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Ferie non godute, indennità sostitutiva

Indennità sostitutiva delle ferie non godute, onere di provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati .

Pubblicato il 07 March 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE II LAVORO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Giudice, dott.ssa, all’esito della camera di consiglio del 01/03/2021 dà lettura della seguente

sentenza n. 1941/2021 pubbl. il 01/03/2021

nella causa iscritta al n. /2020 R.G. controversie lavoro promossa

da

XXX, rappresentato e difeso dagli Avv.ti, per procura allegata al ricorso,

RICORRENTE

contro

YYY, nella sua qualità di titolare della ditta individuale ‘***’, con sede in,

CONTUMACE

OGGETTO: differenze retributive.

CONCLUSIONI: per la parte ricorrente, come nei suoi scritti difensivi, nei verbali e nelle note scritte di udienza.

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di ricorso depositato in forma telematica il 6/2/2020 il ricorrente in epigrafe conveniva in giudizio la ditta individuale *** di YYY, esercente attività di ristorante in, esponendo di essere stato assunto alle sue dipendenze per lo svolgimento delle mansioni di lavapiatti e aiutocuoco per tutto il periodo dal 18/10/2016 al 6/6/2017, allorché il datore di lavoro lo aveva allontanato in via di fatto, fornendogli indicazioni per formalizzare le dimissioni.

Deduceva che, nonostante la regolarizzazione del rapporto con orario part-time di 24 ore settimanali, dalle 10:00 alle 14:00, aveva in realtà costantemente disimpegnato l’attività lavorativa con orario dal lunedì al sabato, con giorno di riposo nella giornata del mercoledì, dalle 10:00 alle 16:00 e dalle 18:00 all’1:00, per un totale di 65 ore settimanali.

Esponendo di non avere percepito la retribuzione per i mesi di aprile e maggio 2017, nonché quella relativa ai primi 6 giorni di giugno 2017, di non avere mai usufruito delle ferie e dei permessi, né percepito la relativa indennità sostitutiva, la retribuzione per le festività ricadenti nei mesi da aprile a giugno 2017, i ratei di 13ª e 14ª mensilità, nonché il TFR, il ricorrente concludeva domandando l’accoglimento delle seguenti, testuali, conclusioni:

“Piaccia all’Ecc.mo Tribunale di Roma, in funzione del Giudice del Lavoro, contrariis reiectis:

– accertare e dichiarare che tra le parti è intercorso dal 18.10.2016 e fino al 12.7.2017 un rapporto di lavoro subordinato, full time, a tempo indeterminato con orario settimanale di 65 ore e, e per l’effetto, condannare il resistente YYY, titolare della ditta individuale ‘***’, per i titoli di cui in premessa, al pagamento in favore del ricorrente dell’importo di € 19.678,81, ovvero del maggiore o minor somma ritenuto di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione dei singoli crediti al saldo;

– condannare il resistente a rifondere le spese e gli onorari di lite, maggiorate di IVA e CA come per legge, da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari per anticipazione fattane”.

Nonostante la rituale instaurazione del contraddittorio, ometteva di costituirsi in giudizio il convenuto YYY, nella qualità di titolare della ditta individuale ‘***’, il quale, pertanto, all’udienza del 19/10/2020 era dichiarato contumace.

La controversia veniva istruita mediante l’acquisizione della documentazione allegata all’atto introduttivo, nonché con prova orale, per interpello e testimoni.

All’udienza del 21/12/2020 il convenuto YYY ometteva senza giustificazione di comparire a rendere interrogatorio formale, nonostante la rituale notifica del verbale ammissivo del mezzo di prova.

Autorizzato il deposito di note scritte e disposta contestualmente con decreto, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, lettera b), n. 7), del D.L. 125/2020, la sostituzione della odierna udienza di discussione con lo scambio di note scritte, a cagione della emergenza sanitaria nazionale per il rischio di contagio da Covid-19, lette le note di discussione depositate dalla parte ricorrente, la controversia veniva assunta nella odierna camera di consiglio e decisa.

Così ricostruito l’iter procedimentale, il ricorso è solo in parte fondato, nei limiti di cui in prosieguo.

È, invero, certo che le domande di natura retributiva azionate dal lavoratore traggano fondamento dalla documentata sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, sussumibile nella nozione generale contenuta nell’art. 2094 c.c., con le mansioni, la durata e l’orario di lavoro dedotti in ricorso.

Posto che non sussistono dubbi in ordine all’effettività del rapporto di lavoro di natura subordinata, di riscontro documentale, secondo il principio generale stabilito dall’articolo 2697 del codice civile gravava sulla parte ricorrente, che ha agito in giudizio, l’onere di provare i fatti posti a fondamento della sua domanda ed, in particolare, nel caso di specie, l’espletamento dell’attività lavorativa per un orario di lavoro maggiore di quello già retribuito.

In particolare, dalla lettera di assunzione del 17/10/2016 si apprende l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale ed indeterminato con decorrenza dal 18/10/2016, con orario part-time di 24 ore settimanali, dal venerdì al mercoledì, dalle 10:00 alle 14:00 (documento n. 4).

Tale rapporto di lavoro risulta interrotto per dimissioni rassegnate dal lavoratore per giusta causa con decorrenza dal 12/7/2017, a motivo di: “mancata corresponsione delle buste paga, mancate retribuzione di due stipendi, 13ª e 14ª”, trasmessa dal patronato in data 11/7/2017 (documento n. 3).

Sono in atti, infine, le buste paga rilasciate dal datore di lavoro per le mensilità di ottobre 2016, gennaio, febbraio e marzo 2017, dalle quali si evince la data di assunzione, l’inquadramento al 6° del CCNL del settore Turismo Pubblici Esercizi, conforme alla lettera di assunzione, e la retribuzione secondo l’orario di lavoro part-time al 60%.

A fronte di tali risultanze documentali, l’odierno ricorrente ha dedotto di avere, tuttavia, reso la prestazione lavorativa con orario ogni lunedì, martedì, giovedì, venerdì e sabato dalle 10:00 alle 16:00 e dalle 18:00 all’1:00, per un totale di 65 ore settimanali.

Le deduzioni contenute nell’atto introduttivo sono state per larga parte confermate dai testimoni ascoltati, *** e ***.

Il primo, cognato del ricorrente ed anch’egli dipendente del convenuto quale aiutocuoco e lavapiatti, presso ***, negli anni dal 2013 al 2019, ha riferito: “lavoravo dalle 10 alle 16 e poi ancora dalle 18 alle 24 per

6 giorni alla settimana, essendo di riposo tutti i giovedi. (…) Il ricorrente ha lavorato presso il ristorante ‘***’ dal 18.10.2016 al 12.7.2017, lavorava con me. L’ho portato io. Era lavapiatti e aiutocuoco come me, lavoravamo insieme ma lui era di riposo il martedi. Faceva il mio stesso orario di lavoro”.

Il teste ***, amico e connazionale del ricorrente, impiegato presso il negozio Money Transfer e internet point sito in, a 200 metri dal ristorante “***”, ha riferito: “Lui veniva spesso nel mio negozio a fotocopiare i listini del ristorante, gli ordini dei clienti e altre cose. Credo che fosse il 2017-2018. Non lo ricordo bene. Veniva vestito con gli abiti da lavoro del ristorante” e, pur non essendo mai entrato nel ristorante, ha dichiarato: “Sapevo che il ricorrente lavorava in cucina perché me lo diceva lui. Non so dire quanti giorni a settimana il ricorrente lavorasse, io lo vedevo ogni tanto. Credo che iniziasse a lavorare alle 10, lo vedevo passare perché io aprivo alle 8:30/9:00. Il negozio di Money Transfer era aperto orario continuato fino alle 21:30/22:00. Poi il ricorrente lo vedevo passare alle 16 che faceva pausa e alle 18 quando cominciava di nuovo. Io chiudevo alle 21:30/22:00 perciò non so dire a che ora lui terminasse il turno della sera”.

Combinando le dichiarazioni rese dai testimoni, si ha conferma che, differentemente da quanto pattuito, l’odierno ricorrente non limitasse la prestazione della propria attività lavorativa nel turno diurno, dalle 10:00 alle 14:00, bensì lavorasse anche nel turno serale, iniziando alle 18:00 e proseguendo fino a mezzanotte (teste ***).

Al quadro fattuale emergente dalle deposizioni testimoniali, già fortemente indiziario in ragione della convergenza delle dichiarazioni dei testi escussi, va aggiunto il mancato espletamento dell’interrogatorio formale, per l’ingiustificata assenza del convenuto YYY, cui è stato ritualmente notificato il verbale ammissivo del mezzo istruttorio.

La parte datoriale, di conseguenza, ha tenuto una condotta idonea a fornire un pieno ed univoco riscontro al quadro probatorio sopra ricostruito tramite le prove testimoniali offerte, secondo il disposto generale dell’art. 232 c.p.c., di guisa da comprovare definitivamente, con pieno ed esaustivo rigore, l’inserimento stabile e continuativo del ricorrente nell’organizzazione aziendale con l’orario di lavoro dedotto in ricorso, nei termini in cui confermato dai testimoni.

È provato, pertanto, che l’odierno ricorrente, svolgendo settimanalmente la prestazione lavorativa, come aiutocuoco, per cinque giorni alla settimana, dalle 10:00 alle 16:00 e, nuovamente, dalle 18:00 a mezzanotte, abbia reso la prestazione lavorativa per un totale di 60 ore settimanali, sicché per un orario di lavoro a tempo pieno, anche comprensivo di 20 ore di lavoro straordinario settimanali.

Allo stesso spetta, pertanto, la differenza, a titolo di retribuzione ordinaria, tra quanto effettivamente percepito, risultante dalle buste paga e dai conteggi allegati all’atto introduttivo, e quanto sarebbe spettato ad un lavoratore assunto con orario di lavoro a tempo pieno, per tutto il periodo dal 18/10/2016 al 6/6/2017, sicché l’importo, esattamente calcolato secondo le tabelle allegate al C.C.N.L. applicato al rapporto, di € 5.687,93.

A tale somma deve aggiungersi la retribuzione maggiorata per il lavoro straordinario settimanalmente prestato, nella misura di 20 ore settimanali, per tutto il periodo di lavoro, esattamente calcolata nei conteggi allegati all’atto introduttivo nell’importo di € 6.428,40.

Spettano, altresì, all’odierno ricorrente i ratei della 13ª e 14ª mensilità, detratto quanto già percepito al medesimo titolo, per gli importi, correttamente calcolati, rispettivamente, di € 735,09 e € 864,81, oltre che il TFR, calcolato ai sensi dell’articolo 2120 del codice civile, per l’importo di € 1.612,27.

Accertato l’inadempimento di parte datoriale, che ha mancato di regolarizzare la posizione lavorativa del proprio dipendente, nonché di corrispondergli la dovuta retribuzione, sussiste la giusta causa delle rassegnate dimissioni, sicché è altresì dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso che, a mente delle previsioni del C.C.N.L. di settore, in relazione all’anzianità ed al livello di inquadramento, corrisponde alla retribuzione dovuta per 15 giorni di lavoro, esattamente calcolata in ricorso nell’importo di € 648,61.

Di contro, non spetta all’odierno ricorrente la retribuzione del lavoro straordinario notturno asseritamente prestato, nella misura di cinque ore alla settimana, in quanto il teste *** ha dichiarato che l’attività lavorativa cessava a mezzanotte, mentre il teste *** non ha saputo riferire a che ora il ricorrente cessasse di lavorare.

A tale riguardo, non è sufficiente la sola mancata comparizione del convenuto a rendere interrogatorio formale.

Invero, è noto che l’assoluta irrilevanza anche sul piano indiziario delle deposizioni testimoniali rende priva di attitudine probatoria la mancata comparizione del convenuto a rendere l’interrogatorio formale, in quanto, a norma dell’art. 232 c.p.c., i fatti oggetto dell’interrogatorio non tenuto possono essere considerati accertati in via definitiva soltanto in ragione dell’intero quadro probatorio e la sottrazione al mezzo di prova può servire a comprovare un quadro indiziario, ma non costituire, da sola, prova piena dei fatti controversi in assenza di riscontri estrinseci.

Al riguardo, la Suprema Corte è ferma nel ritenere che “la mancata comparizione della parte all’interrogatorio formale costituisce un comportamento la cui valutazione, sul piano probatorio, è rimessa all’apprezzamento di fatto del giudice di merito, il quale, fermo l’obbligo di motivazione, può negare ad esso qualsiasi valore, qualora ritenga che i fatti dedotti non siano suffragati da alcun elemento di riscontro” (cfr. Cass., sez. III, n. 5240 del 10 marzo 2006).

Parimenti, non spettano al ricorrente le indennità sostitutive delle ferie, dei permessi e delle festività asseritamente non fruiti nel corso del rapporto.

In materia, è principio consolidato che “Il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l’onere di provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l’espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennità suddetta, risultando irrilevante la circostanza che il datore di lavoro abbia maggior facilità nel provare l’avvenuta fruizione delle ferie da parte del lavoratore. Infatti l’indennità sostitutiva si configura come emolumento di natura retributiva, essendo posta in relazione a lavoro prestato con violazione di norme a tutela del lavoratore e per il quale il lavoratore ha in ogni caso diritto alla retribuzione e, secondo i criteri generali, l’onere probatorio si ripartisce esclusivamente facendo riferimento alla posizione processuale, restando rispettivamente a carico di chi vuol far valere un diritto ovvero di chi ne contesti l’esistenza, la estinzione o la modifica” (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 12311 del 21/08/2003 e, in termini, Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 22751 del 03/12/2004, Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 26985 del 22/12/2009 e Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 8521 del 27/04/2015).

Incombeva, pertanto, sul lavoratore odierno ricorrente l’onere di dimostrare di avere reso la prestazione lavorativa, nel periodo, senza fruire di giornate di ferie e di ore di permesso, nonché di avere reso la prestazione lavorativa nei giorni di festività, senza godere del relativo riposo, circostanze, tuttavia, neppure oggetto di richiesta di prova.

Orbene, in generale, una volta accertata la sussistenza del rapporto e l’insorgenza di obbligazioni retributive, è il datore di lavoro ad essere tenuto a provare di avere corrisposto al proprio dipendente gli emolumenti retributivi richiesti, estinguendo così le relative obbligazioni, secondo il riparto dell’onere della prova in materia di lavoro codificato dalle previsioni generali di cui agli artt. 1218 e 2697 c.c..

Al riguardo, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che agisca per la risoluzione, che per l’esatto adempimento, che per il risarcimento del danno, l’attore si può limitare a provare la fonte dell’obbligazione ed allegare l’inadempimento, mentre grava sul convenuto dimostrare l’esatto adempimento, cioè il pagamento dell’importo dovuto, così estinguendo il diritto azionato, ovvero l’impossibilità sopravvenuta a sé non imputabile (cfr., sul riparto dell’onere probatorio, Cass., Sez. Un., 30.10.2001, n. 13533).

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite è divenuto pacifico nella successiva giurisprudenza di legittimità (Cfr. Cass., Sez. 3, n. 982 del 28.01.2002, Cass., Sez. 2, n. 13925 del 25.09.2002, Cass., Sez. 3, n. 18315 del 01.12.2003, Cass., Sez. 3, n. 6395 del 01.04.2004, Cass., Sez. 3, n. 8615 del 12.04.2006, Cass., Sez. 1, n. 13674 del 13.06.2006, Cass., Sez. 1, n. 1743 del 26.01.2007), con l’unica eccezione – non ricorrente nel presente giudizio – in cui la parte convenuta deduca a sua volta l’inadempimento della controparte, nello schema dell’eccezione disciplinata dall’art. 1460 c.c..

Avendo il datore di lavoro YYY scelto di non costituirsi nel presente giudizio, ha rinunciato alla possibilità di provare di avere corrisposto al lavoratore suo dipendente emolumenti retributivi maggiori di quelli riconosciuti in ricorso.

Conclusivamente, pertanto, sulla scorta dei conteggi allegati all’atto introduttivo – detratto quanto preteso a titolo di straordinario notturno, nonché la retribuzione per le giornate di festività asseritamente lavorate e le indennità sostitutive delle ferie e dei permessi asseritamente non goduti, risultati non dovuti – le differenze retributive spettanti al ricorrente a titolo di paga ordinaria, straordinario diurno, 13ª e 14ª mensilità, indennità sostitutiva del preavviso e TFR assommano all’importo complessivo di € 15.977,11.

Sono, invero, corretti e condivisibili, in quanto immuni da vizi logicomotivazionali, i conteggi predisposti dal lavoratore ed allegati all’atto introduttivo, salvo doversi detrarre le poste retributive risultate non dovute.

In particolare, i conteggi sono stati effettuati sul trattamento retributivo lordo previsto dalla fonte contrattuale, in linea con il costante insegnamento della Corte di legittimità, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, per cui “l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall’art. 19, legge 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell’art. 23, comma primo, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare – salva la prova di fatti a lui non imputabili – debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d’interferire” (cfr., per tutte, Cass. 11 luglio 2000, n. 9198, Cass. 15 luglio 2002, n. 10258 e Cass., n. 18584 del 7 luglio 2008, Cass. n. 19790 del 28 settembre 2011).

Nel percorso motivazionale della pronuncia del 7 luglio 2008, n. 18584, la Suprema Corte ha precisato che, in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde spettanti allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute previdenziali e fiscali prescritte, soluzione coerente in relazione all’autonomia del rapporto tributario e contributivo rispetto a quello di lavoro: la ritenuta d’acconto che il datore di lavoro effettua al momento del pagamento della retribuzione attiene al rapporto tributario per il quale quello di lavoro, ai fini della ritenuta d’acconto effettuata dal sostituto d’imposta, rileva solo quale momento di produzione del reddito.

Alla stregua dell’indirizzo ormai pacifico nella Corte regolatrice, la liquidazione delle differenze retributive va operata detratto dal lordo dovuto il netto percepito.

Conclusivamente, pertanto, il datore di lavoro YYY, nella sua qualità di titolare della ditta individuale ‘***’, con sede in, deve essere condannato a corrispondere al lavoratore ricorrente l’importo complessivo di € 15.977,11, di cui € 1.612,27 a titolo di TFR, per i titoli sopra meglio precisati, oltre interessi al tasso legale sul capitale via via rivalutato annualmente (cfr., per tutte, Cass., S.U., 29 gennaio 2001, n. 38), secondo la previsione generale dell’art. 429, comma 3, c.p.c., dalla scadenza delle rate di credito sino all’effettivo soddisfo.

Le spese di lite vanno liquidate come in dispositivo alla luce della regola generale sulla soccombenza, nonché delle vigenti tabelle allegate al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018, con riguardo allo scaglione di valore riconosciuto della causa, e debbono essere distratte in favore del suo procuratore, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

Lette le note di discussione scritta, definitivamente pronunciando, nella contumacia di YYY, condanna quest’ultimo, nella sua qualità di titolare della ditta individuale ‘***’, con sede in, a corrispondere al ricorrente, per i titoli di cui in parte motiva, l’importo complessivo di € 15.977,11, di cui € 1.612,27 a titolo di TFR, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, come per legge.

Rigetta, per il resto, il ricorso.

Condanna YYY, nella qualità sopra indicata, alla refusione alla parte ricorrente delle spese di lite, che liquida in complessivi € 2.500, oltre rimborso forfettario spese generali, i.v.a. e c.p.a., come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori antistatari.

Roma, 1 marzo 2021.

Il Giudice

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