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Interessi corrispettivi e quelli moratori

Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti non si possono fra loro cumulare.

Pubblicato il 30 December 2019 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale ordinario di Avezzano

In composizione monocratica in persona del giudice, dott.,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 650/2019 pubblicata il 27/12/2019

nella causa iscritta al ruolo generale degli affari contenziosi n dell’anno 2016, trattenuta in decisione all’udienza del 25 settembre 2019, e vertente

TRA

XXX (C.F.), YYY (), ZZZ (C.F.) e KKK(), rappresentati e difesi dall’avv. ed ivi elettivamente domiciliati presso il suo studio giusta procura in atti; opponenti e
JJJ S.p.A.(C.F.), rappresentata e difesa dall’avv. ed elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’avv. giusta procura in atti;

opposta

Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo.

Conclusioni: I procuratori delle parti hanno concluso come da verbale in atti

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.*** ha proposto tempestivamente opposizione al decreto n. /16 con cui gli è stato ingiunto, in favore di JJJ spa, il pagamento della somma di € 29.030,45 dovuta in forza del contratto di finanziamento n. del 24 agosto 2011.

L’opponente ha fondato la domanda su diversi motivi ed in particolare ha contestato l’idoneità della documentazione (segnatamente del certificato ex art 50 TUB) prodotta ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo nonché il superamento (dovendosi a tale riguardo considerare anche gli interessi di mora e le altre spese) del tasso soglia ai fini dell’usura tanto da rendere indispensabile una rideterminazione del rapporto dare/avere.

La banca si è costituita in giudizio deducendo l’infondatezza della domanda ed insistendo per il suo rigetto in quanto agli atti è stato prodotto anche il contratto e la tesi dell’usura è risultata smentita per tabulas.

Concessa la provvisoria esecuzione, nelle more si è verificato il decesso dell’opponente sicchè il giudizio è stato dapprima interrotto per essere successivamente riassunto dagli eredi del ***.

La causa è stata quindi istruita mediante l’acquisizione delle produzioni documentali e l’espletamento di una CTU econometrica.

Completata l’istruttoria, è stata fissata la precisazione delle conclusioni ed all’udienza del 25 settembre 2019, la causa è stata trattenuta in decisione con concessione del doppio termine di giorni quaranta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per memorie di replica.

2. In limine litis, si tratta di accertare le (possibili) conseguenze sulle sorti del giudizio che ci occupa della intercorsa, nelle more e segnatamente con atto del 12 settembre 2019, rinunzia all’eredità del defunto *** da parte degli opponenti YYY, ZZZ e KKK (figlie del de cuius).

Correttamente interpretando la posizione assunta dalla giurisprudenza (e per le ragioni di seguito indicate) tale rinunzia non è destinata riverberare alcuna conseguenza sulle sorti della lite e più nello specifico nella posizione degli eredi riguardo alla pretesa creditoria azionata dalla Banca JJJ spa nei confronti del padre.

E’ d’uopo osservare che il giudizio, interrotto a seguito del decesso dell’opponente originario, è stato riassunto dalla moglie e dai figli dello stesso.

Tale atto come esplicitato dalla stesa giurisprudenza citata dalla banca soddisfa gli estremi dell’accettazione tacita che ha reso quindi gli opponenti eredi con la conseguenza dell’inefficacia dell’atto di rinunzia.

In effetti, è stato stabilito che “Qualora si verifichi la morte della parte ed il processo venga riassunto da un soggetto che si qualifichi erede del “de cuius”, in qualità di figlio del medesimo, dimostrando la relazione familiare, pur senza specificare di quale tipo di successione si sia trattato e senza indicare in che modo sia avvenuta l’accettazione dell’eredità, l’atto di riassunzione, in quanto proveniente da un soggetto che si deve considerare certamente chiamato all’eredità quale che sia il tipo di successione, va considerato come atto di accettazione tacita dell’eredità e, quindi, idoneo a far considerare dimostrata la legittimazione alla riassunzione”. (cfr Cass Civ, Sez III, 1.7.2005 n. 14081).

La vicenda deve quindi essere delibata nel merito.

3. L’opposizione è infondata in diritto oltre che in fatto e di conseguenza deve essere rigettata per le ragioni di seguito illustrate.

I singoli motivi di opposizione devono essere vagliati partitamente ed a tale fine merita osservare quanto segue.

3.1. Il profilo di doglianza relativo all’idoneità del materiale documentale prodotto ai fini della prova della sussistenza della pretesa creditoria azionata in monitorio è infondato.

E’ sufficiente in proposito osservare che allegato al ricorso l’istituto di credito ha prodotto il contratto di finanziamento n. 1125176 del 24 agosto 2011 corredato dall’indicazione delle principali condizioni che di seguito possono essere così sintetizzate:

– a fronte di un importo erogato di € 31.507,00 (una cui parte, pari ad € 29.735,38 mediante accredito su un conto del beneficiario e la restante porzione, di € 1.507,00 per il pagamento di due polizze assicurative), il Tozzi assumeva l’obbligo di procedere alla restituzione del capitale e degli interessi mediante la corresponsione di 72 rate mensili dell’importo complessivo, secondo il piano di ammortamento alla francese (peraltro allegato al contratto e quindi anch’esso prodotto in atti), dell’importo complessivo di € 581,31;

– il tasso degli interessi corrispettivi veniva indicato nel 9,950%, mentre per quelli di mora era prevista una maggiorazione di due punti percentuali così da giungere all’aggio dell’11,950%;

– il TAEG era indicato nel 13,170%;

Dunque, balza chiaramente all’evidenza come l’onere probatorio, ferma la rilevanza dell’estratto conto ex art 50 TUB ai soli fini della concessione del decreto ingiuntivo, sia stato ampiamente assolto dall’istituto di credito con conseguente manifesta infondatezza del motivo.

3.2. A non diverse conclusioni, deve pervenirsi anche con riguardo all’altro profilo relativo il superamento del tasso soglia ai fini dell’usura.

Giova a tale riguardo evidenziare che la prospettazione degli opponenti trae origine dalle risultanze di una perizia econometrica di parte in cui, ai fini del superamento del tasso soglia, sono stati considerati sia gli interessi corrispettivi che moratori oltre a tutte le spese previste nel contratto.

Tali argomentazioni, però, non colgono nel segno e di conseguenza non possono essere condivise.

Anzitutto, la perizia di parte, ferma la sua limitata rilevanza probatoria, dopo essersi diffusamente soffermata sulle caratteristiche del contratto per cui è causa nonché sulla posizione della giurisprudenza sia in merito alla rilevanza ai fini dell’usura degli interessi moratori sia delle istruzioni della Banca d’Italia, senza alcuna indicazione dei criteri attraverso cui è pervenuto a tale risultato, ha dedotto il superamento del tasso soglia ed ha stimato l’importo da recuperare a credito del Tozzi in € 8.837,73.

Volendo scendere ancor più nel dettaglio, il perito (cfr pag. 18 della relazione) ha considerato nella verifica dell’usura tutte le spese applicate aggiungendo però che “Sono state considerate le spese iniziali (eventuali spese di istruttoria, di perizie, di polizze, ecc…) e le relative spese preventivate contrattualmente per ogni rata. Le prime ammontano ad un totale di euro 3.264,00, mentre le seconde sono nulle. Impiegando la formula sopra descritta si perviene ad un risultato pari al 15,210%. Il TAEG così determinato risulta inferiore al tasso soglia usura rilevato da Banca d’Italia per il periodo 01/07/2011 – 30/09/2011 per le operazioni classificate come CREDITI PERSONALI”.

Quindi per lo stesso consulente di parte il TAEG, laddove lo si volesse considerare come rilevante ai fini dell’usura, non supera il limite soglia.

Il tasso degli interessi corrispettivi e di mora (singolarmente considerato) risulta pacificamente inferiore al tasso usurario e tale conclusione è stata confermata anche all’esito della espletata CTU le cui risultanze, in quanto non adeguatamente contestate dagli opponenti, devono essere integralmente recepite e fatte proprie.

In ipotesi analoghe a quella che ci occupa, assumendo a riferimento la categoria di crediti personali (come confermato anche in sede di CTU- cfr pag. 4) il tasso soglia del 18,15% risulta chiaramente superiore a quello delle due categorie di interessi sicchè l’unica opzione che potrebbe consentire di ritenere fondata la prospettazione degli opponenti è quella della sommatoria che però non può essere condivisa.

Non comporta un diverso inquadramento dei fatti la circostanza che gli interessi moratori devono essere considerati ai fini dell’usura.

Di recente, in particolare, con la pronunzia n. 27442 del 30 ottobre 2018, la S.C., con un ampio percorso motivazionale, ha chiarito che “È nullo il patto con il quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della l. n. 108 del 1996, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali e calcolato senza maggiorazioni o incrementi”.

Ne discende, quindi, come debba preferirsi l’assunto (a cui la successiva giurisprudenza di merito) si è uniformata secondo cui “Il danno nel nostro ordinamento, anche quello da ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, ove la sua liquidazione è presunta e quantificata anticipatamente (art. 1224 c.c.), si articola nelle due voci di danno emergente e di lucro cessante (art. 1223 c.c.). Il danno emergente riconducibile alle spese derivanti dal mancato adempimento tempestivo sono dalla banca già pattuite e si concretizzano nelle spese di sollecito, in quelle di apertura della posizione in mora, di ricalcolo ecc.. Pertanto, il tasso pattuito contrattualmente a titolo di danno da ritardo è interamente riconducibile al lucro cessante e quindi rientra nel concetto di remunerazione a qualsiasi titolo (anche di danno). A tal riguardo deve chiarirsi che anche il tasso di mora deve rispettare la soglia usura” (cfr Trib. Milano, Sez VI, 28.6.2019 n. 6362).

Ai fini, però, della verifica del superamento del tasso soglia, ritiene questo giudice debba preferirsi l’opzione interpretativa, peraltro anche di recente ribadita in sede giurisprudenziale, per cui “In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori, pertanto, anche il tasso moratorio è soggetto ad un tasso soglia anti-usura. Da un punto di vista pratico, dunque, ai fini del verificarsi dell’usura, il tasso di mora dovrà essere raffrontato al tasso medio maggiorato di 2,1 punti percentuali e poi su questa base dovrà essere calcolato il “tasso soglia usura” per gli interessi di mora” (cfr Trib Roma, 27.9.2018 n. 18278).

Orbene, nel caso di specie, al tasso soglia per gli interessi di mora deve applicarsi la maggiorazione del 2,1 così da ottenere il valore del 12,045% sul quale dovrà a sua volta essere applicata l’ulteriore maggiorazione della metà (pari al 6,0825) sicchè per tali interessi la soglia usura del 18,0675% risulta inferiore al tasso applicato.

Neppure la già citata pronunzia n. 27442/2018 della Suprema Corte (peraltro richiamata anche dalla stessa attrice) può consentire un diverso inquadramento dei fatti atteso che nell’ampia motivazione, dopo aver dato contezza delle ragioni di ordine logico e sistematico rilevanti per l’inserimento degli interessi di mora nel calcolo dell’usura, si legge il seguente passaggio: “ il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia”.

Ritiene questo giudice, in linea con altri precedenti di questo stesso ufficio, che tale soluzione si discosti dai principi elaborati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 16303/2018 ed in particolare con la necessità di garantire l’omogeneità del raffronto.

Inoltre, alla base di tale opzione vi è la considerazione (su cui, ad onor del vero la pronunzia della S.C. del 2018 non prende posizione) che, pur essendo gli interessi di mora assoggettati al vaglio dell’usurarietà, è indispensabile operare una differenziazione tra le diverse categorie di modo che solo in tal modo si tiene in debito conto la loro obiettiva diversa funzione.

Non può in effetti sottacersi che gli interessi corrispettivi rappresentano la naturale e logica remunerazione del capitale dato a mutuo, mentre quelli moratori assumono una connotazione più marcatamente risarcitoria se non addirittura sanzionatoria, operando (in maniera eventuale) quando il rapporto entra nella fase patologica derivante dall’inadempimento del mutuatario.

Per tali ragioni, quindi, l’indicatore adottato dalla Banca d’Italia per verificare l’usurarietà degli interessi di mora è quindi quello dell’aumento del 2,1% rispetto al tasso soglia stabilito per gli interessi corrispettivi tant’è vero che è stato ulteriormente stabilito che .”Il principio di simmetria prevede che per la determinazione del TEG contrattuale deve avvenire secondo i medesimi criteri che presiedono alla determinazione del TEGM” (cfr Trib Ferrara, 23.1.2019).

Non vale, infine, sostenere la tesi della sommatoria tra le due categorie di interessi. La giurisprudenza oramai prevalente è concorde nello stabilire che “In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 l. n. 108/1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori. Tuttavia, il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, e dunque la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.” (cfr Trib Roma, Sez XVII, 17.6.2019).

Tale soluzione si fonda su una corretta lettura dei principi elaborati dalla Suprema Corte nella pronuncia del 2013 n. 350, da cui deve trarsi il fondato convincimento che, in sede di verifica dell’usura, deve escludersi possa procedersi a sommare l’interesse corrispettivo e l’interesse di mora, in quanto l’operazione è del tutto priva di fondamento logico, matematico e giuridico.

In particolare, proprio la citata pronunzia della Suprema Corte del 2013 ha stabilito chiaramente che in materia di usura bancaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori.

Si è in definitiva voluto intendere che nella determinazione del tasso usurario occorre far riferimento all’art 2 della L. 108/96 che dispone che il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del Testo Unico Bancario, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura.

Dunque, in questa prospettiva, è apparsa diffusa fra i primi commentatori della materia che la decisione in questione non abbia in definitiva risolto il problema interpretativo sull’esatta portata dell’art 1815 comma 2° cod civ. mancando di esplicitare i criteri da assumere a riferimento nel rapporto tra le diverse ipotesi di interessi.

A seguito di tale pronunzia del tema degli interessi moratori si è occupata anche la Banca d’Italia che nei chiarimenti del 3 luglio 2013 ha ad onor del vero adottato la soluzione che «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo» devono essere esclusi dal calcolo del TEGM.

A tale conclusione si è pervenuti attraverso una serie di argomentazioni tra cui, in particolare, anche il richiamo alla direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, che, dettando la disciplina comunitaria relativa ai contratti di credito ai consumatori, all’art. 19, par. 2, esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) qualsiasi penale da inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora.

Inoltre, l’esclusione degli interessi di mora dalle soglie dell’usura è sottolineata anche negli appositi Decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”.

All’interno di tale quadro si inseriscono, poi, due recentissime pronunzie della Suprema Corte (segnatamente trattasi delle ordinanze della Sezione IV nr. 5598/2017 e nr. 23192/2017) che avrebbero determinato un radicale mutamento di prospettiva in materia arrivando ad enunciare il principio della cumulabilità degli interessi corrispettivi e moratori ai fini dell’usura.

Provando a prendere posizione sulla questione oggetto di un intenso dibattito merita osservare quanto segue.

La parte motiva dell’ordinanza n. 23192/17 è, invero, costituita da una sola pagina, nella quale la Suprema Corte, dopo aver riportato il testo dell’art. 1815, comma 2, c.c., si è limitata a richiamare due precedenti tra cui la sentenza nr. 2354 del 2003 e l’ordinanza n.. 5598/2017) specificando che “Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perchè non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (la fattispecie sottoposta al vaglio riguardava l’ammissione al passivo).

Risulta indubbio che le due pronunzie del 2017 non hanno preso alcuna posizione sulle ampie argomentazioni sviluppate dalla giurisprudenza di merito e poste a fondamento della tesi della non cumulabilità degli interessi corrispettivi e moratori.

Inoltre, alla base delle suddette decisioni vi è l’assunto che non possa escludersi il superamento del tasso soglia solo perché non vi sarebbe un’adeguata motivazione (e tale sembra la censura che costituisce il fulcro delle due ordinanze avendo in effetti richiamato la violazione dell’art 360 comma 1° n. 5) cpc) sulle ragioni del mancato superamento del tasso soglia.

Ad ogni buon conto, sulla questione è d’uopo considerare la posizione di recente assunta dalla stessa giurisprudenza di legittimità che, dando in tal modo seguito ai pronunciamenti della prevalente giurisprudenza di merito, ed escludendo espressamente che la Cass. n. 350/2013 abbia avallato la sommatoria degli interessi corrispettivi e moratori, ha definitivamente chiarito che «gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, vanno qualificati ipso iure come usurari, ma in prospettiva del confronto con il tasso soglia antiusura non è corretto sommare interessi corrispettivi ed interessi moratori. Alla base di tale conclusione vi è la constatazione che i due tassi sono alternativi tra loro: se il debitore è in termini deve corrispondere gli interessi corrispettivi, %quando è in ritardo qualificato dalla mora, al posto degli interessi corrispettivi deve pagare quelli moratori; di qui la conclusione che i tassi non si possano sommare semplicemente perché si riferiscono a basi di calcolo diverse: il tasso corrispettivo si calcola sul capitale residuo, il tasso di mora si calcola sulla rata scaduta; ciò vale anche là dove sia stato predisposto, come in questo caso, un piano di ammortamento, a mente del quale la formazione delle varie rate, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalità dell’adempimento dell’obbligazioni gravante sulla società utilizzatrice di restituire la somma capitale aumentata degli interessi; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione del costo complessivo del bene e la corresponsione degli interessi; trattandosi di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni» (cfr Cass Civ Sez I, 10.7.2019 n. 17447).

Su tale linea interpretativa si è collocata un’altra decisione della S.C. secondo cui “Nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Essi, pertanto, non si possono fra loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale, è al valore complessivo risultante da tale somma, non ai soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati” (cfr Cass Civ, Sez III, 17.10.2019 n. 26286). . Alla luce delle considerazioni sin qui svolte anche tale motivo di opposizione deve essere rigettato.

3.3. Non colgono nel segno neppure le argomentazioni delle parti opponenti in ordine all’usura soggettiva.

La CTU ha in effetti rilevato unicamente “la non trasparente indicazione da parte dell’Istituto di credito del tasso d’interesse effettivo (TAE pari a 10,31 per cento) praticato per il finanziamento in esame” (cfr pag 19) nonché un TAEG del 12,92% superiore rispetto al TEGM (cfr pag 23) e quindi un’ipotesi di usura soggettiva.

Sul versante dell’usura soggettiva, va condivisa la posizione della giurisprudenza secondo cui “Se è vero che l’onere della prova per l’integrazione della c.d. “usura oggettiva” si risolve, nella sostanza, in un calcolo meramente matematico, non altrettanto può affermarsi con riferimento alla la c.d. “usura soggettiva”, i cui presupposti, se non costituiscono una “probatio diabolica”, non sono certo di pronta e/o facile soluzione; infatti lo stato soggettivo di approfittamento non può essere desunto, sic et simpliciter, dalla mera allegazione di una situazione di difficoltà economica del cliente e/o dalla misura elevata del tasso di interesse effettivamente praticatogli rispondendo, tra l’altro, alle più elementari regole di mercato che i tassi di interesse applicati dagli intermediari finanziari oscillino in rapporto inversamente proporzionale rispetto alla solidità economica del cliente, essendo legati al rischio imprenditoriale del mutuante di non riuscire a recuperare, in toto o anche solo in parte, quanto erogatogli” (cfr Trib Monza, Sez I, 2.5.2019 n.1004).

La sola circostanza, quand’anche non contestata, della concessione dei mutuo per il ripianamento di un’esposizione debitoria, trattandosi di operazione in cui non è lecito scorgere profili di nullità, non può costituire un argomento decisivo a supporto delle ragioni delle parti opponenti.

Deve condividersi, pertanto, l’assunto che “Nel caso in cui il mutuo sia stipulato per ripianare pregresse passività, tale finalità non può considerarsi ex se sufficiente a rendere nulla o illegittima la causa del contratto di finanziamento. Il mutuo utilizzato dalla banca per ripianare l’esposizione debitoria ha causa lecita” (cfr Trib Venezia, 13.3.2109).

Le principali ragioni poste alla base di tale opzione ermeneutica devono cogliersi nel fatto che mediante la sottoscrizione del mutuo viene portata a compimento un’operazione di ristrutturazione del debito e pertanto la causa di finanziamento dell’erogazione, rinvenibile nella dilazione del pagamento, appare meritevole di tutela ai sensi e per gli effetti di cui all’art 1322 cc..

A diverse conclusioni, invero, potrebbe pervenirsi ma soltanto nell’ipotesi in cui fosse offerta la prova della nullità del rapporto sottostante oppure fosse inesistente o illegittimo il presupposto su cui si fonda.

Orbene, a difettare nel caso che ci occupa è proprio tale circostanza avendo gli stessi opponenti dedotto in sede di memorie di replica che il de cuius è “stato indotto a sottoscrivere il contratto di finanziamento per cui è causa a copertura di alcune rate maturate e non pagate relative al mutuo fondiario contratto dalla Immobiliare 3 T srl, società di cui il sig. *** deteneva la maggioranza delle quote con la Banca dell’Adriatico ed, infatti, come risulta dalla contabile versata in atti le somme di cui al contratto di finanziamento sono state versate su c/c aperto presso la medesima Banca dell’Adriatico, banca che peraltro, aveva proposto al sig. *** il finanziamento per cui è causa come risulta dal contratto (doc. 3 fascicolo controparte). Come rappresentato in sede di comparsa conclusionale l’opposta non ha mai contestato tale circostanza e, quindi, ex art. 115 c.p.c., la stessa è da ritenersi provata” (cfr pag. 2 dell’atto).

A voler tutto concedere, l’ammissione (che esonera dalla prova) riguarda il fatto della sottoscrizione per il ripianamento dell’esposizione debitoria di Immobiliare 3T srl senza però alcuna allegazione e conseguentemente alcuna prova relativa alla sussistenza di profili di nullità del mutuo fondiario contratto dalla suddetta società.

Anche quindi tale profilo di opposizione deve essere rigettato.

3.4.Nella prima memoria ex art 183 cpc infine quale (di fatto) ulteriore motivo di opposizione è stato introdotto il fatto che la clausola sugli interessi moratori non poteva ritenersi approvata specificatamente per iscritto con conseguente violazione della disciplina consumeristica.

Per tabulas, in primo luogo, risulta la specifica approvazione per iscritto dell’art. 5 relativo agli interessi di mora.

Allo stesso tempo è da escludere anche una possibile violazione della disciplina consumeristica.

Gli opponenti non hanno neppure operato un generico richiamo agli articoli 33 e 34 del codice del consumo che prevedono un’elencazione tassativa di ipotesi di clausole presuntivamente vessatorie.

Tuttavia, la giurisprudenza (tra tutte, Trib Cremona, 24.10.2013) ha chiarito che gli interessi di mora rientrano all’interno della previsione della clausole vessatorie e segnatamente dell’art. 33 lettera f) codice del consumo.

Si tratta, allora, trattandosi di una nullità di protezione (non soggetta al regime delle preclusioni) di stabilire in primo luogo l’incidenza di tale questione sulle sorti del contratto e di verificare la possibilità per il giudice di procedere alla riduzione della penale in quanto eccessivamente onerosa.

Costituisce principio di portata generale che le clausole vessatorie non travolgono la validità del contratto, bensì comportano una nullità relativa ovvero circoscritta alla sola clausola.

Sull’altro versante del potere del giudice di accertare la nullità e di procedere alla riduzione va considerato quanto segue.

Dopo un primo momento in cui era esclusa la possibilità per il giudice di ridurre in via officiosa la penale, la giurisprudenza ha ammesso che il potere di riduzione ad equità, in quanto attribuito al giudice a tutela di un interesse generale dell’ordinamento, possa esercitato d’ufficio subordinatamente però all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova incombente sulla parte circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale che dovrebbe perciò rilevare ex actis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo (cfr Cass Civ, 23273/2010).

Nel caso in esame, tuttavia, in difetto di allegazione alcuna in proposito, deve considerarsi preclusa l’applicazione officiosa dell’istituto da ultimo richiamato, con conseguente rigetto del motivo posto a fondamento dell’opposizione.

L’art. 33 alla lettera f) prevede la presunzione di vessatorietà della clausola che “impone al consumatore in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente manifestamente eccessivo”.

Risulta, altrettanto indubbio che tale presunzione non può ritenersi superata dalla specifica sottoscrizione per iscritto della clausola in quanto aderendo alla posizione enunciata dalla normativa (cfr direttiva 93/13) e dalla giurisprudenza comunitaria occorre garantire l’equilibrio tra le parti contrattuali tanto da consentire al giudice, pur trattandosi di nullità di protezione, un rilievo officioso.

Ne deriva che, ai fini della dichiarazione di nullità della clausola è indispensabile pur sempre la verifica di circostanze idonee a giustificare l’esistenza di uno squilibrio delle posizioni delle parti.

Nella fattispecie, però, anche una tale delibazione deve essere negativa in quanto il tasso applicato è risultato inferiore a quello soglia né sono stati indicati ulteriori parametri da cui desumere la vessatorietà della clausola degli interessi di mora.

4. In ultimo, le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come di seguito indicato.

Considerato che, alla luce delle nuove disposizioni in materia ( art 4 D.M. nr 55 del 10 marzo 2014 e successive modifiche), il compenso del professionista è determinato con riferimento ai seguenti parametri generali:

a) valore e natura della pratica;

b) importanza, difficoltà, complessità della pratica;

c) condizioni di urgenza per l’espletamento dell’incarico;

d) risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente;

e) pregio dell’opera prestata;

Tenuto conto dell’opera prestata e delle attività svolte dall’avvocato, si reputa congruo liquidare in favore della parte opposta € 4.000,00 per compensi professionali attenendosi ai valori medi di liquidazione di cui alla Tabella A del DM 55del 10 marzo 2014 e successive modifiche (valore della controversia da € 26.000,01 ad € 52.000,00 così determinato ai sensi dell’art. 5 del predetto decreto con applicazione dei valori medi ridotti nel limite del 50%) oltre al 15%, calcolato su detto importo, dovuto per spese forfetarie così come espressamente previsto dal citato decreto.

Le spese di CTU vanno definitivamente poste a carico degli opponenti in solido fra di loro.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva come per legge.

PQM

Il Tribunale di Avezzano nella causa iscritta al n /2016 RG affari contenziosi, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

a) rigetta, per le causali di cui in motivazione, l’opposizione;

b) condanna gli opponenti in solido fra di loro alla rifusione in favore della controparte delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali oltre al 15%, calcolato su detto importo, dovuto per spese forfetarie, IVA e CP dovuti come per legge;

c) pone le spese di CTU definitivamente a carico degli opponenti in solido fra di loro.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva come per legge

Così deciso in Avezzano nella camera di consiglio del 10 dicembre 2019

IL GIUDICE

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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