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Diritto del Lavoro

Impugnazione licenziamento: a chi notificare?
Un lavoratore, licenziato prima di una cessione d'azienda, ha tentato la conciliazione solo con la nuova società. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che l'impugnazione del licenziamento deve essere rivolta all'originario datore di lavoro (cedente) per interrompere la decadenza. La richiesta al solo cessionario non è sufficiente.
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Mansioni superiori infermiere: il diploma non basta
Un infermiere che svolgeva servizio in ambulanza ha richiesto il riconoscimento delle mansioni superiori e l'inquadramento nella categoria D. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che per le mansioni superiori infermiere non è sufficiente il possesso del titolo professionale, ma è necessario dimostrare l'esercizio concreto di attività caratterizzate da autonomia, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali. Le attività del ricorrente, sebbene importanti, sono state qualificate come prevalentemente esecutive e non rispondenti ai requisiti della categoria superiore.
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Licenziamento disciplinare pubblico impiego: la Cassazione
Un dipendente comunale, inizialmente sospeso per il rilascio di documenti falsi, è stato licenziato a seguito della riapertura del procedimento disciplinare dopo una sentenza penale di patteggiamento. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento disciplinare pubblico impiego, sostenendo la tardività della riapertura e la violazione del principio del 'ne bis in idem'. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che il termine per la riapertura decorre dalla conoscenza completa della sentenza penale da parte dell'amministrazione e che la sanzione finale sostituisce quella provvisoria, senza violare il divieto di doppia sanzione.
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Prescrizione incentivo all’esodo: la decisione
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'incentivo all'esodo ha natura retributiva e, di conseguenza, il diritto a richiederne il corretto calcolo si prescrive in cinque anni, non in dieci. Un ex dipendente pubblico aveva richiesto l'inclusione della tredicesima mensilità nella base di calcolo dell'incentivo, ma la sua domanda è stata respinta perché presentata oltre il termine di prescrizione quinquennale. La Corte ha confermato la decisione, sottolineando che tutte le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro sono soggette a tale termine breve.
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Eccezione di nullità tardiva: quando è inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Ente Locale contro una propria dipendente. La motivazione si fonda sul principio della preclusione processuale: l'eccezione di nullità tardiva della procedura selettiva, sollevata dall'ente solo in corso di appello e basata su fatti non allegati in primo grado, non può essere esaminata. Anche se la nullità è rilevabile d'ufficio, i fatti su cui si basa devono essere stati introdotti ritualmente e tempestivamente nel processo.
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Lavoro autonomo subordinato: risarcimento pieno
Una collaborazione giornalistica ultra-decennale, formalmente inquadrata come lavoro autonomo, è stata riqualificata come rapporto di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale: in caso di riqualificazione di un lavoro autonomo subordinato, al lavoratore spetta il risarcimento integrale del danno (retribuzioni perse) e non la più limitata indennità forfettaria prevista per altre forme di contratti illegittimi, rafforzando così la tutela contro l'uso improprio di tali contratti.
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Anzianità di servizio: vale anche il tempo determinato
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 17445/2024, ha stabilito che l'anzianità di servizio maturata durante i contratti a tempo determinato deve essere considerata ai fini del calcolo delle indennità di esclusività e di posizione per i dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un'Azienda Sanitaria, ribadendo il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, in linea con la normativa europea. La decisione sottolinea come l'esperienza professionale complessiva, e non solo quella maturata con contratto a tempo indeterminato, sia il criterio corretto per il calcolo di tali emolumenti.
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Rapporto di lavoro full time: prova e accordo tacito
Una lavoratrice assunta senza un contratto part-time scritto rivendica un rapporto di lavoro full time. La Cassazione conferma la presunzione di tempo pieno, ma chiarisce che una prassi consolidata di sospensione del lavoro (lavoro solo nei giorni di apertura di un locale), supportata da un accordo sindacale, costituisce una clausola tacita del contratto. Il datore di lavoro non può modificare unilateralmente tale clausola, riducendo le giornate garantite, senza un nuovo consenso del lavoratore.
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Contratto part time nullo e rapporto full time
La Cassazione chiarisce le conseguenze di un contratto part time nullo per assenza di forma scritta. Sebbene il rapporto si presuma full time, il giudice può riconoscere un accordo tacito tra le parti per la sospensione della prestazione lavorativa. In questo caso, i lavoratori, dipendenti di una discoteca, si vedono riconosciuto il diritto a una garanzia minima di giornate retribuite, pattuita tacitamente e non modificabile unilateralmente dall'azienda.
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Liquidazione spese legali: il valore indeterminabile
Una lavoratrice impugna con successo una sanzione disciplinare minima, ma le vengono liquidate spese legali irrisorie. La Corte di Cassazione interviene, stabilendo che per la liquidazione spese legali il valore di tali cause è indeterminabile, poiché ledono lo status professionale del dipendente, e non può essere ancorato al mero valore economico della sanzione. Di conseguenza, le spese devono essere ricalcolate secondo i parametri corretti.
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Valutazione probatoria: i limiti del ricorso Cassazione
Una lavoratrice ha impugnato in Cassazione la sentenza che negava l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con una pizzeria. Il suo ricorso, basato su una presunta errata valutazione probatoria da parte dei giudici di merito, è stato dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge, confermando l'insindacabilità della valutazione delle prove, se congruamente motivata.
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Licenziamento lavoro festivo: Cassazione annulla
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza d'appello che legittimava il licenziamento di una lavoratrice per essersi rifiutata di lavorare durante una festività. Il caso verteva sull'interpretazione di un accordo di conciliazione che, secondo il datore di lavoro, includeva l'obbligo di lavorare nei festivi. La Suprema Corte ha stabilito che la rinuncia al riposo festivo deve essere esplicita e non può essere desunta da una generica disponibilità. Pertanto, il licenziamento per lavoro festivo non specificamente pattuito è stato ritenuto illegittimo.
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Errore materiale: correzione della condanna alle spese
Una società era stata erroneamente condannata a pagare le spese legali a un ente previdenziale, nonostante quest'ultimo non avesse svolto alcuna attività difensiva nel processo. La Corte di Cassazione, riconoscendo l'evidente contraddizione tra la motivazione e la decisione finale, ha accolto l'istanza di correzione per errore materiale, annullando la condanna al pagamento delle spese.
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Inquadramento superiore: quando contano le mansioni
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul diritto all'inquadramento superiore di alcuni lavoratori di una società di trasporti. I dipendenti chiedevano il riconoscimento di un livello più alto per le mansioni svolte prima della formalizzazione. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'azienda, ribadendo che la valutazione delle mansioni effettivamente svolte è un accertamento di fatto che spetta ai giudici di merito e non può essere riesaminato in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione non riscontrati nel caso di specie.
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Ricorso tardivo: quando l’appello è inammissibile
Un lavoratore, licenziato per un grave danno ambientale, ha impugnato la decisione della Corte d'Appello. La Cassazione ha dichiarato il suo ricorso tardivo e quindi inammissibile, poiché proposto oltre i 60 giorni dalla comunicazione della sentenza via PEC, come previsto dal rito Fornero. La decisione sottolinea l'importanza cruciale del rispetto dei termini processuali.
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Ripetizione di indebito: la PA può agire sul dipendente
Un ex dirigente di un ente locale si è opposto alla richiesta di restituzione di emolumenti percepiti e ritenuti non dovuti. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 17324/2024, ha respinto il ricorso, confermando che la Pubblica Amministrazione può agire con l'azione di ripetizione di indebito per recuperare somme erogate senza una valida base normativa o contrattuale, anche se il lavoro è stato svolto.
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Ripetizione indebito pubblico impiego: la Cassazione
Un Comune ha ottenuto la condanna di un suo ex dirigente alla restituzione di ingenti somme percepite a titolo di retribuzione di posizione e di risultato, ma ritenute non dovute. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso del dirigente, confermando la piena legittimità dell'azione di ripetizione indebito nel pubblico impiego quando le erogazioni sono prive di copertura contrattuale e finanziaria. La Corte ha chiarito che le normative sopravvenute non precludono l'azione diretta di recupero verso il dipendente.
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Ripetizione dell’indebito: PA può agire sul dipendente
Un ente locale ha agito per la ripetizione dell'indebito contro un suo ex dirigente per recuperare retribuzioni non dovute. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell'azione diretta, rigettando il ricorso del lavoratore. La Corte ha chiarito che le normative speciali sul recupero crediti della PA non escludono l'applicazione della norma generale del Codice Civile (art. 2033 c.c.), che consente di chiedere la restituzione direttamente a chi ha ricevuto il pagamento non dovuto.
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Ripetizione indebito pubblico impiego: quando è dovuta
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 17317/2024, ha confermato l'obbligo di due ex dirigenti pubblici di restituire le retribuzioni di posizione e di risultato percepite indebitamente. La sentenza chiarisce che la ripetizione indebito nel pubblico impiego è legittima quando tali emolumenti non sono previsti dalla contrattazione collettiva e sono privi di copertura finanziaria, respingendo le difese dei lavoratori basate su vizi procedurali e sul principio di giusta retribuzione.
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Danno comunitario: sì al risarcimento per precariato
Un'azienda sanitaria è stata condannata a versare il cosiddetto danno comunitario a un ex dipendente a termine. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'azienda, chiarendo che la successiva assunzione a tempo indeterminato del lavoratore, avvenuta tramite concorso, non annulla il suo diritto a essere risarcito per il precedente abuso di contratti a termine. È stato inoltre precisato che la retribuzione percepita durante il periodo precario non può essere detratta dal risarcimento, in quanto costituisce il corrispettivo per il lavoro svolto.
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