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Amministratore e rappresentanza apparente, responsabilità società

La Corte ha confermato il principio di diritto secondo cui la società può essere ritenuta responsabile per le obbligazioni assunte da un amministratore, anche se al di fuori dell’oggetto sociale, qualora i terzi abbiano fatto ragionevole affidamento sul potere di rappresentanza.

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Pubblicato il 8 aprile 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 2211/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE SECONDA

SEZIONE CIVILE

La Corte di Appello di Firenze, SECONDA SEZIONE CIVILE, in persona dei Magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._543_2025_- N._R.G._00002211_2022 DEL_21_03_2025 PUBBLICATA_IL_21_03_2025

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 2211/2022 promossa da:

(C.F. (C.F. ) e (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME contro (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOMECOGNOME (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME (C.F. , contumace e nei confronti di (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. (C.F. ), contumaci APPELLATI avverso la sentenza n. 1388/2022 emessa dal Tribunale di Pisa pubblicata il 14/11/2022

CONCLUSIONI

In data 14.11.2024 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:

Per la Soc. “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, per i motivi e le ragioni esposte, riformare parzialmente la sentenza impugnata n. 1388/2022 emessa in data 12.11.2022 dal Tribunale di Pisa, pubblicata in data 14.11.2022, nel procedimento 344/2015

R.G.C. (cause riunite) relativamente ai punti 1,3,6,8,10,14 e 16 del

per i motivi indicati in premessa (dell’atto di Appello) e per l’effetto rigettare le domande formulate da perché palesemente e delle domande già proposte dagli Appellanti nel primo grado di giudizio e che qui devono intendersi integralmente richiamate.

Con vittoria di spese e compensi per entrambi i gradi di giudizio ;

C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. Preso atto della rinuncia all’azione ed agli effetti favorevoli dei rispettivi decreti ingiuntivi, della sentenza di primo grado, formulata nel presente giudizio di appello, dai Sig.ri , condannare i medesimi al i g econdo grado.

” Per “Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Firenze, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e produzione:

in tesi, respingere l’impugnazione proposta dagli appellanti, confermando integralmente la sentenza impugnata;

in ipotesi, nel caso di accoglimento dell’appello in punto di inopponibilità agli appellanti dei contratti per cui è causa, condannare comunque essi appellanti, per le ragioni tutte dedotte in giudizio, alla restituzione delle somme ricevute da ciascun Comparente, con maggiorazione di interessi legali dalla messa in mora all’effettivo saldo.

Con vittoria delle spese e delle competenze del grado” Per “Voglial’Ecc.ma Corte di Appello di Firenze, disattesa ogni contraria richiesta, eccezione e produzione e preso atto che i Comparenti hanno formalmente rinunciato all’azione nei confronti degli appellanti, dichiarare l’estinzione del giudizio per la parte che riguarda le loro domande.

Con ogni ulteriore provvedimento di ragione e di legge.

Con integrale compensazione di spese e competenze”.

Per “Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, I)In Tesi Rigettare l’appello e per l’effetto confermare la sentenza impugnata relativamente ai seguenti capi:

-n.4) accoglimento dell’opposizione svolta da nei confronti e per l’effetto revoca de n. 544/2015 limitatamente all’ingiunzione di pagamento nei confronti della – n.10) condanna di a rifondere le spese di lite alla opponente vittoriosa liquidate in €.3.972,00 per compensi oltre ad €.275,00 legge.

II) In ipotesi di costituzione da parte di dichiarare la tardività della costituzione e dell’eventuale appello incidentale, ed il passaggio in giudicato della Contr sentenza relativamente ai capi di cui al punto n.4 ed al punto n.10) che concernono II)In ogni caso con condanna degli appellanti che hanno evocato in giudizio alla refusione delle spese e dei compensi legali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il giudizio di primo grado A seguito di altrettanti ricorsi, il Tribunale di Pisa ingiungeva alla società pagamento di somme variabili in favore di clienti che riferivano di avere consegnato importi equivalenti alla debitrice con l’accordo che sarebbero state restituite con gli interessi, ma di non aver più avuto restituzione del capitale investito.

In particolare:

– Con il decreto ingiuntivo n. 2337/2014 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 15.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. n. 2360/2014veniva ingiunto il pagamento della somma di € 10.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 2414/2014 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 69.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 2431/2014 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 16.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 659/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 25.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 228/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 50.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 196/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 30.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 121/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 15.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 73/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 36.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 243/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 15.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 544/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 51.400,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 683/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 20.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 714/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 10.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 863/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 23.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 479/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 25.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 1027/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 20.000,00, oltre accessori, in favore di – Con il decreto ingiuntivo n. 544/2015 veniva ingiunto il pagamento della somma di € 51.400,00, oltre accessori, in solido con ed i soci illimitatamente responsabili , in favore di Avverso tutti i predetti decreti proponevano opposizione la società debitrice, oltre ai soci illimitatamente responsabili. Con autonomo giudizio, poi, chiedeva la condanna della e della alla restituzione di € 10.000,00, a titolo di indebito oggettivo, oltre interessi.

Tutti i predetti giudizi venivano riuniti tra loro.

Nelle loro opposizioni, nella sostanza, anche in nome della società, deducevano:

– che la opponente non aveva mai stipulato contratti di finanziamento o di mutuo con gli opposti;

– di avere denunciato dopo avere scoperto che lo stesso aveva raccolto denaro dai clienti senza averne il potere e tenendone all’oscuro gli altri soci;

– che il aveva assunto impegni personali e non societari;

– che lo stesso si era assunto la responsabilità di quanto accaduto.

Con riferimento a talune posizioni veniva anche contestato il versamento delle somme o l’assunzione dell’obbligo restitutorio, o comunque veniva allegata l’avvenuta restituzione di parte del denaro.

a sua volta, chiedeva di accertare la propria carenza di legittimazione passiva e comunque di respingere la domanda nel merito.

In via riconvenzionale, in “regresso e/o manleva”, la compagnia assicurativa chiedeva di essere tenuta indenne dalla e dai soci illimitatamente responsabili.

La causa veniva istruita con assunzione di testimoni, con l’interrogatorio formale dei soci alcuni ordini di esibizione documentale, nonché una consulenza tecnico contabile.

La sentenza impugnata Con la sentenza n. 1388/2022 pubblicata il 14/11/2022 il Tribunale di Pisa così statuiva:

“Il Tribunale di Pisa, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:

1) RIGETTA l’opposizione proposta da in persona del legale rappresentante pro tempore, da contro Parte , e per la conseguenza conferma i decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale di Pisa n. 2337/2014 n. 2360/2014, n. 2414/2014, n. 2431/2014, n. 659/2014, n. 228/2015, n. 196/2015, n. 73/2015, n. 1684/2015, n. 544/2015, n. 683/2015, n. 714/2015, n. 863/2015, n. 479/2015, n. 1027/2015;

2) ACCOGLIE integralmente l’opposizione proposta da persona del legale rappresentante pro tempore, da contro e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pisa n. 714/2015;

3) ACCOGLIE parzialmente l’opposizione proposta da persona del legale rappresentante pro tempore, da contro e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Pisa n. 121/2015 e condanna gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento del minor importo di euro 13.050,00 in favore degli opposti;

4) ACCOGLIE l’opposizione svolta da persona del legale rappresentante pro tempore, contro per l’effetto revoca il d.i. del Tribunale di Pisa n. 544/2015 limitatamente all’ingiunzione di pagamento nei confronti della DICHIARA INAMMISSIBILE domanda svolta dalla in persona del legale rappresentante pro tempore, contro e dei soci 6) ACCOGLIE la domanda svolta da contro e per l’effetto condanna la in persona del legale rappresentante pro tempore, a restituire all’attore gli importi indebitamente incassati pari a 20.000 euro, oltre interessi sulla somma devalutata e rivalutata dal giorno del pagamento e sino all’effettiva restituzione, e oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza e sino all’effettivo soddisfo; 7) RIGETTA la domanda svolta da contro 8)

CONDANNA in persona del legale rappresentante pro tempore, alla refusione delle spese di lite, che liquida:

– in euro 4.835,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore di ciascuno degli opposti:

(unica parte opposta), (unica parte opposta) e – in euro 7.000,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore di ciascuno degli opposti:

– in euro per compensi, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore di;

– in euro 7.500,00 per compensi,

oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore dell’opposta 9) CONDANNA l’opposto a rifondere agli opponenti , in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese di lite che liquida in euro 4.835,00 per compensi, euro 275,00 per spese, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;

10) COMPENSA le spese di lite tra gli opponenti e la parte opposta 11) CONDANNA (opposto nel procedimento RG n. 2740/2015) a rifondere le spese di lite in favore della opponente vittoriosa in persona del legale rappresentante pro tempore, che si liquidano in euro 3.972,00 per compensi, euro 275,00 per spese, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;

12) CONDANNA la opponente in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere le spese di lite nei confronti della persona del legale rappresentante pro tempore, e dei soci che si liquidano in euro 3.972,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;

13) NULLA SULLE SPESE in favore dell’opposto contumace;

14) CONDANNA la in persona del legale rappresentante pro tempore (convenuta nel giudizio RG n. 1485/2015) a rifondere le spese di lite in favore dell’attore che liquida in euro 4.835,00 per compensi, oltre a 275,00 per spese, 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;

15) CONDANNA l’attore a rifondere le spese di lite in favore della convenuta in persona del legale rappresentante pro tempore (vittoriosa nel giudizio RG n. 1485/2015), che si liquidano in euro 4.835,00 per compensi, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;

16) PONE definitivamente a carico di tutte le parti, in via solidale, le spese di CTU, già liquidate con separato decreto”.

In particolare, pur affrontando autonomamente le singole cause riunite, così da evidenziare le specificità di ognuna, il giudice, per quanto qui oggi interessa, riteneva provati i versamenti di denaro, alla luce dell’esito della consulenza tecnica, nonché l’obbligo restitutorio, in quanto indebito oggettivo.

Il decidente riteneva provato che l’obbligazione era stata assunto in nome della società, sia perché ai clienti veniva rilasciata una dichiarazione recante il timbro della stessa, sia perché i pagamenti venivano effettuati in favore della stessa o della compagnia assicuratrice della quale era agente.

Venivano pertanto richiamati i principi giurisprudenziali in tema di rappresentanza apparente, ed in particolare veniva evidenziata la buona fede del terzo che aveva stipulato con il falso rappresentante, nonché il comportamento colposo della società rappresentata, desumibile dal fatto che nessun rilievo era stato formulato nonostante le condotte illecite fossero proseguite per quattro anni e si fossero esternate in consistenti movimentazioni di denaro sul conto corrente della società.

Si legge nella motivazione:

“In ordine alla responsabilità della opponente, e con essa dei soci amministratori, è appena il caso di ricordare che in tale tipologia societaria gli amministratori devono tenere i libri e le altre scritture contabili prescritti dall’art. 2214 c.c. (art. 2302 c.c.):

nella specie, trattandosi di tre soci amministratori, è irragionevole ritenere, come ventilato dagli opponenti, che gli stessi non fossero a conoscenza dei consistenti spostamenti patrimoniali sui conti correnti a vario titolo intestati alla poiché, per legge, gli stessi hanno partecipato alla tenuta dei libri e delle scritture contabili e quindi esaminato la contabilità della società.

Nello stesso senso, si deve rammentare che nella non è previsto alcun organo di vigilanza (a differenza di quanto accade nelle società di capitali), sicchè tutti gli amministratori avrebbero dovuto controllare l’attività degli altri, potendosi rinvenire anche sotto tale concorrente profilo una responsabilità colposa dei soci Giova valorizzare anche il dato temporale:

nel corso dell’istruttoria, documentale e per testi, è emerso che il ha assunto impegni, in nome e per conto della della quale era amministratore, dal 2011 e sino al 2014:

a fronte di Parte Parte Parte Parte un’intensa attività, durata almeno quattro anni, non è ammissibile ipotizzare l’estraneità degli altri amministratori ai fatti di causa.

Non convincono gli argomenti difensivi degli opponenti:

(a) è irrilevante che fosse solo il ad occuparsi della “parte economica” della società, poiché tutti avevano o avrebbero dovuto avere, per legge, conoscenza della contabilità societaria;

(b) è irrilevante che gli stessi, ad un certo punto, abbiano presentato denuncia-querela contro il poiché si tratta di questione che attiene, al più, al riparto interno di responsabilità, mentre verso i terzi tutti i soci sono coobbligati in solido;

(c) per le medesime ragioni, è irrilevante che il abbia assunto in via esclusiva la responsabilità di quanto accaduto (per iscritto, con dichiarazione della cui autenticità e spontaneità in ogni caso sarebbe lecito dubitare), trattandosi di un profilo che non può involgere i diritti dei terzi di buona fede;

(d) a nulla rileva che i vari accordi siano stati conclusi fuori dai locali commerciali (sede dell’agenzia assicurativa), non essendovi alcuna previsione al riguardo, né sanzione di invalidità del relativo contratto;

(e) è del pari inconferente il riferimento a contratti redatti di pugno dal anziché con l’ausilio di PC o strumenti meccanografici, dal momento che non vi è alcun obbligo in tal senso e che neppure si discute di contratti sottoscritti su moduli o formulari;

E’ del pari ultronea la distinzione, pure richiamata dalla difesa opponente, tra attività rientrante o meno nell’oggetto sociale ovvero tra atti di ordinaria o di straordinaria amministrazione:

premesso che si tratta di profili non sovrapponibili, in questa sede si discute dell’apparenza del diritto ingenerata dalla condotta del soggetto che, sebbene formalmente socio e amministratore della abbia ingenerato nei terzi la ragionevole convinzione di agire nell’esercizio del potere rappresentativo per il compimento di attività del tutto estranee all’oggetto sociale”.

La responsabilità degli opponenti quindi, veniva desunta dal fatto che obbligazioni assunte potevano essere considerate “sociali” (art. 2291 Parte c.c.).

Il giudizio di appello Con atto di citazione, regolarmente notificato, e la (di seguito anche COGNOME) convenivano in giudizio, innanzi questa Corte di Appello (di seguito anche COGNOME) proponendo gravame avverso la sopra richiamata sentenza.

Parte appellante ritenendo la sentenza gravata errata e ingiusta, la impugnava per i seguenti motivi di appello:

1) sul falsus procurator, sul principio di affidamento e sulla responsabilità della società e dei soci, sull’assegno quale strumento di pagamento;

2) sull’attività illecita del e sull’estraneità della società e dei soci;

3) sull’ ingiustificato arricchimento e sulla mutatio libelli;

4) sulla posizione di Per tali ragioni veniva pertanto formulata dall’appellante richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Radicatosi il contraddittorio, si costituivano in giudizio, a mezzo di un unico difensore, , i quali contestavano, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.

Si costituiva altresì la quale evidenziava che non erano stati impugnati i capi della sentenza che la riguardavano e di costituirsi esclusivamente per l’ipotesi che venisse proposto appello incidentale da parte di qualcuno degli appellati.

, invece, rimanevano contumaci.

Nel corso del giudizio depositavano atti di rinuncia all’azione ed alle pretese svolte nei confronti della società e dei soci, ivi compreso quanto già riconosciuto in loro favore dalla sentenza impugnata, e chiedevano che il giudizio venisse dichiarato estinto con riferimento alla loro posizione.

Senza svolgimento di alcuna attività istruttoria, la causa era trattenuta in decisione sulle conclusioni riportate in epigrafe e veniva discussa all’odierna camera di consiglio dopo la decorrenza dei termini concessi per il deposito delle difese conclusionali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre osservare che la sentenza è stata impugnata esclusivamente da e dalla , nonché limitatamente alle statuizioni che hanno comportato l’attribuzione alla società delle condotte imputate a con conseguente responsabilità solidale degli altri soci.

Per effetto della mancata impugnazione degli altri capi della sentenza, si è formato il giudicato con riferimento al rigetto della domanda proposta da ai motivi che hanno portato al parziale accoglimento dell’opposizione proposta all’accoglimento dell’opposizione di nei confronti di ed al rigetto della domanda proposta nei confronti della stessa da Non è stata proposta impugnazione neanche con riferimento ai capi della sentenza relativi alla prova delle dazioni di danaro al ed alla loro quantificazione.

Anche su tali aspetti, quindi, si è formato il giudicato interno.

Sempre in via preliminare, si osserva che nelle more del giudizio hanno depositato atti di rinuncia all’azione, riguardanti anche gli effetti, positivi nei loro confronti, della sentenza di primo grado.

La parte appellante, pur prendendo atto, ha insistito per la condanna dei rinuncianti al pagamento delle spese di lite.

Precisa la Corte di Cassazione:

“La rinuncia all’azione, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l’accettazione della controparte, estingue l’azione, determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l’efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante;

peraltro, qualora la rinuncia intervenga nella fase di impugnazione, la liquidazione delle spese processuali nel procedimento di appello deve essere effettuata tenendo conto dell’esito complessivo del giudizio, e non già separando l’esito del giudizio di impugnazione dai risultati totali della lite (In applicazione del succitato principio di diritto, la SRAGIONE_SOCIALE ha cassato la sentenza impugnata che aveva condannato il rinunciante a pagare le spese del secondo grado, dichiarando invece compensate tra le parti le spese del primo grado)” (Sez. 1, Sentenza n. 18255 del 10/09/2004). Occorre pertanto dichiarare cessata la materia del contendere con riferimento alle domande proposte da tali soggetti, revocando i decreti ingiuntivi opposti.

Sul regime delle spese ci si soffermerà invece oltre.

Passando alla disamina dell’avanzato gravame, si osserva quanto segue.

I motivi di appello, tra di loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

3.1.

Preliminarmente si ritiene opportuno esaminare la questione dedotta nel secondo motivo di appello con riferimento all’inammissibilità della domanda di indebito arricchimento, in quanto indebita mutatio libelli da parte del convenuto opposto o comunque perché tardivamente proposta.

Gli appellanti richiamano il contenuto della decisione adottata da questa Corte di Appello nella causa proposta da altro cliente del nella quale è stato evidenziato che la domanda di indebito arricchimento da questo proposta era inammissibile, proprio per i motivi oggi proposti.

Va però evidenziato che il giudice di primo grado non si è mai pronunciato su una tale domanda, essendo rimasta assorbita da quella principale.

La questione, pertanto, potrà divenire rilevante ai fini del decidere soltanto nei limiti in cui non venga accolto l’appello, fatto che imporrebbe l’esame della domanda subordinata che viene oggi riproposta dagli appellati.

3.2.

Nell’atto di appello è contenuto anche un paragrafo relativo alla posizione di.

In relazione a tale aspetto, però, non può essere trascurato che la domanda da questo avanzata in primo grado è stata respinta e lo stesso non ha interposto impugnazione.

La sentenza è quindi passata in giudicato con riferimento alla posizione di tale soggetto, in relazione alla quale non vi è quindi motivo di pronunciarsi.

Né vi è poi necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del sebbene non figuri tra i soggetti appellati, in considerazione della scindibilità della sua posizione processuale, avendo egli introdotto un autonomo giudizio, poi riunito agli altri per connessione oggettiva in primo grado.

3.3.

Con il primo motivo gli appellanti contestano la decisione di aver ritenuto provato che nei clienti si fosse generato il legittimo affidamento in ordine al fatto che il agisse per conto della società.

Si afferma in particolare che, essendo pacifico che gli odierni appellati sono stati vittime truffe opera del «E’ quantomeno colposo comportamento degli odierni appellati che, conferendo al (proprio conoscente) ingenti somme di denaro non si siano minimamente curati di verificare che lo stesso fosse effettivamente dotato del potere di rappresentanza che millantava di avere, soprattutto se si considera che le operazioni del si sono svolte tutte all’esterno dell’agenzia e che per tutte le operazioni di “investimento/mutuo” proposte, lo stesso prometteva tassi di interesse altissimi (addirittura il 20% !) ed assolutamente fuori mercato che certamente avrebbero dovuto far accendere un campanello d’allarme negli incauti conoscenti di tale soggetto. Appare quantomeno imprudente affidare grosse somme di denaro su promesse che nella totalità dei casi, venivano latu sensu “contrattualizzate” su fogli bianchi, con la promessa orale di tassi di interesse palesemente fuori mercato e nemmeno riportate nero su bianco sui fogli che il rilasciava agli imprudenti malcapitati, il tutto sfruttando il nome della SNC che di tutto si occupava tranne che di raccolta di denaro presso il pubblico, come ineluttabilmente riconosciuto sia in sede penale che nella sentenza appellata, oltre che in tutti gli altri giudizi che hanno avuto ad oggetto le vicende di cui si discute e di cui si dirà in seguito». 3.4.

A norma dell’art. 2298 c.c. “L’amministratore che ha la rappresentanza della società può compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dall’atto costitutivo o dalla procura.

Le limitazioni non sono opponibili ai terzi, se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza”.

Nel caso in esame dalla visura camerale in atti emerge che il aveva l’amministrazione, disgiunta, della società.

L’oggetto sociale viene poi così definito:

La stipula di contratti di tipo finanziario con il pubblico, quindi, non rientrava nell’oggetto sociale.

Si è pertanto trattato di una attività compiuta dall’amministratore in contrasto con l’oggetto sociale.

3.5.

Il giudice di primo grado ha comunque fatto ricadere le conseguenze dell’operato dell’amministratore sulla società in applicazione dei principi giurisprudenziali in materia di rappresentanza apparente.

La giurisprudenza è infatti univoca nell’affermare che “In tema di rappresentanza, possono essere invocati i principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole allorché vi sia, da un lato, la buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante e, dall’altro, anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27349 del 26/09/2023). Il richiamo al fatto che il convincimento del soggetto contraente debba essere “ragionevole” implica, per quanto non venga esplicitato nelle massime giurisprudenziali, che l’opinione circa la sussistenza dei poteri rappresentativi non derivi da un atteggiamento colpevole.

Infatti, il principio della c.d. apparenza del diritto si ha quando una situazione giuridica, in realtà inesistente, appare esistente ad un soggetto non a causa di un suo comportamento colposo, ma a causa del comportamento colposo del soggetto, nei cui confronti l’apparenza è invocata.

Il principio dell’apparenza del diritto, infatti, deriva da quello più generale della tutela dell’affidamento incolpevole del terzo, per cui risulta necessario accertare l’esistenza di elementi oggettivi idonei a giustificare nel terzo la ragionevole convinzione della corrispondenza, a quella reale, della situazione apparente (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18519 del 13/07/2018, in motivazione).

Nella presente fattispecie, emerge dalla documentazione in atti che i clienti hanno consegnato al assegni intestati alla società o alla compagnia assicurativa, ricevendo dallo stesso delle dichiarazioni redatte su un foglio di carta bianco, che riportavano nell’intestazione ed in calce il timbro della società, con l’indicazione che il denaro veniva incassato dalla stessa.

Nessuna documentazione contrattuale è stata invece prodotta.

L’attività, oltre che non prevista dall’oggetto sociale, era certamente inibita alla società, in quanto riservata dal a soggetti dotati di particolari caratteristiche.

Il fatto che la società non fosse abilitata a concedere prestiti, o comunque proporre investimenti, costituiva senz’altro un elemento che poteva fondare quanto meno il sospetto che l’attività del non fosse compiuta nell’interesse di questa.

Ciò che rendeva anomalo il comportamento di quest’ultimo, era poi il fatto che egli non consegnasse ai clienti contratti scritti, ma delle mere ricevute scritte di pugno su fogli bianchi.

Tali documenti anche ad un occhio inesperto dovevano necessariamente apparire irregolari, rientrando tra le massime di comune esperienza che, a fronte della consegna di importi di denaro consistenti, destinati ad essere investiti, si ottiene regola una documentazione contrattuale che attesti modalità dell’investimento ed i rendimenti previsti.

Contr Tale anomalia certamente poteva far sorgere un legittimo sospetto in ordine al fatto che il danaro sarebbe stato investito secondo gli accordi.

Un ulteriore elemento che ben poteva usando l’ordinaria diligenza suscitare un fondato dubbio sul fatto che l’attività fosse effettivamente compiuta per conto della società è riscontrabile nella circostanza che, a fronte dell’utilizzo del timbro della stessa, non veniva utilizzata della modulistica che potesse apparire conforme a quella usualmente utilizzata, unita al fatto che i clienti venivano contattati al di fuori dei locali dell’agenzia, senza che spesso avessero posizioni aperte presso la stessa, avendo rapporti personali diretti solo con il Molteplici anomalie, quindi, potevano suscitare forti sospetti, oltre che sulla bontà dell’operazione proposta, anche sul fatto che il stesse effettivamente operando in qualità di agente di Unipol Sai, e quindi in rappresentanza della società, che aveva quale unica attività quella di procacciare contratti assicurativi. Va però evidenziato che tale anomalia era per altro verso bilanciata dal fatto che il denaro veniva consegnato per lo più a mezzo di assegni intestati alla società o alla compagnia assicurativa.

Dalla consulenza tecnica d’ufficio, infatti, emerge che gran parte delle somme incassate sono state versate attraverso assegni o vaglia postali intestati talvolta a “Fondiaria Sai Spa” oppure a “ Le somme versate a favore di Fondiaria Sai Spa venivano incassate sul conto della n. 21174 e/o 21175, mentre le somme versate a favore di “ ” venivano incassate sul conto corrente presso la Cassa di Risparmio di Lucca Pisa Livorno.

In ogni caso la titolarità dei conti era sempre dell’ e non della mandataria SpaRAGIONE_SOCIALE e la firma in girata dei titoli era sempre di Risultano depositati anche assegni rilasciati in favore di alcuni clienti, che per l’importo appaiono imputabili alla restituzione delle somme ricevute, tutti tratti sul conto corrente della società.

Questa circostanza mitiga in parte il quadro di forti criticità sopra evidenziato, potendo generare il convincimento di consegnare il denaro alla società, rappresentata dal Va però detto che non tutte le somme sono state versate attraverso tali modalità, venendo allegata anche la consegna di contanti, come nel caso di , di , di , di ed in parte di e di Per questi soggetti certamente non sono rinvenibili elementi che potessero giustificare convincimento circa l’esistenza valido potere rappresentanza in capo al essendo ulteriormente anomala la condotta di incassare consistenti somme in contanti. Per questi, quindi, l’unico appiglio che potesse giustificare la convinzione che il ricevesse il denaro per conto della società è costituito dalle stesse dichiarazioni rilasciate da questo, rese però con le anomale modalità di cui si è detto.

3.6.

Con riferimento al comportamento della società, la giurisprudenza richiede che il ragionevole convincimento del cliente che il falsus procurator agisse per suo conto sia stato determinato da un atteggiamento colposo del rappresentato.

Il comportamento del rappresentato, quindi, deve essere da un lato colpevole, dall’altro idoneo a generare un convincimento “ragionevole” dell’esistenza del potere di rappresentanza.

Nel caso in esame gli appellati individuano tale atteggiamento nell’avere la società consentito il passaggio del denaro sui suoi conti per quattro anni senza mai sollevare obiezioni in ordine al fatto che non fosse pertinente alla sua attività sociale.

Dagli accertamenti peritali compiuti in primo grado emergono movimentazioni di danaro per importi consistenti, sia in contanti che a mezzo assegni, sul conto corrente della società, sia in ingresso che in uscita.

Le movimentazioni in ingresso difficilmente potevano essere giustificate con il pagamento di polizze, trattandosi spesso di importi di alcune migliaia di euro.

Ancor meno giustificabili erano i movimenti in uscita in favore dei clienti.

Non è chiaro quali fossero le movimentazioni complessive dei conti correnti, certamente, però, un esame approfondito degli estratti conto poteva far emergere questa anomalia.

La gran parte degli assegni risultano essere stati versati tra la metà del 2012 ed il settembre 2014.

Nel mese di novembre 2014 sono state sporte le querele da parte di mentre non risulta che gli stessi abbiano formulato rilievi negli anni precedenti.

Nelle querele si afferma che gli aspetti finanziari della società venivano curati dal solo affermazione ripresa anche nell’odierno giudizio, che non viene espressamente contestata.

Occorre pertanto chiedersi se la mancata tempestiva contestazione delle anomale movimentazioni di denaro ad opera degli altri soci possa essere considerata una condotta colposa tale da generare nei clienti il ragionevole affidamento in ordine al fatto che i rapporti venivano tenuti con la società.

Certamente non appare corretto il riferimento, operato dagli appellati, all’istituto della ratifica dell’operato del falsus procurator, che presuppone la coscienza dell’accettazione dell’altrui condotta, e non la semplice inerzia, anche se colpevole.

La Corte di Cassazione a tal proposito ha già precisato che “Nelle società di persone, il debito di restituzione derivante da un contratto di mutuo stipulato senza il consenso di tutti i soci, in violazione della clausola statutaria – regolarmente iscritta nel registro delle imprese e, quindi, conoscibile dall’altro contraente – che, in deroga alla disciplina generale, preveda per gli atti di straordinaria amministrazione che il potere rappresentativo sia esercitato congiuntamente da tutti i soci, non è opponibile al socio rimasto estraneo all’accordo negoziale, risultando irrilevante che la società abbia utilizzato le somme mutuate, perché anche la eventuale ratifica tacita della società deve provenire dall’organo competente a provvedere su di essa e con le modalità richieste per l’atto da ratificare” (Cass., sez. II, 05/04/2022, n.11040) Non sono rinvenibili neppure gli estremi della rappresentanza tollerata, riscontrabile ove il rappresentato, pur consapevole dell’attività del falso rappresentante, non intervenga per farne cessare l’ingerenza (v. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4113 del 02/03/2016), in quanto nel caso in esame non vi è prova del fatto che gli altri soci fossero consapevoli della condotta del Si rinviene in giurisprudenza un precedente nel quale la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda risarcitoria proposta nei confronti della banca da una società, la quale aveva tollerato per oltre quattro anni e mezzo che una propria collaboratrice, priva del potere di compiere atti dispositivi in rappresentanza della medesima società, avesse continuato a svolgere operazioni di addebito sul proprio conto corrente – almeno 124 – senza preoccuparsi di acquisire contezza del reale andamento del rapporto, omettendo altresì di segnalare alla banca la mancata ricezione dei relativi estratti conto (Sez. 1 – , Ordinanza n. 27349 del 26/09/2023) Si legge nella motivazione: “… questa Corte ha già avuto modo di ricondurre alla rappresentanza apparente l’ipotesi in cui un soggetto diverso dall’incaricato del correntista legittimato a operare sul conto corrente esegua sullo stesso operazioni di prelevamento senza che il titolare del conto abbia a sollevare contestazioni a fronte della regolare ricezione degli estratti conto (Cass. 2 marzo 2016, n. 4113);

ad analoga conclusione può giungersi ove si ipotizzi che la società istante non abbia ricevuto estratti conto.

Infatti, anche in caso di mancata ricezione di estratti conto al titolare del rapporto può imputarsi, secondo le circostanze, un comportamento colposo produttivo dell’altrui affidamento.

E tale comportamento colposo ben può consistere nel tollerare l’eventualità che il conto corrente di cui si sia titolari venga continuativamente movimentato (la materia controversa è rappresentata da ben 124 operazioni per l’importo complessivo di euro 406.658,66 ― cfr. ricorso per cassazione, pag. 4 ―, ma come si è detto è pacifico che ne abbia eseguito di altre nell’intesse della società) in un periodo di quattro anni e mezzo (da gennaio 2011 a luglio 2015:

cfr. ricorso, sempre pag. 4), senza preoccuparsi di avere conoscenza del suo reale andamento e senza aver cura di segnalare alla banca il disguido che si frapponga a tale conoscenza (nessuna allegazione risulta sia stata infatti formulata al riguardo) …”.

La Suprema Corte, quindi, nel diverso caso ha valorizzato per fondare la colpa del soggetto rappresentato il non essersi sincerato di come il soggetto delegato operasse sul conto corrente.

Va però evidenziato che in tale caso si discuteva di un soggetto che era legittimato ad operare sul conto ma aveva posto in essere operazioni non autorizzate senza che la banca potesse avvedersi di tale limitazione.

Il caso di cui si discute è parzialmente diverso.

Ciò che viene imputato alla società, e per essa ai soci oggi appellanti, è di non aver verificato da dove provenissero le somme versate dal sui due conti correnti e quale finalità avessero i pagamenti da questo effettuati.

L’affidamento, poi, non sarebbe quello della banca che ha ricevuto i versamenti, ma quello dei terzi che hanno consegnato la provvista.

Nel caso in esame non si è in presenza di un rapporto di durata, nell’ambito del quale venivano poste in essere numerose operazioni, la cui mancata contestazione giustificato convincimento della validità del potere rappresentativo.

Con riferimento ai singoli clienti, infatti, si sono verificati solo singoli episodi e solo in alcuni casi si è assistito a plurimi versamenti nel tempo.

Ai fini della verifica del comportamento della società rappresentata, che possa aver avallato l’apparenza del potere rappresentativo, non possono essere considerate unitariamente tutte le posizioni, ma solo quello che appariva agli occhi dei singoli investitori al momento della consegna del denaro, dovendo supporsi che il contesto generale in cui sono maturati i fatti sia stato percepito da ognuno solo nel momento in cui sono stati compiuti gli approfondimenti successivi alla mancata restituzione delle somme consegnate. Nel caso di consegna degli assegni in un unico contesto appare più difficile valorizzare la mancata contestazione degli accrediti, in quanto si tratta di una condotta successiva al momento in cui il negozio è stato concluso.

Nei casi in cui si siano verificate più consegne nel tempo, magari vedendosi restituire somme con assegni intestati alla società, invece, la mancata contestazione dei movimenti può aver giustificato l’apparenza del potere rappresentativo.

Rispetto alle posizioni per le quali permane la materia del contendere, dalla CTU evincono le seguenti circostanze.

risulta aver consegnato di tre assegni per un totale di € 20.000, ma gli stessi risultano incassati tutti in uno stesso giorno, per cui si suppone che vi sia stato un contatto unico con il Sono stati poi prodotti assegni ricevuti dal di importo identico a quelli consegnati e tratti sul conto della società, che non risulta siano mai stati incassati, per cui si suppone siano stati consegnati in garanzia.

Identica vicenda si è verificata con riferimento a , per quanto la somma consegnata sia nel complesso € 15.000.

ha consegnato un solo assegno.

risulta avere consegnato due assegni in un’unica occasione, vendendosi peraltro restituire la quasi totalità dell’importo (ad eccezione di € 4.600) e poi afferma di avere consegnato ulteriori somme in contanti, oltre ad aver versato in questa seconda occasione due assegni postali.

In una terza occasione, poi, questa ha consegnato altri tre assegni postali.

risulta aver consegnato un assegno da 10.000 euro in un’unica occasione, ricevendo a sua volta un assegno del medesimo importo, mai posto all’incasso.

Maestro risultano aver consegnato tre assegni in un’unica occasione, per un totale di 29.000 euro, ricevendo in cambio un assegno da 3000 euro, mai incassato.

, come si è detto, ha dichiarato di avere consegnato importi variabili in varie occasioni, sempre in contanti.

ha consegnato vari importi in contanti e tre assegni per un totale di € 25.000 in due diverse occasioni ed ha prodotto copie di tre assegni per un totale di 18.000 euro ricevuti nello stesso periodo, uno solo dei quali, per 4000 euro, risulta incassato.

Gli unici soggetti per i quali può venire in rilievo la mancata contestazione dei pagamenti, avendo avuto un rapporto che non si è esaurito in un unico contatto, quindi sono , pur con le riserve di cui si è detto con riferimento alle somme consegnate in contanti.

3.7.

Per superare le suddette perplessità si rende opportuno analizzare la domanda di ingiusto arricchimento.

Gli odierni appellati nel giudizio di primo grado hanno tutti assunto la veste di convenuti opposti, e quindi attori in senso sostanziale.

La domanda è stata quindi cristallizzata nel procedimento monitorio, nel quale si invocava la restituzione delle somme date a prestito.

Nelle comparse di costituzione tutti i convenuti hanno chiesto il rigetto delle opposizioni, senza modificare le loro domande.

Con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., poi è stata introdotta la seguente richiesta:

“disponendo comunque – anche nel caso di accoglimento della avversa opposizione – la restituzione delle somme ricevute dalla società Pur non espressamente qualificata in tal senso, la domanda può essere intesa quale domanda di ingiusto arricchimento, facendo riferimento alla restituzione di somme ricevute dalla società senza titolo.

Contr Nella sentenza emessa da questa Corte n. 2485/2021 del 23/12/2021 tale domanda è stata ritenuta inammissibile, in quanto tardivamente introdotta.

Il collegio, meglio valutando la fattispecie, non può però trascurare che tale decisione si pone in contrasto con la decisione della Corte di Cassazione sez. un., 13/09/2018, n.22404, ove è stato affermato che “Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta”. La Suprema Corte ha infatti ritenuto di dare continuità all’indirizzo indicato con la sentenza di queste Sezioni Unite n. 12310 del 2015 in tema di esercizio dello ius variandi nel corso del processo, che, superando in senso evolutivo il criterio della differenziazione di petitum e causa petendi su cui si basava il precedente orientamento, ha spostato l’attenzione dell’interprete dall’ambito circoscritto di una valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda modificata rispetto a quella iniziale, in una prospettiva di più ampio respiro, volta alla verifica che entrambe tali domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice e rispetto alla quale la domanda modificata sia più confacente all’interesse della parte. Nel caso in esame la domanda di restituzione delle somme consegnate al e di indebito arricchimento si riferiscono indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale;

sono attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale;

sono legate da un rapporto di connessione “di incompatibilità”, non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, ai sensi dell’art. 2042 c.c.

La domanda di ingiusto arricchimento, quindi, risulta ammissibile e senz’altro fondata.

Come è emerso dalla consulenza tecnica, infatti, gli assegni consegnati dagli odierni appellati sono stati tutti versati su due conti correnti, l’uno intestato alla società l’altro alla Unipol Sai, per quanto gestito dalla prima società.

Con riferimento alle somme per le quali non vi è corrispondenza con assegni, per quanto emergano dalle ricevute rilasciate dal il CTU ha riscontrato corrispondenti versamenti in contanti sui medesimi conti correnti.

Gli odierni appellanti ammettono che tali versamenti non hanno una valida causa giustificativa, e certamente non sono riferibili all’attività della società.

Per le somme versate sul conto a lei intestato la società ha tratto un beneficio diretto, venendosi accreditare importi non corrispondenti ad una prestazione eseguita.

Anche per i denari accreditati sul conto di Fondiaria Sai, però, a ben vedere, vi è stato un arricchimento da parte della s.n.c., che per tale via ha potuto evitare di corrispondere importi equivalenti alla compagnia assicuratrice, dei quali era certamente debitrice.

Tale secondo conto corrente, infatti, veniva utilizzato ragionevolmente per girare a Fondiaria Sai le somme incassate a titolo di premio delle polizze contratte.

E’ quindi evidente che in un rapporto di dare/avere la compagnia assicuratrice avrebbe trattenuto esclusivamente le somme a lei dovute.

In un tale contesto, quindi, non vi è altra spiegazione che quella per cui i soldi versati dal sono stati impiegati per saldare debiti della società nei confronti della Compagnia Assicuratrice.

Sotto questo profilo, quindi, vi è stato certamente un arricchimento da parte della Risultano pertanto provati tutti i presupposti per l’azione di arricchimento, per cui la domanda degli appellati merita accoglimento quanto meno sotto tale aspetto.

In definitiva, quindi, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento alla posizione di L’appello deve invece essere respinto con riferimento alla posizione degli altri appellati.

In considerazione del fatto che la domanda viene accolta con riferimento alla richiesta di ingiusto arricchimento, i decreti ingiuntivi devono comunque essere revocati.

In applicazione del principio di soccombenza, tenuto conto dell’esito del giudizio complessivo (che vede vittoriosi ) le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio devono essere poste a carico degli appellanti, in solido, nella misura liquidata in dispositivo, ai sensi del D.M. 55/2014 come modificato dal D.M. n. 147 del 13/08/2022, in relazione al valore effettivo della controversia ed all’attività svolta, esclusa la fase istruttoria per il presente grado di giudizio.

Quanto alla posizione , per quanto la rinuncia all’azione comporti un sostanziale rigetto della loro domanda, deve tenersi conto del fatto che gli stessi erano assistiti dal medesimo difensore degli altri appellati, risultati vincitori.

La condanna a rifondere le spese alla controparte determinerebbe pertanto una evidente distonia della decisione, che per un verso comporterebbe la refusione delle spese sostenute e per altro la necessità di corrisponderle alla controparte.

Per di più, non si può trascurare che la rinuncia all’azione è intervenuta dopo che gli appellati erano risultati vincitori nel primo grado di giudizio, trovandosi poi in una medesima posizione processuale rispetto agli altri soggetti vittoriosi nel presente giudizio.

In un tale contesto, quindi, le spese di entrambi i gradi di giudizio devono essere interamente compensate con riferimento a tali posizioni.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione, istanza e deduzione, sull’appello proposto da nei confronti di avverso la sentenza n. 1388/2022 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 14/11/2022, così provvede:

1. dichiara la contumacia di 2. dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle domande proposte da revocando i decreti ingiuntivi nn. 2414/2014, 2431/2014, 121/2015, 243/2015 e 1027/2015 emessi dal Tribunale di Pisa;

3. rigetta l’appello e, in accoglimento della domanda subordinata di ingiusto arricchimento proposta da , condanna e la , in solido tra loro, a pagare la somma di € 15.000,00, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

la somma di € 50.000,00, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

la somma di € 69.000, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

la somma di € 30.000, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

la somma di € 23.000, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

la somma di € 36.000, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

la somma di € 51.400,00, oltre agli interessi in misura legale dalla domanda al saldo;

4. revoca i decreti ingiuntivi nn. 2337/2014, 228/2015, 2414/2014, 196/2015, 863/2015, 73/2015 e 544/2015 emessi dal Tribunale di Pisa;

5. condanna e la , in solido tra loro, a rifondere a le spese processuali, che liquida per il primo grado in complessivi € 4.835 per ciascuna parte e per il presente grado di giudizio in complessivi € 6.946 per ciascuna parte, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA, come per legge;

6. dichiara interamente compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio tra e la da una parte e dall’altra;

7. dichiara che sussistono in capo agli odierni appellanti i presupposti per il pagamento del contributo unificato in misura doppia.

Firenze, camera di consiglio del 19 marzo 2025.

Il Consigliere relatore ed estensore dott. NOME COGNOME La Presidente dott.ssa NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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