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Anatocismo e commissione di massimo scoperto

La sentenza definisce la validità delle clausole anatocistiche alla luce della normativa vigente, distinguendo tra periodi pre e post 2014. Si analizza inoltre la determinatezza della commissione di massimo scoperto e si esclude la configurabilità dell’usura. Infine, si ribadisce l’inammissibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito in costanza di rapporto, confermando invece la possibilità di richiedere l’accertamento negativo.

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Pubblicato il 24 giugno 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

N. 715/2021 R.G.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte D’Appello di Torino Prima sezione civile nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._542_2025_- N._R.G._00000715_2021 DEPOSITO_MINUTA_19_06_2025_ PUBBLICAZIONE_19_06_2025

Nel procedimento civile di appello iscritto al n. di R.G. 715/2021 e promosso da:

C.F. ;

P.I con Sede Sociale Torino INDIRIZZO, in persona dell’avv. NOME COGNOME qui rappresentata e difesa, per delega 19.3.2021 allegata ex art. 83 comma 3 c.p.c dall’avv. NOME COGNOME con studio in Novara, giusta costituzione di nuovo difensore (ed ivi allegata procura speciale ex art. 83, 3° co, cpc), in data 11.10.2024 parte appellante Contro (P.IVA: ), con sede legale in Torino (TO) alla INDIRIZZO in persona del suo titolare e legale rapp.te p.t., Sig.ra (C.F.: , rappresentata e difesa in virtù di procura allegata ex art. 83 comma 3 c.p.c dall’avv. NOME COGNOMEC.F. Avv. NOME COGNOMEC.F: , rappresentato e difeso da se stesso ed elettivamente domiciliato in Torino, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME;

parti appellate OGGETTO:

Contratti bancari – Appello avverso la sentenza del Tribunale di Vercelli n. 132/2021 C.F. C.F. C.F.

CONCLUSIONI

DELLE PARTI Per parte appellante:

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Torino, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, in riforma dell’impugnata sentenza n. 132/2021, resa dal Tribunale di Vercelli inter partes, così provvedere:

nel merito:

a) quanto a • dichiarare valide le clausole “anatocistiche” di pari capitalizzazione trimestrale, nonché quelle di applicazione delle CMS e di ius variandi, perché redatte in pieno rispetto alla normativa pro tempore vigente;

• dichiarare inesistenti gli interessi usurari, perché frutto di errato calcolo matematico (inclusione nel 1° addendo della “commissione disponibilità fondi”);

• in ogni caso, trattandosi al più d’usura sopravvenuta, dichiarare comunque la validità della clausola pattizia degli interessi, da calcolarsi entro i limiti di legge, con ogni seguente statuizione di legge ivi compresa la declaratoria dell’erroneità del dispositivo di sentenza ove dispone la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica;

• in ragione delle deduzioni e argomentazioni svolte nel presente appello, in accoglimento di questo gravame, rideterminare il saldo – a credito per la – del conto corrente n. CODICE_FISCALE/814 in euro 16.186,19 o nella verior somma risultante di giustizia all’esito di questo grado di giudizio.

Con vittoria di spese di doppio grado di giudizio.

” §§§ Ferme e richiamate le domande, deduzioni ed eccezioni proposte in primo grado, ai sensi e per gli effetti dell’art. 346 c.p.c., qui ritrascritte:

“In rito:

Dichiarare la nullità dell’atto di citazione – per il combinato disposto degli artt. 163, co.

3, n. 4 e 164, co. 4, c.p.c. – per carenza d’esposizione degli elementi fattuali inerenti alla genericità delle contestazioni (cfr. punto A.2.1.

dell’atto introduttivo) nonché allo jus variandi (cfr. punto A.3.2.).

Nel merito: o Preliminarmente respingersi ogni domanda relativa al c/c n. 1000/7894, chiuso nel 2004, per intervenuta prescrizione decennale;

o Respingersi altresì ogni altra domanda attinente al rapporto di c/c n.1000/814, risalente al decennio anteriore alla data di notifica della citazione, per intervenuta prescrizione;

o Dichiarare l’improcedibilità totale della domanda per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., relativamente alla richiesta di ripetizione dell’indebito, anche in ragione dell’attuale esistenza e operatività del conto corrente n. 1000/814;

o Mandare in ogni caso assolta la convenuta a ogni domanda ex adverso formulata, per tutte le ragioni illustrate in narrativa.

Con il favore di spese e competenze di lite, IVA e CPA di legge.

In via istruttoria:

nel denegato caso che il Tribunale ritenga di avvalersi della CTU al fine della decisione, si insta per la revisione della medesima, per essere la stessa il frutto di errori di calcolo e di diritto, come esplicitato in narrativa”” Per parte appellata:

“in via preliminare, osserva che il CTU ha eseguito il ricalcolo sino alla data del 30.09.2017, nel mentre in primo grado, il saldo è stato determinato, dalla decisione gravata e sulla scorta della CTU espletata, alla data del 21.12.2018, sussistendo – agli atti – idonea documentazione sul punto.

Chiede, pertanto, che il CTU Voglia estendere la propria indagine fino alla data del 21.12.2018, essendo presenti, agli atti di causa, i relativi estratti conto per essere stati depositati dall’Istituto di Credito in uno alla comparsa di risposta nel giudizio di primo grado (cfr. all.to 15).

Tale circostanza era stata già dedotta da parte appellata in sede di osservazioni alla bozza di CTU.

Nel merito e senza rinunciare alla precedente richiesta istruttoria, rassegna le seguenti conclusioni A) ACCERTARE E DICHIARARE la nullità e/o inefficacia delle obbligazioni determinanti la corresponsione di interessi passivi nella misura ultralegale, in riferimento al rapporto di conto corrente per cui è causa determinati in violazione dell’art. 1284 c.c. in epoca successiva all’entrata in vigore della Legge di Stabilità n. 147 del 27.12.2013;

RITENERE E DICHIARARE illegittime e, dunque, non dovute le somme corrisposte in relazione al dedotto rapporto di conto corrente a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, delle commissioni e delle spese per violazione dell’art. 1283 c.c., nonché l’inefficacia ed invalidità di tutte le variazioni delle condizioni contrattuali successive alla stipula del contratto e sfavorevoli all’istante;

RITENERE E DICHIARARE non dovute, per non essere state convenute, per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto ed in ogni caso perché prestazione prive di causa negoziale, le somme addebitate per commissione di massimo scoperto, di disponibilità fondi o commissioni comunque denominate calcolate in costanza di utilizzo del rapporto di conto corrente per cui è causa in aggiunta agli interessi passivi;

B) ACCERTARE E DICHIARARE per l’effetto l’esatto Dare – Avere tra le parti in base ai risultati delle risultanze istruttorie e sulla base dell’intera documentazione agli atti di causa;

C) ACCERTARE E DICHIARARE l’esatto saldo del conto corrente alla data dell’ultimo estratto conto disponibile e, per l’effetto, CONDANNARE la convenuta a rettificare il saldo del conto oggetto di causa, nonchè ad eseguire la corretta annotazione nella documentazione contabile, nonché a rettificare – con effetto retroattivo e dalla data del saldo siccome accertato – la segnalazione del nominativo degli appellati nella Centrale Rischi della Banca d’Italia e/o di ogni altro sistema di informazione creditizia pubblico o privato. Con vittoria di spese e competenze professionali di entrambe i gradi di giudizio da liquidarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario e competenze e spese di CTU a carico di parte appellante.

Chiede, infine, che la causa venga riservata per la decisione” CONCISA ESPOSIZIONE DELLE

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO 1. IL FATTO La controversia trae origine dai rapporti bancari intercorsi tra società operante nel commercio all’ingrosso di materiali da costruzione, e In particolare, la società aveva intrattenuto con la banca un primo rapporto di conto corrente n. NUMERO_DOCUMENTO, successivamente estinto in data 14 settembre 2004.

In data 2 settembre 2004, poco prima dell’estinzione del precedente rapporto, le parti avevano stipulato un nuovo contratto di conto corrente n. 1000/814 presso la Filiale di Murisengo dell’istituto di credito.

Il contratto originario prevedeva, tra l’altro, la capitalizzazione trimestrale degli interessi con pari periodicità per il dare e l’avere, un tasso debitore del 13,75% per lo scoperto di conto corrente, nonché l’applicazione di una commissione di massimo scoperto dell’1,5% sulle somme eccedenti l’affidamento.

Era inoltre prevista la facoltà per la banca di modificare unilateralmente le condizioni economiche nel rispetto della normativa sulla trasparenza bancaria.

Tale rapporto è stato interessato da successive modifiche contrattuali:

in data 9 novembre 2007 è stato trasformato in “Conto RAGIONE_SOCIALE” e successivamente, il 19 dicembre 2016, in “Conto RAGIONE_SOCIALE“.

A fronte della posizione debitoria della società, la banca ha progressivamente disciplinato e ridotto gli affidamenti mediante una serie di atti:

un contratto per linea di credito continuativa del 22 dicembre 2005 per euro 15.000,00 con tasso del 7,921%, un contratto di affidamento per smobilizzo portafoglio commerciale della stessa data per ulteriori euro 15.000,00, un analogo contratto dell’8 novembre 2006, seguiti da rinnovi in continuità dal 29 ottobre 2008 all’11 novembre 2015 e da un contratto quadro di affidamento del 1° dicembre 2015.

Gli affidamenti sono stati garantiti da fideiussioni personali rilasciate dalla sig.ra e dal sig. , conformi allo schema ABI 2003.

Nonostante tali interventi, lo scoperto di conto è progressivamente aumentato, passando da euro 16.186,19 al 31 dicembre 2016 a euro 20.862,13 al 31 dicembre 2018, fino a raggiungere euro 23.950,81 al 31 marzo 2019.

L’andamento del rapporto ha presentato ripetuti sconfinamenti oltre il massimo affidato, cui sono seguiti richiami della banca al rientro, generalmente ottemperati dalla correntista.

A partire dal 2016, l’istituto di credito ha rappresentato alla società l’esigenza di concordare una riduzione del fido finalizzata al progressivo totale rientro.

Tale proposta, che prevedeva un piano di rientro rateale, non ha tuttavia trovato l’accordo della correntista, che si è rifiutata di sottoscriverla.

La banca ha quindi dovuto riqualificare l’indice di affidabilità della società.

Nel corso del rapporto, la ha periodicamente inviato alla correntista gli estratti conto con l’indicazione delle condizioni applicate.

In particolare, negli estratti conto del periodo 2014-2015 veniva specificato che si era in attesa dei chiarimenti normativi necessari per l’applicazione delle modifiche all’art. 120 TUB relative al calcolo degli interessi.

Negli estratti successivi al 2016, in conformità alla nuova disciplina, veniva indicato che gli interessi debitori sarebbero stati conteggiati al 31 dicembre di ciascun anno e sarebbero divenuti esigibili il 1° marzo dell’anno successivo, con possibilità per il cliente di autorizzarne l’addebito in conto.

La documentazione bancaria dà inoltre atto che gli interessi sono stati conteggiati e applicati in misura inferiore a quella convenuta o modificata in base al contratto, al fine di rispettare il limite del tasso soglia previsto per il trimestre di riferimento dalla Legge 108/96, senza che ciò comportasse modifica delle condizioni economiche applicate al rapporto.

In questo contesto, la società ha contestato la legittimità degli addebiti operati dalla banca a titolo di interessi, commissioni e spese, promuovendo il giudizio di primo grado.

In particolare, ha dedotto l’illegittimità dell’anatocismo post 2014, l’indeterminatezza della commissione di massimo scoperto, l’usurarietà dei tassi applicati e l’illegittimo esercizio dello ius variandi, chiedendo la rideterminazione del saldo del conto corrente.

2.

LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

DI PRIMO GRADO

Con atto di citazione notificato il 21 dicembre 2018, unitamente ai fideiussori , ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Vercelli, contestando l’andamento del rapporto di conto corrente n. 1000/814 e la validità delle fideiussioni rilasciate.

La società attrice ha dedotto l’illegittimità degli addebiti operati dalla banca a titolo di interessi anatocistici, commissione di massimo scoperto e altre competenze, chiedendo l’accertamento della nullità delle relative clausole contrattuali e la conseguente rideterminazione del saldo del conto corrente.

I fideiussori hanno inoltre domandato la declaratoria di nullità delle garanzie per violazione della normativa antitrust, trattandosi di fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI 2003.

Si è costituita la banca convenuta eccependo preliminarmente la prescrizione delle domande relative al conto corrente n. 7894 (estinto) e di quelle concernenti il rapporto n. 1000/814 per il periodo antecedente il decennio dalla notifica della citazione.

Nel merito, ha contestato la fondatezza delle domande producendo copia del contratto di apertura del conto corrente del 2 settembre 2004, delle comunicazioni di modifica delle condizioni del 9 novembre 2007 e del 19 dicembre 2016, nonché gli estratti conto fino al 21 dicembre 2018.

La banca ha inoltre eccepito l’inammissibilità delle domande per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., stante la perdurante operatività del rapporto di conto corrente.

Esperiti gli incombenti ex art. 183 cpc, la causa è stata poi istruita mediante mediante c.t.u. tecnico- contabile.

Nel corso delle operazioni peritali sono emersi profili di criticità relativi alla capitalizzazione degli interessi post 2014, alla determinatezza della commissione di massimo scoperto e al superamento dei tassi soglia.

La banca ha contestato i criteri di calcolo adottati per la verifica dell’usura, evidenziando l’errata inclusione della commissione disponibilità fondi nel primo addendo della formula anziché tra le spese del secondo addendo.

All’udienza del 16 giugno 2020, tenutasi con trattazione scritta per l’emergenza sanitaria, gli attori hanno formalizzato la rinuncia alle domande relative ai contratti di fideiussione e al risarcimento danni per asserita illegittima segnalazione in Centrale Rischi, nonché alla conseguente richiesta di rettifica/cancellazione.

La causa è stata quindi trattenuta in decisione all’udienza del 19 novembre 2020, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. 3. DECISIONE OGGETTO DELL’IMPUGNAZIONE Con sentenza n. 132/2021 pubblicata in data 8 marzo 2021, il Tribunale ha accolto parzialmente le domande attoree, rideterminando il saldo del conto corrente n. 1000/814 alla data del 21 dicembre 2018 in euro 4.172,42 a debito del cliente.

La decisione ha dichiarato inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito e rigettato le ulteriori domande di parte attrice, condannando la banca alla rifusione di due terzi delle spese di lite in favore del difensore antistatario e disponendo la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica.

Il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande attoree, ha dunque rideterminato il saldo del rapporto di conto corrente n. 1000/814 alla data del 21 dicembre 2018 in euro 4.172,42 a debito del cliente, dichiarando inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito e rigettando le ulteriori domande di parte attrice.

La decisione ha altresì condannato la convenuta alla rifusione di due terzi delle spese di lite, da distrarsi in favore del difensore antistatario, oltre al pagamento delle spese di consulenza tecnica, disponendo infine la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per quanto di competenza.

La pronuncia ha fondato la propria decisione su una serie di articolate argomentazioni.

In primo luogo, il giudice ha ritenuto che la consulenza tecnica espletata in corso di causa avesse correttamente accertato l’illegittima applicazione di interessi anatocistici nei periodi in cui vigeva il relativo divieto, con conseguente espunzione dal ricalcolo degli addebiti effettuati dal 1° gennaio 2014 in quanto non conformi all’art. 120 TUB vigente né a quanto previsto dal 15 aprile 2016 a seguito del D.L. n. 18/2016.

In secondo luogo, la sentenza ha rilevato la nullità per indeterminatezza delle clausole relative alla commissione di massimo scoperto in relazione alle aperture di credito regolate sul conto corrente, a seguito delle modifiche contrattuali intervenute nel periodo dal 9 novembre 2007 sino al 1° dicembre 2015, disponendone pertanto l’eliminazione dal saldo.

Il Tribunale ha inoltre ritenuto fondata la contestazione relativa all’applicazione di interessi in misura difforme da quanto pattuito tra le parti, avendo l’indagine contabile confermato l’usurarietà del TEG applicato e calcolato sulla base dei criteri indicati dalla Banca d’Italia in relazione al periodo dal 1° gennaio 2014 al 1° aprile 2016 e nel primo trimestre 2017 e 2018.

Tale superamento del tasso-soglia è stato ricondotto all’illegittimo esercizio dello ius variandi da parte della con esclusione integrale degli interessi dal ricalcolo stante la loro natura usuraria.

Quanto alla commissione disponibilità fondi, la sentenza ha condiviso le conclusioni del consulente tecnico che l’ha considerata, nell’ambito della formula utilizzata dalla Banca d’Italia per il calcolo del TEG, tra le somme di cui al primo addendo quale maggiorazione del tasso applicato.

Il giudice ha inoltre ritenuto ammissibile la domanda di rideterminazione del saldo, qualificandola come azione di accertamento negativo non subordinata all’esistenza, individuazione e prova di un pagamento e pertanto proponibile anche in costanza di rapporto.

Ha invece dichiarato inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito, stante la perdurante operatività del conto corrente.

La decisione ha infine preso atto della rinuncia da parte degli attori alle domande relative ai contratti di fideiussione nonché a quella inerente al risarcimento danni per asserita illegittima segnalazione dei nominativi in Centrale Rischi Interbancaria della Banca d’Italia e alla conseguente richiesta di condanna alla relativa rettifica e/o cancellazione.

La sentenza è stata impugnata da con atto di citazione in appello notificato il 31 maggio 2021, con il quale la banca ha dedotto tre motivi di gravame:

il primo relativo all’errata valutazione della prova sulla rideterminazione del saldo passivo e sulla nullità delle clausole contrattuali, nonché all’omesso esame dei documenti prodotti dalla banca e alla violazione di legge quanto alla rilevazione di interessi usurari;

il secondo concernente l’inammissibilità dell’azione di ripetizione di indebito e di quella di accertamento;

il terzo riguardante l’eccezione di prescrizione per le operazioni sul conto corrente ancora aperto.

4. LE DIFESE DELLE PARTI

NEL GIUDIZIO DI APPELLO

Con atto di citazione notificato il 31 maggio 2021, ha proposto appello articolando tre motivi di gravame.

Con il primo motivo ha censurato l’errata valutazione delle prove operata dal Tribunale, in particolare contestando:

l’omesso esame del contratto originario del 2 settembre 2004 e delle successive modifiche ai fini della validità delle clausole relative ad anatocismo, commissione di massimo scoperto e ius variandi;

l’accertamento dell’usura, per errata inclusione della commissione disponibilità fondi nel primo addendo della formula di calcolo del TEG anziché tra le spese del secondo addendo.

L’appellante ha evidenziato come la CTU di primo grado avesse completamente obliterato il contenuto dell’originario contratto sottoscritto inter partes, così pervenendo a conclusioni erronee che il giudice aveva acriticamente recepito.

Con il secondo motivo ha dedotto l’inammissibilità dell’azione di ripetizione di indebito e di quella di accertamento in costanza di rapporto, richiamando l’insegnamento delle Sezioni Unite n. 24418/2010 secondo cui il correntista non può agire per la ripetizione di un pagamento non ancora avvenuto.

Tale inammissibilità si estenderebbe anche alla domanda di mero accertamento, in quanto propedeutica alla ripetizione.

Con il terzo motivo ha eccepito la prescrizione per le operazioni sul conto corrente n. 1000/814 ancora aperto, con particolare riferimento alle rimesse solutorie anteriori al decennio dalla notifica della citazione, in quanto effettuate su conto scoperto o attivo.

L’appellante ha quindi chiesto il rinnovo della consulenza tecnica e la riforma della sentenza con rideterminazione del saldo a proprio credito in euro 16.186,19, dichiarando valide le clausole anatocistiche, di CMS e ius variandi, nonché l’inesistenza di usura.

Costituendosi in giudizio con comparsa del 10 settembre 2021, preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c., in quanto l’appellante si sarebbe limitata a riproporre le difese già svolte in primo grado e rigettate con motivazione corretta ed esaustiva, senza articolare specifiche censure alla sentenza impugnata.

Ha inoltre dedotto la violazione dell’art. 342 c.p.c., non contenendo l’impugnazione una chiara individuazione delle questioni contestate e delle relative doglianze.

Nel merito, l’appellata ha sostenuto la correttezza della sentenza quanto all’anatocismo post 2014, richiamando la legge di stabilità n. 147/2013 che ha definitivamente cancellato tale pratica dal 1° gennaio 2014, con norma immediatamente precettiva ancorché il CICR non avesse ancora provveduto a precisare modalità e criteri di contabilità bancaria.

Ha inoltre confermato l’indeterminatezza della commissione di massimo scoperto e la sussistenza dell’usura, evidenziando come il superamento del tasso soglia fosse avvenuto per effetto dell’illegittimo esercizio dello ius variandi, in assenza di preventiva comunicazione al cliente.

Si è costituito anche l’avv. NOME COGNOME evocato in proprio quale antistatario delle spese di primo grado.

L’appellante ha successivamente manifestato la volontà di rinunciare alla domanda nei suoi confronti con note di trattazione scritta del 27 ottobre 2021, rinuncia ribadita in comparsa conclusionale del 13 maggio 2022, non seguita, peraltro, da formale accettazione da parte dell’interessato.

Nel corso del giudizio è intervenuta la sostituzione del difensore dell’appellante:

con comparsa del 3 ottobre 2023 si è costituito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che aveva formalizzato la rinuncia al mandato.

All’esito della rinnovata consulenza tecnica, le parti hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe, insistendo l’appellata per l’estensione dell’indagine contabile fino al 21 dicembre 2018, data alla quale il CTU di primo grado aveva rideterminato il saldo.

5. GLI ESITI DELLA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO Con ordinanza del 31 marzo 2023, la Corte ha disposto il rinnovo della consulenza tecnica, nominando il Prof. Dott. .

Il quesito richiedeva di ricalcolare il saldo del conto corrente n. 1000/814, previa verifica della completezza degli estratti conto e mantenendo il saldo iniziale del primo estratto disponibile.

Il consulente ha preliminarmente rilevato l’incompletezza della documentazione contabile, riscontrando l’assenza degli estratti conto scalari relativi al II-III-IV trimestre 2008 e degli estratti analitici di ottobre 2009 e aprile 2010.

Ha invece accertato la presenza degli estratti di ottobre e novembre 2013 tra la documentazione prodotta dalla banca.

Quanto agli affidamenti, il CTU ha assunto a riferimento gli importi indicati nei contratti versati in atti:

la linea di credito continuativa del 22 dicembre 2005 per euro 15.000,00 con tasso del 7,921%, l’affidamento per smobilizzo portafoglio della stessa data per euro 15.000,00, l’analogo contratto dell’8 novembre 2006, i rinnovi dal 29 ottobre 2008 all’11 novembre 2015 e il contratto quadro del 1° dicembre 2015.

In tema di anatocismo, il consulente ha riscontrato la specifica approvazione della clausola di reciprocità nella capitalizzazione dare-avere nel contratto del 2004, che recava anche l’indicazione del tasso effettivo annuo comprensivo della capitalizzazione trimestrale per le partite a credito e a debito extra-fido.

Ha rilevato invece che l’affidamento del 22 dicembre 2005 non indicava il tasso effettivo annuale per le partite intra-fido, presente solo nell’affidamento del 1° dicembre 2015.

Sulla commissione di massimo scoperto, il CTU ha ritenuto indeterminata la relativa clausola nel contratto del 2004, che indicava solo l’aliquota dell’1,5% con la dicitura “comm. m.s.t. per superi affidamento”, senza specificare la base di calcolo, e mancante il riferimento temporale trimestrale nell’affidamento del 2005.

Ha quindi eliminato i relativi addebiti per l’intero periodo di indagine.

Analogamente, ha sterilizzato la commissione di istruttoria veloce e la commissione disponibilità fondi sino alla pattuizione del 1° dicembre 2015.

In tema di usura, il consulente ha verificato il rispetto dei tassi soglia distintamente per ogni trimestre, operando fino al IV trimestre 2009 la separata comparazione del TEG e della CMS secondo il “regime del margine” indicato dalle Sezioni Unite n. 16303/2018, mentre dal I trimestre 2010 ha incluso la CMS, le spese e le remunerazioni nel secondo addendo della formula.

L’indagine non ha riscontrato alcun superamento dei tassi soglia nel periodo esaminato.

Con ordinanza del 22 ottobre 2024, la Corte ha disposto l’integrazione della consulenza, chiedendo al CTU di determinare il saldo alla data del 21 dicembre 2018 (“ove l’odierna parte appellata abbia a suo tempo prodotto estratti conto scalari e fogli competenze del conto corrente fino alla predetta data o, in difetto, al 31.12.16”) e di tenere conto, quanto alla decorrenza del divieto di anatocismo, della sentenza n. 21344/2024 della Cassazione, utilizzando inoltre il criterio del saldo ricalcolato per la verifica della natura solutoria/ripristinatoria delle rimesse. Nell’elaborato integrativo depositato il 3 febbraio 2025, il CTU ha dato atto che, in conformità alla citata sentenza della Cassazione, a far data dal 1° gennaio 2014 vige il divieto assoluto di anatocismo bancario, indipendentemente dall’adozione della delibera CICR.

Ha quindi sterilizzato l’effetto economico e finanziario dell’anatocismo per il periodo dal 1° gennaio 2014 al 1° ottobre 2016, calcolato quale prodotto fra il tasso applicato (nel caso di specie, il tasso di sostituzione), ricondotto su base trimestrale, e gli interessi cumulati del trimestre precedente.

All’esito degli accertamenti, il consulente ha prospettato due scenari alternativi di ricalcolo:

il primo, che non prevede rettifiche per anatocismo stante la specifica approvazione della relativa clausola, determina un saldo finale al 31 dicembre 2016 di euro 10.688,21 a debito del cliente;

il secondo, che sterilizza l’effetto anatocistico intra-fido sino al III trimestre 2015, determina un saldo finale di euro 5.438,17 sempre a debito del cliente.

Quanto all’estensione temporale dell’indagine, il CTU ha mantenuto quale data finale il 31 dicembre 2016, pur dando atto della presenza in atti degli estratti conto fino al 21 dicembre 2018, prodotti dalla banca con la comparsa di risposta in primo grado.

Ha rimesso alla Corte la valutazione sulla rilevanza dei movimenti successivi, evidenziando peraltro che per il periodo dal 31 dicembre 2016 al 30 settembre 2017 non sono emerse rettifiche da operare a titolo di interessi e altre competenze illegittime.

Alle risultanze peritali il consulente tecnico di parte appellante non ha mosso osservazioni, confermando la conformità dei calcoli ai criteri indicati nel quesito e condividendo in particolare l’accertata assenza di superamenti del tasso soglia antiusura.

Il consulente tecnico di parte appellata ha invece formulato due ordini di contestazioni.

In primo luogo, ha censurato la limitazione temporale dell’indagine, evidenziando come agli atti fossero presenti estratti conto fino al 21 dicembre 2018 e come il CTU di prime cure avesse rideterminato il saldo proprio a tale data.

Ha quindi chiesto l’integrazione della consulenza fino al 21 dicembre 2018.

In secondo luogo, ha insistito affinché la verifica delle rimesse solutorie venisse condotta sui saldi ricalcolati ovvero epurati di tutte le annotazioni illegittime come individuate sulla scorta del quesito, conformemente ai recenti orientamenti giurisprudenziali (Cass. nn. 3858/2021, 17634/2021 e 9141/2020).

Ciò in quanto non sarebbero ripetibili unicamente gli interessi passivi aventi natura solutoria, mentre diverrebbero esigibili tutti gli interessi ultra legali rappresentanti rimesse ripristinatorie.

Il CTU ha replicato alle osservazioni rilevando di aver limitato l’analisi alla data indicata nel quesito originario (31 dicembre 2016) e rimettendo alla Corte la valutazione sulla rilevanza dei movimenti successivi.

Quanto alla verifica della prescrizione, ha precisato che l’intervenuta prescrizione comporta l’estinzione del diritto alla ripetizione degli addebiti illegittimi, con la conseguenza che le rimesse prescritte sono cristallizzate e non comportano variazioni del perimetro d’indagine.

Ha richiamato sul punto la giurisprudenza della Corte d’Appello di Torino (sentenza n. 205/2017) secondo cui assumere a riferimento un saldo già epurato dagli addebiti illegittimi vanificherebbe l’effetto della prescrizione che comporta l’intangibilità delle somme versate in tale periodo.

6. TEMA DEL CONTENDERE La Corte è dunque chiamata a pronunciarsi sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 132/2021 del Tribunale di Vercelli che, in parziale accoglimento delle domande di ha rideterminato il saldo del conto corrente n. CODICE_FISCALE/814 in euro 4.172,42 a debito del cliente.

Il nucleo centrale della controversia ruota attorno alla validità delle clausole contenute nel contratto di conto corrente del 2 settembre 2004 e nelle successive modifiche.

In particolare, viene in rilievo l’efficacia della clausola di reciprocità nella capitalizzazione degli interessi, da coordinarsi con il divieto assoluto di anatocismo introdotto dall’art. 120 TUB a far data dal 1° gennaio 2014, come recentemente interpretato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21344/2024.

Correlata a tale questione è quella della determinatezza della commissione di massimo scoperto quanto a base di calcolo e periodicità, nonché della validità delle modifiche unilaterali delle condizioni economiche comunicate dalla banca attraverso gli estratti conto.

Sul piano tecnico, la controversia investe la correttezza della metodologia utilizzata per verificare l’eventuale superamento dei tassi soglia, con particolare riferimento alla collocazione della commissione disponibilità fondi nel calcolo del TEG e all’applicazione del c.d. “regime del margine” per il periodo anteriore al 2010.

La consulenza tecnica rinnovata in appello ha fornito sul punto conclusioni difformi rispetto a quelle raggiunte in primo grado, prospettando due scenari alternativi di ricalcolo che conducono a saldi finali significativamente diversi.

Sul versante processuale, persiste contestazione in ordine all’ammissibilità delle azioni esperite in costanza di rapporto, distinguendo tra domanda di accertamento e domanda di ripetizione.

Viene inoltre in discussione la metodologia da utilizzare per verificare la prescrizione, per stabilire se le rimesse solutorie vadano individuate sulla base del saldo banca o del saldo depurato degli addebiti illegittimi.

Particolare rilievo assume poi la questione dell’estensione temporale dell’indagine contabile, essendo stati prodotti dalla banca estratti conto fino al 21 dicembre 2018, la cui utilizzabilità è tuttavia controversa.

Peculiare posizione assume nel presente giudizio l’avv. COGNOME evocato quale appellato in proprio nella sua qualità di difensore antistatario delle spese di primo grado.

L’appellante ha rinunciato alla domanda, sebbene l’appellato COGNOME non consti avere espressamente accettato la rinuncia.

7.

MOTIVI DELLA DECISIONE

7.1 Il primo motivo di appello è fondato nella parte in cui censura l’omessa considerazione, da parte del primo giudice, del contratto originario del 2 settembre 2004 e delle successive modifiche ai fini della validità delle clausole relative ad anatocismo, commissione di massimo scoperto e ius variandi.

La rinnovata consulenza tecnica ha infatti evidenziato come il contratto originario contenesse la specifica approvazione della clausola di reciprocità nella capitalizzazione trimestrale degli interessi, prevedendo a pagina 3 che “i rapporti di dare e avere relativi ai conti creditori e debitori vengono chiusi contabilmente con identica periodicità trimestrale a fine marzo, giugno, settembre e dicembre, portando in conto, con valuta data di regolamento, gli interessi, le commissioni, le spese ed applicando le trattenute fiscali di legge”. Tale clausola risulta specificamente sottoscritta ex art. 1341 c.c. Quanto al periodo successivo al 1° gennaio 2014, come precisato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21344/2024 richiamata nell’ordinanza integrativa, vige il divieto assoluto di anatocismo bancario, indipendentemente dall’adozione della delibera CICR.

Il CTU ha correttamente sterilizzato l’effetto economico e finanziario dell’anatocismo per il periodo dal 1° gennaio 2014 al 1° ottobre 2016, calcolato quale prodotto fra il tasso applicato (nel caso di specie, il tasso di sostituzione) ricondotto su base trimestrale e gli interessi cumulati del trimestre precedente.

Per il periodo antecedente, il contratto reca l’indicazione del tasso effettivo annuo comprensivo della capitalizzazione trimestrale per le partite a credito e a debito extra-fido.

Come rilevato dal CTU, tuttavia, l’affidamento del 22 dicembre 2005 non indica il tasso effettivo annuale per le partite intra-fido, presente solo nel successivo affidamento del 1° dicembre 2015.

Tale circostanza impone di distinguere due scenari:

il primo, che mantiene la capitalizzazione in quanto specificamente approvata nel contratto originario;

il secondo, che sterilizza l’effetto anatocistico intra-fido sino al III trimestre 2015, come prospettato dal consulente.

La soluzione preferibile appare la prima, in quanto il documento del 22 dicembre 2005 si configura come mera riduzione degli affidamenti già concessi, con espresso rimando alla contrattualistica in essere (“per quanto non previsto, dalle Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi”) e applicazione di un tasso (7,921%) più favorevole al cliente rispetto a quello annuale per lo scoperto di conto corrente di cui al contratto originario.

Quanto allo ius variandi, l’art. 16 del contratto originario, specificamente sottoscritto ex art. 1341 c.c., prevede la facoltà della banca di modificare le condizioni economiche “rispettando in caso di variazione sfavorevole al Correntista, le disposizioni normative in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali di cui al D. Lgs n. 385/93 e alle relative disposizioni di attuazione”.

Le successive modifiche sono state comunicate al cliente attraverso gli estratti conto, come emerge dalla documentazione in atti.

In particolare, gli estratti conto del periodo 2014-2015 davano atto dell’attesa dei chiarimenti normativi per l’applicazione delle modifiche all’art. 120 TUB, mentre quelli successivi al 2016 indicavano le nuove modalità di conteggio degli interessi in adesione alla disciplina sopravvenuta.

La contestazione dell’appellata circa la mancanza di comunicazioni preventive non trova quindi riscontro nella documentazione prodotta.

Tale interpretazione trova conferma nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui la clausola di capitalizzazione degli interessi nei contratti post delibera CICR 2000 è valida solo se rispetta cumulativamente due condizioni:

la previsione della stessa periodicità nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi e l’espressa indicazione in contratto del tasso annuo effettivo che tenga conto degli effetti della capitalizzazione (Cass. civ. sez. I, ord. n. 10775/2024).

7.2

Quanto alla commissione di massimo scoperto, il CTU ha ritenuto indeterminata la relativa clausola nel contratto del 2004, che indicava solo l’aliquota dell’1,5% con la dicitura “comm. m.s.t. per superi affidamento”, senza specificare la base di calcolo, e mancante il riferimento temporale trimestrale nell’affidamento del 2005.

Tale valutazione è condivisibile.

Il contratto originario del 2004 prevede infatti la CMS in misura dell’1,5% sulle somme eccedenti l’affidamento, con individuazione chiara della percentuale, ma non della base di calcolo, indicata con formula opaca “comm. m.s.t. per superi affidamento” (contratto 2 settembre 2004 e nell’affidamento del 22 dicembe 2005 non risulta indicato il riferimento temporale trimestrale (o superiore).

La Suprema Corte ha infatti chiarito che “per il periodo anteriore alle modifiche normative apportate al TUB nel 2009 e nel 2012, la clausola recante la commissione di massimo scoperto deve ritenersi valida e satisfattiva dei requisiti di determinatezza o di determinabilità dell’oggetto qualora risultino previsti sia il tasso della commissione, sia i criteri di calcolo, sia la sua periodicità” (Cass. SS.UU. 20.6.2018 n. 16303).

Come chiarito dalla Suprema Corte, per i rapporti anteriori al 1° gennaio 2010, la verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta richiede una duplice e separata comparazione:

da un lato, il tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati va confrontato con il tasso soglia;

dall’altro, la commissione di massimo scoperto (CMS) applicata va raffrontata con la ‘CMS soglia’, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali.

L’eventuale eccedenza della CMS applicata rispetto alla CMS soglia può essere compensata con il ‘margine’ residuo degli interessi, dato dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi concretamente praticati” (Cass. civ. sez. I, ord. n. 6667/2025; Cass. civ. sez. I, ord. n. 5574/2025) La clausola di ius variandi, di contro, risulta validamente pattuita.

L’art. 16 del contratto originario, specificamente sottoscritto ex art. 1341 c.c., prevede la facoltà della banca di modificare le condizioni economiche “rispettando in caso di variazione sfavorevole al Correntista, le disposizioni normative in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali di cui al D. Lgs n. 385/93 e alle relative disposizioni di attuazione”.

Le successive modifiche sono state comunicate al cliente attraverso gli estratti conto, come emerge dalla documentazione in atti.

In particolare, gli estratti conto del periodo 2014-2015 davano atto dell’attesa dei chiarimenti normativi per l’applicazione delle modifiche all’art. 120 TUB, mentre quelli successivi al 2016 indicavano le nuove modalità di conteggio degli interessi in adesione alla disciplina sopravvenuta.

Ne consegue che il primo motivo di appello deve essere parzialmente accolto, dovendosi ritenere valide ed efficaci le clausole relative ad anatocismo e ius variandi contenute nel contratto originario e nelle successive modifiche, con conseguente adozione dello scenario di ricalcolo che non prevede rettifiche al saldo finale a tali titoli.

7.3 Quanto alla contestazione relativa all’usura, la consulenza tecnica d’ufficio rinnovata in appello ha fornito elementi che portano a ritenere fondato anche questo profilo di censura.

Il CTU ha verificato il rispetto dei tassi soglia distintamente per ogni trimestre, operando una duplice modalità di calcolo:

fino al IV trimestre 2009, ha effettuato la separata comparazione del TEG e della CMS secondo il “regime del margine” indicato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 16303/2018, compensando l’eventuale eccedenza della CMS applicata rispetto alla CMS soglia con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

Dal I trimestre 2010, ha invece incluso la CMS, le spese e le remunerazioni nel secondo addendo della formula, in conformità alle Istruzioni della Banca d’Italia aggiornate all’agosto 2009.

Tale metodologia risulta corretta in quanto, come evidenziato dal consulente tecnico di parte appellante nelle osservazioni alla CTU di primo grado, la commissione disponibilità fondi ha natura di “spesa” e non di interesse, dovendo quindi essere inclusa nel secondo addendo della formula di calcolo del TEG.

L’indagine così condotta non ha riscontrato alcun superamento dei tassi soglia nel periodo esaminato, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice sulla base della CTU di primo grado.

La divergenza dipende essenzialmente dall’errata inclusione, operata dal primo consulente, della commissione disponibilità fondi nel primo addendo della formula di calcolo del TEG, anziché tra le spese del secondo addendo, nonché dall’omessa applicazione del “regime del margine” per il periodo anteriore al 2010.

Il CTU ha infatti rilevato che, applicando correttamente i criteri di calcolo secondo le indicazioni della Banca d’Italia, non emerge alcuno sconfinamento del tasso soglia.

Tale conclusione trova conferma nelle tabelle di conteggio predisposte dal consulente tecnico di parte appellante (all. 4 CTU primo grado), che evidenziano il rispetto dei tassi soglia per tutto il periodo in esame.

La sentenza impugnata va pertanto riformata anche nella parte in cui ha ritenuto sussistente l’usura per effetto dell’illegittimo esercizio dello ius variandi.

Sul punto, va rilevato che la mera variazione unilaterale dei tassi, ove legittimamente comunicata nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 118 TUB, non può di per sé determinare il superamento della soglia usuraria, dovendosi verificare il rispetto di tale soglia sulla base dei criteri di calcolo normativamente previsti.

La metodologia di calcolo adottata dal CTU risulta infatti conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “la verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta richiede una duplice e separata comparazione del TEG degli interessi e della CMS, con compensazione delle eventuali eccedenze” per i rapporti anteriori al 2010, mentre per il periodo successivo “la verifica va condotta includendo la commissione di massimo scoperto nel calcolo del TEG” (Cass. civ. sez. I, ord. n. 18559/2023).

In base agli accertamenti esperiti nella presente sede, consta pertanto non provata la censura di usura oggettiva mossa dalla correntista ed in ragione della quale il primo giudice aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per gli accertamenti di competenza.

Resta il fatto che, pur accertata l’insussistenza di addebiti sotto il profilo in esame, non vi è margine per l’assunzione di determinazioni di carattere ordinatorio in relazione alla già intervenuta trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica che il primo giudice ha ritenuto di disporre, pur in presenza della sola eventuale integrazione del presupposto oggettivo dell’ipotesi di reato, peraltro per un periodo quanto mai ristretto, per importi modestissimi ed in assenza di qualsivoglia fumus dell’elemento soggettivo che avrebbe dovuto assistere la pretesa condotta illecita. 7.4 Ammissibilità dell’azione di accertamento e inammissibilità dell’azione di ripetizione Con il secondo motivo di appello, la banca contesta l’ammissibilità sia dell’azione di ripetizione che di quella di accertamento in costanza di rapporto di conto corrente.

La questione va risolta distinguendo le due azioni.

Quanto alla domanda di ripetizione dell’indebito, il motivo è fondato.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di conto corrente bancario, l’azione di ripetizione dell’indebito proposta prima della chiusura del conto si risolve nella mera rideterminazione del saldo depurato dalle annotazioni illegittime, senza comportare alcun obbligo restitutorio immediato a carico della banca (Cass. civ. sez. I, ord. n. 25594/2024).

Diversamente deve concludersi per l’azione di accertamento negativo.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il correntista ha interesse ad agire per l’accertamento giudiziale della nullità delle clausole contrattuali e la rideterminazione del saldo anche in costanza di rapporto, al fine di:

a) escludere per il futuro annotazioni illegittime;

b) ripristinare una maggiore estensione dell’affidamento eroso da addebiti contra legem;

c) ridurre l’importo che la banca potrà pretendere alla cessazione del rapporto (Cass. civ. sez. I, ord. n. 7697/2023).

Tale interesse è giuridicamente apprezzabile in quanto, come affermato dalla Suprema Corte, tale azione mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca potrà pretendere alla cessazione del rapporto (Cass. civ. sez. I, ord. n. 6707/2024).

Ne consegue che il secondo motivo di appello va accolto limitatamente alla domanda di ripetizione dell’indebito, confermandosi invece l’ammissibilità dell’azione di accertamento già ritenuta dal primo giudice.

7.5 Prescrizione e metodologia di verifica delle rimesse solutorie Con il terzo motivo di appello, la banca ha eccepito la prescrizione delle operazioni sul conto corrente n. 1000/814, con particolare riferimento alle rimesse solutorie anteriori al decennio dalla notifica della citazione.

La questione centrale attiene alla metodologia da utilizzare per verificare la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse ai fini della prescrizione.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito” (Cass. civ. sez. I, ord. n. 29374/2024).

Il dies a quo della prescrizione, infatti, “può decorrere solo per quella parte delle rimesse la cui funzione solutoria sia individuabile dopo la rettifica del saldo” (Cass. civ. sez. I, ord. n. 26897/2024).

Tale metodologia non viola l’art. 1422 c.c. sulla imprescrittibilità dell’azione di nullità, in quanto “rappresenta una mera operazione preventiva e legittima rispetto all’individuazione dei versamenti solutori, finalizzata a contrapporre una realtà giuridica a quella storica offerta dalla banca” (Cass. civ. sez. I, ord. n. 2602/2024).

Nel caso di specie, il CTU ha correttamente operato verificando preliminarmente la natura delle rimesse sul saldo rettificato, accertando che quelle solutorie tempo per tempo manifestatesi erano capienti rispetto alle competenze addebitate sino al III trimestre 2007 compreso, mentre il periodo successivo non poteva ritenersi prescritto in quanto non vi erano rimesse solutorie generatesi in epoca successiva tali da “coprire” le competenze via via addebitate.

Tale accertamento risulta conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui “nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito, di talché il dies a quo della prescrizione dell’azione inizia a decorrere soltanto per quella parte delle rimesse sul conto corrente eccedenti il limite dell’affidamento determinato dopo aver rettificato il saldo” (Cass. civ. sez. I, ord. n. 7721/2023).

Ne consegue che il terzo motivo di appello va respinto, dovendosi confermare la metodologia di verifica della prescrizione adottata dal CTU sulla base del saldo rettificato anziché del saldo banca.

7.6 Posizione dell’Avv. COGNOME L’Avv. NOME COGNOME è stato evocato in giudizio quale appellato in proprio, nella sua qualità di difensore antistatario e distrattario delle spese liquidate in primo grado.

L’appellante ha rinunciato alla domanda nei suoi confronti con note di trattazione scritta del 27.10.2021, rinuncia ribadita in comparsa conclusionale del 13.5.2022.

Tuttavia, non risulta agli atti una formale accettazione di tale rinuncia da parte dell’Avv. COGNOME

Al riguardo, va peraltro osservato che, pur non essendosi perfezionato il negozio processuale di rinuncia ex art. 306 c.p.c., la domanda proposta nei suoi confronti, avente sostanzialmente ad oggetto la retrocessione delle somme al legale distrattario direttamente versate in esecuzione della sentenza di primo grado, è in ogni caso venuta meno per espressa rinuncia della parte che l’ha formulata, talché, in ogni caso, su di essa non v’è più luogo a pronunciarsi.

7.7 Conclusioni e determinazione del saldo Per effetto delle statuizioni che precedono, occorre procedere alla determinazione del saldo finale del conto corrente, tenendo conto degli esiti della consulenza tecnica e delle questioni processuali emerse.

Il CTU ha prospettato due scenari alternativi di ricalcolo:

il primo, che non prevede rettifiche per anatocismo stante la specifica approvazione della relativa clausola, determina un saldo finale al 30 settembre 2017 di euro 11.689,77 a debito del cliente;

il secondo, che sterilizza l’effetto anatocistico intra- fido sino al III trimestre 2015, determina un saldo finale di euro 5.438,17 sempre a debito del cliente.

Deve ritenersi preferibile il primo scenario, in quanto:

– la clausola di anatocismo risulta specificamente approvata nel contratto originario del 2 settembre 2004;

– l’affidamento del 22 dicembre 2005, pur non recando l’indicazione del tasso effettivo annuale, si configura come mera riduzione degli affidamenti con rimando alla contrattualistica in essere;

– per il periodo dal 1° gennaio 2014 il CTU ha comunque sterilizzato l’effetto anatocistico in conformità alla sentenza della Cassazione n. 21344/2024.

Quanto all’estensione temporale dell’indagine, va rilevato che:

– il CTU ha svolto i propri accertamenti fino al 30 settembre 2017, data dell’ultimo estratto conto prodotto dalla parte appellata;

– per il periodo dal 31 dicembre 2016 al 30 settembre 2017 non sono emerse rettifiche da operare a titolo di interessi e altre competenze illegittime, né a titolo di usura o anatocismo;

– gli estratti conto successivi, pur presenti in atti in quanto prodotti dalla con la comparsa di risposta in primo grado, di là dell’invocata pertinenza, al riguardo, del principio di acquisizione processuale e, in tal caso, della loro utilizzabilità quanto meno per il periodo intercorrente fra il settembre 2017 e la notifica della domanda giudiziale, non emergono – tenuto conto della causa petendi azionata e, dunque, delle specifiche ragioni di censura dedotte e reiterate nel presente grado – addebiti illegittimi, né la parte appellata ha specificamente dedotto ragioni per le quali nel periodo successivo si sarebbero verificati addebiti illegittimi, talché ogni approfondimento istruttorio al riguardo sarebbe ultroneo. Pertanto, pur avendo la Corte disposto con ordinanza del 22 ottobre 2024 l’estensione dell’indagine contabile fino al 21 dicembre 2018, il saldo deve essere determinato alla data del 30 settembre 2017, non potendo utilizzare gli estratti conto successivi in quanto non prodotti dalla parte onerata della relativa prova.

In altri termini, parte appellante, attrice in primo grado, ha agito per ripetizione dell’indebito ed accertamento del saldo e prodotto estratti conto fino al 31.12.2016.

Dichiarata inammissibile la domanda di ripetizione, poiché non vi è allegazione e prova della chiusura ante causam del conto, ne è stata ritenuta comunque ammissibile la domanda di rettifica del saldo, per le ragioni sopra esposte, fondate sugli attuali indirizzi giurisprudenziali di legittimità;

essa, insiste, peraltro, nel richiedere che l’accertamento si spinga di due anni oltre la documentazione da essa prodotta, in quanto comunque acquisita agli atti, in ragione delle produzioni della controparte.

Il quesito integrativo disposto con ordinanza del 22.10.2024 ha espressamente autorizzato l’estensione dell’indagine temporale eventualmente sino al 31.12.2018 se e nella misura in cui la documentazione bancaria fosse stata prodotta dalla parte che avanza la domanda;

il CTU si è arrestato, in conformità al quesito, in ragione del fatto che la documentazione non è stata prodotta da quella parte.

Tuttavia, come sopra ricordato, ha esteso l’indagine fino al 30.9.2017 con il seguente risultato:

”Relativamente al periodo dal 31 dicembre 2016 (termine dell’indagine condotta – come da quesito peritale – in sede di Relazione depositata) al 30 settembre 2017, pare opportuno segnalare che – come agevolmente desumibile dal file excel di lavoro – in tale periodo non vi sono rettifiche a titolo di interessi e altre competenze illegittimi (attese le pattuizioni contrattuali analiticamente riportate nella Relazione depositata, alla quale si rimanda integralmente), né a titolo di usura (atteso il rispetto dei limiti di cui al tasso soglia da parte del T.E.G. determinato includendo la commissione di massimo scoperto, le spese e le remunerazioni nel secondo addendo della formula e tenendo conto dell’incidenza delle spese ricorrenti su base annua, secondo le Istruzioni della Banca d’Italia pro tempore vigenti) e di anatocismo (giacché non si genera effetto anatocistico conteggiato su base annuale e “differito” al 1° marzo dell’anno successivo in considerazione del termine del periodo d’indagine” (pag. 4 della relazione integrativa del 4.2.2025). In tale contesto processuale, deve escludersi che sussista, in capo alla parte appellata, un interesse concreto, attuale e giuridicamente apprezzabile all’ulteriore estensione della consulenza tecnica d’ufficio sino al 31 dicembre 2018, data dell’ultimo estratto conto disponibile e prodotto per iniziativa della controparte.

In primo luogo, come già evidenziato, l’accertamento contabile è stato effettuato sino al 30 settembre 2017 — limite temporale coincidente con l’ultimo documento prodotto direttamente dalla parte che agiva in rettifica — e non è suscettibile di ulteriore ampliamento in difetto di specifico quesito o autonoma produzione probatoria.

In secondo luogo, e soprattutto, la richiesta di estensione si fonda su una pretesa meramente astratta, priva di concreta allegazione di fatti nuovi, differenti o sopravvenuti, idonei a determinare una diversa quantificazione delle poste di rettifica già esaminate dal consulente.

Non risultano, infatti, dedotte né dimostrate condotte sopravvenute della banca, successive al settembre 2017, tali da integrare nuove o diverse causali di addebito illegittimo rispetto a quelle già riconosciute come tali nel periodo antecedente (quali interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto, spese non pattuite o anatocismo).

In mancanza di elementi sintomatici di un mutamento qualitativo nelle condizioni di conto, ogni ulteriore indagine contabile si risolverebbe in un inutile approfondimento istruttorio su dati meramente numerici, che non assumono rilievo autonomo ai fini della definizione della lite.

È noto, infatti, che nel caso di conto ancora aperto, quale quello oggetto di causa, l’interesse all’accertamento si correla alla rettifica del saldo con riferimento al periodo in cui si sono verificate le poste contestate;

ma laddove non si alleghi alcuna variazione nelle modalità di contabilizzazione o negli addebiti dopo tale periodo, il computo di un saldo in una data piuttosto che in un’altra si risolve in una valutazione puramente meccanica e inidonea a incidere sui diritti sostanziali, tanto più ove — come nel caso di specie — il margine economico complessivo risulti del tutto marginale.

L’accertamento integrativo disposto ed esperito, peraltro, non ha consentito di rilevare ulteriori poste astrattamente ripetibili e/o rettificabili, talché, in assenza di specifica deduzione ed allegazione in ordine alla concreta rilevanza della questione, alcun accertamento ulteriore può essere al riguardo accordato, in preteso ossequio ad un principio di acquisizione processuale che non può valere ad elidere integralmente e superare l’onere di allegazione della parte;

né si può escludere, peraltro, che l’estensione dell’accertamento finisca per risolversi in un puro incremento del debito del correntista, posto che la CTU disposta nel presente grado ha appunto condotto a rilevare un debito di quest’ultimo, sia pur variabile nel quantum a seconda delle diverse opzioni giuridico-contabili di computo.

Si accerta quindi che il saldo del conto corrente n. 1000/814 alla data del 30 settembre 2017 è pari a euro 11.689,77 a debito del correntista, con una differenza di euro 7545,48 rispetto al saldo banca di euro 19.235,25.

Tale soccombenza parziale giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, tenuto conto della complessità delle questioni trattate e degli esiti degli accertamenti tecnici.

Le spese di CTU del primo grado, già liquidate, e quelle del presente grado, come liquidate in corso di causa, vengono poste definitivamente a carico di entrambe le parti in pari misura tra le parti, in coerenza con l’esito complessivo del giudizio.

La Corte d’Appello di Torino, Sezione Prima Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 132/2021 del Tribunale di Vercelli, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede:

1) in parziale accoglimento dell’appello, riforma la sentenza impugnata e per l’effetto:

– dichiara inammissibile l’azione di ripetizione dell’indebito proposta da – accerta che il saldo del conto corrente n. 1000/814 alla data del 30 settembre 2017 è pari a euro 11.689,77 a debito del correntista;

2) compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio;

3) pone le spese di CTU di entrambi i gradi, come già liquidate, a carico di entrambe le parti in pari misura tra le parti;

4) dichiara non luogo a provvedere sulla domanda proposta – e poi rinunciata – da parte appellante nei confronti dell’appellato, avv. NOME COGNOME

Così deciso dalla prima sezione civile della Corte d’Appello di Torino, nella camera di consiglio del 30 maggio 2025.

Il Consigliere est. La Presidente dott. NOME COGNOME dr.ssa NOME COGNOME

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