Appello sentenza
Tribunale Lecce n. 2366 del 6.07.2023
Oggetto: risarcimento del danno da ritardata assunzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI LECCE
Sezione Lavoro Riunita in Camera di Consiglio e composta dai Magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME relatore ha pronunciato la presente
S E N T E N Z A N._105_2025_- N._R.G._00000585_2023 DEL_08_04_2025 PUBBLICATA_IL_08_04_2025
nella causa civile in materia di lavoro, in grado di appello, tra , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME FATTO Con ricorso depositato il 28.10.2021 esponeva che:
si era collocato, quale idoneo non vincitore, al 50° posto della graduatoria approvata con delibera del Direttore Generale n. 12/99 (poi rettificata con atto n. 7617 del 13.12.1999) all’esito di un concorso bandito dalla per la copertura di 12 posti di assistente amministrativo (cat. C);
con delibera n. 1173 del 29.05.2009 la aveva disposto l’assunzione di 16 assistenti amministrativi, in parte attingendo dalla graduatoria più risalente in cui era inserito il ricorrente (approvata con la cit. delibera D.G. n. 12/99), in parte da altra graduatoria più recente (approvata con delibera D.G. n. 3072/05);
essendo rimasto escluso dall’assunzione a causa della scelta di attingere da entrambe le graduatorie, aveva proposto ricorso dapprima innanzi al TAR e quindi, all’esito del giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione, innanzi al Tribunale;
tale giudizio si era concluso con sentenza della Corte di Appello di Lecce n. Parte essere assunto in virtù della graduatoria approvata con la delibera n.12/99;
in data 03.02.2014, in esecuzione della predetta sentenza, la aveva quindi disposto la sua assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Tanto premesso, il ricorrente -precisato che era fallito il tentativo di conciliazione promosso in sede stragiudiziale per mancata presentazione della alla riunione indetta innanzi all’ chiedeva la condanna della al risarcimento del danno subito per effetto della ritardata assunzione, quantificato in € 91.629,61 a titolo di retribuzioni non percepite dal 01.08.2009 al 03.02.2014, in € 15.000,00 a titolo di risarcimento del danno biologico e in € 15.000,00 a titolo di risarcimento del danno alla vita di relazione. Si costitutiva in giudizio la contestando gli avversi assunti ed evidenziando che il ricorrente, nel periodo compreso dall’1.08.2009 al 3.2.2014, aveva ricoperto numerosi incarichi politici e percepito redditi di varia natura (nell’anno 2010 reddito complessivo di € 35.416,00;
nell’anno 2011 reddito complessivo di € 34.612,00;
nell’anno 2012 reddito complessivo di € 40.714,00;
nell’anno 2013 reddito complessivo di € 16.937,00, per come documentato nelle dichiarazioni reddituali prodotte in atti dallo stesso ricorrente).
Concludeva per il rigetto del ricorso.
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea, condannando la al risarcimento del danno patrimoniale subito dal ricorrente a causa della ritardata assunzione, quantificato in una somma pari al 50% delle retribuzioni nette che egli avrebbe percepito dal 01.08.2009 al 03.02.2014, oltre accessori, oltre al pagamento della metà delle spese processuali.
In particolare, ritenuto non più controvertibile il diritto all’assunzione in capo al ricorrente in forza del giudicato contenuto nella sentenza della Corte di Appello di Lecce n. 2476/13 (che aveva riconosciuto in via definitiva il diritto del ricorrente a essere assunto in virtù del proprio inserimento nella graduatoria del 1999), il Tribunale, sosteneva che il danno patrimoniale da ritardata assunzione non potesse essere commisurato all’intera retribuzione che sarebbe spettata in ipotesi di assunzione tempestiva, ma andasse determinato tenendo conto della condizione personale del ricorrente, che era sì rimasto privo di retribuzione per effetto della condotta della amministrazione, ma, nello stesso periodo, aveva rivestito diversi incarichi di natura politica, percependo compensi non trascurabili. Quantificava perciò il danno, in via equitativa, nel 50% del trattamento economico contrattuale di base netto che il ricorrente avrebbe percepito nel periodo decorrente dall’1.08.2009 (data in cui avvennero le assunzioni in virtù della delibera n. 1173/2009) al 3.02.2014 (data di immissione in servizio).
Riteneva, inoltre, che da tali somme non dovessero detrarsi le indennità erogate al ricorrente (dal Comune di Lecce, quale Presidente di Circoscrizione, dalla Provincia di Parte , trattandosi di compensi percepiti per incarichi di natura politica che egli aveva continuato a svolgere, previa autorizzazione, anche nella vigenza del rapporto di impiego con la Respingeva, infine, la domanda volta al risarcimento del danno alla vita di relazione, in mancanza di idonee allegazioni e considerato che negli anni in contestazione il ricorrente aveva svolto incarichi presso numerosi Enti Pubblici, che, per comune esperienza, presupponevano l’impiego di abilità relazionali. Respingeva anche la domanda volta al risarcimento del danno biologico, in quanto dalla documentazione medica prodotta non si evinceva il nesso di causalità tra la mancata assunzione e le patologie lamentate, né venivano documentati postumi invalidanti di carattere permanente.
Avverso tale decisione ha proposto appello , censurandola per i motivi che di seguito si sintetizzano:
1) il Tribunale aveva errato nel quantificare il danno patrimoniale nella misura del 50% delle retribuzioni, senza tenere conto del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il solo fatto di mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative avrebbe comportato, per il lavoratore, il diritto al risarcimento del danno in misura uguale alle retribuzioni non percepite;
2) il Tribunale aveva omesso di spiegare per quale motivo non aveva tenuto conto del precedente della Corte di Appello di Lecce (sentenza n. 1228 del 22.11.2021) in cui il risarcimento del danno da ritardata assunzione era stato quantificato in misura pari all’80% della retribuzione.
Inoltre, nella sentenza impugnata erano state riportate le richieste attoree -pari a € 91.629,61 per il danno patrimoniale- senza specificare che le somme erano state individuate dal ricorrente al lordo delle ritenute di legge, con l’effetto che la decurtando gli oneri aggiuntivi, avrebbe potuto liquidare, in esecuzione della sentenza, anche un importo inferiore a € 45.000,00, somma che era stata proposta dal giudice di primo grado in via transattiva;
3) il Tribunale aveva errato nel ritenere carente di prova la domanda volta al risarcimento del danno alla vita di relazione -che il ricorrente aveva chiesto di provare a mezzo di testimoni– e del danno alla salute, emergente dalla documentazione sanitaria in atti;
4) il Tribunale aveva errato nel compensare parzialmente le spese di lite che, in ragione dell’accoglimento dell’appello, sarebbero dovute essere liquidate per intero.
Ha chiesto, previa ammissione della prova testimoniale, la riforma della sentenza appellata, con condanna della al pagamento della somma di € 91.629,61, eventualmente ridotta di 1/5, per risarcimento del danno patrimoniale, oltre alle somme già richieste nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado a titolo di risarcimento per danno alla vita di relazione e per danno biologico.
Si è costituita la che ha contestato gli avversi assunti, reiterando le difese svolte nel giudizio di primo grado.
Ha precisato di aver dato esecuzione alla sentenza impugnata, liquidando la somma di € 40.822,78 con il cedolino stipendiale di novembre 2023.
Ha concluso per il rigetto dell’appello.
Parte Parte DELLA DECISIONE L’appello è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo al primo e al secondo motivo di appello -che, stante la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente- si osserva quanto segue.
Giova richiamare i principi espressi in materia di risarcimento dei danni derivanti da ritardata assunzione dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui l’allegazione del danno ingiusto da parte dell’attore non può consistere nella mera richiesta di accertamento dell’ammontare delle retribuzioni e dei versamenti contributivi relativi al periodo di mancato impiego, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e rilevano sotto il profilo della responsabilità contrattuale, ma deve riguardare tutti i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all’assunzione tempestiva, quali le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall’ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative (Cass. n. 26282/2007). A seguito dell’illegittimo ritardo nell’assunzione, infatti, non si determina un diritto del lavoratore tardivamente assunto alle retribuzioni per il periodo antecedente all’assunzione in cui la prestazione lavorativa non è stata svolta, ma un diritto al risarcimento del danno, il quale, appunto, non si identifica automaticamente nella mancata erogazione della retribuzione, essendo necessaria l’allegazione e la prova dell’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non che trovino causa nella condotta del datore di lavoro, qualificata come illecita (Cass. n. 14772/2017). Più di recente (cfr. da ultimo Cass. n. 28380/2024), la Suprema Corte ha chiarito che il danno derivante dalla ritardata assunzione può essere parametrato sul mancato guadagno da perdita delle retribuzioni fin dal momento in cui si accerti che l’assunzione fosse dovuta -detratto l’aliunde perceptum- qualora risulti, anche in via presuntiva, che nel periodo di ritardo nell’assunzione l’interessato sia rimasto privo di occupazione o sia stato occupato, ma a condizioni deteriori (Cass. n. 16665/2020).
Tuttavia, la consolidata giurisprudenza ammnistrativa ha ulteriormente sostenuto che il danno per mancata o tardiva assunzione non può necessariamente e automaticamente comportare una vera e propria “restitutio in integrum”, che può rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale, occorrendo invece, caso per caso, individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro alla stregua dell’art. 1223 c.c.
Il lucro cessante da mancata assunzione non può corrispondere all’intero importo degli stipendi non percepiti, in quanto ciò si tradurrebbe in un vantaggio eccessivo per l’interessato, il quale del perfezionamento culturale e professionale per potere accedere ad altro impiego (cfr. tra le tante Consiglio di Stato n. 2806/2024).
Tanto premesso, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi di diritto e non merita censure sul punto.
Il Tribunale ha infatti ritenuto sussistente il danno patrimoniale derivante dalla ritardata assunzione e lo ha parametrato sul mancato guadagno da perdita delle retribuzioni, quantificandolo, tuttavia, equitativamente, in misura pari al 50% della retribuzione netta cui l’appellante avrebbe avuto diritto ove fosse stato assunto tempestivamente, in considerazione di tutte le circostanze del caso e, dunque, anche della condizione personale dello stesso che risultava aver svolto, nel periodo oggetto di causa, incarichi di varia natura per i quali aveva percepito compensi di importo non trascurabile (per come indicati in premessa). Le suddette valutazioni appaiono condivisibili anche in questa sede, ove si consideri che l’appellante -per come ammesso nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado- negli anni oggetto di giudizio ha ricoperto diversi incarichi presso il Comune di Lecce (quale Presidente di circoscrizione) e presso la Provincia di (quale membro del collegio dei revisori dei conti della provincia medesima e quale membro del collegio sindacale di RAGIONE_SOCIALE società interamente partecipata dalla Amministrazione provinciale di. Per l’intero periodo in cui si è protratta l’inerzia della dunque, l’appellante ha di fatto potuto utilizzare le proprie energie fisiche e intellettuali in altri ambiti professionali, libero di organizzare i tempi e i modi della propria attività senza la necessità di autorizzazione da parte di terzi e senza alcun condizionamento legato all’espletamento dell’attività di lavoro subordinato.
Inoltre, per ciascuno di detti incarichi egli ha percepito compensi e indennità adeguati, per come risultanti dalle dichiarazioni dei redditi allegati al fascicolo di primo grado.
Siffatte circostanze assumono rilevanza ai fini della quantificazione del danno lamentato nel presente giudizio -in cui viene in evidenza la lesione del diritto all’assunzione e non del diritto alla retribuzione, laddove solo nella seconda ipotesi la riparazione risarcitoria coincide con l’intero importo del trattamento retributivo (cfr. Cass. n. 16665/2020)- e giustificano la quantificazione del danno, in via equitativa nella misura del 50% delle retribuzioni nette che sarebbero spettate, secondo il meccanismo giuridico della compensatio lucri cum damno -in base al quale, nel valutare e liquidare l’ammontare del danno, deve aversi riguardo ai vantaggi, causalmente legati all’illecito, di cui ha goduto il danneggiato per detrarli dal complessivo ammontare del danno-, considerando gli effetti vantaggiosi/compensativi derivati dalla mancata assunzione per come sopra indicati. medesime.
Invero, in aggiunta a quanto già esposto, si rileva in proposito che anche la giurisprudenza citata da parte appellante a sostegno delle proprie argomentazioni (Cass. n. 16665/2020, n. 9193/2018, n. 31175/2017) riconosce che la liquidazione del danno non può che avvenire in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., con valutazione rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità salvo il caso di manifesta irrazionalità.
Si ribadisce, allora, che la liquidazione secondo il criterio equitativo può anche assumere come parametro l’importo della retribuzione mancata, ma non è necessariamente coincidente con l’intera retribuzione, dovendo il giudice tener conto, nella quantificazione, di tutti gli elementi rilevanti nel caso concreto.
In tale ottica, ai fini del risarcimento del danno patrimoniale da ritardata assunzione, l’ammontare del trattamento economico non goduto assume la mera funzione di una base di calcolo, ma non si identifica necessariamente con esso.
Allo stesso modo, devono essere disattese le doglianze di parte appellante quanto lamenta (nel secondo motivo) che il Tribunale si sia discostato dai parametri utilizzati in altra vicenda analoga da questa Corte (che aveva parametrato il risarcimento in misura pari all’80% delle retribuzioni spettanti), atteso che, per quanto già detto, la quantificazione del danno tiene conto di una valutazione equitativa che considera le circostanze del caso concreto, sicché non può invocarsi in tale materia un principio di parità di trattamento, stante la diversità delle situazioni individuali di volta in volta sottoposte all’attenzione del giudicante. In ultimo, devono essere pure disattese le doglianze riferite al parametro utilizzato dal Tribunale – ovvero le retribuzioni al netto delle ritenute di legge- e gli ulteriori argomenti svolti nel corso del presente giudizio, in cui parte appellante ha lamentato che le somme liquidate a titolo risarcitorio in esecuzione della sentenza impugnata e quantificate, secondo i parametri indicati, già al netto delle ritenute di legge erano state ingiustamente sottoposte, dalla a una ulteriore decurtazione tributaria, a causa dell’assoggettamento a tassazione separata. Sul punto vale riaffermare, ancora una volta, la adeguatezza del criterio equitativo cui si è fatto riferimento, che tiene conto del danno in concreto subito dell’appellante secondo le considerazioni sopra svolte, precisando che l’ammontare delle retribuzioni nette rappresenta solo un parametro per la individuazione delle somme riconoscibili a fini risarcitori.
Si ribadisce, invero, che nel presente giudizio non è in questione la mancata erogazione delle retribuzioni, ma il risarcimento del danno da ritardata assunzione, in cui le retribuzioni vengono in evidenza -nel loro effettivo ammontare netto- unicamente quale parametro sotteso alla liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. e alla quantificazione dell’ammontare del risarcimento.
il resto, esula dalla presente decisione ogni questione relativa al regime fiscale eventualmente applicabile alle somme liquidate a titolo risarcitorio, pur dovendosi dare atto, per completezza, che costituisce ius receptum che tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, a esclusione di quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e quindi, tutte le indennità aventi causa o che traggono origine dal rapporto di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente e come tali sono assoggettati a tassazione separata, restando esclusi solo quegli importi che il lavoratore percepisca a titolo di ristoro del danno emergente, diverso dalla mancata percezione dei redditi, e non anche tutti gli indennizzi, originati dal rapporto di lavoro, volti a ristorare un lucro cessante, quindi “concretatosi” nella mancata percezione dei redditi (cfr. tra le tante Cass. n. 6056/2023). *** Quanto al terzo motivo di appello -con cui parte appellante si duole del rigetto della domanda volta al risarcimento del danno alla vita di relazione e del danno alla salute- lo stesso appare infondato.
In particolare, quanto al danno alla vita di relazione, mancano specifiche allegazioni idonee a individuare il danno risarcibile, visto che parte appellante si è limitato ad articolare sul punto un capitolo di prova contenente valutazioni e privo di riferimenti specifici a fatti o eventi idonei ad attestare l’esistenza del preteso danno (“se vero che il ricorrente dal maggio 2009 sino al febbraio 2014 per effetto dello stato di depressione in cui versava ha fortemente ridotto le proprie relazioni sociali, raramente accettando inviti di amici per cene comuni, cinema, teatro, feste familiari”) e, dunque, inammissibile anche in questa sede. Per contro, deve ritenersi -per come correttamente rilevato dal Tribunale- che proprio la attività professionale e gli incarichi rivestiti dall’appellante presso gli Enti Pubblici suddetti, attestino -in mancanza di altri elementi contrari- la conservazione di normali capacità relazionali.
Allo stesso modo, manca prova di un danno biologico riferibile ai fatti oggetto di causa.
In particolare, deve evidenziarsi che mancano in atti certificazioni mediche coeve al periodo in contestazione, mentre lo stato di malattia (“sindrome ansioso-depressiva reattiva”) risulta attestato solo in certificati emessi in epoca successiva (v. certificato del 17.03.2015 e del 26.10.2021), che non recano alcuna indicazione idonea a ricondurre lo stato patologico alla vicenda che occupa.
D’altra parte, le carenze documentali sopra evidenziate non possono essere colmate attraverso una consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, ove solo si consideri che la consulenza tecnica non è mezzo istruttorio in senso proprio -avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze- e non può essere utilizzata al ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (cfr. tra le tante Cass. n. 15521/2019). *** In ultimo, quanto al quarto motivo di appello -con cui è stata censurata la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la compensazione parziale delle spese di lite- vale rilevare che in caso di accoglimento parziale della domanda articolata in più capi, la “soccombenza parziale”, che sussiste nella specie, è circostanza idonea a giustificare la compensazione parziale delle spese di lite, salva violazione degli estremi tariffari, che qui non è stata dedotta (cfr. tra le tante Cass. n. 8265/2025). Anche tale motivo deve essere disatteso.
Per tutto quanto detto, allora, l’appello deve essere rigettato e la sentenza impugnata deve essere confermata.
La complessità della questione dedotta in giudizio e l’incertezza determinata dalle diverse pronunce della giurisprudenza di merito integrano le eccezionali ragioni idonee a giustificare la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente grado.
La Corte d’Appello di Lecce-Sezione lavoro visto l’art. 437 c.p.c., definitivamente pronunciando sull’appello proposto con ricorso del 04/08/2023 nei confronti di , avverso la sentenza del 06/07/2023 n. 2366/2023 del Tribunale di Lecce così provvede:
Rigetta l’appello.
Dichiara compensate le spese di questo grado.
Ai sensi dell’art. 13 co.
1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto dal comma 1 bis del dell’art. 13, se dovuto.
Riserva il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni.
Così deciso in Lecce il 12/02/2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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