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Certificazione di malattia durante il periodo feriale

La trasmissione al datore di lavoro di certificazione di malattia durante il periodo feriale vale quale richiesta di modificazione del titolo dell’assenza (da ferie a malattia)

Pubblicato il 06 May 2020 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
La Corte d’Appello di Roma

Terza Sezione Lavoro Composta dai magistrati:

ha pronunciato, a seguito di trattazione scritta nelle forme di cui alla lett. h) del comma 7 dell’art. 83 del decreto legge n. 18/2020, la seguente

SENTENZA n. 978/2020 pubblicata il 04/05/2020

nella causa di secondo grado, iscritta al n. /2018 R.G avente per oggetto: appello avverso la sentenza n. 563/2017 emessa dal Tribunale di Tivoli in funzione di giudice del lavoro, vertente tra

XXX rappresentata e difesa dall’ avvocato;

appellante e

YYY SPA rappresentata e difesa dagli avvocati

appellato

Conclusioni delle parti:

come da rispettivi atti introduttivi e note successivamente depositate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1)Si riproduce di seguito, per comodità di consultazione e per evitare ripetizioni, la motivazione della sentenza impugnata, per la parte ancora di interesse:

“ Con ricorso depositato il 19.03.2012 XXX, assumendo di aver lavorato per la YYY S.P.A. svolgendo mansioni di addetta alla preparazione, allestimento, smistamento e lavaggio catering, impugnava il licenziamento intimatole con missiva datata 27.10.2011 e ricevuta il 3.11.2011, per superamento del periodo di comporto al 31.10.2011, chiedendo al Tribunale di:

– accertare la responsabilità della convenuta ex art. 2087 c.c. nonché ai sensi del d.lgs. n. 81 del 2008 per le inosservanze e/o inesatto adempimento degli obblighi specifici di sicurezza;

-accertare il nesso eziologico tra l’infortunio ed il relativo danno patito dalla ricorrente il 25 febbraio 2011 e la responsabilità della convenuta per inadempimento e/e inesatto adempimento dell’obbligo di sicurezza con gli effetti di cui all’art. 1218 c.c.;

– accertare e dichiarare che l’assenza per infortunio al 31 ottobre 2011 della ricorrente, si è interrotta per il periodo di ferie disposto dalla convenuta dal 1 al 15 settembre 2011 e per l’effetto sa essa assenza vanno detratti quindici giorni di ferie dai 187 erroneamente computati ai fini dell’asserito superamento del periodo di comporto da parte convenuta; – accertare e dichiarare che l’assenza per infortunio determinata da illecito contrattuale datoriale e per l’operatività della presunzione di colpa stabilita dall’art. 1218 c.c. non va computata per sommatoria con l’assenza per malattia ai fini della conservazione del posto per un periodo di centottanta giorni per anno;

– accertare e dichiarare la violazione e falsa applicazione dell’art. C53 del CCNL dell’8 luglio 2010 – settore trasporto aereo – attività aeroportuale catering così come applicata dalla convenuta, atteso la presenza nell’infortunio occorso alla ricorrente nell’esercizio dell’attività lavorativa il 25 febbraio 2011 di un illecito contrattuale e della presunzione di colpa datoriale ex art. 1218 c.c. per inadempimento e/o inesatto adempimento del debito di sicurezza;

– accertare e dichiarare la nullità, inesistenza, illegittimità, inefficacia, erroneità, pretestuosità, intempestività del licenziamento;

– per l’effetto, condannare la resistente a reintegrarla nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 St. Lav. ed a risarcirgli il danno commisurato alle retribuzioni non corrisposte dalla data del licenziamento fino alla reintegra, con rivalutazione ed interessi legali, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali;

– con vittoria di spese, competenze ed onorari, da distrarsi.

La YYY S.P.A. si costituiva in giudizio contestando in toto le avverse pretese e chiedendo il rigetto del ricorso.

La causa, giunta davanti a questo Giudice all’udienza del 17.03.2014, istruita documentalmente e con la prova testimoniale, previa concessione di un termine per il deposito di note difensive, veniva discussa e decisa all’udienza odierna come da dispositivo.

Va, innanzitutto, precisato che la ricorrente non ha contestato di aver effettuato i periodi di assenza posti a fondamento del recesso datoriale (compiutamente indicati nella missiva di licenziamento), fatta eccezione per il periodo dal 1 al 15 settembre 2011, in cui assume di essere stata collocata in ferie.

Sennonchè, tale assunto non è stato provato da parte attrice che si è limitata a produrre la fotografia di un programma di ferie (all. 9 del ricorso) di incerta provenienza – tra l’altro contestato da parte resistente – e comunque inidoneo a dimostrare che effettivamente la XXX abbia goduto di ferie nel periodo indicato. A dimostrare il contrario di quanto affermato dalla lavoratrice ed a provare la correttezza dell’indicazione del periodo di assenza per malattia nella missiva di licenziamento, sono, in ogni caso, i certificati medici (all. 17 di parte resistente, non specificamente contestati da parte attrice) ove viene certificata dallo specialista dott. *** l’inabilità della ricorrente con prognosi dal 26.08.2011 al 14.09.2011 e, poi, dal 14.09.2011 al 30.09.2011.

Tanto acclarato, deve concludersi per la sussistenza del fatto posto alla base del recesso datoriale esercitato ex art. 2110, comma 2, c.c.

Sotto altro profilo, la ricorrente ha censurato il provvedimento datoriale invocando il consolidato principio per il quale l’assenza per malattia determinata da colpa datoriale non deve essere computata nel periodo di comporto.

Sostiene, invero, la lavoratrice che parte delle assenze computate nel provvedimento di recesso datoriale sarebbero dovute ad un infortunio subito sul luogo di lavoro, il cui verificarsi sarebbe imputabile alla negligenza del datore di lavoro nel porre in essere la cautele e le forme di prevenzione necessarie a preservare la salute del lavoratore.

Tale risultando il tenore delle allegazioni attoree, si osserva che la società resistente ha espressamente contestato le dinamiche dell’infortunio descritte nel ricorso, ponendo altresì in dubbio che esso si sia verificato sul posto di lavoro (la YYY S.P.A. ha evidenziato che il giorno del presunto infortunio, il 25 febbraio 2011, la ricorrente non ha riferito alcunché ai colleghi ed al responsabile del reparto).

A fronte delle contestazioni avversarie, incombeva sulla lavoratrice l’onere di provare di aver subito un infortunio sul luogo di lavoro e l’esatta dinamica dello stesso, trattandosi di accertamento preliminare per poter procedere a vagliare il nesso di causalità tra l’infortunio stesso e gli inadempimenti datoriali allegati da parte attrice.

All’esito dell’istruttoria svolta, tale onere non può dirsi assolto con la sufficienza richiesta ex art. 2697 c.c.

L’unico teste che ha riferito di aver visto la ricorrente cadere mentre saliva le scale per recarsi negli spogliatoi, ***, è risultato, infatti, inattendibile avendo reso una deposizione incerta e contraddittoria, oltre che contrastante con circostanze di fatto, maggiormente credibili, riferite dagli altri testi.

Innanzitutto, va osservato che la *** ha riferito che al momento dell’infortunio erano presenti sulle scale soltanto la ricorrente e la teste stessa ed ha collocato la caduta intorno alle 14,30-15,00 (precisando che il turno seguito dai lavoratori che come la ricorrente seguivano un orario full time finisce proprio a quell’ora). Alla luce di tale ultimo rilievo appare del tutto inverosimile che proprio nell’orario in cui cessava il turno della mattina le scale – che a detta dei testi costituiscono il collegamento tra il luogo dove si svolge la prestazione lavorativa e lo spogliatoio – fossero deserte. Ed, infatti, la teste *** ha riferito che intorno alle 14,30 c’è un grande afflusso di persone che entrano ed escono per cui “non mi capita in quell’orario di vedere le scale con una sola persona”.

Altro elemento di inattendibilità della teste *** è costituito della circostanza che ella abbia riferito di aver avvisato il caporeparto subito dopo aver assistito alla caduta della ricorrente, senza poi saper indicare il nominativo del caporeparto. Eppure, la teste *** ha riferito che il caporeparto è sempre stata la stessa persona, ***, elemento che rende del tutto inverosimile che la teste *** possa non ricordare il suo nominativo.

Infine, occorre evidenziare che la teste ha avuto una forte esitazione ed incertezza nel descrivere quanto accaduto il 25 febbraio 2011, tanto che in un primo momento ha affermato che il luogo dove si svolgeva l’attività lavorativa, nel periodo in cui la ricorrente lavorava ancora li, si trovava al primo piano ed anche lo spogliatoio si trovava al primo piano; poi ha riferito “quel giorno io attaccavo alle tre; penso fosse inverno ma non lo ricordo. Io stavo scendendo”; su domanda a chiarimento del giudice (volta a far specificare perché scendesse visto che lo spogliatoio era allo stesso piano ove doveva svolgere la prestazione lavorativa) la teste ha corretto quanto prima affermato, precisando che il locale dove lavoravano era a pian terreno.

In conclusione, la riscontrata inattendibilità dell’unica testimone oculare dell’infortunio lascia sguarnito di prova il fatto generatore dell’assenza per malattia della XXX.

Resta, dunque, del tutto superfluo procedere alla verifica della sussistenza degli inadempimenti datoriali allegati nel ricorso perché non sarebbe possibile in ogni caso accertare il nesso causale tra questi e l’infortunio occorso alla ricorrente.

Solo per completezza si rileva, comunque, che da tutte le testimonianze acquisite è emerso che la società aveva previsto un procedimento per la sostituzione dei dispositivi di protezione usurati (tra cui le scarpe) e che era il dipendente stesso a dover verificare lo stato dei propri e richiederne la sostituzione.

Alla luce delle considerazioni svolte, non essendo stata dimostrata una correlazione causale tra l’infortunio incorso alla ricorrente il 25 febbraio 2011 e l’inadempimento datoriale all’obbligo di protezione del lavoratore, l’assenza per malattia dovuta al suddetto infortunio ben poteva essere computata da parte datoriale nel periodo di comporto, con conseguente infondatezza delle censure mosse del relativo motivo di ricorso. “

2) Proponeva appello la XXX affidandosi a quattro motivi e chiedendo che, in riforma della sentenza appellata, fossero accolte le conclusioni del ricorso di primo grado, previa eventuale riapertura della istruttoria.

Inoltre proponeva istanza di correzione di errore materiale nella parte in cui la sentenza aveva indicato il suo nome come XXX invece di XXX.

Si costituiva la società appellata contestando il fondamento dell’impugnazione e chiedendone il rigetto.

Alla prima udienza del 12.6.2019 la causa veniva rinviata, anche per consentire l’acquisizione del fascicolo di primo grado, non pervenuto.

La successiva udienza, prevista per il 22.4.2020, veniva sostituita, con decreto del 10.4.2020, dalla trattazione scritta nelle forme di cui alla lett. h) del comma 7 dell’art. 83 del decreto legge n. 18/2020 previa dichiarazione di urgenza del procedimento, ex comma 3, lett. a) parte finale della medesima disposizione, con previsione della adozione fuori udienza del provvedimento del Collegio entro dieci giorni dalla detta data.

Le parti depositavano note e repliche.

All’esito il Collegio depositava il dispositivo della decisione.

3) Va anzitutto dato atto che la causa può essere trattata e decisa ancorché non sia pervenuto il fascicolo cartaceo di primo grado.

Difatti le parti hanno depositato i propri fascicoli contenenti gli scritti ed i documenti prodotti in detto grado e nel fascicolo telematico figurano i verbali delle udienze in cui sono stati uditi i testi.

Ne segue che, considerati i motivi di impugnazione e le questioni oggetto del contendere, null’altro è utile ai fini della decisione.

4) Il primo motivo è intitolato “ Errata e contraddittoria ricostruzione dei fatti di causa come esposti in sentenza in riferimento all’assenza per ferie dal 1 al 15 settembre 2011 – Violazione e falsa applicazione degli art. 2109 c.c. e art. 10 del D.Lgs. 8.4.2003, n. 66, anche in relazione agli art. 115 e 116 cpc e 2697 c.c. e all’art. 36, comma 3, Cost.”:

Sostiene l’appellante che:

– a fronte della propria deduzione di essere stato assente per ferie dall’ 1 al 15 settembre ricadeva in capo al datore l’onere di provare che le ferie erano state godute in altro periodo oppure monetizzate al momento della cessazione del rapporto;

-tale onere era rimasto inadempiuto;

-irrilevante si presentava l’inoltro dei certificati medici attestanti la malattia nella suddetta metà di settembre in quanto l’invio “era necessario perché la certificazione era a cavallo del periodo feriale”;

-il diritto alle ferie era costituzionalmente tutelato ed il lavoratore non poteva rinunciavi.

Il motivo è privo di fondamento.

La lavoratrice nulla ha provato a conforto della propria allegazione di essere stata in ferie nel periodo dall’1 al 15 settembre, inidoneo a tale fine essendo il documento prodotto in primo grado come ritenuto dal Tribunale con motivazione non contestata sul punto.

Viceversa il datore ha fornito a riscontro della sua affermazione della assenza per inabilità nel detto periodo le certificazioni mediche 26.8.2011, attestante “inabilità con prognosi giustificata dal 26.8.20111 fino al 14.9.2011”, e 14/9/2011, attestante ““inabilità con prognosi giustificata dal 14.9.20111 fino al 30.9.2011”, di cui non avrebbe potuto avere il possesso se non le fossero state trasmesse .

Tali certificazioni sono tutt’altro che irrilevanti in quanto dimostrano che la lavoratrice ha voluto giustificare le sue assenze con la causa della inabilità per i giorni ivi indicati. Se invece avesse inteso di essere assente per ferie nulla avrebbe inviato a giustificazione della assenza per i giorni compresi fra l’1 ed il 14.9 o comunque avrebbe dovuto chiedere di essere considerata in ferie nel periodo nonostante la certificazione della inabilità.

In ogni caso, pure ad ipotizzare che nel periodo in questione fosse programmata l’assenza per ferie della lavoratrice (ciò che invece, come si è visto, non è provato), si dovrebbe in tale ipotesi rilevare che:

– la Corte costituzionale, con sentenza n. 616/1987, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 2109 c.c. nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso;

-secondo Cass. 10/01/2017 n. 284 “è da ritenere che la trasmissione al datore di lavoro, da parte del lavoratore, di certificazione di malattia durante il periodo feriale e in relazione a giorni compresi in tale periodo valga quale richiesta di modificazione del titolo dell’assenza (da ferie a malattia), pur in assenza di una espressa comunicazione (scritta od orale) al riguardo, trattandosi di atto cui è consegnata, in modo inequivoco, la volontà del soggetto di determinare l’effetto giuridico della conversione”.

Per il resto le deduzioni dell’appellante non sono pertinenti.

Cass 22/04/2008 n. 10352 ha chiarito che, in tema di licenziamento intimato dal datore a causa del superamento del periodo di comporto per malattia, non sussiste un principio per cui il datore di lavoro debba, di ufficio, convertire l’assenza per malattia in ferie; spetta, infatti, al lavoratore ammalato, che vuole evitare il licenziamento, presentare la richiesta di fruizione delle ferie in modo che gli possano essere concesse dal datore durante il periodo di malattia (vedi anche Cass 27/02/2003 n. 3028; Cass. 27/10/2014 n. 22753; Cass. 05/12/2001, n. 15352). Né esiste un dovere del datore di lavoro di avvertire il lavoratore, assente per lungo tempo, che il periodo di conservazione del posto sta per scadere (vedi ancora Cass 22/04/2008 n. 10352).

Quanto alla mancata monetizzazione delle ferie non godute all’atto della cessazione del rapporto, l’accadimento consente alla lavoratrice di rivendicare il relativo diritto patrimoniale, non già di far valere una presunzione di godimento delle ferie.

5) Per ragioni di priorità logica si esamina prima il terzo motivo di impugnazione, intitolato “ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c., anche in relazione all’art. C53 del CCNL applicabile al rapporto anche in relazione agli artt. 1362 e ss. del c.c. (in relazione alla illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di assenze dovute ad infortunio sul lavoro)- Violazione e falsa applicazione delle norme ermeneutiche in tema di interpretazione dei contratti collettivi e del principio del gradualismo – Violazione del prioritario criterio di interpretazione secondo il significato letterale delle parole di cui all’art. 1362 c.c.”.

Va premesso che l’art. C53 del CCNL di riferimento prevede quanto segue:

“1. In caso di malattia accertata o di infortunio il personale che non sia in periodo di prova o di preavviso ha diritto alla conservazione del posto per un periodo dì centottanta giorni per anno, intendendosi per tale l periodo compreso dal 1 gennaio e il 31 dicembre.

2. Ove il lavoratore si ammali o si infortuni più volte nel corso dell’anno i relativi periodi di assenza sono cumulabili agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di cui al precedente comma.

3. Per il personale assunto a termine, la conservazione del posto è comunque limitata al solo periodo di stagione o dì ingaggio.

4. Qualora allo scadere del periodo per il quale è obbligatoria la conservazione del posto, il personale non possa riprendere servizio per il protrarsi della malattia, il rapporto di lavoro si intenderà risolto con diritto all’intero trattamento di fine rapporto ed a quanto altro dovuto, esclusa l’indennità sostitutiva di preavviso “.

Sostiene l’appellante che il detto articolo, nel trattare della conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e di infortunio, opera una netta distinzione tra le assenze per infortunio e quelle per malattia, prevedendo espressamente che il rapporto di lavoro si intenderà risolto solo per il personale per il quale è obbligatoria la conservazione del posto che non possa riprendere servizio allo scadere del periodo di malattia.

Ne conseguirebbe che il licenziamento è illegittimo perché essa lavoratrice non ha potuto riprendere servizio per effetto (non già di malattia ma) dell’infortunio sul lavoro patito il 25 febbraio 2011.

Tale avviso non può essere condiviso.

La norma contrattuale disciplina allo stesso modo le assenze dovute a malattia od a infortunio sul lavoro, come è reso palese dalla lettera dal primo comma che prevede espressamente il termine massimo di 180 giorni di conservazione del posto per entrambe le ipotesi.

Anche il secondo comma accomuna le conseguenze di entrambe le tipologie di assenza nel caso del loro ripetersi nel corso dell’anno.

Vero è che il quarto comma parla solo di malattia e non di infortunio ma, considerati gli altri commi, tale disposizione deve intendersi riferita pure alle assenze (tecnicamente da definirsi quali “inabilità”) conseguenti ad infortunio.

In ogni caso la regola del termine massimo dei 180 giorni “in caso di malattia o di infortunio” è contenuta nel primo comma mentre il quarto comma disciplina aggiuntivamente il tfr e l’indennità sostituiva del preavviso.

Va precisato che nell’ambito del quarto motivo l’appellante sostiene altresì che l’art. 53 del ccln non può essere interpretato, pena la sua illegittimità per violazione di norma imperativa, nel senso di includere nel computo dei 180 giorni del periodo di comporto le assenze dovute ad infortuni sul lavoro occorsi per responsabilità datoriale.

La sentenza di primo grado non sostiene però il contrario ed anzi fonda il suo impianto sull’implicito riconoscimento del principio affermato dalla lavoratrice, sicché la doglianza non ha ragione di essere.

6.1) Il secondo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente.

6.2) Il secondo è intitolato “Errata ricostruzione dei fatti di causa come esposti in sentenza in relazione alla natura delle assenze della ricorrente (per infortunio e non per malattia), al verificarsi dell’infortunio sul luogo di lavoro, alla dinamica del detto infortunio, all’imputabilità dell’evento infortunistico alla negligenza del datore di lavoro nel porre in essere le cautele e le forme di prevenzione necessarie a preservare la salute del lavoratore, all’attendibilità della teste *** – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 c.c. , art. 115 e 116 c.p.c. , nonché dell’art. 2697 cod. civ. sulla ripartizione dell’onere della prova e dell’art. 2087 c.c., e dell’art. dell’art. 2,comma 1 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c. e agli artt. 421 e 437 cpc – Violazione e falsa applicazione degli art. 2727 e 2729 e ss. c.c. anche in relazione agli art. 115 e 116 cpc e 2697 c.c.:

Deduce, nell’essenziale, l’appellante che:

-aveva errato il Tribunale nel qualificare come assenze dovute a “malattia” quelle invece dovute ad “infortunio”;

-tale errore inficiava il ragionamento del primo giudice, poiché era stata riconosciuta anche dal datore la esistenza di un infortunio sul lavoro, denunciato come tale ed indennizzato dall’ Inail ;

-aveva, altresì, errato il Tribunale a non tener conto che nel ricorso introduttivo veniva specificato che l’infortunio si era verificato per via delle scarpe antiinfortunistiche usurate adoperate in ambiente lavorativo con presenza di materiali scivolosi;

-parte datoriale non aveva contestato la presenza di materiale scivoloso;

-parte datoriale inoltre, benché onerata della prova, non aveva dimostrato ex art. 2087 cod. civ che le scarpe utilizzate avessero i requisiti di cui all’art. 76 del D.Lgs. n. 81/2008 e fossero state mantenute in efficienza, mediante la manutenzione e le riparazioni;

-ciò rendeva privo di rilievo il verificarsi dell’infortunio sulle scale o sul corridoio posto che in entrambi i casi ricorreva infortunio sul lavoro originato da responsabilità datoriale;

-aveva altresì errato il Tribunale a ritenere inattendibile la deposizione di ***, perché non sussistevano e comunque erano giustificati gli addotti elementi di inaffidabilità;

-difatti ben poteva accadere che all’ora dell’infortunio non fossero presenti altri dipendenti e che la *** non ricordasse il nome del caporeparto intervenuto, tanto più che pure la teste *** aveva confermato l’accorrere di tale figura professionale;

-inoltre la ***, a ben leggere le dichiarazioni rese, era stata coerente e logica nel rappresentare la situazione dei luoghi;

-in ogni caso il giudice avrebbe potuto acquisire la testimonianza degli altri nominativi indicati in lista.

Vi è da aggiungere che alla udienza del 12.6.2019 l’appellante ha prodotto decreto di archiviazione emesso il 28.2.2019 dal Gip presso il Tribunale di Civitavecchia nel procedimento a carico della *** in ordine al reato di falsa testimonianza.

6.3) Il quarto motivo è invece intitolato “Errata ricostruzione dei fatti di causa come esposti in sentenza in relazione al verificarsi dell’infortunio sul luogo di lavoro, all’imputabilità dell’evento infortunistico alla negligenza del datore di lavoro nel porre in essere le cautele e le forme di prevenzione necessarie a preservare la salute del lavoratore – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. – Erronea ripartizione dell’onere della prova in violazione dell’art. 2697 cod. civ. Illegittimità/nullità dell’eventuale impegno sottoscritto dall’Angiolino di segnalare tempestivamente eventuali problemi o rotture delle scarpe per la loro sostituzione per violazione dell’art. 32 Cost.ne, degli artt. 75, 76 e 77 del d. lgs. N. 81/2008 – Illegittimità nullità parziale dell’art. C53del CCNL dell’8 luglio 2010 – settore trasporto aereo – attività aeroportuale catering – Illegittimità del licenziamento per erronea/illegittima inclusione nel calcolo dell’asserito superamento del periodo di comporto di assenze per infortunio lavorativo correlato a inadempimenti datoriali – violazione dell’art. 2087 cod. civ. e del d. lgs. N. 81/2008 e succ.ve mod.ni e integrazioni in tema di DPI”

Deduce l’appellante che il datore non aveva fornito la prova di aver messo a disposizione i dispositivi di protezione individuali idonei a salvaguardare la salute del lavoratore e che aveva sbagliato il Tribunale a ritenere il contrario in relazione alla dotazione delle scarpe antinfortunistiche.

Difatti la predisposizione di un procedimento per la sostituzione delle dette scarpe affidato alla iniziativa ed al giudizio esclusivo del lavoratore non liberava il datore, il quale manteneva l’obbligo di vigilare sulla osservanza della misura; ed era comunque nullo ed inidoneo a escludere la responsabilità datoriale ogni patto contrario.

Asserisce, inoltre, che il datore era rimasto inadempiente anche alla osservanza degli altri obblighi di sicurezza dedotti in primo grado.

Infine lamenta la mancata ammissione di tutti i mezzi istruttori articolari in primo grado quali l’audizione degli ulteriori testi indicati in lista, l’ordine al datore di esibizione del documento di valutazione rischi, la nomina di ctu per accertare lo stato dei luoghi ed il rispetto della normativa antinfortunistica.

6.4) Anche tali motivi sono da ritenere privi di fondamento in quanto resiste la corretta osservazione del Tribunale secondo cui la lavoratrice non ha adempiuto all’onere di provare adeguatamente l’esatta dinamica dell’infortunio sul lavoro patito “trattandosi di accertamento preliminare per poter procedere a vagliare il nesso di causalità tra l’infortunio stesso e gli inadempimenti datoriali allegati da parte attrice”.

6.5) Sul punto va chiarito che, in diritto, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. incombe al lavoratore l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento e il nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno, mentre la colpa del datore di lavoro è oggetto, ai sensi dell’art. 1218 c.c., di una presunzione che è possibile vincere con la prova di avere adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno (Cass. 14/10/2010, n. 21203; Cass. 09/06/2017, n. 14468; Cass 26/04/2017, n. 10319; Cass. 11/04/2013, n. 8855).

Ed al proposito, come afferma Cass. 21/04/2004 n. 7629 intervenuta proprio in una fattispecie di dedotto infortunio del lavoratore per caduta nei locali aziendali, l’onere probatorio a carico del datore di lavoro di dimostrare di aver adottato tutte le misure di prevenzione necessarie per la tutela dell’integrità fisica del lavoratore, data la natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., è strettamente collegato all’individuazione della modalità in cui si è svolto il fatto 6.6) In punto di fatto nel ricorso di primo grado è riferito che l’infortunio del 25.2.2011 è avvenuto secondo le seguenti modalità:

-nel mentre essa lavoratrice impegnava il penultimo gradino della prima rampa di scale per accedere dal luogo di lavoro al piano superiore ove era posto lo spogliatoio;

-a mezzo di scivolamento per via delle scarpe di sicurezza usurate e deformate, non sostituite da oltre due anni e non provviste da nota informativa sull’uso e non recanti il marchio Ce.

In detto ricorso la lavoratrice allegava, altresì, che la scala in questione, “oltre a non essere munita di idonei dispositivi antiscivolo, non era dotata sul lato aperto di parapetto normale con arresto al piede, né di altra difesa equivalente, in quanto, il parapetto, sul lato aperto, non era costruito in materiale rigido e resistente (vi era un pannello di vetro o plexiglas sostenuto da montanti in ferro o alluminio) e inoltre non era dotata di corrente intermedio posto a circa metà distanza fra quello superiore ed il pavimento”.

Precisava, inoltre, di essere scivolata, in altre precedenti occasioni, sempre in detta scala, “per via delle calzature di sicurezza usurate, deformate, inadatte in quanto usate in ambiente lavorativo ove vi è la presenza di materiali scivolosi, nonché per via delle strisce antiscivolo altrettanto usurate poste sui gradini della scala e per via della circostanza, ripetuta nel tempo, del lavaggio della scala nelle ore di lavoro e per quant’altro relativo alle specifiche misure di sicurezza inadeguate relative alla scala”.

Non affermava, invece, che all’atto dello scivolamento avvenuto il 25 febbraio 2011 le scale erano umide o bagnate o che su di esse era posizionato materiale scivoloso.

6.7) Orbene gli elementi probatori raccolti non consentono di ricostruire le esatte modalità dell’infortunio di cui si tratta e tantomeno di affermare che tale avvenimento si è verificato secondo le modalità, tra l’altro piuttosto generiche, indicate nel ricorso di primo grado.

Va anzitutto precisato che nell’immediatezza dell’accaduto, e dunque nel certificato medico di pronto soccorso del 25.2.2015 e nella certificazione medica di infortunio sul lavoro di pari data (allegati n. 8 e 9 doc. appellato) , difettano indicazioni sul fatto.

Del pari nelle successive certificazioni e nelle lettere di impugnative del licenziamento.

Invece nella denuncia di infortunio all’Inail redatto da YYY il 29.2.2011 (all. n.10 doc. appellato) è riferito che il datore non era presente al fatto e che l’infortunio si è verificato “nel corridoio”… “mentre (la lavoratrice : ndr) si recava agli spogliatoi accidentalmente scivolava sbattendo il polso sinistro e il ginocchio destro”.

Il datore riferisce di aver narrato quanto all’epoca raccontato dalla lavoratrice, la quale smentisce.

Fatto sta che, come detto, la versione della caduta per scivolamento nel salire le scale compare per la prima volta in giudizio, e ciò non ne conforta l’attendibilità.

Vero è che la teste *** ha confermato tale ricostruzione.

Tuttavia questa deposizione si presenta, se non già del tutto inattendibile come ritenuto dal Tribunale, di dubbia credibilità per tutti gli elementi rappresentati da tale giudice, non infirmati oltremisura dai rilievi critici espressi dall’appellante (la teste ha effettivamente errato una prima volta a descrivere i luoghi di causa e si è corretta solo su sollecitazione del giudice; è singolare, anche se può essersi verificato, che nessun altro fosse presente sulle scale a quell’ora di solito trafficata e che la teste non si sia ricordata il nome del caporeparto accorso sui luoghi).

Tale valutazione è peraltro compatibile con le considerazioni espresse dal Pm presso il Tribunale di Civitavecchia nella richiesta di archiviazione del procedimento a carico della ***, posto che detta richiesta sostanzialmente si fonda (vedi il documento in atti) non già sulla riscontrata affermazione della veridicità delle dichiarazioni testimoniali rese ma sulla insufficienza dei rilievi logici esposti nella sentenza qui impugnata a sostenere l’accusa di falsa testimonianza in giudizio.

In ogni caso, anche a voler ipotizzare la rispondenza al vero della narrazione della ***, rimane che quest’ultima ha solo riscontrato il fatto della caduta sulle scale ma non le altre modalità dell’accaduto indicate nel ricorso né ha comunque fornito elementi utili in tal senso.

Si trascrive di seguito il passo di interesse di tale deposizione:

“(omissis)……..Quindi io mi ero cambiata al primo piano e stavo scendendo le scale. La ricorrente saliva per andarsi a spogliava perché staccava….. Mentre scendevo ho sentito un botto e ho visto la ricorrente cadere: è scivolata mettendo le mani avanti; scivolando è andata a finire sul gradino più grande degli altri. Non c’era nessuno accanto a lei, sulla scale c’eravamo solo io e la ricorrente; la ricorrente si è rialzata e mi ha chiesto di chiamare la caporeparto perchè aveva una mano dolorante; io sono andata a chiamare la caporeparto (non mi ricordo chi era) mentre la ricorrente è rimasta sulle scale. Poi sono entrata al lavoro e non ha più visto niente.

Le scale erano bianche e nere, non ricordo se ci fossero le strisce nere antiscivolo.

La ricorrente quando è caduta era ancora in divisa da lavoro ed aveva le scarpe da lavoro. Erano come quelle che porto pure io.

C’è un signore da cui andiamo quando le scarpe si rompono e fanno male, e lui ce le cambia. Non c’è una data fissa per il cambio ma ognuno giudica lo stato delle proprie scarpe. Non ricordo il nome perché il soggetto che si occupa di questo è cambiato negli anni. Quando all’inizio iniziamo a lavorare ci viene detto che la procedura è questo. Ciò vale per qualunque dispositivo o vestito se si rovina si presenta per il cambio ………(omissis)

Le scale erano due rampe da circa 10 scalini l’una. Più o meno ci volevano pochi minuti non mi so regolare con l’orario. Più o meno la lunghezza delle scale è pari a quelle che portano al primo piano del tribunale.

Viene mostrato al teste il doc 4 di parte ric: la scala corrisponde a quella dove è caduta la ricorrente; è caduta negli ultimi gradini visibile nella foto in alto ed è caduta sul piano che si trova sopra.

Insomma la teste non è stata in realtà in grado di descrivere le modalità dell’infortunio, verosimilmente perché non lo ha visto accadere per intero ma ha assistito solo alla sua ultima parte, come si desume dalla espressione, altrimenti illogica, secondo cui “Mentre scendevo ho sentito un botto e ho visto la ricorrente cadere”. In tale contesto la precisazione secondo cui “è scivolata mettendo le mani avanti” deve intendersi riferita più propriamente alla caduta perché se la teste avesse assistito all’inizio dello scivolamento non avrebbe sentito prima il “botto”, o più verosimilmente le grida della XXX, e comunque sarebbe stata in grado di indicarne le modalità e le cause.

Sfugge, pertanto, quale sia la ragione specifica della caduta, astrattamente addebitabile ad una pluralità di cause non tutte attribuibili a responsabilità datoriali (ad esempio malore, errato posizionamento dei piedi o sbagliata movimentazione delle gambe etc.etc.).

Di certo la teste non ha riferito che le scarpe indossate dalla XXX fossero usurate e deformate né che le strisce antiscivolo fossero assenti o inidonee. Neppure ha affermato che le scale erano bagnate o cosparse di materiale scivoloso.

Neppure gli altri tre testi uditi hanno narrato circostanze del genere.

Anzi i testi *** e *** hanno detto che sulle scale erano posizionate le strisce nere antiscivolo.

E tutti i testi, inclusa la *** come sopra si è visto, hanno riferito dell’esistenza della prassi aziendale secondo cui ogni dipendente, quando le scarpe di dotazione sono logore od usurate, ne ottiene un nuovo paio previa segnalazione.

Si menziona ora di tale prassi non già per valutarne la legittimità ma solo per constatarne il vigore, con la conseguenza che risulta poco credibile l’utilizzazione di scarpe logore ed usurate da parte della XXX al momento dell’infortunio perché tale racconto non collima con la facoltà, nell’ipotesi non esercitata, di richiedere ed ottenere agevolmente la sostituzione delle medesime.

L’appellante sostiene che la presenza di materiale scivoloso sulle scale sarebbe fatto provato poiché non contestato specificamente dalla società appellata nella memoria di costituzione di primo grado.

Senonché, a ben vedere, difetta in realtà, come sopra ricostruito, una allegazione di presenza di materiale scivoloso sulle scale al momento dell’infortunio nel ricorso introduttivo, per cui non ha senso parlare di mancata contestazione.

In tale ricorso si allegava invece la esistenza di precedenti cadute originate, queste si, dalla presenza di materiale scivoloso sulle scale, ma anche tali accadimenti non hanno ricevuto riscontro alcuno.

6.8) Se così è, rimane superfluo disquisire sulla osservanza o meno di questa o quella misura antinfortunistica da parte del datore.

Si è difatti già innanzi visto, al punto 6.5, che :

– grava sul lavoratore la prova del fatto costituente l’ inadempimento datoriale;

– l’onere a carico del datore di dimostrare di aver adottato tutte le idonee misure di prevenzione è strettamente collegato all’individuazione della modalità in cui si è svolto il fatto.

Non avendo nella specie la XXX dimostrato le modalità dell’infortunio subito e la riconducibilità di esso a fattori imputabili o comunque ricadenti nella sfera di intervento datoriale, resta vano esaminare la idoneità delle tutele antinfortunistiche.

7) Vanno disattese le richieste dell’appellante di riapertura della istruttoria.

Quanto alla prova testi il primo giudice, a fronte di una lista testi di quattro nominativi indicati dall’allora ricorrente, ha esercitato la facoltà riconosciuta dall’art. 245 cpc ed ha ridotto a due per parte i nominativi da udire, numero senz’altro sufficiente al fine di accertare i fatti controversi nella presente causa, tenuto anche conto che tutti i testi inclusi nella lista sono indicati indifferentemente su tutti i capitoli del ricorso.

Del resto nel ricorso non si indica quali nominativi sarebbero stati presenti al momento del fatto e la teste *** ha narrato che non vi erano altre persone presenti.

Tale ultima considerazione vale anche ad escludere la attuale rilevanza dell’interrogatorio formale, tanto più che l’appellata interroganda è una società di capitali e che questa già nella comunicazione di infortunio sul lavoro all’Inail, e quindi in tempi non sospetti, aveva riferito (vedi sopra punto 6.7) di non essere stata presente al fatto.

Per il resto YYY ha già prodotto il documento di valutazione rischi di cui l’appellante ha chiesto l’esibizione mentre altri ordini di esibizione risultano superflui alla luce delle risultanze istruttorie come sopra già raggiunte, come del pari la ctu sullo stato dei luoghi.

8) In definitiva l’appello deve essere rigettato.

Le spese del grado seguono la soccombenza dell’appellante e sono da liquidare come da dispositivo tenuto conto dei parametri introdotti con decreto ministeriale del 10 marzo 2014 n. 55 (valore causa indeterminabile non complessa, senza attività istruttoria).

Sussistono inoltre i presupposti processuali per il cd raddoppio, a carico dell’appellante, del contributo unificato.

9) Invece può essere accolta la richiesta di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza di primo grado sul nome dell’allora ricorrente ed attuale appellante.

P.Q.M.

La Corte così decide:

a)rigetta l’appello e conferma la sentenza impugnata, da correggere ex art. 288 cpc laddove il nome del ricorrente è erroneamente indicato in “XXX” in luogo di “XXX”;

b) condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado da liquidarsi per compensi in euro 3.500 oltre il 15% per rimborso delle spese generali ed Iva e cpa come per legge.

c) dà atto che ricorrono in capo all’appellante i presupposti processuali per l’obbligo di versamento di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012.

Così deciso il 24.4.2020

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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