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Codice Penale

Fondo di garanzia, TFR maturato

Il Fondo di Garanzia corrisponderà il TFR maturato alle dipendenze del cedente sino alla data del trasferimento.

Pubblicato il 22 November 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

CORTE DI APPELLO di ROMA

IV Sezione Lavoro La Corte composta dai signori magistrati:

All’udienza del 09/11/2021 nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2328/2019 del Ruolo Generale degli affari contenziosi e vertente tra

XXX, con l’avv., appellante e

INPS, in persona del legale rappresentante p.t., con l’avv.

ha pronunziato la presente

SENTENZA n. 4025/2021 pubblicata il 16/11/2021

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 444/2019 del 18/01/2019

Conclusioni delle parti: come in atti

FATTO E DIRITTO

Con ricorso al Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro XXX esponeva di aver lavorato per la *** dal 2.11.1992; precisava che la Congregazione era stata ammessa all’amministrazione straordinaria con decreto del Ministero del 29.3.2013 e che ne era stata dichiarata l’insolvenza con sentenza del Tribunale di Roma del 30.5.2013; sulla base di tale presupposto egli aveva chiesto l’ammissione al passivo, istanza accolta con decreto del Tribunale sezione fallimentare in data 29.4.2015 per i seguenti crediti, per quanto interessa in tale sede: € 12.974,41 in via privilegiata per le somme dovute a titolo di TFR; € 1.989,89 per crediti degli ultimi tre mesi di retribuzione dei lavoratori dipendenti, oltre interessi, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs n. 80\1992.

Specificava che il rapporto di lavoro era stato ceduto dalla Congregazione alla Fondazione *** alla data del 13.4.2015, nell’ambito dell’operazione di cessione di ramo d’azienda; che in ossequio a quanto disposto dall’art. 56 comma 3 bis del D.lgs n. 270\1999 le parti escludevano qualsiasi responsabilità della cessionaria, e dunque della Fondazione, per i debiti della cedente nei confronti dei dipendenti trasferiti.

In conseguenza deduceva che sia il proprio credito maturato a titolo di TFR, sia quello maturato a titolo di ultime tre mensilità non pagate restavano in capo alla cedente. Rappresentava: di aver proposto domanda al Fondo di garanzia che veniva respinta; che il ricorso amministrativo pure proposto era restato senza esito.

In diritto, nel richiamare i presupposti per l’accesso al Fondo di garanzia – apertura di una procedura concorsuale, ivi inclusa l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; ammissione al passivo divenuto esecutivo; cessazione del rapporto di lavoro – deduceva sussistere nel caso di specie tutti i requisiti per l’accoglimento della domanda.

In particolare contestava il diniego di ammissione espresso dall’Inps, motivato affermando come nel caso di specie il rapporto di lavoro non sarebbe cessato ma continuato con la cessionaria Fondazione ***, posto che ai sensi dell’art. 56 comma 3 bis del D.lgs n. 270\1999 alle operazioni di cessione dei complessi aziendali realizzate nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria non trovava applicazione l’art. 2112 c.c., in quanto, nella ipotesi di amministrazione straordinaria, il trasferimento d’azienda creava una soluzione di continuità tra il precedente rapporto di lavoro con la cedente e quello successivo con la cessionaria.

Richiamava sul punto anche quanto affermato dalla stessa circolare Inps n. 74\2008 in base alla quale, stante la mancata applicazione dell’art. 2112 c.c. al caso di vendita di aziende poste in amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 47 comma 5 legge n. 428\1990, il Fondo era tenuto a corrispondere il TFR maturato sino alla data del trasferimento di azienda, salvo che l’accordo sindacale preliminare prevedesse un accollo in capo alla cessionaria, acquirente dell’azienda.

Nel caso in questione l’esclusione dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. era stato previsto sia dalla comunicazione inviata dalla Congregazione e Fondazione alle OOSS per attivare la procedura sindacale di cui alla legge richiamata, sia dall’accordo sindacale stipulato tra le parti con le OOSS ai sensi dell’art. 47 legge n. 428\1990 stipulato il 9.4.2015.

Da tanto conseguiva che, accertata la cessazione del rapporto di lavoro con la Congregazione, come da buste paga in atti, da cui emergeva la cessazione e la nuova assunzione del ricorrente al momento del trasferimento d’azienda, i crediti per TFR e per le ultime tre mensilità non si erano trasferiti in capo al cessionario e che, essendo restata insolvente la Congregazione, doveva intervenire il Fondo di garanzia. Richiamava anche un precedente della Suprema Corte in tema di subentro ex lege dell’Inps nel debito del datore di lavoro, in caso di liquidazione coatta amministrativa, nella misura accertata in sede di verifica dello stato passivo e sosteneva che: l’ ammissione di detti crediti allo stato passivo divenuto definitivo escludeva che l’Inps potesse contestarne la portata; la “ratio legis” della istituzione del fondo di garanzia era appunto quella di garantire i crediti insoddisfatti dei lavoratori senza costringerli ad ulteriori defatiganti accertamenti in altre sedi. Tali principi non potevano che trovare applicazione anche alla analoga ipotesi del rapporto di lavoro della parte ricorrente.

Tutto quanto premesso parte ricorrente concludeva per sentir accertare e dichiarare il proprio diritto di accesso al Fondo di garanzia e il diritto alla corresponsione del relativo TFR e delle ultime tre mensilità e per l’effetto condannare parte resistente al pagamento in suo favore: della somma di euro 12.974,41 a titolo di TFR; della somma di euro 1.989,89 per gli ultimi tre mesi di retribuzione; il tutto oltre accessori di legge; con vittoria delle spese, diritti ed onorari di causa, da distrarsi.

Instauratosi il contraddittorio si costituiva l’Inps che, in via preliminare, eccepiva l’intervenuta prescrizione annuale del credito vantato dalla controparte a titolo di ultime tre mensilità, ai sensi dell’art. 2 n. 5 del D.lgs n. 80\1992; deduceva che in ogni caso eventuali lettere interruttive nei confronti del datore di lavoro non avevano effetto nei confronti dell’Inps, in quanto soggetto terzo. Nel merito deduceva: l’infondatezza del ricorso ed asseriva che nel caso di specie non trovava applicazione l’art. 47 comma 5 della legge n. 428\1990, posto che la solidarietà di cui all’art. 2112 c.c. poteva essere esclusa in ipotesi diversa da quella oggetto di giudizio, in cui l’attività dell’impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria non era cessata al momento della procedura concorsuale, ma era anzi continuata sino al 13.4.2015; che, nel caso di specie, mancavano i requisiti per l’accesso al fondo di garanzia ovvero: la cessazione del rapporto di lavoro subordinato; l’apertura di una procedura concorsuale; l’esistenza del credito per TFR restato insoluto.

Contestava la giurisprudenza richiamata dalla controparte e rilevava che da ultimo la Corte di legittimità aveva aderito alla tesi dell’Inps in merito alla circostanza che il TFR diviene esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro e che pertanto, nel caso di specie, tale credito poteva essere contestato dall’Inps nonostante fosse stato ammesso allo stato passivo della procedura fallimentare del datore di lavoro cedente, estranea all’Inps, che quindi ben poteva contestare il credito per TFR sostenendo che lo stesso non era da ritenersi ancora esigibile, neppure in parte, e che quindi non operava la garanzia dell’art. 2 legge n. 297\1982.

Concludeva per sentire, in via principale, dichiarare la prescrizione del credito delle ultime tre mensilità; in ogni caso rigettare la domanda, con vittoria delle spese di lite.

Con la sentenza impugnata il Tribunale ha respinto il ricorso e compensato le spese di lite.

Lamenta la parte appellante che erroneamente il primo giudice ha ritenuto che la mancata applicabilità dell’art. 2112 c.c. e la circostanza per la quale non è prevista alcuna solidarietà tra cedente e cessionario in riferimento ai crediti del lavoratore ceduto (compreso il TFR) non implicherebbero l’immediata esigibilità del TFR da parte del Fondo di Garanzia INPS in quanto, nella sostanza, il rapporto di lavoro sarebbe proseguito con la Fondazione e, per tale ragione, non si sarebbe verificata la condizione necessaria per ottenere il TFR, laddove:

-1 sussistono tutti i presupposti per l’ accesso al Fondo di Garanzia in quanto: è provata la cessazione del rapporto di lavoro con la Congregazione e l’inizio di un nuovo rapporto con la Fondazione (v. buste-paga); l’ art. 2112 c.c. non è applicabile all’ipotesi di procedura di amministrazione straordinaria (art.56 comma 3° D.Lvo n.270-09) e, pertanto, non sussistendo solidarietà, vi è necessità che il Fondo di Garanzia versi il TFR; l’accordo sindacale appare in linea con i presupposti di legge e pertanto è idoneo a distribuire in capo al cedente l’obbligazione relativa al pagamento del tfr e delle retribuzioni pregresse alla cessione dell’azienda alla Fondazione;

-2 il credito per tfr è stato riconosciuto dallo stesso Inps con messaggio n.2272 del 14-6-2019;

-3 qualora, come nel caso, vi sia stata ammissione al passivo del credito nell’ambito della procedura concorsuale, l’ Inps diviene debitore del lavoratore “ex lege”, in quanto si sostituisce al datore di lavoro e pertanto diviene addirittura superflua ogni indagine sulla cessione del rapporto.

Ha inoltre censurato la genericità delle argomentazioni del Tribunale secondo cui “Ne consegue che non sono dovute neanche le ultime tre mensilità mancando in ogni caso uno dei presupposti di cui all’art. 2 L. n. 297/82”.

Si è costituito l’Inps resistendo al gravame e riproponendo l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado con riferimento al credito per le tre ultime mensilità e quella relativa al pagamento cumulativo degli accessori sulla somma dovuta a titolo di tfr.

L’ appello è in parte fondato nei termini di seguito esposti.

L’ art.2 L.297-82, nel testo vigente “ratione temporis”, dispone, tra l’ altro, che: è istituito presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale il “Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto” con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto; trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell’articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all’articolo 99 dello stesso decreto, per il caso siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il suo credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento, a carico del fondo, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori, previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte; qualora il datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempreché, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti; il fondo, ove non sussista contestazione in materia, esegue il pagamento del trattamento insoluto.

Il primo giudice ha osservato in fatto che il rapporto di lavoro della ricorrente è stato ceduto dalla Congregazione alla Fondazione ***, nell’ambito della cessione di ramo di azienda, alla data del 13.4.2015, come emerge anche dalla documentazione in atti e che l’INPS aveva respinto le domande per mancanza del requisiti della cessazione del rapporto di lavoro; ciò in quanto il rapporto di lavoro era proseguito con la cessionaria Fondazione a seguito di trasferimento di ramo d’azienda ed era ancora in essere.

La vicenda, come sopra descritta, non è oggetto di censura da parte dell’appellante.

L’amministrazione straordinaria è una procedura concorsuale che ha come principale finalità la conservazione, in tutto o in parte, di un’azienda (impianti e attrezzature), destinata allo svolgimento dell’attività di un’impresa commerciale, o di un gruppo d’imprese di grandi dimensioni dichiarati insolventi – nonché, a certe condizioni, del personale dalla stessa occupato.

L’ art.56 comma 3 bis D.Lvo n.270-99 prevede che le operazioni attuative della procedura di amministrazione straordinaria, in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile. Ne consegue che non si verifica la continuazione del rapporto di lavoro con l’impresa cessionaria, come prevista dal comma 1° dell’ art.2112 citato. L’ art.47 comma 4-bis della L.428-90 statuisce che: nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo, nel corso delle consultazioni previste in materia, con finalità di salvaguardia dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo, qualora il trasferimento riguardi aziende per le quali è stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività.

L’ art.63 comma 4° D.Lvo n.270-99 statuisce che, nell’ambito delle consultazioni relative al trasferimento d’azienda previste dall’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n.428, il commissario straordinario, l’acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente ed ulteriori modifiche delle condizioni di lavoro consentite dalle norme vigenti in materia.

Queste norme sono espressamente richiamata nel verbale di consultazione e di accordo del 9-4-2015, nel quale si è previsto che l’ art.2112 cc avrebbe trovato applicazione solo nei termini e con le limitazioni ivi indicate. In particolare, si prevede il trasferimento dei lavoratori all’ impresa cedente senza soluzione di continuità, ma senza cessione dei crediti inerenti al tfr precedentemente maturato.

Si chiama in materia la giurisprudenza di questa Corte (sentt. n.4339-19, n. 2889-19)

In particolare, nel caso di vicende traslative dell’impresa in crisi soggetta a procedure concorsuali, il requisito della cessazione del rapporto di lavoro occorrente ai fini dell’accesso al TFR ed all’intervento del Fondo di garanzia gestito dall’Inps va considerato tenendo in debito conto gli indici normativi rinvenibili in tali ipotesi e comunque tutte le particolarità dell’evenienza. Per rimanere nell’ambito della amministrazione straordinaria va tenuto conto anche delle seguenti, ulteriori disposizioni del decreto legislativo n.270-99: ai sensi dell’ art. 1 (natura e finalità dell’amministrazione straordinaria) del D.Lvo n.270-99 l’ amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali; ai sensi dell’ art.102 (pagamento di crediti di lavoro a carico del fondo di garanzia) le domande dirette a conseguire il pagamento, a carico del Fondo di garanzia, dei crediti dei prestatori di lavoro subordinato alle dipendenze di imprese in amministrazione straordinaria e dei loro aventi causa, previsti dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 e dall’articolo 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, possono essere presentate dopo l’adozione dei provvedimenti indicati nell’ articolo 2, secondo e terzo comma, della citata legge n. 297 del 1982; ai sensi dell’ art. 63 (vendita di aziende in esercizio) comma 5°, salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, anteriori al trasferimento.

Dette disposizioni sono chiare nell’intento, da un lato, di assicurare ai dipendenti dell’impresa dichiarata insolvente, assoggettata ad una procedura avente lo scopo di proseguire, riattivare o riconvertire le attività imprenditoriali, l’immediata soddisfazione dei crediti maturati nei confronti dell’impresa medesima garantiti dal Fondo di garanzia e, dall’altro lato, di non gravare gli acquirenti del carico dei debiti preesistenti, salvo diversa convenzione, onde favorire l’ interesse di questi al subentro.

Anche l’art. 47 comma 4° bis (trasferimenti di azienda) L.428-90, nel testo vigente “ratione temporis”, sopra menzionato, si pone entro certi limiti nella stessa prospettiva, prevedendo che, nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 cc trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo.

Il comma 5° prevede che, qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore; il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante.

Il requisito della cessazione del rapporto di lavoro in tali fattispecie va, pertanto, inteso nel senso di completamento del rapporto con l’impresa cedente dichiarata insolvente, ancorché per taluni versi il rapporto medesimo prosegua con l’impresa cessionaria, a meno che quest’ultima non si faccia carico anche dei debiti preesistenti al suo ingresso.

Diversamente opinando si avrebbe la paradossale conseguenza che, in caso di mancato accordo fra cedente e cessionario dell’impresa sull’accollo da parte di quest’ultimo dei debiti anteriori alla cessione, i crediti in questione non potrebbero essere pagati, sino alla cessazione del rapporto del lavoratore ceduto con l’impresa cessionaria, né dall’impresa cedente, perché il rapporto prosegue con la cessionaria, né da quest’ultima perché non tenuta “ex lege”. E ciò nonostante l’ammissione allo stato passivo.

Premesso che le circolari dell’INPS non possono derogare alle disposizioni di legge e neanche possono influire nell’interpretazione delle medesime disposizioni, e ciò anche se si tratti di atti del tipo c.d. normativo, che restano atti di rilevanza interna all’organizzazione dell’ente, si evidenzia comunque che la stessa circolare Inps n. 74 del 2008, nel farsi carico di tali questioni, ha ritenuto condivisibilmente al punto 3b che “In caso di vendita di aziende poste in fallimento, amministrazione straordinaria, concordato preventivo con cessione dei beni o liquidazione coatta amministrativa, l’art. 47, comma 5, della L. 428/90 stabilisce che ai lavoratori il cui rapporto continua con l’acquirente non si applica l’art. 2112 c.c.. Di conseguenza il Fondo corrisponderà il TFR maturato alle dipendenze del cedente sino alla data del trasferimento, salvo che l’accordo sindacale preliminare al trasferimento non abbia previsto, quale condizione di miglior favore, l’accollo del TFR da parte dell’acquirente stesso.”

Lo stesso Inps è recentemente tornato in tema nel messaggio n.2272 del 14.6.2019 esprimendo il seguente orientamento:

“3.1 Nella circolare n. 74/2008, con riferimento all’ipotesi di deroga prevista dal comma 5 del citato articolo 47 della legge n. 428/90, è stato precisato che: “il Fondo corrisponderà il TFR maturato alle dipendenze del cedente sino alla data del trasferimento, salvo che l’accordo sindacale preliminare al trasferimento non abbia previsto, quale condizione di miglior favore, l’accollo del TFR da parte dell’acquirente stesso”.

Siffatto corretto assetto interpretativo trova ora una testuale ed espressa conferma dal disposto di cui all’articolo 368, comma 4, lett. d), del D.lgs 10 gennaio 2019, n. 14, con il quale è stato emanato il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, in vigore dal 15 agosto 2020, ai sensi del quale: «Nelle ipotesi previste dal comma 5, non si applica l’articolo 2112, comma 2, del codice civile e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell’azienda. Il Fondo di garanzia, in presenza delle condizioni previste dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, interviene anche a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell’acquirente; nei casi predetti, la data del trasferimento tiene luogo di quella della cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell’individuazione dei crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto, da corrispondere ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80.»

3.2 Nelle ipotesi disciplinate dal citato comma 4-bis, lett. b) e b-bis), invece, sembra sussistere una antinomia tra le norme poste a tutela dei crediti dei lavoratori e l’articolo 2120 c.c., che disciplina il trattamento di fine rapporto e che impone la cessazione del rapporto quale condizione di esigibilità del credito.

La norma in questione, infatti, attraverso l’accordo preliminare al trasferimento, consente di modulare le tutele di cui all’articolo 2112 c.c. e, pertanto, si verifica sempre più spesso che gli accordi prevedano il passaggio dei lavoratori “senza soluzione di continuità” e la deroga alla responsabilità solidale tra cedente e cessionario per i crediti di lavoro esistenti all’atto del trasferimento.

In siffatte ipotesi, il datore di lavoro cessionario non risponde – legittimamente – del debito per TFR; nel contempo, in assenza di soluzione di continuità del rapporto, non si realizza la condizione di esigibilità del credito prevista dall’articolo 2120 c.c. e, quindi, del presupposto per l’intervento del Fondo di garanzia.

Deve, peraltro, evidenziarsi che l’esclusione della responsabilità patrimoniale del cessionario nell’ambito della vendita di un’azienda fallita è una regola generale sancita dall’articolo 105, comma 4, L.F. («Salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento»), norma, questa, che, in virtù del rinvio operato dall’articolo 182 L.F., si applica anche al concordato preventivo.

Con particolare riferimento alla disciplina dell’amministrazione straordinaria, il D.lgs 8 luglio 1999, n. 270, contiene norme volte ad escludere la responsabilità patrimoniale del cessionario ed a sottrarre i trasferimenti alla disciplina dell’articolo 2112 c.c. (art. 63, commi 4 e 5, e art. 56, comma 3-bis). La legittimità di una clausola di rinuncia alla solidarietà del cessionario per le obbligazioni anteriori al trasferimento, nell’ipotesi di cessione d’azienda ai sensi dell’articolo 63 del D.lgs n. 270/99, è stata anche riconosciuta dalla giurisprudenza (Cassazione, sezione Lavoro, 4 novembre 2014, n. 23473). In termini riassuntivi, l’ordinamento non prevede, in tali ipotesi, l’obbligo per il cessionario “in bonis” di accollarsi i debiti del cedente verso i dipendenti e, di conseguenza, in assenza dell’intervento del Fondo di garanzia, i crediti dei lavoratori rimarrebbero privi di tutela, in contrasto con quanto previsto dalla direttiva 80/987/CEE (oggi 2008/94/CE).

Nella prospettiva del superamento della predetta antinomia – che ha alimentato un notevole contenzioso – ed in una ottica di legittimo contemperamento delle diverse esigenze sottese alla fattispecie di cui trattasi e di effettiva realizzazione delle tutele dei lavoratori, si ritiene che il TFR (maturato nei confronti del cedente) possa essere considerato esigibile alla data del trasferimento. Ciò, del resto, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 368, comma 4, lett. d), del decreto legislativo n. 14 del 2019.

Detta soluzione è rispettosa anche della direttiva 2001/23/CE, la quale, all’articolo 5, paragrafo 2, lett. a), prevede che nel caso di trasferimento d’azienda attuato da impresa insolvente (anche assoggettata a procedura non liquidatoria), uno Stato membro può disporre che i crediti vantati nei confronti del cedente non siano trasferiti al cessionario, purché la procedura concorsuale alla quale è assoggettato il datore di lavoro cedente dia titolo ad una protezione almeno equivalente a quella prevista dalla direttiva 80/987/CEE”.

Le argomentazioni qui esposte dall’INPS nel menzionato messaggio non collidono con quanto di recente affermato da Cass. 19/07/2018 n. 19278 secondo cui l’ art. 2 della I. n. 297 del 1982 e l’art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui la domanda di insinuazione al passivo viene proposta ed, inoltre, poiché il t.f.r. diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, il fatto che (erroneamente) il credito maturate per t.f.r. fino al momento della cessione d’azienda sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l’INPS, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per t.f.r. sostenendo che esso non sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia dell’art. 2 l. n. 297 del 1982”. Difatti tale pronuncia si è occupata di un caso in cui il lavoratore si era insinuato al passivo ed aveva chiesto l’accesso al Fondo dopo che il datore sottoposto a procedura concorsuale aveva ceduto a un terzo il rapporto di lavoro e detto terzo acquirente si era fatto carico del pagamento integrale dei debiti preesistenti.

Ne consegue una considerazione di sostanziale equivalenza, ai fini di interesse e per la specifica fattispecie, fra trasferimento di azienda e cessazione dell’impresa (in questo senso anche Corte di Appello di Milano, sent n. 259 del 2019).

Alla luce delle assorbenti considerazioni esposte, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, la parte appellata va condannata al pagamento della somma di euro 12.974,41 a titolo di trattamento di fine rapporto, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat ed interessi legali sulle somme via via rivalutate dalla maturazione al soddisfo.

Ed infatti il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto non muta la propria natura retributiva quando, in forza della legge 29 maggio 1982, n. 297 e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, sia fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’INPS per l’insolvenza o l’inadempimento del datore di lavoro, ed è quindi comprensivo, come di regola, degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, restando inapplicabile il divieto di cumulo di tali accessori stabilito dall’art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412. (Cass. SS UU n.14220-02).

Per il resto l’appello è infondato.

Il diritto al riconoscimento di crediti diversi si prescrive in un anno a norma dell’art.2 comma 5° D.Lvo n.80-92.

Il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione di emolumenti retributivi inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti dall’art. 2 della l. n.297 del 1982 richiamato dagli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva), con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’INPS e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia (Cass.17643-20; Cass.4183-06; Cass.14212-06;).

Nel caso in esame, l’istanza di ammissione al passivo è stata pacificamente accolta con decreto del 29.4.2015, come ammette la stessa lavoratrice nel ricorso introduttivo.

Terminato l’esame di tutte le domande, il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria. Contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo puo’ essere proposta opposizione (artt.96 ss L.F.).

La presentazione della prescritta domanda che – secondo le norme che regolano il conseguimento delle prestazioni previdenziali, costituisce atto interruttivo della prescrizione (Cass.17592-16) – è intervenuta soltanto il 1610-2017, e quindi ben oltre il termine annuale.

Consegue, per le assorbenti considerazioni sopra esposte, la prescrizione del credito, dovendosi pertanto confermare l’impugnata sentenza nella parte in cui ha rigettato la domanda in esame.

Stante la parziale reciproca soccombenza, le spese del doppio grado, liquidate come da dispositivo in applicazione dei criteri di cui al D.M. 44/2015, vanno dichiarate compensate per un quarto mentre i restanti tre quarti vanno poste a carico dell’INPS.

Si dà atto che per mero errore materiale nel dispositivo letto in udienza non è stata inserita la distrazione delle spese in favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

In parziale riforma della gravata sentenza, che nel resto conferma, condanna l’INPS al pagamento in favore dell’appellante di € 12.974,41 a titolo di TFR, oltre interessi legali sugli importi annualmente rivalutati secondo gli indici Istat dalla maturazione al soddisfo; condanna l’INPS al pagamento dei tre quarti delle spese processuali che liquida per l’intero quanto al primo grado in € 1.800,00 e quanto all’appello in € 2.000,00, oltre rimborso spese forfettario in misura pari al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi e dichiara compensato il restante quarto; dà atto che sussistono per l’appellante le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 09/11/2021

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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