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Licenziamento disciplinare, insussistenza del fatto materiale

Licenziamento disciplinare, insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore ai fini della pronuncia reintegratoria.

Pubblicato il 12 September 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

TRIBUNALE DI TRIESTE
Sezione civile – controversie del lavoro

N.R.G. 356/2022

Il Giudice dott. Paolo Ancora, all’udienza del 5/7/2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 136/2023 pubblicata il 01/09/2023

nella causa proposta da

XXX () rappresentata e difesa dall’Avv.to;

ricorrente

contro

YYY – YYY

(), rappresentata e difesa dall’Avv.to;

resistente

OGGETTO: Licenziamento individuale per giusta causa

Conclusioni

Per la parte ricorrente: “Dichiarare illegittimo e, comunque, annullare il licenziamento intimato da YYY – S.P.A. alla Sig.ra XXX con lettera ricevuta il 24.02.2022 per la causali descritte; – Per l’effetto, condannare YYY – S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione della sig.ra XXX nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 2, co. 1, D.lgs. 23/2015, nonché al pagamento in favore della stessa di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso non inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, fatta salva la facoltà per la lavoratrice di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. – Con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre spese generali (15% su diritti e onorari), C.P.A. ed IVA di legge. Sempre nel merito, in via subordinata: – Accertare e dichiarare l’annullamento licenziamento intimato da YYY – S.P.A. alla Sig.ra XXX con lettera ricevuta il 24.02.2022, in quanto fondato su un fatto materiale insussistente; – Per l’effetto, condannare YYY – S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione della sig.ra XXX nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 3, co. 2, D.lgs. 23/2015, nonché al pagamento in favore della stessa di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso non superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, fatta salva la facoltà per la lavoratrice di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. – Con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre spese generali (15% su diritti e onorari), C.P.A. ed IVA di legge. Sempre nel merito, in via ulteriormente subordinata: – Accertare e dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato da YYY – S.P.A. alla Sig.ra XXX con lettera ricevuta il 24.02.2022, poiché non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa; – Per l’effetto, condannare YYY – S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della sig.ra XXX dell’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di cui all’art. 3, co. 1, D.lgs. 23/2015, nella misura massima prevista, tenuto conto dell’anzianità della lavoratrice, delle dimensioni dell’attività economica, delle circostanze del licenziamento, del comportamento tenuto dal datore di lavoro, delle condizioni delle parti. – Con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre spese generali (15% su diritti e onorari), C.P.A. ed IVA di legge”.

Per la parte resistente: “nel merito: in via principale: per i motivi esposti in narrativa, respingersi le domande della ricorrente in quanto in-fondate in fatto ed in diritto. in via subordinata: ridursi le domande alla misura di giustizia. Spese di lite rifuse”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato in data 12.8.2022, la ricorrente indicata in epigrafe adiva il Giudice del Lavoro di Trieste, esponendo di essere stata, dall’1.11.2019, dipendente della YYY – (d’ora in poi YYY), con mansioni di “addetto alle operazioni accessorie” ed inquadramento al livello F del C.C.N.L. per gli addetti all’industria chimicofarmaceutica, dopo un periodo di utilizzazione in somministrazione presso la sede operativa della convenuta.

Evidenziava che, a seguito di una lombosciatalgia insorta a causa delle mansioni espletate, il medico competente l’aveva ritenuta idonea alla mansione svolta con prescrizioni in data 1.10.2020, e che a seguito di tale accadimento, il datore di lavoro aveva cominciato a contestargli una serie di condotte disciplinarmente rilevanti.

In particolare, in data 14.10.2020, la lavoratrice aveva ricevuto per iscritto un richiamo verbale per non aver correttamente indossato la mascherina chirurgica sul luogo di lavoro.

Successivamente, con comunicazione del 25.03.2021 alla Sig.ra XXX era nuovamente contestato di non aver correttamente indossato la mascherina prevista dal c.d. Protocollo Condiviso per il contenimento della diffusione del Covid-19 del 24.04.2020, all’ingresso del reparto il giorno 19.03.2021 e malgrado le giustificazioni presentate, le era stata comminata una multa di due ore di retribuzione.

Rilevava ancora la ricorrente di essere stata a quel punto sottoposta a nuova visita medica con identico esito, di aver subito il cambio di orario di lavoro e che, a partire dall’ottobre 2021, il proprio stato di salute si era aggravato, tanto da costringerla a ricorrere ad un periodo di malattia piuttosto prolungato. Aveva dunque richiesto nuova visita medica al datore di lavoro, che si era limitato a metterla in lista d’attesa.

Successivamente, con comunicazione del 14.12.2021, l’azienda le aveva contestato disciplinarmente l’assenza del 13.12.2021, per non averla comunicata entro l’inizio dell’orario di lavoro né successivamente così come previsto dall’art. 29 del CCNL applicato nonché dalla circolare applicativa n. 13/08 rev. 4 del 6 luglio 2021 esposta in bacheca. Anche in questo caso il datore di lavoro le aveva comminato la sanzione disciplinare della multa di tre ore di retribuzione.

Successivamente, in data 10.2.2022 alle ore 22:00, la Sig.ra XXX aveva accusato dei dolori ed immediatamente aveva scritto alla collega di turno, ***, per sapere chi fosse il capoturno in servizio per il giorno successivo, chiedendole la cortesia di avvisarlo prima dell’inizio del turno prevista per le ore 06:00. Il capoturno, ***, aveva ricevuto la comunicazione e tempestivamente annotato l’assenza della ricorrente sulle tabelle previste per indicare il personale previsto per i diversi turni, come già fatto in precedenza. Il giorno successivo, alle 07:16 della mattina aveva rinnovato la segnalazione dell’assenza via e-mail a ***, addetto alla programmazione dei turni.

Con lettera datata 14.2.2022, l’azienda le aveva contestato disciplinarmente di non avere comunicato l’assenza dell’11.2.2022 entro l’inizio dell’orario di lavoro secondo la circolare applicativa n.ro 13/08 rev 4 e 6 di luglio 2021, e l’aveva licenziata in data 24.2.2022 per giusta causa, e senza preavviso.

Tanto premesso in fatto, la ricorrente lamentava l’illegittimità del licenziamento comminatole sotto molteplici profili.

In primo luogo evidenziava come fosse la stessa circolare applicativa nr. 13/08 rev. 4 del 6 luglio 2021 in combinato disposto con l’art. 39 lettera d) del CCNl, a ricollegare all’infrazione disciplinare commessa dalla ricorrente una sanzione conservativa e non espulsiva e lo stesso art. 40 CCNL richiedeva per il licenziamento un’assenza ingiustificata di oltre cinque giorni.

Rilevava inoltre che il licenziamento era viziato da un motivo illecito unico determinante, costituito dalla volontà datoriale di espellere dalla propria organizzazione una risorsa costretta a frequenti assenze per malattia e potenzialmente destinataria di un giudizio di inidoneità alla mansione da parte del medico competente.

Eccepiva, sotto altro profilo, la nullità del licenziamento per insussistenza del fatto materiale contestato alla lavoratrice, richiamandosi a quella giurisprudenza che ritiene comunque insussistenti i fatti che, sebbene siano materialmente avvenuti, siano comunque privi di rilievo disciplinare. Sotto ulteriore e differenziato aspetto eccepiva la violazione del principio di proporzionalità fra fatto contestato e misura disciplinare adottata, rilevando che la comunicazione dell’assenza dal turno mattutino che inizia alle ore 6.00 al capoturno anziché all’ufficio personale che apre alle 8.00 del mattino non aveva gravità sufficiente a consentire l’applicazione del licenziamento ex art. 2119 c.c..

Con memoria difensiva ritualmente depositata si costituiva in giudizio la società convenuta la quale contestava in primo luogo l’origine professionale della patologia lamentata dalla ricorrente, osservando altresì come le frequenti assenze dal lavoro per malattia della stessa non avevano influito sulla decisione di YYY di assumerla a tempo indeterminato a partire dall’1 novembre 2019, risultando conseguentemente smentita la prospettazione attorea relativa al ricorrere di un licenziamento caratterizzato da motivo illecito o di carattere ritorsivo.

Alcun intento vessatorio nei confronti della ricorrente doveva dedursi dalla mancata adozione di misure a beneficio della stessa, a fronte dell’idoneità con limitazioni riscontrata sulla sua persona, in quanto non vi erano reparti e mansioni utili per la situazione della XXX.

Con riferimento alle contestazioni disciplinari dell’ottobre 2020 e del marzo 2021, elevate per il mancato impiego della mascherina, la convenuta rilevava di essere stata assai rigorosa nell’applicazione dei protocolli di sicurezza applicati sul luogo di lavoro, ma solo a scopi di una prevenzione che non solo in periodo pandemico era necessaria, ma che aveva dato i suoi frutti non essendosi verificati contagi sul luogo di lavoro.

Quanto alla contestazione disciplinare del 14.12.2021 rilevava che stessa era arrivata ben nove mesi dopo quella del 25.03.2021, a ulteriore conferma dell’assenza di qualsiasi intento persecutorio nei confronti della lavoratrice. Evidenziava, con riferimento a tale contestazione, che quanto al contenuto ed alle finalità della revisione della procedura di segnalazione delle assenze, prima del rinnovo del CCNL Industrie chimico famaceutiche, era previsto che il dipendente avvisasse dell’assenza entro quattro ore dall’inizio del turno mentre dopo il rinnovo era stato previsto che il lavoratore avvisasse prima dell’inizio del turno. In una prima versione del regolamento sulle assenze era stato previsto che il lavoratore avvisasse semplicemente il capoturno prima dell’inizio del turno, ma essendosi rivelata inefficace tale procedura si era previsto che l’assenza fosse comunicata al numero cellulare della dott.ssa *** (responsabile della produzione), oltre che al capoturno. Per tale motivo la condotta della ricorrente, che pacificamente aveva avvisato solo il capoturno aveva rilievo disciplinare.

Quanto alla condotta contestata in occasione del licenziamento, rilevava parte convenuta come fosse pacifico che la ricorrente aveva omesso di avvisare dell’assenza la dott.ssa ***, conformemente a quanto previsto dalla nuova procedura. Con riferimento alla lamentata circostanza per la quale sia nell’assenza di settembre 2021 che di dicembre 2021 la comunicazione della malattia era stata quella seguita in occasione della condotta poi posta a fondamento del licenziamento e nessuno aveva indicato alla ricorrente procedure diverse da seguire, rilevava che a settembre 2021, visto il breve lasso di tempo dall’adozione della revisione del regolamento sulle assenze, l’azienda aveva semplicemente soprasseduto dal contestarne l’inosservanza concedendo ai lavoratori un periodo di tolleranza. Quanto all’assenza di dicembre 2021, la precisa indicazione della prescrizione non rispettata nel comunicare l’assenza era stata inserita nella stessa contestazione disciplinare.

Tanto premesso la convenuta, dopo aver diffusamente contestato il ricorrere delle paventate ipotesi di licenziamento determinato da motivo illecito e illegittimo per insussistenza del fatto materiale, rilevava che la motivazione del licenziamento non risiedeva affatto nella semplice assenza ingiustificata bensì nel ripetersi di comportamenti dai quali si evinceva una reiterata disattenzione (per non dire disinteresse) della lavoratrice rispetto alle prescrizioni regolamentari datoriali, per la quale il CCNL applicabile, all’art. 40, prevedeva una distinta ed autonoma ipotesi di giusta causa di recesso.

La causa veniva istruita con la semplice acquisizione della documentazione allegata dalle parti negli atti introduttivi e decisa all’udienza del 5.7.2023.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato e deve essere accolto, secondo il principio della ragione più liquida.

Giova rammentare che il fatto di rilevanza disciplinare contestato dal datore di lavoro con comunicazione del 14.2.2022 è il seguente: “Lei è stata assente il giorno 11 febbraio 2022 non dandone preventiva comunicazione entro l’inizio dell’orario di lavoro così come previsto dall’art. 29 CCNL applicato nonché dalla circolare applicativa nr. 13/08 rev. 4 del 6 luglio 2021 esposta in bacheca. La YYY S.p.A. nella persona dell’Amministratore Unico dott. Leonardo Maghetti, chiede che vengano forniti chiarimenti al riguardo, entro e non oltre 8 giorni dal ricevimento della presente (art. 39 del CCNL addetti industria chimico farmaceutica”.

In data 21.2.2022 è stato comminato il licenziamento per giusta causa, con comunicazione del seguente tenore: “Con riferimento al ns. contestazione di addebito del 14.2.2022 inviata per posta raccomandata ed alla sua risposta scritta via mail ricevuta in data 16.2.2022: – nella medesima risposta lei riconosceva di non aver seguito la procedura prevista dall’art. 29 CCNL nonché dalla circolare applicativa nr. 13/08 rev. 4 del 6 luglio 2021 esposta in bacheca. Considerato che lei è stata destinataria di due ulteriori provvedimenti disciplinari in data 25 marzo 2021 e 31 dicembre 2021 per violazioni di cui all’art. 39 lettere b) e d) del CCNL applicato, tutto ciò considerato, la YYY S.p.A. non ritenendo valide le giustificazioni addotte, avendo verificato che con il suo comportamento ha violato quanto previsto dagli artt. 38, 39 e 40 del CCNL in vigore, provvede al suo licenziamento disciplinare per giusta causa con effetto immediato dal ricevimento della presente, per le ragioni e motivazioni indicate nelle lettere di contestazioni qui da intendersi integralmente trascritte, come previsto dall’art. 40 lett. a) del CCNL dell’Industria Chimico Farmaceutica”.

Dispone l’art. 40 lett. a) del CCNL Industria Chimico Farmaceutica che “Il licenziamento con immediata rescissione del rapporto di lavoro può essere inflitto, con la perdita dell’indennità di preavviso, al lavoratore che commetta gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o che provochi all’impresa grave nocumento morale o materiale o che compia azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro e comunque oggettivamente considerate particolarmente gravi e delittuose a termine di legge. In via esemplificativa, ricadono sotto questo provvedimento le seguenti infrazioni: a) trascuratezza nell’adempimento degli obblighi contrattuali o di regolamento interno, quando siano già stati comminati i provvedimenti disciplinari di cui all’articolo precedente”.

Ricostruito il quadro negoziale e normativo posto a fondamento del licenziamento, va subito evidenziato che il fatto posto a fondamento del licenziamento poi messo in correlazione con le due precedenti sanzioni comminate, pacifico tra le parti nella rispettive ricostruzioni fattuali, è del tutto privo di rilevanza disciplinare.

Il mancato assolvimento dell’onere, contestato alla lavoratrice, di comunicare la propria assenza alle 05:00 del mattino alla dott.ssa ***, general manager della produzione, a fronte dell’avvenuto recapito di un avviso di assenza al capoturno prima dell’avvio del turno (e dunque prima delle 7 del mattino) da parte di una lavoratrice sofferente perché affetta da problematiche di salute, appare disciplinarmente inconsistente. Un tanto lo si apprezza dal punto di vista dell’elemento soggettivo, in quanto la lavoratrice si è preoccupata di avvertire l’azienda nella persona del soggetto (capoturno), soggetto immediatamente investito dalle problematiche relative alle assenze ed alle conseguenze sulla produttività. Nondimeno tale irrilevanza la si può apprezzare dal punto di vista dell’esigibilità dei comportamenti, in quanto si parla di una lavoratrice sofferente per motivi di salute alle prese con problematiche lavorative.

Infine l’irrilevanza può essere apprezzata anche dal punto di vista oggettivo, in quanto la violazione del protocollo aziendale appare di natura meramente formale e non ha prodotto alcun danno all’azienda.

Ha statuito sul punto la giurisprudenza di legittimità che: “in tema di licenziamento disciplinare, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai fini della pronuncia reintegratoria di cui all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare” (cfr. Cass. n.12174/19). Tale riportata pronuncia si pone nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale che negli ultimi ha elaborato una nozione di insussistenza del “fatto contestato” comprensivo non soltanto dei casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma “anche di tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente” (Cass. nr. 10019 del 2016).

Nelle sue pronunce, la Corte ha chiarito che, pur dovendosi valutare il tenore letterale della nuova disposizione, deve comunque tenersi nella debita considerazione il fatto che l’espressione utilizzata (fatto materiale contestato) dall’art. 3 comma 2 D. Lgs. 23/2015, non può che riferirsi alla stessa nozione di “fatto contestato” come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, in quanto il medesimo criterio razionale che ha già portato a ritenere che, con riferimento alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione, induce a ritenere che la irrilevanza giuridica del fatto, pur materialmente verificatosi, determina la sua insussistenza anche ai fini e per gli effetti previsti dal D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2.

Peraltro, nel caso di specie, ricorre un’ulteriore ipotesi di insussistenza giuridica del fatto, in quanto, fermo restando che l’insussistenza del fatto principale impedisce di azionare il richiamo, attraverso il disposto dell’art. 40 lett. A) del CCNL applicato, alle precedenti infrazioni disciplinari della lavoratrice, si deve evidenziare che la motivazione del licenziamento comminato, ed in particolare la ritenuta gravità della condotta della lavoratrice, non risiede nella semplice assenza ingiustificata dell’11.2.2022, bensì nel ritenuto disvalore disciplinare sia della condotta dell’11.2.2022, sia delle condotte precedenti già oggetto di contestazione disciplinare e di successiva sanzione, evidenziate nella lettera di licenziamento.

Pertanto, il fatto posto a fondamento del licenziamento non è solo quello dell’11.2.2022 ma anche quelli del 25.3.2021 e del 31.12.2021.

Diversamente, nella lettera di contestazione dell’addebito disciplinare del 14.2.2022, si fa esclusivo riferimento all’episodio dell’11.2.2022.

Ritiene lo scrivente che i fatti posti a base delle sanzioni disciplinari del 25.3.2021 e 31.12.2021 siano a pieno titolo elementi costitutivi della condotta addebitata, e non costituiscano mero criterio di determinazione della sanzione addebitata, non essendo richiamati i fatti anteriori come circostanze sintomatiche della inaffidabilità del dipendente e della incompatibilità del suo comportamento con le mansioni svolte, ma come veri e propri fatti di rilevanza disciplinare chiamati dalla contrattazione collettiva a contribuire alla “gravità” dell’infrazione.

Quanto alle conseguenze sanzionatorie da ricollegare alla illegittimità del licenziamento, ritiene lo scrivente che si versi in un caso di inesistenza del fatto contestato, perché la mancata contestazione della recidiva è vizio sostanziale, essendo il fatto posto alla base del recesso, diverso da quello contestato (Cass. nr. 21265/2018).

Quanto alle conseguenze giuridiche da ricondurre all’illegittimità del licenziamento, rientrandosi in un’ipotesi di “insussistenza del fatto contestato”, deve trovare applicazione la tutela reintegratoria e risarcitoria di cui al comma 4 dell’art. 18, l. n. 300/1970, come modificato dalla l. n. 92/2012. Ne consegue che il licenziamento va annullato ai sensi della predetta norma e, per l’effetto, la società resistente deve essere condannata alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro. La convenuta va altresì condannata al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, pari ad € 2.202,16 (importo allegato in ricorso e non contestato dalla resistente) dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione. Va precisato che, nel caso di specie, in ossequio al citato comma 4, la misura dell’indennità risarcitoria incontra il limite massimo delle dodici mensilità della retribuzione globale di fatto e non può essere effettuata alcuna detrazione a titolo di aliunde perceptum et percipiendum, in quanto, anche a voler prescindere dal fatto che nessuna allegazione è stata effettuata sul punto dal datore di lavoro, va detto che nessuna prova è stata fornita dalla parte resistente. Infatti, come noto, “in riferimento ai licenziamenti illegittimi rispetto a cui trovi applicazione l’art. 18 della legge n. 300 del 1970, ai fini della liquidazione del danno sulla base delle retribuzioni non percepite dal lavoratore non e’ necessaria la dimostrazione da parte dello stesso della permanenza dello stato di disoccupazione per tutto il periodo successivo al licenziamento, poiché grava sul datore di lavoro l’onere di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l'”aliunde perceptum” o l'”aliunde percipiendum”, allo scopo di conseguire il ridimensionamento della quantificazione del danno” (Cass. nr. 5662/1999). Infine, la società resistente va condannata al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, come per legge. Le spese di lite relative alla presente fase, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico della società resistente.

P.Q.M.

Definitivamente pronunziando, così decide:

1) accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il licenziamento intimato alla ricorrente con missiva del 21.2.2022;

2) ordina alla YYY –S.P.A., nella persona del legale rappresentante pro tempore, di reintegrare XXX nel posto di lavoro;

3) condanna la resistente al pagamento, in favore della ricorrente, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto pari ad € 2.202,16 dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra, oltre accessori, in misura pari a nr. 12 mensilità;

4) condanna la resistente, nella persona del legale rappresentante pro tempore, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, come per legge;

5) condanna la resistente, nella persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare alla ricorrente le spese processuali della presente fase che liquida in complessivi € 7.377,00;

6) deposito della motivazione in 60 giorni.

Così deciso in Trieste, 5.7.2023

Il Giudice del Lavoro

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