R.G. 648/2020
REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE – PRIMA SEZIONE CIVILE – riunita in Camera di Consiglio e nelle persone dei seguenti magistrati:
Dr.ssa NOME COGNOME Presidente Dr.ssa NOME COGNOME Consigliere Dr.
NOME COGNOME Consigliere relatore ha emesso la seguente
S E N T E N Z A N._793_2025_- N._R.G._00000648_2020 DEL_29_04_2025 PUBBLICATA_IL_29_04_2025
nella causa in grado di appello iscritta a ruolo il 06.04.2020, al n. 648 del R.G. Affari Contenziosi dell’anno 2020, avverso il provvedimento di estinzione e cancellazione della causa da ruolo, emesso dal Tribunale di Grosseto in data 9.10.2019 e depositato in data 10.10.2019 nell’ambito del giudizio n. 2085/2018 r.g., promossa da (c.f. ), società di diritto del Liechtenstein, in persona del legale rappresentante pro tempore, Sig. rappresentata difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in BresciaINDIRIZZO INDIRIZZO giusta procura in atti; – parte appellante – contro , con l’Avvocato NOME COGNOME;
– parte appellata non costituita – nonché contro , in persona del Curatore Dott. – parte appellata non costituita – La causa era posta in decisione sulle seguenti conclusioni:
per l’appellante:
“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, disattesa e respinta ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, con ogni declaratoria necessaria C.F. data 10.10.2019, – accertare e dichiarare l’intervenuta interruzione del giudizio di primo grado n. 2085/2018 r.g. a far data dal 30.04.2019 ai sensi dell’art. 45 L.F. e, per l’effetto, accertare e dichiarare la nullità di tutti gli atti e provvedimenti assunti nel medesimo giudizio epoca successiva all’interruzione, ivi compreso l’impugnato provvedimento di estinzione e cancellazione della causa dal ruolo emesso in data 9.10.2019; – in subordine, accertare e dichiarare la violazione del combinato disposto degli artt. 309 e 181 c.p.c. per mancata comunicazione del rinvio ivi previsto da parte della Cancelleria e, per l’effetto, dichiararsi conseguentemente nullo e/o illegittimo e/o inefficace e/o invalido l’impugnato provvedimento di estinzione e cancellazione della causa dal ruolo, per violazione del diritto di difesa e/o per mancato rispetto delle formalità indispensabili al raggiungimento dello scopo ex artt. 156 e 159 c.p.c.;
– in ogni caso, conseguentemente, revocare e/o dichiarare nullo e/o illegittimo e/o inefficace e/o invalido il provvedimento impugnato e disporre la rimessione della causa ad altro Giudice del Tribunale di Grosseto ai sensi dell’art. 354, II comma, c.p.c., ovvero in subordine la prosecuzione del giudizio avanti Codesta Corte, eventualmente previa rimessione della causa sul ruolo e/o previa fissazione dell’udienza di prosecuzione del giudizio interrotto in accoglimento della relativa istanza depositata da data 11.07.2019 e/o previa concessione di nuovi te n. 2 e 3 c.p.c. o rimessione di parte appellante nei medesimi, affinché vengano accolte le seguenti conclusioni, già rassegnate: voglia il Tribunale o la Corte d’Appello adìto/a, disattesa e respinta ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, con ogni declaratoria necessaria e consequenziale:
– in via principale, accertare e dichiarare l’intervenuta risoluzione dei contratti di cui in narrativa, per mutuo consenso a far data dal 18.03.2018, ovvero ex art. 1454 c.c. a far data dal 16.02.2018, e per l’effetto condannare (ora con socio unico), anche ai sensi degli artt. 2033 e/o e dell’importo complessivo di Euro 1.000.690,36 ad essa pagato da virtù dei contratti risolti, o della maggiore o minor somma che dovesse emergere in corso di causa, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dall’intervenuta risoluzione alla restituzione, al netto del corrispettivo per le prestazioni che risulteranno eventualmente già eseguite dalla convenuta all’epoca della risoluzione; – in subordine, accertare e dichiarare ex art. 1453 c.c. l’intervenuta risoluzione dei contratti di cui in narrativa per fatto e colpa di , e per l’effetto condannare la convenuta (ora con socio unico), anche ai sensi degli artt. 2033 e/o 2041 c.c., alla restituzione dell’importo complessivo di Euro 1.000.690,36 ad essa pagato da in virtù dei contratti risolti, o della maggiore o minor somma che dovesse emergere in corso di causa, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della domanda alla restituzione, al netto del corrispettivo per le prestazioni che risulteranno eventualmente già eseguite dalla convenuta all’epoca della risoluzione; – in ulteriore subordine, rideterminare in misura conforme a quanto pattuito nei rispettivi contratti la misura dei corrispettivi dovuti da per le opere effettivamente eseguite, a regola d’arte, in virtù degli appalti di cui in narrativa somme dalla medesima eventualmente percepite in eccedenza a tale titolo, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto alla restituzione;
– con ogni e più ampia riserva di ulteriormente produrre, dedurre, capitolare prove ed indicare testi nei successivi termini concedendi, previa eventuale rimessione nei medesimi.
– in ogni caso, con vittoria di spese e competenze di lite di entrambi i gradi di giudizio, oltre accessori ed imposte di legge.
”;
All’esito della sentenza non definitiva le conclusioni venivano riproposte nell’atto di riassunzione nei seguenti termini:
Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, disattesa e respinta ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, con ogni declaratoria necessaria e consequenziale, fermo quanto disposto nella sentenza n. 1391/2023 del 27.06.2023 e previa eventuale concessione di nuovi termini per l’espletamento delle attività, precluse in primo grado, di cui all’art. 183, VI comma, n. 2 e 3 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis):
in via principale, accertare e dichiarare l’intervenuta risoluzione dei contratti di cui in narrativa, per mutuo consenso a far data dal 18.03.2018, ovvero ex art. 1454 c.c. a far data dal 16.02.2018, e per l’effetto condannare (ora con socio unico), anche ai sensi degli artt. 2033 e/o e dell’importo complessivo di Euro 1.000.690,36 ad essa pagato da in virtù dei contratti risolti, o della maggiore o minor somma che dovesse emergere in corso di causa, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dall’intervenuta risoluzione alla restituzione, al netto del corrispettivo per le prestazioni che risulteranno eventualmente già eseguite dalla convenuta all’epoca della risoluzione; in subordine, accertare e dichiarare ex art. 1453 c.c. l’intervenuta risoluzione dei contratti di cui in narrativa per fatto e colpa di , e per l’effetto condannare la convenuta (ora con socio unico), anche ai sensi degli artt. 2033 e/o 2041 c.c., alla restituzione dell’importo complessivo di Euro 1.000.690,36 ad essa pagato da in virtù dei contratti risolti, o della maggiore o minor somma che dovesse emergere in corso di causa, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della domanda alla restituzione, al netto del corrispettivo per le prestazioni che risulteranno eventualmente già eseguite dalla convenuta all’epoca della risoluzione; in ulteriore subordine, rideterminare in misura conforme a quanto pattuito nei rispettivi contratti la misura dei corrispettivi dovuti da per le opere effettivamente eseguite, a regola d’arte, in virtù degli appalti di cui in narrativa e, per l’effetto, disporre la condanna di (ora con socio unico) alla restituzione in favore di delle somme dalla medesima eventualmente percepite in eccedenza a tale titolo, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto alla restituzione;
in via istruttoria, con ogni e più ampia riserva di ulteriormente produrre, dedurre, capitolare prove ed indicare testi, si chiede la concessione di termini per provvedere alle attività, precluse in primo grado, di cui all’artt. 183, VI comma, n. 2 e n. 3 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis), nonché l’acquisizione dei documenti già prodotti in allegato vittoria di spese e competenze di lite di entrambi i gradi di giudizio, oltre accessori ed imposte di legge.
Svolgimento del processo e motivi della decisione conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Grosseto, affinché venisse accertata l’intervenuta risoluzione ex art. 1454 ratti d’appalto con quest’ultima stipulati.
Chiedeva, conseguentemente, la condanna di alla restituzione dei corrispettivi ricevuti, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.
In data 13.11.2018 si costituiva nel giudizio di primo grado la quale, in via preliminare, eccepiva la nullità della procura alle liti di parte attrice e l’incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore del Tribunale di Lucca.
Nel merito, chiedeva il rigetto della domanda attorea, avanzando altresì domanda riconvenzionale affinché, previo accertamento della risoluzione del contratto per causa imputabile alla parte committente, quest’ultima fosse condannata a pagare la somma di euro 1.515,000,00 a titolo di corrispettivo contrattale, oltre al risarcimento del danno quantificato in euro 500,000,00.
In data 24.04.2019 il Tribunale di Lucca, con sentenza n. 41/2019, depositata in data 30.04.2019, dichiarava il fallimento della Il procuratore depositava, in da la sentenza dichiarativa di fallimento, con contestuale richiesta di declaratoria di interruzione della causa.
All’udienza del 10.07.2019 il Giudice dava atto che nessuno era comparso e, visti gli artt. 181 e 309 c.p.c., rinviava la causa all’udienza del 9.10.2019, affermando di non poter interrompere il processo in difetto di dichiarazione del fallimento da parte del procuratore della fallita, ex art. 300 c.p.c..
In data 11.07.2019, depositava istanza per la riassunzione del processo interrotto, chiedendo la fissazione dell’ udienza di prosecuzione del giudizio.
All’udienza del 09.10.2019 nessuno compariva;
il Tribunale disponeva, quindi, la cancellazione della causa dal ruolo e dichiarava estinto il giudizio ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c.. I.1.
In data 06.04.2020, proponeva appello avverso tale provvedimento fondato dei seguenti motivi.
I. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 45 l.f.
; erronea applicazione dell’art. 300 c.p.c. alla fattispecie de quo;
nullità degli atti processuali successivi all’intervenuta interruzione del giudizio ope legis, ivi compreso l’impugnato provvedimento di estinzione e cancellazione da ruolo”.
Parte appellante eccepiva la nullità del provvedimento impugnato per essere stato emesso successivamente all’interruzione ope legis del giudizio avvenuta in data 30.04.2019, per effetto del deposito della sentenza dichiarativa del fallimento di Richiamava, in particolare, il terzo comma dell’art. 43 della L.F., introdotto dal D.Lgs. n. 5/2006, a norma del quale l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo ipso iure, a prescindere da qualsivoglia iniziativa di parte.
Rappresentava che nel 2006 era stata modificata la disciplina previgente, che escludeva l’effetto interruttivo automatico dei processi in cui era parte il fallito sul presupposto che la capacità processuale del fallito non si sottraesse alla regola generale dettata dall’art. 300 c.p.c. Sottolineava l’appellante che l’attuale art. 43 L.F., del processo a far data dalla dichiarazione di fallimento di una parte processuale, senza che sia necessaria dichiarazione alcuna da parte del procuratore o da parte del Giudice. Alla luce dell’attuale disciplina legislativa risultava, dunque, palese l’errore commesso dal Giudice di prime cure laddove aveva ritenuto di non poter “interrompere il processo in difetto di dichiarazione del fallimento da parte del procuratore della fallita, ex art. 300 c.p.c.”.
Dall’interruzione del processo a far data dal fallimento di derivava, a detta dell’appellante, la nullità di tutte le attività processuali compiute e di tutti i provvedimenti emessi in epoca successiva.
L’appellante chiedeva, pertanto, l’accertamento dell’intervenuta interruzione del giudizio di primo grado a far data dalla dichiarazione di fallimento di con rimessione della causa ad altro Giudice del Tribunale di Grosseto, ai sensi dell’art. 354, II comma, c.p.c. In subordine chiedeva la prosecuzione del giudizio dinanzi alla Corte d’Appello previa rimessione della causa sul ruolo e fissazione dell’udienza di prosecuzione in accoglimento dell’istanza depositata nel giudizio interrotto.
II.
“In subordine, violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 181 e 309 c.p.c.;
mancato rispetto dei requisiti formali previsti dall’art. 181, I comma c.p.c. indispensabili per il raggiungimento dello scopo;
nullità del provvedimento impugnato ex artt. 156 e 159 c.p.c. e/o per violazione del diritto di difesa”.
Rilevava l’appellante che il provvedimento impugnato difettava in ogni caso dei necessari requisiti formali non essendo stata effettuata la comunicazione del rinvio d’udienza prevista dall’art. 181 c.p.c.:
la declaratoria di estinzione e cancellazione della causa dal ruolo è infatti ammessa solo in quanto le parti, rese edotte delle conseguenze della loro inerzia, le abbiano consapevolmente accettate, manifestando un’inequivoca volontà di estinguere il processo mediante la mancata comparizione anche alla successiva udienza.
Deduceva l’appellante che il mancato rispetto di tali formalità comportava, anche ai sensi dell’art. 156, II comma, c.p.c., la nullità non solo dell’ordinanza assunta alla prima udienza di mancata comparizione, ma anche, in via derivata, del provvedimento di estinzione e cancellazione della causa dal ruolo assunto alla seconda udienza ex art. 181 c.p.c..
Per tale motivo chiedeva la declaratoria di nullità del provvedimento impugnato per violazione del diritto di difesa e/o per mancato rispetto delle formalità indispensabili al raggiungimento dello scopo ex artt. 156 e 159 c.p.c., con conseguente rimessione della causa ad altro Giudice del Tribunale di Grosseto ai sensi dell’art. 354, II comma, c.p.c., ovvero, in subordine, con decisione della causa nel merito da parte della stessa Corte d’Appello.
Nonostante le regolari notifiche le parti appellate non si costituivano nel presente giudizio d’appello.
A seguito del deposito telematico di note scritte della sola parte appellante la causa era trattenuta in decisione sulle conclusioni come in epigrafe trascritte, con assegnazione dei termini di legge per lo scambio delle memorie conclusive.
In data 27.6.23 veniva depositata la sentenza non definitiva la cui motivazione di seguito si riporta:
L’appello è fondato e merita di essere accolto.
L’art. 43, comma 3, della automaticamente.
Nella previgente disciplina, pur costituendo l’intervenuto fallimento di una delle parti un evento idoneo a determinare l’interruzione del processo, era necessario secondo la norma generale di cui all’art. 300, secondo comma, c.p.c. la dichiarazione in udienza dell’evento interruttivo o la notifica del medesimo alle altre parti.
(Cass. ss.uu. n. 7443 del 2008).
Nonostante mancasse una specifica disposizione nell’impianto del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non si dubitava che l’apertura del fallimento costituisse un evento rilevante ai fini dell’applicazione degli art. 299 e 300 del codice di rito.
Con la novella del 2006 si è inteso, invece, introdurre un’ipotesi di interruzione di diritto, come emerge dal chiaro tenore letterale della norma che statuisce “L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo” (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 101-03-2017, n. 5288) Nel caso di specie, il giudizio di primo grado doveva quindi senz’altro ritenersi interrotto sin dalla pronuncia di fallimento di in data 30.04.2019.
Per l’effetto interruttivo, prodottosi i gli atti processuali successivi a tale evento sono da considerarsi affetti da nullità.
Posto che le ipotesi di remissione al giudice di primo grado sono solo quelle tassativamente previste dall’art. 354 c.p.c., il giudizio non potrà che proseguire davanti alla Corte d’Appello, previa rimessione della causa sul ruolo e riassunzione del giudizio.
Ha affermato, al riguardo, la Suprema Corte:
“la nullità degli atti successivi alla omessa interruzione del processo non rientra tra i casi nei quali il giudice di appello, riconoscendo una nullità del processo di primo grado, rimette la causa al primo giudice, atteso che lo stesso giudice d’appello deve in tal caso trattenere la causa e deciderla, semmai, nel merito, in virtù della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di gravame” (cfr. ex plurimis, Cass. Civ. sent. n. 27643/2022; Cass. Civ. sent. n. 8159 del 2011; Cass. Civ., sent. n. 704/2010; Cass. Civ. sent. n. 14650/2006; Cass. Civ. sent. n. 154/1998; Cass. Civ. sent. n. 2493/1996; Cass. Civ. sent. n. 4678/1993).
Dalle considerazioni svolte discende l’accoglimento dell’appello.
Con il dispositivo della menzionata sentenza non definitiva, la Corte di Appello di Firenze, dichiarava la nullità degli atti processuali successivi alla declaratoria di fallimento di e dell’ordinanza impugnata;
disponeva la rimessione della causa segnando a termine di giorni sessanta per la riassunzione del giudizio dinanzi alla Corte d’Appello e fissando per la prosecuzione del giudizio l’udienza del 07.11.2023.
In data 19.7.23 l’appellante depositava atto di riassunzione rassegnando le conclusioni supra riportate.
Con ordinanza del 7.7.24 la Corte, rimessa al merito ogni valutazione in merito all’ammissibilità dei documenti di cui l’appellante chiedeva l’acquisizione e ritenuto opportuno che l’appellante interloquisse sulla questione della procedibilità della domanda di risoluzione contrattuale e di condanna in esito al fallimento della parte appellata intervenuto nel corso del giudizio di primo grado che è stato definito ex art. 309 cod. proc. civ., rinviava per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 4.2.25 poi differita al 20.2.25. ’udienza del 20.2.25 la causa veniva trattenuta in decisione con termine per note.
La domanda di parte appellante per come specificata nell’atto di riassunzione deve ritenersi improcedibile.
Con riferimento a tale questione, parte appellante ha dedotto in memoria che, pur potendo sorgere dubbi circa la procedibilità del giudizio alla luce dell’art. 72, comma 5, L.F. – che riserva al Giudice Delegato la competenza in ordine alle domande di risoluzione contrattuale con connesse pretese restitutorie e risarcitorie – , nella presente vicenda, non sarebbe configurabile alcuna improcedibilità in ragione delle concrete circostanze di fatto susseguitesi.
In tal senso ha sottolineato che in data 8.11.2019, regolarmente proposto istanza ex art. 93 L.F., chiedendo l’ammissione al passivo del , anche ai sensi dell’art. 72, comma 5, L.F., per il credito oggetto della domanda risolutoria proposta nel giudizio n. 2085/2018 R.G. Tribunale di Grosseto;
nella medesima istanza, espressamente rimesso al Giudice Delegato la scelta se definire dir nte la domanda di risoluzione e restituzione/risarcimento o rinviare la decisione al giudice ordinario, chiedendo l’ammissione con riserva in caso di prosecuzione del giudizio ordinario;
con decreto del 10.12.2019, il Giudice Delegato ha disposto l’ammissione al passivo del credito nella misura di euro 1.000.690,36, in chirografo e con riserva, espressamente in ragione della pendenza del giudizio n. 2085/2018;
tale decisione avrebbe quindi rimesso la definizione del merito al giudice ordinario e il provvedimento non è stato oggetto di opposizione, nemmeno da parte della Curatela fallimentare, che anzi ha aderito alla proposta di ammissione con riserva.
Sulla scorta di tali circostanze concludeva per l’insussistenza di ogni profilo di improcedibilità, essendo stata la domanda correttamente proposta secondo le modalità previste dal Capo V della Legge Fallimentare, e la sua decisione legittimamente rimessa al Giudice originariamente adito.
Le deduzioni non appaiono idonee a destituire di fondamento la conclusione in ordine all’improcedibilità delle domande.
Sul punto, infatti, il portato normativo dell’art. 72 e la ratio sottesa al principio di par condicio creditorum impedisce di procedere alla valutazione di una domanda di risoluzione propedeutica ad una condanna in una sede differente da quella riconosciuta al giudice delegato.
In tal senso, dal tessuto normativo in materia, si evince che, la domanda di risoluzione contrattuale proposta nei confronti di un soggetto fallito, quando sia funzionale alla restituzione di quanto già corrisposto in esecuzione del contratto o al risarcimento del danno, non può essere considerata come domanda meramente dichiarativa.
In tali ipotesi, infatti, la risoluzione rappresenta il presupposto necessario e ineludibile per la nascita e l’accertamento di un credito concorsuale nei confronti del fallimento:
un credito che deve, per legge, essere accertato secondo le regole dettate dal Capo V della Legge Fallimentare, e quindi all’interno del procedimento di verifica dello stato passivo.
La ratio legis di questa previsione si fonda su due esigenze fondamentali:
assicurare l’universalità e la concentrazione dell’accertamento dei crediti, evitando giudizi paralleli o interferenze che possano compromettere la regolarità della nell’ambito del concorso e secondo criteri unitari, evitando che l’accertamento di un credito possa avvenire autonomamente dinanzi a un giudice ordinario, al di fuori del controllo del Tribunale Fallimentare.
Pertanto, in presenza di una domanda di risoluzione contrattuale strettamente connessa a una domanda restitutoria o risarcitoria, la legge assegna competenza funzionale e inderogabile al Giudice Delegato, il quale è l’unico giudice legittimato ad accertare la fondatezza di tale pretesa nell’ambito del procedimento concorsuale.
Sul punto è intervenuta in modo chiaro la giurisprudenza di legittimità, secondo cui:
“in materia di fallimento, l’art. 72, comma 5, secondo periodo l. fall. postula – anche alla luce dei principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi agli artt. 24 e 52 l.fall., nonché del contraddittorio incrociato tipico del procedimento di accertamento del passivo – che la domanda di risoluzione proposta prima della declaratoria fallimentare, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede concorsuale, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 e ss. l.fall.; deve parimenti essere esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione, non essendo applicabile in via analogica l’istituto dell’ammissione con riserva ai sensi dell’art. 96, n. 1 e n. 3, l.fall., né potendosi disporre la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della decisione della causa pregiudiziale di risoluzione in ipotesi proseguita in sede di cognizione ordinaria.
Viceversa, la domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come la liberazione della parte “in bonis” dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi) è procedibile in sede di cognizione ordinaria, dopo l’interruzione del processo ex art. 43 l.fall. e la sua riassunzione nei confronti della curatela fallimentare.
” (Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 2990 del 07/02/2020 (Rv. 656647 – 01)).
Le osservazioni supra esplicitate spingono quindi a ritenere che la domanda avanzata dall’appellante, per come specificata nell’atto di riassunzione davanti a questa Corte, sia improcedibile.
Quanto alla richiesta di remissione in termini avanzata dalla parte per l’eventualità in cui venisse effettivamente riscontrata l’improcedibilità della domanda in questa sede, si evidenzia che la richiesta deve essere avanzata al Giudice Delegato non risultando possibile per questa Corte provvedere all’autorizzazione alla remissione in termini per riassunzione davanti ad altra AG.
Per ciò che concerne le spese del presente grado di giudizio ritenuto improcedibile, nulla va disposto tenuto conto della contumacia delle parti appellate.
PQM
-dichiara la nullità degli atti processuali successivi alla declaratoria di fallimento di e dell’ordinanza impugnata;
-dichiara l’i delle domande di risoluzione e condanna per come precisate nell’atto di riassunzione;
IL CONSIGLIERE NOME
IL PRESIDENTE NOME COGNOME NOME COGNOME
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