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Codice Civile
Codice Penale

Marchio c.d. misto o complesso

Marchio c.d. misto o complesso (figurativo e denominativo insieme), può essere invocata tutela avuto riguardo a ciascuno dei suoi elementi.

Pubblicato il 22 June 2019 in Giurisprudenza Civile, Proprietà Intellettuale

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
TRIBUNALE DI CATANIA
Sezione Specializzata in Materia di Imprese

Il Tribunale di Catania, sezione specializzata in materia di imprese, composto dai Sigg.ri Magistrati:

ha emesso la seguente

SENTENZA n. 2623/2019 pubblicata il 20/06/2019

nella causa civile iscritta al n. /10 R.G.A.C., posta in decisione, previ gli incombenti di cui all’art. 281 quinquies c.p.c. cbn. disp. art. 190 c.p.c., all’udienza di precisazione delle conclusioni del 2 ottobre 2018;

promossa da

XXX srl,

in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i.), elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’Avv., che lo rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione;

attrice;

contro
YYY e ZZZ, nata a (c.f.), in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i.), elettivamente domiciliati in presso lo studio dell’Avv., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione unitamene e disgiuntamente all’Avv. del Foro di Palermo;

convenuti ed attori in riconvenzionale;

e

ditta KKK,

in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in, elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’Avv., che lo rappresenta e difende giusta

procura a margine della comparsa di costituzione;

convenuta

OGGETTO: NULLITA’ MARCHIO E RISARCIMENTO DEL DANNO.

Conclusioni
I procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni riportandosi a quanto dedotto, chiesto ed eccepito nei propri atti e nei verbali di causa.

Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 23.2010 (comunicata all’UIMB ai sensi dell’art. 122, comma 6, c.p.i.) XXX srl conveniva in giudizio innanzi questo Tribunale la ditta KKK, la ZZZ e YYY ed esponeva a) di avere acquistato dalla ditta *** in data 14.6.2010 il marchio d’impresa “***”, che a sua volta lo aveva acquistato in data 5.3.2010 dalla curatela del fallimento della ditta *** per il prezzo di € 98400.00; b) di avere accertato che presso il negozio *** in

Acireale dalla convenuta ditta KKK vengono vendute ceramiche “***” senza alcuna autorizzazione; che tali ceramiche vengono vendute con un certificato di autenticità relativo al marchio “***”, registrato in data 25.10.2010 (su richiesta del 15.1.2009) da YYY; c) che dette ultime ceramiche vengono prodotte dalla convenuta ZZZ; d) che la convenuta YYY ha anche ottenuto la registrazione del marchio misto denominativo figurativo “*.***” e la registrazione disegni ornamentali, privi di requisiti di novità ed originalità perché riproduzione della produzione artistica del marchio

“***”.

Chiedeva conseguentemente che venisse dichiarata la nullità del marchio e dei modelli registrati dalla convenuta YYY e venisse ordinato alle convenute di cessare l’uso del marchio in questione, oltre l’applicazione delle misure sanzionatorie previste dal C.P.I.

Chiedeva altresì che fosse accertata la sussistenza di atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c., con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti.

Si costituivano i convenuti YYY e ZZZ opponendosi.

Si costituiva la ditta KKK opponendosi.

Assunta la prova testimoniale richiesta, all’udienza del 2 ottobre 2018 la causa veniva posta in decisione.

Trascorsi i termini di cui all’art. 281-quinquies c.p.c. (cbn. disp. art. 190 c.p.c.), questo Collegio pronuncia la presente per i seguenti

MOTIVI DELLA DECISIONE
Non essendo emersi elementi nuovi nel corso del giudizio rispetto alla precedente fase cautelare, non possono che essere ribadite le motivazioni già poste a base dell’inibitoria (ordinanza del 19.11.2010 – est- giudice) poi confermata in sede di reclamo (motivazioni che questo Collegio condivide pienamente), con le precisazioni di cui infra in relazione al chiesto risarcimento dei danni.

E cosi.

La società attrice XXX srl è proprietaria – per averlo acquistato dalla ditta ***, che lo aveva acquistato dal fallimento di *** – del marchio d’impresa XXX. Si tratta di un marchio misto nel quale alla denominazione *** si aggiunge la rappresentazione di una figura stilizzata raffigurante, posto all’interno di un riquadro forma quadrata. I colori utilizzati per la parte figurativa sono il bianco, il rosso e il nero.

La ZZZ sas utilizza per i propri prodotti un marchio misto contraddistinto dalla raffigurazione di un volto racchiuso da un tondino, con grandi occhi e labbra appariscenti (di donna), le gote rosse e presenta colori bianco, rosso, verde, arancio, giallo con le sole linee in nero cui si aggiunge la denominazione in lettere a stampatello di colore rosso “*.***”. E’ opportuno precisare che la proprietà del marchio utilizzato sulle ceramiche predette dalla convenuta è di YYY, anch’essa convenuta, che è altresì titolare del marchio meramente denominativo “***”.

Sostanzialmente parte attrice lamenta la contraffazione ad opera dei convenuti del marchio XXX di sua proprietà.

La convenuta YYY ha eccepito la decadenza per non uso del marchio di proprietà dell’attrice, affermando che la precedente titolare *** non lo avrebbe mai utilizzato per contraddistinguere le creazioni in ceramica. Invero la attrice ha comprovato che la propria dante causa (rectius dante causa della propria dante causa) aveva utilizzato il marchio in questione sia sulla carta intestata della ditta che su alcuni biglietti illustrativi a disposizione dei rivenditori (cfr. doc. in atti), con ciò comprovando l’uso del marchio.

La convenuta XXX ha comprovato di avere depositato domanda di registrazione del marchio misto dal titolo “*.***” e del marchio denominativo dal titolo “***” ed ha dedotto che tali marchi esistevano già prima della domanda di registrazione quali marchi di fatto utilizzati per distinguere le ceramiche prodotte da “ZZZ” e che ciò renderebbe valida la registrazione ex art. 13 d.lgs. 30/2005, e che la comparazione tra i marchi effettuata sulla base delle domande di registrazione degli stessi ne dimostrerebbe la diversità sia nel logo che nella icona raffigurativa, sia nella maggiore ampiezza delle classi merceologiche, sia nella novità dei due marchi “*.***” e “***”.

In linea di principio deve affermarsi che la violazione degli altrui diritti di privativa derivanti dal marchio registrato si verifica con l’adozione, onde contrassegnare prodotti dello stesso genere o di genere affine (o nel caso eccezionale del marchio che goda di rinomanza anche di genere non affine), di un marchio uguale o simile. Per contraffazione deve poi intendersi non la semplice imitazione del marchio bensì la sua riproduzione negli elementi essenziali.

Il giudice – nel giudizio comparativo – deve preventivamente individuare/ricercare il cuore del marchio, cioè il nucleo centrale, ideologico- espressivo, l’idea fondamentale, che è alla base e connota il marchio di cui si chiede la tutela ed in cui si riassume l’attitudine individualizzante e caratterizzante. Compiuta la detta operazione si devono valutare i fattori di novità ed idoneità differenziatrice del marchio incriminato. La contraffazione sussiste se l’imitazione cade su tale nucleo, sicchè devono ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche rilevanti e originali, che lasciano sussistere i nucleo ideologico espressivo.

Il giudizio di confondibilità non deve essere effettuato in modo analitico, ossia mediante una valutazione di ogni singolo elemento, ma in modo sintetico e complessivo, tenendo conto degli effetti che i marchi possono provocare nel pubblico dei consumatori dotati di media diligenza e avvedutezza. In proposito, per costante orientamento della Corte di legittimità, condiviso anche dalla dottrina, il giudizio di confondibilità fra i segni distintivi similari “…. deve essere compiuto dal Giudice di merito non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, bensì in via globale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi – i soli qui rilevanti – mediante una valutazione di impressione, che cioè non deve avere riguardo alla possibilità di un attento esame comparativo e va condotta in riferimento alla normale diligenza ed avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo essere eseguito il raffronto tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro” (Cass. 4405/06; conformi , Cass., n. 21086 del 2005; n. 19436 del 2005; Cass., n. 3984 del 2004; Cass. n.1473/1995; cfr. anche Cass. n.3984/04; Cass. 13592/99).

Specifica poi la giurisprudenza che ove si tratti di marchio “forte”, quale è quello della attrice avuto riguardo al cuore del marchio (in quanto frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti), sono illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante (cfr. Cass. n.3984/04; Cass. 13592/99).

Va premesso che pacificamente, in relazione al marchio c.d. misto o complesso (figurativo e denominativo insieme), può essere invocata tutela avuto riguardo a ciascuno dei suoi elementi (sempre che gli stessi presentino autonoma capacità distintiva), e che anche con riferimento ai marchi in questione vada individuato il c.d. “cuore del marchio”, vale a dire il nucleo caratteristico fondante della attitudine distintiva del segno.

Quanto appena esposto vale, indifferentemente, per il marchio c.d. “debole” e per il marchio c.d. “forte”.

Come è noto il primo è il marchio che si caratterizza per la mera attitudine descrittiva del prodotto o del servizio che contraddistingue, delle sue qualità e delle sue caratteristiche: è un marchio che in tanto è valido in quanto non si limita a ripetere pedissequamente il nome comune del tipo di prodotto o servizio che rappresenta (ovvero a rappresentarlo in forma grafico-figurativa comune), caratterizzandosi, piuttosto, per l’aggiunta di prefissi, suffissi, distorsioni o particolari combinazioni delle parole (ovvero per particolari stilizzazioni, in caso di marchio figurativo).

Il marchio c.d. forte, invece, è quello il cui valore semantico (o la veste grafico-figurativa) nulla ha a che vedere con i prodotti o i servizi contraddistinti (o perché si tratta di parole o simboli di pura fantasia o perché il significato proprio degli stessi non presenta alcuna attinenza al prodotto) e che presenta quindi una marcata valenza distintiva: si suole comunemente dire che la tutela del marchio c.d. forte si estende al nucleo ideologico dello stesso, ossia al concetto che il marchio esprime.

In giurisprudenza è consolidato l’orientamento secondo cui: “In tema di marchi d’impresa, la qualificazione del segno distintivo come marchio c.d. debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio cosiddetto forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte” (così Cass., sez. I^, 26 giugno 2007, n. 14787; e v. anche Cass., sez. I^, 27 febbraio 2004, n. 3984; Cass., sez. I^, 26 giugno 1996, n. 5924 e Cass., sez. I^, 22 febbraio 1994, n. 1724).

Posta tale premessa in linea di principio e venendo all’esame del caso di specie, il cuore del marchio (misto) della società attrice – “XXX” – è il cognome *** (costituendo la parola ceramiche l’indicazione del genere del prodotto, come tale utilizzabile liberamente da chiunque e priva di qualsivoglia valenza individualizzante) associato ad una figura stilizzata (iscritto in un cerchio).

Il cuore del marchio (misto) della convenuta è il cognome *** associato ad un (iscritto in un cerchio).

La prima verifica da fare riguarda il profilo semantico, grafico e fonetico.

Entrambi i marchi contengono il cognome ***. Il marchio della ricorrente è in carattere stampatello minuscolo mentre i marchi della resistente non recano spaziatura alcuna tra la parola ** e ** e sono in carattere stampatello maiuscolo. Sotto il profilo semantico e fonetico i marchi delle parti in causa sono, nel loro nucleo, di fatto, identici, recando entrambi il cognome ***. Tale conclusione non viene scalfita dal fatto che, sotto il profilo grafico, il carattere sia minuscolo per il marchio della ricorrente e maiuscolo per gli altri, né dal fatto che il marchio della resistente non abbia spaziatura tra “**” e “**” e che uno dei marchi della resistente antepone una “*.” a “**”.

Ciò che conta – richiamando i criteri in precedenza enunziati – è, infatti, la percezione che ne ha il consumatore; e non par dubbio che il consumatore nell’approccio ai due marchi, sempre che riesca a ricordarne le (impercettibili) differenze – e tra queste rientra anche la “*.” prima del cognome – (ipotesi della quale sembra, in vero, lecito dubitare), li associerà alla medesima impresa (cfr. sul punto C. App. Torino, sent. 22.02.08, secondo cui “Il marchio che sia formato da un nome e da un cognome non corrispondente a un concetto o a un oggetto – non evidenziando, così, il benché minimo collegamento estrinseco con il relativo prodotto nasce quale marchio dotato di forte attitudine individualizzante sicché la sua tutela deve intendersi estesa a tutti i casi in cui il segno confliggente condivida il medesimo nucleo fonetico e grafico, non bastando in senso differenziante delle minime variazioni”).

A conclusioni analoghe – ricordandosi che la valutazione finale su un marchio misto non può che essere unitaria e riferita al marchio nel suo complesso mentre non è consentita una scissione tra parte figurativa e denominativa – si giunge con riferimento alla parte figurativa del marchio sol che si richiamino quegli aspetti figurativi che sono stati individuati come cuore del marchio: per il marchio del ricorrente “….figura stilizzata (iscritto in un cerchio)”, per il marchio del resistente “…. un volto con (iscritto in un cerchio)”.

Entrambi i marchi – ponendosi nella posizione di un potenziale consumatore e del ricordo del marchio che questi può avere (sul punto si rinvia alla considerazioni in precedenza espresse ed alla giurisprudenza citata) – attirano l’attenzione per la presenza di un volto tondo con due gote tonde rosse (colore questo che, più di ogni altro, caratterizza la produzione ***).

Le conclusioni esposte palesano la sussistenza della contraffazione e del rischio di confusione dei consumatori.

Non giova alla resistente YYY il richiamo all’art. 8, co. 3, cpi perché la registrazione del marchio “***” contenente nome di persona notorio venne a suo tempo effettuata proprio dall’avente diritto, ***, erede di ***.

La resistente allega poi che la dizione *** che viene apposta sulla produzione di ceramica altro non è che la firma dell’artista che ha realizzato il singolo pezzo e che tale “diritto di firma” non potrebbe spettare alla ricorrente ma solo a chi legittimamente porta il cognome ***, proseguendo la tradizione ceramista di famiglia inaugurata dal proprio padre, maestro ceramista ***.

La tesi, per quanto suggestiva, appare frutto di un equivoco. Quella che un tempo – a voler seguire l’assunto della resistente (peraltro confermato dal teste sommario informatore) – era la firma del maestro *** che veniva apposta su alcuni pezzi di particolare valenza artistica, una volta che le XXX hanno acquisito notorietà è divenuta marchio di fatto delle stesse, cioè quell’elemento che consentiva al consumatore di collegare il prodotto al produttore ***, distinguendolo dalle altre ceramiche riconducibili a soggetti diversi.

Il marchio ***, come detto, è poi stato oggetto di registrazione dall’avente diritto ***, come “***” (unito alla parte figurativa in precedenza descritta ed esaminata), registrazione che per un verso preclude l’utilizzazione da parte di soggetti diversi dal titolare del marchio del cognome *** come marchio e legittima il titolare del marchio ad usare il cuore del marchio scisso dalla parola ceramica e per altro verso – seppur incidentalmente e con la sommaria cognitio propria del giudizio cautelare – priva del requisito della novità i marchi oggetto di domanda di registrazione da parte della resistente YYY.

La resistente evidenzia, sotto il profilo della differenziazione tra i marchi, che i propri oltre alle classi merceologiche 19 e 20 (comuni con il marchio della controparte), hanno ottenuto registrazione per la classe 40.

Se è vero che la classe 40 è propria solo dei marchi della resistente, è altrettanto vero che le classi di registrazione attengono al profilo amministrativo della procedura di registrazione del marchio e – allo scopo di di valutare l’affinità merceologica – non può attribuivisi rilievo (cfr. Trib. Milano, 24/02/1994, Riv. Dir. Ind., 1995, II, 31; neppure la dottrina sul punto nutre dubbi), dovendo il giudizio procedere “in concreto” sulla scorta di elementi affatto diversi.

Dottrina e giurisprudenza hanno elaborato più che un criterio una serie di parametri valutativi alla stregua dei quali condurre il giudizio di valutazione dell’affinità tra prodotti o servizi, giudizio che, in sostanza, deve consentire di accertare se sussiste quel grado di vicinanza tra prodotti o servizi che genera confusione.

Il nucleo per così dire tradizionale di tali parametri muove dal punto di vista della ricollegabilità dei prodotti alla medesima fonte di provenienza, valutata in base alla idoneità a soddisfare a) gli stessi bisogni; b) destinazione alla medesima clientela; c) intrinseca natura del prodotto/servizio (cfr. Cass. 6244/83).

L’insufficienza del criterio esposto è stata evidenziata dalla dottrina che ha proposto di valorizzare (in aggiunta) anche ulteriori e diversi parametri valutativi, rilevanti dal punto di vista del consumatore, quali: la “forza” (cioè notorietà del marchio) del marchio; la qualità e tipologia dei prodotti (elevata/bassa; beni/servizi); la destinazione ad un consumatore di media diligenza, adeguatamente informato sui prodotti del settore merceologico di interesse (cfr. Cass. 6080/04); il contesto socio-culturale cui i prodotti sono rivolti.

Fatta tale necessaria premessa e riscontrato il concreto contenuto della classe merceologica “40”, tutti gli indici valutativi individuati conducono inequivocabilmente a concludere che il pericolo di confusione non viene eliminato dalla merceologia indicata nella classe “40” (ed in particolare si evidenzia che la stessa contiene la previsione di terracotta, maiolica, ceramica (lavori su), vetreria).

La resistente YYY ha registrato n. 100 modelli e disegni che assume di sua personale creazione che (è pacifico tra le parti) vengono utilizzati nella produzione di ceramica sia da quest’ultima che dalla ricorrente; vantando la privativa scaturente dalla registrazione ha chiesto di inbirsi alla ricorrente l’utilizzazione dei modelli e disegni registrati.

La resistente ha eccepito l’assenza di novità dei modelli e disegni registrati, affermando che si tratta di modelli e disegni facenti parte della linea di produzione *** da svariati anni.

A supporto dell’eccezione ha prodotto due cataloghi della produzione *** risalenti agli anni ’80.

La mancanza di novità per molti di questi disegni è stata confermata anche dai testi escussi in udienza ed ammessa anche dalla stessa convenuta (cfr. conclusionale). Per i disegni per i quali i testi non hanno riconosciuto la presenza nei cataloghi *** (originario), è sufficiente rilevare che ciò che rileva è la mancanza di novità di immediata percezione, tenuto conto che la stessa convenuta ha richiesto una ctu (non ammessa) al fine di individuare le sottigliezze tecnico/stilistiche tra i disegni in questione.

Avuto riguardo a quanto sopra esposto ritiene il collegio che i marchi registrati da YYY devono essere dichiarati nulli ex art. 25 c.p.i. in quanto privi del requisito di novità previsto dall’art. 12 c.p.i., con conseguente sussistenza dell’illecita contraffazione del marchio. E ciò vale anche per la registrazione dei disegni.

Il marchio in questione difetti del requisito della novità (e sia quindi nullo), sia avuto riguardo alla sola parte denominativa che, in generale, come marchio misto.

Difatti l’art. 25 d.lgs 30/2005 (Codice della proprietà industriale) indica tra le ipotesi di nullità del marchio – tra l’latro – la mancanza di novità ai sensi dell’art. 12, per il quale “Non sono nuovi, ai sensi dell’articolo 7, i segni che alla data del deposito della domanda: ……d) siano identici ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici; e) siano identici o simili ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni o dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; ….”

A detta conclusione non è di ostacolo – come detto – la circostanza che la convenuta abbia registrato un marchio misto (secondo una valutazione globale e sintetica dello stesso, che pure la giurisprudenza consente e richiede – v. Cass., sez. I^, 28 gennaio 2010, n. 1906 e Cass., sez. I^, 28 febbraio 2006, n. 4405 –, e che però non elide la necessità di individuarne il c.d. cuore).

Invero, per quanto sopra esposto, la parte del marchio registrato dall’attrice che presenta carattere realmente distintivo è quella denominativa : ne consegue che la differenziazione, in questo caso certamente efficace, della parte grafica dei due marchi, di per sé non è sufficiente ad escludere il rischio di confusione ingenerato dalla quasi identità della parte denominativa (ed avuto riguardo alla identità del prodotti commercializzati).

Del resto le conclusioni appena esposte risultano confermate anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e del Tribunale di I grado dell’Unione la quale, come è noto, peraltro prescinde dal preliminare esame in ordine alla natura “forte” o “debole” del marchio richiesto invece dalla giurisprudenza interna (v., ad es. Trib. di I grado CEE, sez. III^, 14 luglio 2005, n. 312, secondo cui: “Sussiste rischio di confusione, tale da impedire la registrazione del marchio richiesto, tra un marchio figurativo e denominativo nazionale anteriore, e il marchio denominativo richiesto, tenuto conto dell’identità dei prodotti designati, laddove, constatata la somiglianza visiva e concettuale tra il marchio denominativo richiesto e l’elemento verbale del marchio anteriore, l’elemento denominativo del marchio anteriore sia la componente dominante del marchio, ciò che determina l’impressione generale che ne riceve il pubblico destinatario. Non essendo, infatti, l’elemento figurativo del marchio anteriore, per le sue dimensioni, la sua originalità e l’elaboratezza della sua riproduzione, dominante rispetto agli elementi verbali del marchio stesso, non è tale da escludere il rischio di confusione ai sensi dell’art. 8 n. 1, lett. b), del regolamento 40/94. La norma in parola, infatti, dispone che, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se sussiste rischio di confusione”; e v. anche Trib. di I grado CEE, sez. IV^, 22 giugno 2005, n. 34; Trib. di I grado CEE, sez. IV^, 25 maggio 2005, n. 352).

In definitiva quindi, difettando il carattere di novità, in accoglimento della domanda proposta dall’attrice deve essere dichiarata la nullità del marchio registrato dalla convenuta YYY al n. in data 25.10.2010 (data di deposito della domanda il) e di quello al n..

Detta nullità va estesa anche all’utilizzo dei modelli e disegni ornamentali per la quale la convenuta ha ottenuto la registrazione in data al n..

In giurisprudenza si è – infatti – affermato che nella valutazione circa l’affinità dei prodotti, assume rilevanza la notorietà di cui gode un marchio, atteso che la particolare penetrazione commerciale acquisita da uno dei contendenti – tramite una specifica qualità del prodotto, forti campagne pubblicitarie, presenza da lungo tempo e così via – espone l’azienda al rischio che altri ne sfrutti tali positive caratteristiche, mettendosi al traino del prodotto noto ed ingenerando nel consumatore la falsa convinzione di una unicità di provenienza (cfr. Trib. Bologna 2.5.2008; Trib. Torino 26.11.2007).

Quanto alla denunciata concorrenza sleale, dimostrato che le convenute utilizzano una serie di segni distintivi (marchio e disegni) idonei a ingenerare confusione in ordine alla provenienza dei prodotti da essa commercializzati con quelli dell’attrice (atteso che tutte producono e vendono vino), anche la domanda in questione risulta certamente fondata.

Ritiene tuttavia il collegio che alla declaratoria dell’illecito concorrenziale realizzato dalle convenute (al pari dell’accertamento della violazione dei diritti di privativa vantati dall’attrice), non possa fare seguito la invocata condanna al pagamento di quanto indebitamente guadagnato a seguito della illegittima commercializzazione né la condanna al risarcimento del danno in mancanza di prova dello stesso.

È vero, infatti, che l’attrice in via istruttoria ha chiesto ordinarsi alla convenuta di esibire le scritture contabili onde poter trarre dalle stesse elementi utili ai fini della quantificazione del danno, epperò è altrettanto vero che la richiesta istruttoria, in quanto generica, non può essere accolta (ed è stata rigettata in corso di causa).

In proposito deve essere infatti ricordato come sebbene l’art. 121, comma 2, c.p.i. preveda che: “Qualora una parte abbia fornito seri indizi della fondatezza delle proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o informazioni detenuti dalla controparte che confermino tali indizi, essa può ottenere che il giudice ne disponga l’esibizione oppure che richieda le informazioni alla controparte”, la stessa norma appena riportata richieda l’individuazione dei documenti di cui può essere disposta l’esibizione e come, in via generale, l’ordine di esibizione disciplinato dagli artt. 210 ss. c.p.c. e dall’art. 94 disp. att. c.p.c. presupponga che l’istanza di esibizione contenga la specifica indicazione del documento richiesto. Nel caso di specie non è stato indicato né di quali specifiche scritture contabili si sarebbe dovuta disporre l’esibizione e nemmeno l’arco temporale di riferimento, lasciando in sostanza al giudice stabilire, d’ufficio, l’oggetto dell’invocato ordine.

A ciò si aggiunga che certamente l’attrice non si è in alcun modo data carico di fornire la prova del danno subito sia, quanto meno allegando quale che sia voce di danno emergente, sia dimostrando, come sarebbe stato certamente in suo potere, un eventuale calo nelle vendite (in ipotesi anche in coincidenza con il deposito del marchio oggi dichiarato nullo ovvero con l’attivazione del nome a dominio aziendale), e ciò senza trascurare che il criterio c.d. residuale per la determinazione del lucro cessante previsto dall’art. 125, comma, 2, c.p.i., secondo cui: “il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso” impone all’attrice di fornire almeno i parametri generali per stabilire il prezzo della ipotetica licenza, senza che il giudice possa in alcun modo, d’ufficio, sopperire alla detta carenza probatoria. Quanto infine al riferimento alla “somma globale stabilita in base agli atti di causa e alle presunzioni che ne derivano”, anch’esso contenuto nel citato art. 125, comma 2, c.p.i. (a cui pure l’attrice espressamente si richiama), è appena il caso di osservare come negli atti di causa non si rinvenga quale che sia minimo riferimento, ad es. al prezzo dei prodotti contraddistinti dal marchio nullo, al fatturato delle convenute, ovvero a qualsiasi altro elemento di natura economica sulla cui base potere fondare, almeno in via presuntiva, la determinazione del danno.

Quanto sopra costituisce – peraltro – principio pacifico in giurisprudenza: in tema di risarcimento del danno come conseguenza di accertata concorrenza sleale per confusione, va respinta la domanda risarcitoria ove essa non sia suffragata dalla dimostrazione di aver subito una contrazione delle vendite o del fatturato a seguito dell’illecito e manchi ogni riscontro probatorio su cui fondare una valutazione equitativa, essendo insufficiente a questo fine il solo dato relativo alle vendite realizzate dal contraffattore. In caso di contraffazione la liquidazione dei danni subiti può essere compiuta con criterio equitativo dal giudicante adito soltanto ove il danneggiato abbia fornito la piena prova relativa al c.d. an debeatur; né questo presupposto sembra potersi dire superato, nemmeno da chi sostiene che i possibili metodi di determinazione del danno sono fondati sulla presunzione che il cliente che ha acquistato la merce contraffatta si sarebbe rivolto al fabbricante legittimo per ottenere quel bene in assenza del prodotto contraffatto sul mercato: tale presunzione, infatti, non può operare automaticamente in difetto di allegazioni probatorie sulla sussistenza di un danno (danno emergente o lucro cessante) nel caso concreto (cfr. Trib. Bologna, Sez. IV, 27/02/2008; Trib.Napoli 26/2/2002).

Alla luce di quanto appena esposto non resta quindi che rigettare la richiesta di risarcimento del danno avanzata dall’attrice.

All’accoglimento della domanda di nullità del marchio della convenuta e della violazione del diritto di proprietà industriale in capo all’attrice realizzata da entrambi i convenuti, consegue – avendone parte attrice fatto richiesta – l’applicazione della misure sanzionatorie e correttive di cui all’art. 124 c.p.i..

Le spese del giudizio – seguendo la soccombenza – vanno poste a carico dei convenuti e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Catania, sezione specializzata in materia di imprese, udito il procuratore di parte attrice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXX srl contro YYY, ZZZ e ditta KKK, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o difesa, così provvede:

1. dichiara la nullità del marchio registrato da YYY al n. in data (data di deposito della domanda il) e di quello al n., nonché di quello relativo

all’utilizzo dei modelli e disegni ornamentali per la quale la convenuta ha ottenuto la registrazione in data al n.;

1. ordina ai convenuti di cessare immediatamente dall’uso dei marchi ***, *** e *.***, fissando la somma di € 500.00 per ogni ulteriore violazione e per ogni giorno di ritardo nell’adempimento;

2. ordina il ritiro dal mercato e la distruzione a cura e spese delle convenute entro gg 30 dalla comunicazione della sentenza di tutti i prodotti recanti i predetti marchi;

3. ordina che il dispositivo della presente sentenza venga pubblicato, per un solo giorno a scelta della attrice, sul quotidiano “***” e su due riviste di settore scelte dall’attrice, a cura di quest’ultima e con spese a carico dei convenuti;

4. rigetta la domanda di risarcimento del danno;

5. condanna i convenuti al rimborso in favore di parte attrice delle spese processuali, liquidate in complessivi € 15658.00, di cui € 658.00 per spese, € 15000.00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa;

6. dispone che copia della presente sentenza venga trasmessa a cura della cancelleria all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.

Così deciso in Catania, nella camera di consiglio della sezione specializzata

in materia di imprese, il 18 giugno 2019

Il giudice est.
Il Presidente dott.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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