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Codice Civile
Codice Penale

Funzionamento di un impianto semaforico

Il funzionamento di un impianto semaforico può dare luogo a responsabilità dell’amministrazione tutte le volte che tale funzionamento sia difettoso.

Pubblicato il 04 March 2019 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO YYY
SEZIONE III CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 360/2019 pubblicata il 01/03/2019

nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. /2014 promossa da:

XXX (c. f. ), con il patrocinio dell’avv.

, domiciliato presso il difensore con indirizzo telematico

– parte attrice – nei confronti di:

COMUNE YYY (c. f.), con il patrocinio dell’avv.

, domiciliato presso il difensore con indirizzo telematico

– parte convenuta –

OGGETTO: Responsabilità derivante da cose in custodia ex art. 2051 c.c.

CONCLUSIONI

Conclusioni di parte attrice

Voglia il Tribunale adito, ogni contraria eccezione, deduzione ed istanza disattesa,

ACCERTARE e DICHIARARE l’esclusiva responsabilità del Comune YYY in ordine al verificarsi del sinistro per cui è causa e, per l’effetto, CONDANNARE il Comune YYY al risarcimento in favore del Sig. XXX di tutti i danni materiali e fisici patiti e patiendi in conseguenza del sinistro di cui in premessa, e così meglio specificati:

• la somma di € 3.700,00, quale valore commerciale del motociclo *** tg. , o la diversa somma accertanda e ritenuta equa dall’Adito Giudice, oltre interessi e rivalutazione dal saldo effettivo, per danno materiale;

• la somma di € 69.573,67 o la diversa somma accertanda e ritenuta equa dall’Adito Giudice, oltre interessi e rivalutazione a saldo effettivo, per danno alla persona. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.

Conclusioni di parte convenuta

Il procuratore del Comune YYY, riportandosi integralmente al contenuto dei propri scritti difensivi ed alle deduzioni svolte in corso di causa, insiste affinché codesto Ill.mo Tribunale, rigettata ogni avversa istanza, voglia:

1) rigettare la domanda dell’attore perché infondata in fatto e in diritto e in via subordinata qualora l’attore fornisca la prova della dinamica del sinistro come denunciata accertare e dichiarare la sua esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro per cui è causa;

2) in via ulteriormente subordinata, accertare la corresponsabilità del danneggiato nella causazione del sinistro per cui è causa e conseguentemente ridurre proporzionalmente la quota di risarcimento in capo al convenuto;

3) rigettare qualsiasi richiesta dell’istante in ordine al quantum;

Condannare l’attore alla rifusione delle spese di lite comprensive di IVA, CPA e rimborso spese generali.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. L’oggetto della controversia

XXX ha agito in giudizio deducendo:

– che il giorno 6.10.2010 alle ore 12.55, percorrendo via *** nel territorio *** alla guida del proprio motociclo *** tg., ha colliso contro il veicolo *** tg., di proprietà e condotto da ***, nei pressi dell’intersezione stradale con via;

– che a seguito dello stesso ha subito ingenti danni, patrimoniali e non patrimoniali, come riportato in atti;

– che il sinistro si è verificato come conseguenza del malfunzionamento dell’impianto semaforico, che producendo segnali contraddittori – in particolare il passaggio repentino della luce dal colore verde a quello giallo – non ha permesso di regolare la sua condotta in conformità;

– che il Comune YYY è tenuto a rispondere del danno quale custode ai sensi dell’art. 2051 c.c.;

L’attore ha chiesto di accertare l’esclusiva responsabilità del Comune YYY in ordine al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguente condanna al pagamento della somma di 3.700,00 euro, quale valore commerciale del motociclo, nonché la somma di 69.573.67 euro, oltre ad interessi e rivalutazione, per il danno alla persona.

Costituitosi in giudizio, il Comune YYY ha dedotto:

– che la causazione dell’evento dannoso è da imputarsi esclusivamente alla condotta colposa di parte attrice, la quale di fronte al malfunzionamento dell’impianto semaforico non ha adottato le corrette cautele imposte dal Codice della Strada;

– che in particolare non risulta provato che il semaforo sia passato improvvisamente dalla luce verde a quella gialla, ma che anzi esso segnalasse luce gialla lampeggiante da giorni, sicché esso non può qualificarsi come insidia imprevedibile e invisibile, dovendo anzi indurre gli utenti della strada a monitorare l’incrocio e a evitare il sopraggiungere di altri veicoli;

– che le stime circa al quantum del danno sono infondate e non provate.

Parte convenuta ha quindi chiesto il rigetto della domanda attorea con conseguente accertamento dell’esclusiva responsabilità di XXX nella causazione dell’evento dannoso e in via subordinata l’accertamento di un concorso colposo ex art. 1227, primo comma, c.c., con riduzione del risarcimento.

Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa.

2. La responsabilità

Ai fini della ricorrenza di una ipotesi di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., è necessario che il danno sia stato causato da una cosa (ossia un oggetto inanimato) che si trovi sotto la custodia di un determinato soggetto. La Cassazione (Cass. Civ. 4161/2019) è recentemente intervenuta con un intervento chiarificatore sulla fattispecie precisando che elemento imprescindibile e sufficiente della responsabilità ex art. 2051 c.c. è che vi sia un nesso eziologico diretto tra la cosa e l’evento dannoso (oltre che il conseguente danno).

Da tale previsione derivano due corollari.

Il primo corollario è l’irrilevanza di ogni profilo comportamentale del responsabile: responsabile del danno cagionato dalla cosa è sì colui che ha la cosa in custodia, ma il termine non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire la cosa, e quindi non rileva la violazione di detto obbligo, sicché il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente se la cosa ha provocato danni a terzi; per tale ragione la responsabilità è esclusa (solo) dal caso fortuito, che però rileva – anch’esso – solo sul piano oggettivo e causale, quale fattore interruttivo del nesso di causa che lega la cosa al danno.

Il secondo corollario è che il nesso causale deve coinvolgere, con ruolo efficace e diretto, la cosa in custodia, che, per la sua consistenza materiale e fisica o per la sua conformazione o per le sue anche contingenti condizioni, deve inserirsi nella sequenza causale e non rappresentare mera circostanza esterna o neutra o elemento passivo di una serie causale che si esaurisce all’interno di altri fattori. Sul punto, la Cassazione ha altresì chiarito che il requisito prescinde dalle caratteristiche della cosa custodita, sia quindi essa o meno pericolosa, essendo sufficiente, ma al contempo necessario, che la cosa costituisca momento in concreto dotato di “qualificata capacità eziologica” rispetto all’evento nella sua specificità. Ai fini della sussistenza del nesso causale tra cosa ed evento rilevano anche le modifiche improvvise della struttura della cosa, ove incidano in rapporto alle condizioni di tempo e divengano intrinseche condizioni della cosa stessa (Cass. Civ. 2481/2018; Cass. Civ. 2477/2018).

Così delineati in linea generale gli elementi caratterizzanti la fattispecie, anche un impianto semaforico può rientrare in tale nozione, laddove, generando segnali contraddittori che non permettono all’utente della strada di discernere tempestivamente il segnale valido, procuri uno scontro tra i veicoli che abbiano intrapreso l’incrocio stradale. In tale circostanza, la modificazione improvvisa della cosa, ossia il suo malfunzionamento contingente, assurge a condizione intrinseca della stessa, determinante il successivo scontro. E’ vero che l’incidente avviene anche per effetto della collisione delle autovetture, ma esso è pur sempre procurato dalla cosa, che si inserisce in maniera pregnante nella sequenza causale quale condicio sine qua non dello scontro e non come mera occasione dello stesso o teatro dell’incidente.

Sulla configurabilità dell’impianto semaforico malfunzionante come causa della responsabilità ex art. 2051 c.c. si è espressa Cass. Civ. 9915/1998: “Costituisce insidia o trabocchetto per gli utenti della strada, tale da rendere la p.a. – cui ne spetta la gestione e la manutenzione – responsabile dei fatti lesivi, quella costituita da segnali erronei o contraddittori nel caso ponga gli utenti nella impossibilità di discernere tempestivamente il segnale valido, e di regolare, di conseguenza, la propria condotta di guida; il funzionamento di un impianto semaforico può – pertanto – dare luogo a responsabilità dell’amministrazione tutte le volte che tale funzionamento sia difettoso per erroneità o contraddittorietà dei segnali, e così viene a realizzarsi una situazione di insidia nel caso in cui il semaforo segni verde per i veicoli provenienti da una direzione di marcia e proietti luce intermittente o non proietti alcuna luce – perché spenta – per i veicoli provenienti da altra direzione di marcia” (similmente cfr. Cass. Civ. 803/1991 e Tribunale di Firenze 10.12.1994).

Tale evidenza è avvalorata dal fatto che lo stesso legislatore all’art. 141, comma 18, del Codice della Strada prevede una norma cautelare volta a prevenire i possibili rischi derivanti dal venir meno dell’affidamento ingenerato dal funzionamento dell’impianto stesso.

All’esisto della presente istruttoria, risulta pienamente provato il malfunzionamento dell’impianto semaforico nei pressi dell’intersezione stradale tra via e via. La circostanza emerge già dalla verbalizzazione delle dichiarazioni rese da coloro che hanno assistito allo scontro, rinvenibili nel rapporto di incidente stradale prodotto dal Comune convenuto sub. doc. 2.

***, ad esempio, ha dichiarato: “mi fermavo alla striscia trasversale di arresto dell’impianto semaforico, perché avevo un dubbio sul funzionamento dell’impianto semaforico. Il dubbio era sorto in me dato che vedevo il colore giallo fisso da molti secondi, dato che notavo questa cosa già mentre mi approssimavo all’incrocio. Presumo che l’impianto semaforico si sia guastato, dato che già da due giorni era funzionante a lampeggio – ho certezza di questa cosa”.

*** ha dichiarato che il semaforo era lampeggiante.

***, titolare di un esercizio commerciale vicino al luogo del sinistro, ha confermato che il semaforo in quel momento non funzionava correttamente ed “era fisso sulla luce gialla” e “poco prima una mia cliente mi diceva che il semaforo … passava dal verde al giallo al rosso contemporaneamente”.

Dall’analisi di tali dichiarazioni emerge quindi un quadro assai contraddittorio, tale per cui il semaforo è stato visto proiettante da uno luce gialla fissa, da un altro luce gialla lampeggiante e da un altro ancora luce verde, gialla e rossa.

Altro supporto probatorio proviene dalla sentenza del Giudice di Pace YYY (doc. 7 att.), che con la sentenza n. 744/2013, ha annullato il verbale di contestazione della sanzione inflitta all’attore per violazione dell’art. 141, comma 3, del Codice della Strada (ossia non aver usato particolare diligenza nell’attraversamento dell’incrocio), per l’appunto in quanto dalle testimonianze è emerso che l’impianto semaforico era mal funzionante.

L’istruttoria espletata nel presente processo non ha fornito prove in contrasto con il quadro innanzi riportato: *** ha confermato il malfunzionamento del semaforo e *** ha ricordato di aver visto il semaforo giallo lampeggiante.

***, invece, ha dichiarato di non ricordare alcunché. Ciò è del tutto comprensibile alla luce del tempo trascorso fra il sinistro (6.10.2010) e la data dell’udienza (26.1.2016). Purtuttavia, il fatto che egli abbia reso le dichiarazioni innanzi riportate agli agenti di polizia è certo, atteso il valore di atto pubblico del rapporto di incidente stradale. Non si può tenere in considerazione la testimonianza di ***, conducente dell’altro veicolo interessato dallo scontro, rispetto alla quale la difesa di parte attrice ha efficacemente eccepito l’incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c..

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la vittima di un sinistro stradale è incapace a testimoniare nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altro danneggiato in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando né che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento, né che il relativo credito si sia prescritto, né che abbia già ottenuto il risarcimento, dovendosi valutare la capacità a monte, avuto riguardo al momento dell’evento e a prescindere da vicende successive che possano incidere sullo stato della pretesa risarcitoria (Cass. Civ. 12600/2018; Cass. Civ. 19258/2015; Cass. Civ. 16541/2012; Cass. Civ. 113585/2004; Cass. Civ.1580/1974).

Dalla complessiva analisi degli elementi probatori, quindi, deve concludersi che alla data del sinistro l’impianto semaforico posto all’intersezione tra via e viale non funzionava correttamente.

Non può accedersi alla tesi del Comune secondo cui, poiché il semaforo da alcuni giorni proiettava luce gialla lampeggiante, non è possibile ritenerlo “insidioso” e foriero di responsabilità ex art. 2051 c.c..

Come osservato innanzi, il semaforo è stato visto proiettare segnali contraddittori (verde, giallo fisso, giallo lampeggiante e rosso) tali da confondere gli utenti della strada, inducendoli a percorrere un incrocio nell’incertezza del comportamento altrui e del sopraggiungere di altri veicoli.

Lo scontro, quindi, non può ritenersi conseguenza della sola condotta degli utenti, bensì provocato per l’appunto dalla contraddittorietà della segnaletica stradale apposta all’incrocio. Poiché la stessa è in custodia del Comune, quest’ultimo deve rispondere del danno a norma dell’art. 2051 c.c..

Non coglie nel segno neppure la difesa comunale secondo cui il semaforo è un bene pubblico soggetto al continuo utilizzo da parte dei terzi e non consente una vigilanza e un controllo idoneo a evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo.

La giurisprudenza ha da lungo tempo affermato che il carattere pubblico del bene e la difficoltà di avere sullo stesso un controllo effettivo non escludono in alcun modo la responsabilità della Pubblica Amministrazione ai sensi dell’art. 2051 c.c. (Cass. Civ. 24529/2009; Cass. Civ. 21508/2011; Cass. Civ. 7805/2017). Ciò d’altronde si giustifica alla luce del carattere oggettivo della responsabilità, che – come premesso – prescinde dalla concreta violazione di obblighi di controllo e manutenzione.

Ciò posto, la responsabilità dell’art. 2051 c.c. può essere esclusa o diminuita se l’evento sia stato provocato, rispettivamente in tutto o in parte, dal comportamento dello stesso danneggiato. E’ possibile difatti applicare alla fattispecie l’art. 1227, primo comma, c.c. laddove il comportamento del danneggiato abbia inciso sul nesso causale, interrompendolo (e ciò assurge a caso fortuito escludente la responsabilità) oppure concorrendo alla provocazione dell’evento (in tale ipotesi determinando una diminuzione del risarcimento in proporzione all’incidenza eziologica della sua condotta). In tal senso si è espressa, ex multis, Cass. Civ. 15384/2006: “Tanto in ipotesi di responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di beni demaniali esclude la responsabilità della pubblica amministrazione soltanto se è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra le cause precedenti e l’evento, integrando altrimenti un concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità in proporzione all’incidenza causale del predetto comportamento”.

Nel caso di specie, è emerso che XXX non si abbia rallentato all’incrocio né abbia dato la precedenza a ***, tenuto conto che:

– *** ha riferito agli agenti di polizia (doc. 2 conv.): “ho visto la moto che non rallentava impegnando l’incrocio senza cedere la precedenza e sentivo un forte colpo” – e che l’incrocio era presidiato da segnaletica verticale di “dare precedenza”.

Tra l’altro, siffatte allegazioni, espresse dal Comune YYY in comparsa di costituzione e risposta, non sono state tempestivamente contestate, atteso che attrice non ha depositato la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c. deputata a prendere posizione sulle allegazioni avversarie.

Si tenga conto che è regola generale di prudenza, codificata anche all’art. 141 del Codice della Strada, quella che impone agli utenti di rallentare alle intersezioni stradali, ciò a prescindere dalla esistenza o meno di segnaletica semaforica.

Pertanto, ferma la rilevanza causale del malfunzionante impianto semaforico, la condotta colposa di XXX ha concorso alla determinazione dello scontro, ciò imponendo una diminuzione della pretesa risarcitoria a norma dell’art. 1227, primo comma, c.c..

Circa la concreta determinazione del concorso del danneggiato, tenuto conto della condotta consistentemente imprudente di quest’ultimo anche a fronte dell’esistenza di segnaletica verticale fissa, si ritiene che il comportamento di XXX abbia avuto pari incidenza causale nella verificazione del sinistro, con conseguente riduzione del risarcimento riconosciutogli nella misura del 50%.

3. Il danno

Premesso che in termini di danno, è onere del danneggiato provare i pregiudizi subiti, si impone il rigetto della richiesta di risarcimento della somma di euro 3.700,00 quale valore commerciale del motociclo *** tg, in quanto non supportata da alcuna evidenza documentale.

Risulta viceversa provato il danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’integrità psico-fisica dell’attore, alla luce della documentazione medica prodotta e degli esiti della CTU, che sono pienamente condivisibili, in quanto basati sull’analisi della documentazione in atti e sulla visita del periziato. D’altra parte, la difesa di parte convenuta non ha presentato osservazioni e l’ausiliario del giudice ha efficacemente e puntualmente risposto alle osservazioni del CTP di parte attrice.

La CTU ha permesso di accertare che, in conseguenza causale del sinistro, l’attore ha riportato una invalidità permanente nella misura dell’8% e i seguenti periodi di invalidità temporanea:

– 2 giorni al 100 %;

– 30 giorni al 75%;

– 30 giorni al 50 %; – 30 giorni al 25 %.

Stante il carattere “micropermanente” delle lesioni, per la quantificazione del danno si devono seguire i parametri di cui all’art. 139 del codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/2005, in breve c.d.a.).

Per quanto concerne il punto base, si ritiene di dover fare riferimento a quello indicato all’art. 139 c.d.a. come modificato dalla l. 124/2017 (entrata in vigore il 29.8.2017), oggi espresso in euro 795,91 e non al punto base indicato nel d.m. 17.7.2017 anteriore alla riforma di legge, pari a euro 803,79. Infatti, le norme che dettano criteri per la determinazione del risarcimento, in quanto finalizzate a indirizzare il giudice al momento della liquidazione del danno, trovano applicazione nella versione vigente al momento in cui tale liquidazione viene operata, perciò al momento della decisione.

In applicazione dei suddetti criteri, tenuto conto dell’età del danneggiato al momento dell’evento dannoso (30 anni) e della percentuale di invalidità permanente attribuita all’intervento (8%), si perviene ad una prima liquidazione di euro 8.452,56.

All’attore spetta poi il risarcimento del danno da invalidità temporanea, liquidato concordemente al parametro di cui all’art. 139 c.d.a. nella misura di euro 1.850,40.

E’ infondata la richiesta di una separata liquidazione del danno morale. Ciò in quanto, il carattere omnicomprensivo del danno non patrimoniale impone di dover liquidare unitariamente tutte le conseguenze pregiudizievoli che si pongono in rapporto di omogeneità con la lesione allegata, ivi incluse le sofferenze intimistiche e le sofferenze esteriori manifestatesi nella vita dei danneggiati (sul punto Cass. Civ. 901/2018). Inoltre, per orientamento consolidato della giurisprudenza, il carattere omnicomprensivo del risarcimento è strettamente correlato, da un lato, al carattere unitario dello stesso, nel senso che non si possono attribuire nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo a molteplici liquidazioni, e, dall’altro lato, al principio della domanda e della prova, che impedisce al giudice di risarcire pregiudizi che non trovano alcuna correlazione nelle allegazioni e nelle prove offerte dalle parti (Cass. Civ. S.U. 26972/2008; Cass. Civ. 4379/2016; Cass. Civ. 901/2018). Ne consegue che eventuali sofferenze interiori possono al più giustificare una personalizzazione del danno tabellare e non certo una liquidazione ulteriore e che a tale personalizzazione è possibile accedere unicamente laddove si dimostri che l’evento ha cagionato una sofferenza particolarmente accentuata, tale da giustificare il riconoscimento di un quantum aggiuntivo rispetto a quello rinvenibile dall’applicazione dei parametri legali.

Nel caso in esame, non può esser riconosciuto alcun aumento personalizzato, poiché parte attrice non ha allegato – e tantomeno dimostrato – l’esistenza di circostanze da cui desumere un danno maggiore rispetto all’ipotesi di invalidità media contemplata dal punto tabellare. Neppure può essere tenuta in considerazione a tal fine la perdurata assenza dal lavoro – come constatata dalla CTU – trattandosi di una conseguenza normalmente correlata alle invalidità temporanee innanzi riscontrate.

Dalla sommatoria delle voci risarcitorie innanzi riconosciute ed effettuata la dimidiazione del 50% in applicazione del disposto dell’art. 1227, primo comma, c.c. risulta che il credito risarcitorio spettante ad XXX ammonta a complessivi euro 5.151,48.

Il risarcimento – in quanto debito di valore – è quantificato in moneta attuale perciò non spetta la rivalutazione monetaria.

Su tale importo devono essere riconosciuti, quali componenti del risarcimento, gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Essi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 1712/1995), decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata.

Pertanto, in applicazione di siffatte indicazioni, il credito risarcitorio spettante ad XXX, comprensivo degli interessi sulla somma via via rivalutata, ammonta a euro 5.594,92.

Da oggi sino al saldo decorrono gli interessi legali.

4. Le spese

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, sulla base dei parametri minimi di cui al d.m. 55/2014 rapportati alla somma riconosciuta all’attore, tenuto conto del basso valore di tale somma rispetto allo scaglione di riferimento.

In applicazione del criterio della soccombenza, devono essere poste a carico di parte convenuta le spese della CTU, già liquidate con separato decreto.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:

1) accerta la responsabilità di parte convenuta nella provocazione dell’incidente di cui in narrativa, con il concorso colposo dell’attore e conseguente riduzione della responsabilità ascritta a parte convenuta nella misura del 50%;

2) condanna parte convenuta a corrispondere in favore di parte attrice la somma di euro 5.594,92 oltre interessi legali da oggi al saldo;

3) condanna parte convenuta a rifondere in favore di parte attrice le spese di giudizio, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, C.P.A. e

I.V.A. come per legge;

4) pone a definitivo carico di parte convenuta le spese della CTU.

Busto Arsizio, 1 marzo 2019

Il giudice

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