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Rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione

In tema di obblighi di prevenzione ex articolo 2087 c. c. , l’adozione di particolari misure di sicurezza (cd. ” Con specifico riferimento alla violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’articolo 2087 c. c. , si è considerato legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli ragione della condotta inadempiente del datore (v. Cass.

Pubblicato il 12 February 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

In tema di obblighi di prevenzione ex articolo 2087 c.c., l’adozione di particolari misure di sicurezza (cd. “innominate”) viene in rilievo con riferimento a condizioni lavorative obiettivamente, ma anche solo potenzialmente, pericolose, in cui la pericolosità derivi dalla movimentazione di somme di denaro (Cass. n. 29879 del 2019; Cass. n. 34 del 2016).

Sul tema dell’inadempimento di una delle parti nei contratti a prestazioni corrispettive, come è quello di lavoro, si è sostenuto, in linea generale, che l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, in base al quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede (Cass. n. 434 del 2019; Cass. n. 14138 del 2018; Cass. n. 11408 del 2018).

Il giudice deve quindi procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, con la conseguenza che ove l’inadempimento di una parte non sia grave oppure abbia scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’articolo 1455 c.c., il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non potrà considerarsi in buona fede e, quindi, non sarà giustificato ai sensi dell’articolo 1460 c.c., comma 2 (Cass. n. 11430 del 2006).

La valutazione di gravità dell’inadempimento contrattuale non può che essere rimessa all’esame del giudice di merito, incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (Cass. n. 434 del 2019 cit.; Cass. n. 11430 del 2006 cit.; Cass. n. 4709 del 2012).

Con specifico riferimento alla violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’articolo 2087 c.c., si è considerato legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli ragione della condotta inadempiente del datore (v. Cass. n. 28353 del 2021; Cass. n. 6631 del 2015), posto che è in gioco il diritto alla salute di rilievo costituzionale.

In tema di licenziamento per giusta causa, che rileva nella fattispecie in esame, la Suprema Corte ha precisato che il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro è idoneo, ove non improntato a buona fede, a far venir meno la fiducia nel futuro adempimento e a giustificare pertanto il recesso, in quanto l’inottemperanza ai provvedimenti datoriali, pur illegittimi, deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, secondo il quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto non risulti contrario alla buona fede, avuto riguardo alle circostanze concrete (v. Cass. n. 12777 del 2019).

Nel caso esaminato, la Corte di merito si era scrupolosamente attenuta ai principi appena richiamati, ritenendo che la parte datoriale fosse venuta meno, in quello specifico frangente, all’obbligo di protezione della dipendente rispetto ai comportamenti minacciosi da parte dei tre clienti, o, comunque, così percepiti dalla cassiera secondo un atteggiamento di buona fede (tanto da avere indotto la stessa a chiedere l’intervento della guardia giurata) e come tali idonei ad esporre la stessa a pericolo per la propria incolumità; con la conseguenza che l’inadempimento posto in essere dalla dipendente, non come rifiuto di svolgere la prestazione bensì come esecuzione della stessa in maniera non conforme alle modalità prescritte dalla società (obbligo dei clienti di riporre tutta la merce sul nastro trasportatore), dovesse giudicarsi legittimo e giustificato, nella prospettiva del citato articolo 1460 c.c., comma 2.

Da tale convincimento, la Corte di merito aveva correttamente tratto la conseguenza di ritenere il fatto contestato privo di rilievo disciplinare, con applicazione della tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012. In tal senso v. Cass. n. 19579 del 2019, secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d’inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell’illiceità, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata, prevista dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

Nel caso in esame, la Corte di merito ha ricostruito in fatto l’accaduto rilevando che i clienti, in numero di tre (rispetto alla cassiera lasciata sola) e “individuati dalla cassiera come sospetti”, avessero volutamente omesso di posizionare la merce sul nastro e “preteso” di indicare essi stessi alla cassiera la merce da pagare e di “oltrepassare la cassa con carrelli ricolmi di merce, all’evidenza in quantità ben superiore a quella indicata”.

Ha ritenuto che tale modalità di condotta avesse in sé un carattere intimidatorio e che, comunque, fosse stata ragionevolmente percepita come intimidatoria da parte della dipendente, tanto da indurla a chiedere l’intervento della guardia giurata.

Ha considerato il comportamento della stessa guardia giurata (che “nonostante la segnalazione del pericolo da parte della cassiera, non ha ritenuto di intervenire a suo supporto ed ha preferito attendere l’arrivo dei carabinieri” e della caporeparto”) come una conferma del contegno minaccioso dei tre clienti.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 770 del 12 gennaio 2023

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