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Rimborso spese per autovettura

Rimborso spese per autovettura, dipendente che usi la propria autovettura per ragioni di servizio, rimborso commisurato.

Pubblicato il 29 April 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
SEZIONE LAVORO

composta dai signori magistrati:

riunita in camera di consiglio ha deliberato la seguente

SENTENZA n. 418/2023 pubblicata il 07/04/2023

nella causa civile iscritta al n. 415 del Ruolo generale contenzioso Lavoro dell’anno 2021 e vertente

tra

XXX (avv.);

appellante

e

YYY s.r.l. (avv.ti);

appellato

Oggetto: appello a sentenza del tribunale di Vibo Valentia. Rimborso spese per uso dell’autovettura personale per ragioni di servizio.

Conclusioni: come dai rispettivi atti di causa.

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso del 17.1.2018, XXX ha agito contro la YYY s.r.l., alle cui dipendenze svolge le mansioni di operatore ecologico addetto al diserbamento “presso il cantiere di Vibo Valentia”, per ottenere il rimborso delle spese che nella misura lorda di €.2.820,72 assume spettargli ai sensi dell’art. 37, lett. a), del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria[1], per essersi recato quotidianamente con la propria autovettura, nel periodo compreso tra il 18 gennaio e il 30 settembre 2017, dalla “sede di lavoro”, sita in Vibo Valentia, al “deposito dei mezzi aziendali”, sito nel comune di Maierato, ove ritira e poi riporta l’automezzo che la società datrice di lavoro gli affida per svolgere le sue mansioni.

2. Nella resistenza della società convenuta, il tribunale di Vibo Valentia ha rigettato la domanda perché ha ritenuto: a) che esuli dalla previsione contrattuale invocata dal ricorrente lo spostamento che egli compie per presentarsi quotidianamente “presso la sede contrattuale di lavoro, nella specie individuabile – come sostenuto dal ricorrente e peraltro comprovato dalla documentazione acclusa al fascicolo di parte resistente – in località Grande di Maierato”; b) che la sua “giornata lavorativa esordisce … in corrispondenza del deposito veicolare anzidetto, il cui raggiungimento a iniziativa del prestatore non può essere economicamente addebitato al datore di lavoro, poiché anteriore ed estraneo all’esordio dell’orario lavorativo”.

3. Il ricorrente appella la sentenza perché addebita al tribunale:

1) di aver erroneamente considerato che la sua sede di lavoro sia sita nel comune di Maierato, dovendosi essa invece collocare nel comune di Vibo Valentia ove la società convenuta è “aggiudicataria dell’appalto per il servizio di igiene urbana”, sicché egli si sposta da Vibo Valentia a Maierato “una volta iniziata la prestazione e, quindi, durante l’orario di lavoro”;

2) di aver ritenuto che oggetto della sua domanda sia il rimborso delle spese per raggiungere il posto di lavoro, mentre egli agisce per rivendicare il rimborso delle spese per l’uso della propria autovettura per ragioni di servizio, integrate dall’esigenza di spostarsi dal luogo di lavoro al deposito dei mezzi aziendali;

3) di aver collegato tali “ragioni di servizio” all’orario di lavoro, mentre esse ben possono “ricomprendere tutte le attività propedeutiche o connesse allo svolgimento della prestazione” in relazione alle quali il dipendente sopporta delle “spese vive” di cui l’art. 37 del CCNL gli garantisce il rimborso. Ha quindi chiesto l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

4. L’appellata ha chiesto il rigetto dell’appello perché infondato.

5. La Corte ha acquisito il contratto individuale di lavoro, prodotto in appello dal ricorrente, e, autorizzato il deposito di note e sentiti i difensori comparsi all’udienza di discussione ha deciso la causa come da separato dispositivo.

6. L’appello è fondato.

7. Ha ragione l’appellante a sostenere che il suo luogo di lavoro, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, non coincide con la sede aziendale, presso la quale è ricoverato l’automezzo di cui egli si avvale per espletare le sue mansioni, bensì è stato contrattualmente collocato dalle parti nel comune di Vibo Valentia[2].

La pattuizione contenuta nel contratto individuale di lavoro è esplicita, laddove esso prevede che: “il luogo di lavoro sarà il territorio di Vibo”.

8. L’acquisizione officiosa del contratto individuale di lavoro, che tale pattuizione contiene, si giustifica ai sensi dell’art. 437 c.p.c., in considerazione:

a) dell’allegazione, operata dal ricorrente già in primo grado, della circostanza oggetto di prova, ossia del fatto che la sua sede di lavoro era stata convenzionalmente collocata nel territorio di Vibo Valentia.

In questi termini, invero, egli aveva replicato alla deduzione della società convenuta secondo cui il suo “posto di lavoro” era quello “scelto dall’azienda a sede di appello giornaliero”, ai sensi dell’art. 17, c. 11, del CCNL di categoria. Contraddicendo tale difesa, il ricorrente, nella memoria autorizzata in vista dell’udienza di discussione, aveva replicato che il “luogo di svolgimento della prestazione lavorativa” era stato fissato “presso il comune di Vibo Valentia per come risulta espressamente dal contratto individuale del ricorrente”[3];

b) dell’indispensabilità del documento allo scopo di accertare l’esistenza del fatto costitutivo del diritto di credito azionato e di percorrere la pista probatoria offerta, per l’appunto, dal richiamo al contratto individuale di lavoro, siccome operato dal ricorrente e non contraddetto dalla società convenuta[4].

9. L’esplicita delimitazione territoriale[5], prevista nel contratto di lavoro, comporta che gli spostamenti giornalieri del lavoratore fuori dal “luogo di lavoro”, per recarsi nella sede aziendale ove deve presenziare all’appello giornaliero e ritirare lo strumento di lavoro, integrano, per il loro carattere temporaneo, missioni funzionali ad esigenze aziendali: ossia a consentire che l’automezzo aziendale raggiunga l’ambito territoriale dove deve essere utilizzato per le operazioni di diserbamento; ambito che, in base alla previsione contrattuale, per il ricorrente costituisce la sede di lavoro. Le spese necessarie per quegli spostamenti devono, pertanto, essere sopportate dal datore di lavoro.

10. Ciò in forza della disposizione collettiva che l’appellante invoca e che, per l’appunto, gli garantisce il rimborso delle spese che ha sostenuto, servendosi della propria autovettura, per spostarsi fuori dalla sede di lavoro e raggiungere il deposito aziendale dove la società appellata custodisce l’automezzo con cui egli è tenuto a svolgere la sua prestazione.

11. In senso contrario non convince l’argomentazione della società appellata che è volta a distinguere, sulla base dell’art. 17, c. 11, del CCNL applicabile6, il “luogo di lavoro” dal “posto di lavoro”: il primo concordato nel contratto individuale, il secondo rimesso fisico nel cui ambito deve svolgersi la prestazione di lavoro, può essere determinato dalle parti nel contratto individuale …”.

6 Che così recita: “Nei confronti del personale che, per ragioni tecniche connesse alla gestione del servizio, è tenuto a prestare lavoro in uno o più Comuni, il tempo impiegato a raggiungere dal posto di lavoro le diverse sedi in cui esplica la propria attività e il tempo impiegato per il rientro al posto di lavoro sono computati nell’orario di lavoro effettivo. Per posto di lavoro deve intendersi quello scelto dall’azienda a sede di appello giornaliero”.

all’unilaterale iniziativa datoriale al fine di delimitare “l’orario di lavoro effettivo”.

L’argomentazione non convince perché:

a) la disposizione collettiva presuppone che le parti non abbiano concordato il luogo di lavoro, ossia che il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa non sia stato individuato al momento dell’assunzione e fatto oggetto di pattuizione individuale, com’è invece avvenuto nella fattispecie in esame. Solo in tal caso, invero, si legittima l’individuazione unilaterale del luogo di lavoro da parte dell’imprenditore, che, altrimenti, integrerebbe una modifica dell’originaria pattuizione del luogo di lavoro e sarebbe perciò soggetta alla disciplina limitativa dei trasferimenti;

b) la medesima disposizione collettiva, comunque, condiziona la sua applicabilità all’esigenza che, giornalmente, il lavoratore si sposti per “raggiungere … le diverse sedi in cui esplica la propria attività”, giacché solo in quel caso occorre individuare, tra “le diverse sedi”, quella presso la quale inizia la sua giornata lavorativa. Ma nel caso di specie non ci sono “diverse sedi”, atteso che la sede ove il ricorrente è chiamato ad esplicare la sua attività è unica e coincide con il territorio del comune di Vibo Valentia.

12. Come non convincente è la tesi, ulteriormente proposta dall’appellante, secondo cui l’abrogazione, ad opera dell’invocato CCNL del 6\12\2016, della disposizione del precedente contratto collettivo (art.35, lett c) che espressamente prevedeva il rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per raggiungere la propria sede di lavoro avrebbe comportato l’esclusione del diritto all’invocato imborso.

La disposizione abrogata[6], infatti, disciplinava un’ipotesi speculare, ma del tutto opposta a quella che qui occupa ovvero l’ipotesi in cui la “sede abituale di lavoro” fosse diversa da quella contrattualmente pattuita.

Nel caso di specie, al contrario, la sede di lavoro coincide con quella indicata in contratto, Vibo Valentia, ma il lavoratore era costretto a recarsi quotidianamente nel territorio di altro comune, Maierato, per ritirare l’automezzo aziendale con cui svolgere il proprio lavoro.

13. L’uso della propria autovettura, da parte del dipendente, per spostarsi dal luogo di lavoro (sito a Vibo Valentia) al deposito aziendale (sito a Maierato) è pacifico tra le parti. Lo ammette la stessa società datrice di lavoro allorché, in appello, riconosce “pacifico” che “il tragitto” da Vibo Valentia a Maierato, per cui il ricorrente rivendica il rimborso, “viene effettuato con il mezzo personale del lavoratore”[7].

14. La società ha però negato di aver esplicitamente autorizzato il ricorrente ad utilizzare la propria autovettura.

Il rilievo non è ostativo perché:

1) il diuturno utilizzo che il ricorrente ne ha fatto, senza che la controparte datoriale glielo contestasse, dimostra che il ricorso alla propria autovettura per spostarsi dal luogo di lavoro al deposito aziendale, e viceversa, è stato tacitamente assentito dalla società appellata;

2) la prolungata prassi così instauratasi (in forza della quale il ricorrente, ogni giorno, è costretto a raggiungere Maierato per ritirare l’automezzo da condurre per le strade di Vibo Valentia) integra un chiaro indice presuntivo della richiesta rivolta dall’azienda al ricorrente di recarsi fuori dal pattuito luogo di lavoro per munirsi dello strumento con il quale deve eseguire la sua prestazione. Che ciò comporti l’uso della propria autovettura si inferisce dalla mancata allegazione, da parte dell’appellata, di soluzioni alternative concretamente praticabili dal ricorrente e compatibili con il suo orario di lavoro;

3) d’altronde, poiché lo spostamento per ragioni di servizio ricade nell’orario di lavoro, il cui esordio, nella fattispecie, coincide con la partenza del ricorrente da Vibo Valentia per Maierato, deve reputarsi che le sue modalità, per come concretamente praticate, siano conformi alle tacite direttive impartite dall’azienda che ha assentito all’uso dell’autovettura personale del ricorrente, non avendogli imposto l’uso di un mezzo di trasporto differente.

15. In ordine, infine, alla contestazione del quantum rivendicato dal ricorrente, se ne constata la genericità, perché la società appellata non censura specificamente i criteri di calcolo adoperati nel conteggio allegato al ricorso; non ne indica altri; non offre una differente quantificazione del rimborso che, in base ai parametri contrattuali, all’appellante spetta[8].

16. Ne consegue la riforma della sentenza impugnata e l’attribuzione all’appellante dell’importo che rivendica, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., dalle singole scadenze al soddisfo.

17. Le spese seguono la soccombenza e, distratte a favore del richiedente procuratore attoreo, si liquidano come da dispositivo in ragione del valore della causa, dei parametri previsti dal DM 55/2014 e s.m.i., e dell’assenza di istruttoria in primo grado.

P.Q.M.

la Corte, definitivamente decidendo sull’appello proposto da XXX avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia del 30\9\2020, in riforma della sentenza impugnata, così provvede:

1) condanna parte appellata al pagamento della somma di €.2.820,72, oltre interessi legali;

2) condanna parte appellata al pagamento delle spese di lite, che liquida in €.1.200,00, oltre accessori, per il primo grado ed in €.1.000,00, oltre accessori, per il presente grado, con distrazione.

Catanzaro, 14\3\2023.

Il Presidente ed estensore

[1] Secondo cui: “I rimborsi spese … sono i seguenti: a) rimborso spese per autovettura. Il dipendente, che previa autorizzazione dell’azienda ovvero aderendo alla richiesta di quest’ultima, usi la propria autovettura per ragioni di servizio ha diritto ad un rimborso commisurato alle tariffe ACI di indennità chilometrica …”.

[2] In dottrina: “Di norma, il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa è determinato contrattualmente (cfr. art. 1182, comma 1, cod. civ.) …”. E altro autore: “All’atto dell’assunzione, il luogo della prestazione lavorativa è precisato in contratto”. Concorde è l’indicazione di un terzo autore secondo cui: “la determinazione del luogo di lavoro, all’atto dell’assunzione … è precisata con un accordo …”.

[3] Cass. 11845/2018: “Nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello di verità, pertanto, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta ed il giudice può ammettere, anche d’ufficio, detti documenti ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purchè allegati nell’atto introduttivo, seppure implicitamente, e sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado”.

[4] Cass. 32265/2019: “Nel rito del lavoro, nel ricorrere dei presupposti di coerenza rispetto ai fatti allegati dalle parti e di indispensabilità al fine di percorrere una pista probatoria palesata dagli atti, i poteri-doveri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c. possono essere esercitati dal giudice in deroga non solo alle regole sulle prove dettate dal codice civile, ma anche alle norme sull’assunzione delle prove dettate per il rito ordinario …”. Cass. 18924/2012: “Nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio di primo grado. Ne consegue che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processale a carico della parte”.

[5] In dottrina: “… il luogo delimita … lo spazio fisico nel cui ambito deve svolgersi la prestazione”. È di altro autore la notazione secondo cui: “In base alle norme civilistiche, il luogo di adempimento, cioè lo spazio

[6] Il cui tenore letterale è il seguente: “Qualora la sede abituale di lavoro sia ubicata fuori dal Comune o di una sua frazione, in località non assistite giornalmente in modo regolare da un servizio di trasporto pubblico locale di persone, e l’azienda non provveda, direttamente o indirettamente, al trasporto del personale nella predetta sede di lavoro a inizio e fine turno, al dipendente interessato è corrisposto il rimborso delle spese, effettivamente sostenute, ai sensi della lettera a) del presente articolo”.

[7] Cfr. pag. 6 della memoria costitutiva in appello.

[8] Cfr. Cass. 18378/2009, in motivazione: “nel processo del lavoro l’onere di contestare specificamente i conteggi relativi al quantum – la cui inosservanza costituisce elemento valutabile dal giudice in sede di verifica del fondamento della domanda – opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato”. Cfr. altresì Cass. n. 85/2003 e n. 10115/2015.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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