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Risarcimento per responsabilità medica

Il Tribunale rigetta la domanda di risarcimento danni per responsabilità medica perché non è stata fornita la prova del nesso causale tra l’operato del medico e le lesioni lamentate dal paziente. La CTU ha avuto un ruolo determinante. Spese a carico del soccombente.

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Pubblicato il 31 maggio 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 2017/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA PRIMA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona della Giudice NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._1240_2025_- N._R.G._00002017_2022 DEL_29_05_2025 PUBBLICATA_IL_29_05_2025

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2017/2022 promossa da:

(C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME ) CORSO VENEZIA INDIRIZZO VERONA;

, elettivamente domiciliato in presso il difensore RAGIONE_SOCIALE contro (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME elettivamente domiciliato in INDIRIZZO null 37122 Verona presso il difensore avv. COGNOME (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO

COGNOME presso il difensore avv. COGNOME CONVENUTI

CONCLUSIONI

C.F. C.F. C.F.

Le parti hanno concluso come da come da fogli di precisazione delle conclusioni depositati in via telematica in data 6.2.2025 per parte attrice, e per parte convenuta come da memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 cpc depositata in data 1.9.2022, in data 16.1.2025 per parte convenuta Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Nel presente procedimento la sig.ra ha convenuto in giudizio la dott.ssa e la chiedendo di accertare e dichiarare la responsabilità professionale della dott.ssa suo sanitario curante, per la ritenuta errata esecuzione di un’operazione medica cui l’attrice si era sottoposta e, per l’effetto, condannare i resistenti in solido al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti oltre a domandare, in via istruttoria, la disposizione di una CTU medico-legale. Infatti, la sig.ra si era sottoposta in data 22.11.2016 ad un “intervento di Osteotomia Distale del 1°, 2° e 3° metatarso, semiartrodesi IFP 2° dito piede dx” eseguito presso la di Verona dalla Dr.ssa su suggerimento della dott.ssa a seguito di alcune visite di controllo.

Tuttavia, la sig.ra non era rimasta soddisfatta dell’intervento a causa di alcuni problemi di salute postumi, a sua detta, derivanti dall’errato svolgimento dell’operazione, tutt’ora presenti.

Ella, in particolare, riferisce che a tutt’oggi il suo 2° dito del piede destro si presenta “del tutto flesso e preme”, provocando dolore nel carico e nella deambulazione, contro la suola plantare della scarpa.

Negli scritti difensivi l’attrice sosteneva – dunque – che se l’intervento fosse stato eseguito correttamente non si sarebbero verificate le suddette complicanze, peggiorative della sua quotidianità:

ella riferisce di non riuscire più a praticare attività sportiva, a indossare scarpe con il tacco e di soffrire di un mal di schiena cronico.

Si è costituita in giudizio, in data 17.5.22, la , contestando le deduzioni attoree e formulando domanda riconvenzionale in via subordinata, di condanna della dott.ssa – che svolgeva al momento del fatto prestazioni presso la clinica quale libero professionista – con conseguente manleva della Clinica da ogni responsabilità.

Si è costituita, parimenti, in data 10.6.22 chiedendo di respingersi ogni domanda proposta da parte attrice, nonché in via riconvenzionale da e attribuendo il danno lamentato dall’attrice alla mancata osservanza del raccomandato periodo riabilitativo post-intervento e all’utilizzo di scarpe strette o tacchi alti, discostandosi dalle indicazioni fornite dallo stesso sanitario nella visita occorsa per la rimozione dei bendaggi in data 5.1.2017 e contestando la riferibilità dei postumi riferiti dalla ricorrente alla scorretta esecuzione dell’intervento. La Dott.ssa invero, dichiarava negli scritti difensivi di aver fornito indicazioni alla sig.ra circa la fisioterapia, le calzature da indossare e il controllo a distanza con rx, e di averle raccomandato di presentarsi nel caso in cui fossero insorte problematiche ma di non aver più ricevuto notizie da parte della stessa fino alla notifica dell’atto di citazione della presente causa.

Nel corso del giudizio è stata disposta ed espletata C.T.U. medico legale a mezzo prof. e dott. , che depositavano elaborato peritale del 28.1.2024.

All’udienza del 6.2.2025, la Giudice assegnava i termini ex art. 190 c.p.c. e tratteneva la causa in decisione.

Così descritti i fatti e le domande svolte dalle parti, va operato l’inquadramento giuridico della fattispecie in esame.

Si tratta di un caso di responsabilità medica ormai pacificamente inquadrato dalla giurisprudenza dominante, anche alla luce della normativa in materia da ultimo dettata dalla legge n. 24/2017, nell’alveo della responsabilità contrattuale tra medico/struttura sanitaria e paziente.

La Suprema Corte ha da tempo chiarito che “In tema di inadempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato), sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione” (cfr. Sez. 3 – , Ordinanza n. 27142 del 21/10/2024). In altri termini, focalizzandoci in primis sulla posizione del danneggiato – su cui incombe il primo onere probatorio in assenza dell’assolvimento del quale non scatta l’onere probatorio contrapposto dei convenuti ex art. 2697 comma 2 cc – la Cassazione sancisce che è onere dell’attore, paziente danneggiato, provare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento, onere che va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda dev’essere rigettata (Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939).

Nel caso di specie, applicando il dettato giurisprudenziale emerge che la domanda proposta da parte attrice, alla luce delle risultanze istruttorie e in particolare degli esiti della CTU, non può trovare accoglimento.

Infatti, l’asserita correlazione, sostenuta negli scritti difensivi e nella perizia di parte, non ha trovato riscontro nelle emergenze istruttorie nella CTU medico-legale, prova cardine nelle controversie riguardanti il risarcimento da responsabilità medica.

Infatti, nell’ambito della responsabilità medica, la CTU del medico legale, può costituire fonte oggettiva di prova per accertare quei fatti che richiedono conoscenze tecniche specialistiche, rilevabili unicamente con l’ausilio di un perito (Corte appello Napoli sez. IX, 27/08/2019, n.4208).

Le risultanze della CTU nelle controversie in tema di “medical malpractice” assumono, infatti, valore percipiente proprio per il carattere tecnico dell’accertamento che comporta di necessità non solo una funzione valutativa di una prova già acquisita, ma una funzione probatoria volta all’accertamento di un dato tecnico afferente al sapere scientifico.

Sul punto, tra le tante, si segnala Tribunale Bologna sez. III, 31/07/2024 , n.2228 secondo cui:

“la materia della responsabilità medica è molto tecnica e, come tale, richiede delle conoscenze specialistiche non solo per la comprensione dei fatti, ma anche per la loro stessa rilevabilità.

Per tale motivo la consulenza tecnica d’ufficio, in tale ambito, può avere natura ‘percipiente’, sicché il giudice ben può affidare al perito non solo l’incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti stessi, facendo della consulenza una vera e propria fonte oggettiva di prova”.

Per giurisprudenza pacifica, pertanto, allorquando nell’ambito della consulenza tecnica conferita, motivata e specificamente documentata con riferimento alla migliore letteratura clinica e scientifica del momento, si esclude la sussistenza del nesso causale tra l’evento e le conseguenze asseritamente riportate, dal danneggiato, a seguito di esso, ciò acquista efficacia di fatto impeditivo all’accoglimento della pretesa attorea (cfr. tra le tante Corte appello Napoli sez. III, 21/02/2018, n.845).

Nel caso di specie, nella CTU medico-legale espletata dal prof. e dal dott. , coerente e immune da vizi, nonché debitamente argomentata con riferimento ai più recenti arresti della letteratura e clinica nazionale e internazionale, i consulenti concludono chiaramente nel senso di ritenere che “non si ravvisano elementi che consentano di ritenere le lesioni lamentate dalla signora come conseguenza di comportamenti non adeguati posti in essere dai sanitari curanti”, escludendo in tal modo un nesso causale tra il danno lamentato e l’evento allegato da parte attrice. In particolare, nel quesito formulato, il giudicante chiedeva al prof. di accertare la causa delle lesioni lamentate da parte attrice e di stabilire sia se la complicanza sia o meno evitabile dai sanitari operanti e in quale misura possa addebitarsi agli stessi la sua insorgenza e il suo sviluppo.

I suddetti, a seguito di un’attenta analisi, rilevavano dai referti e dalle lastre la presenza di lesioni perduranti, confermando quindi l’esistenza del danno riferito ma lo riconducevano a plurimi fattori,

tutti estranei alla scorretta esecuzione dell’intervento, come di seguito si riporta:

“attualmente la signora come risulta dall’esame obiettivo effettuato in sede di visita di consulenza ed in precedenza riportato in dettaglio, lamenta sintomi prevalenti al II raggio, e due sono i dati patologici obiettivabili.

Il primo elemento è costituito da una tumefazione dura dorsalmente alla 2° MTF con borsite sovrastante – quadro di non univoca interpretazione ma in prima ipotesi ascrivibile a un callo osseo esuberante – in corrispondenza della osteotomia di COGNOME del II metatarsale – con sovrastante borsite da conflitto meccanico.

Tale situazione non è ascrivibile ad errori tecnici nell’intervento.

Il secondo elemento è rappresentato da cross finger alluce-D2 e D3-D2 nei movimenti di flessione dell’alluce e del III dito:

tale aspetto, valutato a 7 anni dall’intervento, può ricadere nelle percentuali di recidiva riportati in letteratura in riferimento alla osteotomia di COGNOME, che può accompagnarsi a esiti sfavorevoli nel 15% dei casi, riportati nella letteratura anglosassone come floating toe e ascrivibile a eccessivo accorciamento del II raggio, a lassità della placca volare o della muscolatura estrinseca, o al cambiamento dell’asse di rotazione della articolazione metatarso-falangea.

Questa complicazione peraltro è riportata come di scarso impatto nella funzionalità complessiva e nella soddisfazione del paziente.

” Alla luce delle predette considerazioni, i CTU hanno coerentemente concluso che “nessun danno a persona è derivato alla signora in conseguenza dell’intervento per alluce valgo a cui fu sottoposta in data 23/11/2016”.

I consulenti hanno, parimenti, risposto in modo puntuale alle osservazioni alla bozza di CTU inviate dal CTP di parte attrice, dott. Specificamente, il dott. dichiarava nella propria notazione di discostarsi dall’opinione del CTU riguardo alla mancata ascrivibilità del callo osseo rilevato ad errori tecnici e, inoltre, rilevava la presenza di sintomi algico-disfunzionali sorti nell’immediato post-intervento non evidenziati nell’elaborato.

Gli ausiliari rispondevano alle osservazioni sottolineando che “l’osteotomia del II metatarsale ha clinicamente risolto la grave ipercheratosi plantare documentata nell’esame obiettivo pre-intervento in corrispondenza della testa del II metatarsale, che non è più evidente all’esame obiettivo effettuato nella visita di consulenza.

e le radiografie eseguite a tre mesi confermano un arco metatarsale armonico.

Nell’ultimo certificato prodotto – visita di controllo del 9 marzo 2016 – si legge “… al controllo odierno dita in asse, piede ancora un poco tumefatto, nella norma.

Al controllo Rx le osteotomie non sono ancora completamente consolidate, clinicamente risultano stabili.

Deambula senza dolore.

Da rivedere solo se problemi”.

Non sono invece documentati i “sintomi algico-disfunzionali insorti nell’immediato post- operatorio” descritti dal dott. nelle osservazioni alla bozza”.

Va esclusa, dunque, una correlazione nel caso di specie tra l’evento lesivo, ovvero “i sintomi prevalenti al II raggio” postumi all’intervento e la corretta esecuzione dello stesso, essendo stati i medesimi ricondotti a fattori estranei alla pratica sanitaria, e invece dipendendo probabilmente, da concause di origine genetica, traumatologica o estrinseca come si legge nello stesso elaborato:

“ le deformità del piede hanno cause multifattoriali – predisposizione genetica ed ereditarietà, ipostenia muscolare, anomalie anatomiche, microtraumi, neuropatiche, estrinseche quali calzature inadeguate ecc. – che spesso agiscono in concorrenza ma che altrettanto frequentemente rimangono perlopiù ignote.

Si tratta di patologia idiopatica nella quale la chirurgia ha la possibilità di correggerne gli effetti visibili senza eliminarne completamente le cause.

Ciò spiega la relativa elevata incidenza di recidive o la comparsa di nuove deformità post-chirurgiche che possono necessitare di riprese chirurgiche”.

Alla luce di quanto sopra, non risulta nel caso di specie provato il nesso di causalità materiale tra l’intervento del sanitario ed aggravamento della patologia o insorgenza di nuove patologie.

Quindi, non essendo stato assolto l’onere probatorio gravante sull’attrice e restando la causa del danno incerta, la domanda dalla medesima proposta va rigettata in ottemperanza al dettato giurisprudenziale (cfr. tra le tante Tribunale Bari sez. III, 24/09/2024, n.3933).

Spese di lite Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei parametri medi di cui al DM 55/2014, come modificati dal DM 147/2022, in relazione all’attività difensiva effettivamente svolta.

Allo stesso modo le spese di CTU, già liquidate come da separato decreto, vanno definitivamente poste a carico di parte attrice in ragione della soccombenza.

PQM

Alla luce di quanto sopra considerato, il Tribunale di Verona, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda o eccezione disattesa o assorbita, così provvede:

1. Rigetta la domanda di parte attrice.

2. Condanna al pagamento delle spese di lite sostenute da parte convenuta liquidate nel complessivo importo di euro 7.616,00 oltre al rimborso forfettario spese generali al 15%, IVA, se dovuta, e CPA.

3. Condanna al pagamento delle spese di lite sostenute da parte convenuta liquidate nel complessivo importo di euro 7.616,00 oltre al rimborso forfettario spese generali al 15%, IVA, se dovuta, e CPA.

4. Pone definitivamente le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, a carico di parte attrice.

Verona, 29/05/2025 La Giudice NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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