
3. Con il secondo motivo di appello la sig.ra censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha accolto l’eccezione ex art. 2304 c.c., rilevando che vi era prova documentale che l’appellante aveva tentato infruttuosamente di agire esecutivamente nei confronti della società.
Sotto diverso profilo ha evidenziato che l’eccezione in parola non avrebbe potuto essere proposta, atteso che l’art. 2304 c.c. doveva intendersi riferito alla sola fase esecutiva non applicandosi all’atto di precetto.
Anche detto motivo di appello non può trovare accoglimento.
In primo luogo, non appare superfluo rammentare che il beneficio della preventiva escussione di cui all’art. 2304 c.c., costituisce vera e propria “condizione dell’azione esecutiva” nei confronti del socio illimitatamente e solidalmente responsabile e la sua inosservanza può essere eccepita da quest’ultimo mediante opposizione a norma dell’art. 615 c.p.c. (Cass. 12.4.1994, n. 3399; Cass. 23.12.1983, n. 7582).
Inoltre, come precisato dalla Suprema Corte con sentenza n. 15036 del 15.7.2005, “a questo fine non è necessario che l’esecuzione sia iniziata, bastando che sia semplicemente minacciata a mezzo del precetto”;
con la conseguenza che “il socio accomandatario, al quale sia intimato precetto di pagamento di un debito della società in accomandita semplice, può proporre opposizione a norma dell’art. 615 c.p.c. per fare valere il beneficio di preventiva escussione della società non appena gli sia notificato il precetto senza dovere attendere il pignoramento“.
In relazione al riparto dell’onere della prova, poi, come chiarito dalla Suprema Corte, a Sezioni Unite, con sentenza n. 28709 del 16.12.2020:
– se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale (venendo in rilievo, nella specie, il solo beneficium ordinis);
– se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è la parte creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale, a meno che non risulti “aliunde” dimostrata “in modo certo” l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito (come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata).
Con la conseguenza che, se “la prova della capienza è parziale” l’eccezione andrà che l’onere della prova gravi sul creditore”, come nella specie, “oppure sul coobbligato sussidiario” (in termini Cass. ord. n. 2981 dell’8.2.2021).
Applicando, dunque, i sopra esposti principi di diritto al caso di specie, ritiene questa Corte che, alla stregua dell’evidenza probatoria disponibile, la creditrice sociale appellante non abbia assolto all’onere della prova su di essa gravante in punto di infruttuosa escussione del patrimonio della società debitrice, quale condizione dell’azione esecutiva (preannunciata con il precetto opposto) nei confronti del socio illimitatamente responsabile.
Non appare, infatti, elemento sufficiente a far ritenere (come ipotizzato dall’appellante) l’incapienza patrimoniale tout court della società debitrice (id est, inesistenza di beni escutibili) il fatto che la creditrice aveva avviato procedura esecutiva presso terzi conclusa con ordinanza di assegnazione somme, asseritamente utilizzate unicamente per la rifusione degli esposti.
Tanto meno, poi, è prova idonea la mera allegazione contenuta nell’atto di precetto per la quale l’esecuzione tentata nei confronti della società debitrice si sarebbe rivelata incapiente, non essendovi alcuna prova di un tentativo di esecuzione forzata effettuata direttamente nei confronti della società.
Né valore dirimente assume, nella suesposta cornice probatoria, l’affermazione contenuta nella comparsa di intervento in primo grado del sig. ove si dichiara:
“Ad oggi parte creditrice seppur abbia azionato delle procedure esecutive nei confronti della società non escusso – e non ha fornito prova contraria – il patrimonio sociale ex art. 2304 c.c.”.
, in assenza di qualsivoglia puntuale allegazione e prova della insufficienza (totale o parziale) del patrimonio sociale (se del caso, all’esito delle risultanze della ricerca telematica ex art. 492 bis c.p.c., ispezioni ipotecarie, registro PRA, registri contabili della società) a garantire il soddisfacimento, anche coatto, del credito precettato (si veda, in merito, Cass. Sez. Lav. 03.03.2011 n. 5136, a mente della quale l’esito negativo del pignoramento presso terzi è inidoneo “a far ritenere certa l’incapienza del patrimonio societario, ben potendo la società disporre di altri beni sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito”; cfr. altresì sulla inidoneità finanche della dichiarazione di fallimento (ora liquidazione giudiziale) a dimostrare, per sé, l’insufficienza del patrimonio sociale, Cass. 11291/90, Cass. 2647/87, Cass. 4752/84;
ed ancora, in merito, si rileva che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che neppure sociale, tale da giustificare l’esecuzione nei confronti del socio che ha goduto del beneficium excussionis, essendo necessario che sia offerta la prova dell’impossibilità di soddisfacimento sul patrimonio sociale mediante la procedura concorsuale”, da ultimo Cass. n. 998/2022).
In conclusione, non risultando (sufficientemente) provata dalla creditrice sociale appellante, sulla quale gravava il relativo onere, la ricorrenza della condizione ex art. 2304 c.c. della previa infruttuosa escussione del patrimonio sociale per agire in executivis nei confronti del socio coobbligato solidale ‘in via sussidiaria’, deve confermarsi la sentenza di primo grado che ha dichiarato la nullità dell’atto di precetto opposto dal sig. perché notificato in violazione dell’art. 2304 c.c.
Anche la regolazione delle spese di lite in primo grado come operata dal giudice va confermata, attesa la soccombenza della sig.ra nei confronti del socio illimitatamente responsabile, sig.
4.
Il rigetto dell’appello comporta che le spese del presente grado siano poste a carico di parte appellante in favore dell’appellato costituito;
esse sono liquidate in dispositivo in conformità ai parametri vigenti tenuto conto del valore della causa e dell’attività difensiva svolta, escluso il compenso per la fase istruttoria non svolta.
Atteso che il procuratore del sig. (appellato) si è dichiarato antistatario, le spese di lite vengono distratte in suo favore.
Al rigetto dell’appello consegue ex lege (art. 1, commi 17-18, l. 228/2012) la dichiarazione che sussistono i presupposti per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.
Visto l’art. 437 c.p.c., respinge l’appello;
condanna l’appellante a rimborsare all’appellato le spese del presente grado, liquidate in euro 3.966, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA, con distrazione in favore del difensore antistatario;
dichiara la sussistenza delle condizioni per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.
Così deciso all’udienza del 18 giugno 2025 IL
CONSIGLIERE Est.
IL PRESIDENTE
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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