R.G. 567/2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE seconda sezione civile in persona dei magistrati:
– NOME COGNOME Presidente – NOME COGNOME Consigliere – NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._802_2025_- N._R.G._00000567_2024 DEL_30_04_2025 PUBBLICATA_IL_30_04_2025
nella causa civile di II grado tra (C.F. , con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOMEC.F. ), con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME appellanti (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME e dell’avv. COGNOME NOME appellata C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. per «Voglia l’On.le Corte di Appello adita, anche in ossequio al dictum della ordinanza della Cassazione n. 35753/2023 del 21 dicembre 2023 ed in riforma della sentenza n. 2345 del Tribunale di Firenze, nel giudizio R.G. 3861/2011 resa pubblica in data 15/07/2014 così statuire: – accertare e dichiarare l’inadempimento contrattuale e delle regole imposte a tutela del risparmio da parte della Convenuta non di lieve entità per le motivazioni richiamate da ultimo in atto di riassunzione e per l’effetto condannare la medesima al risarcimento del danno cagionato di €. 24.957,49 oltre al risarcimento del danno da svalutazione monetaria in quanto risparmio investito ed interessi legali dalla data dell’investimento al dì del soddisfo come per legge al netto delle utilità accertate;
– con vittoria di spese competenze di causa in favore degli scriventi difensori antistatari per tutti i gradi del giudizio come da tariffa vigente e relative notule»;
per «precisa le conclusioni richiamando le eccezioni e domande rassegnate in comparsa di appello».
Rilevato hanno riassunto il giudizio a seguito dell’ordinanza n. 35753 del 2023 della Suprema Corte, che ha cassato con rinvio la sentenza n. 1602 del 2019 di questa Corte.
Come si ricava dalla ricostruzione della vicenda processuale operata dal giudice di legittimità, gli odierni attori in riassunzione citarono (ora in prosieguo ) innanzi al Tribunale di Firenze, esponendo di essere stati sollecitati da quest’ultima ad acquistare titoli in assenza di un’adeguata informativa sui rischi e in.
Chiesero, pertanto, di accertarsi e dichiararsi l’invalidità del contratto di negoziazione e del contratto di vendita dei titoli suddetti, per euro 26.383,25, e, per l’effetto, condannarsi la convenuta alla ripetizione della somma investita, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria.
In via subordinata, chiesero accertarsi e dichiararsi l’inadempimento contrattuale della convenuta per aver violato le regole imposte a tutela dei risparmiatori e, conseguentemente, condannarsi la al risarcimento del danno, quantificato nella somma addebitatagli di euro 26.383,25, oltre interessi e rivalutazione.
Costituitosi in giudizio, l’istituto di credito contestò le avverse pretese e formulò domanda riconvenzionale subordinata.
L’adito Tribunale, con la sentenza n. 2345 del 2014 respinse tutte le domande proposte dagli attori, compensando le spese di lite.
Questa Corte d’appello respinse il gravame con la sentenza n. 1602 del 2019.
Il ricorso per cassazione avverso tale pronuncia, affidato a tre mezzi d’impugnazione, è stato accolto limitatamente al terzo, con il quale gli odierni attori in riassunzione lamentavano che fossero stati disattesi i principi giurisprudenziali di legittimità in tema di obblighi d’informazione attiva con riguardo all’investimento in considerazione.
A seguito della cassazione con rinvio, il giudizio è stato riassunto dagli attori/appellanti.
Si è costituita in giudizio , protestando l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle domande spiegate con la citazione in riassunzione.
All’esito dell’udienza del 17 gennaio 2025 – sostituita ai sensi dell’art. 127-ter c.p.c. – la causa, sulle conclusioni di cui in esergo, è stata trattenuta alle parti i termini massimi di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
Considerato 1. Ai fini dell’odierno decidere giova premettere quanto affermato dalla Corte regolatrice con l’ordinanza che ha cassato la sentenza d’appello.
Al riguardo, è utile prendere le mosse dalle contestazioni dei ricorrenti raffrontate a quanto statuito dalla sentenza impugnata:
«Il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in ordine all’interpretazione ed applicazione dell’art. 23, comma 6, del TUF, dell’art. 21 del TUF, degli artt. 26 e 28 del Regolamento Consob n. 11522/98 in tema di informazione attiva e passiva.
Inadempimento degli obblighi di diligenza, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge”, ascrive alla corte territoriale di avere apertamente disatteso i princìpi sanciti dalla Suprema Corte in tema di interpretazione ed applicazione della normativa di settore.
In particolare, si assumono violati:
i) “l’art. 21 del TUF, e gli artt. 26 e 28 del Regolamento 11522/1998 (in tema adeguata informativa sull’operazione), non risultando provato che la abbia fornito informazioni in ordine alla natura del titolo, al mercato di negoziazione, solidità dell’emittente, rischi conseguenti (nonostante la fosse a conoscenza della esistenza dell’offering circular del collocatore del titolo) fatto riconosciuto dalla stessa corte fiorentina laddove riferendosi alla sentenza di primo grado, afferma che ‘La generica informazione fornita all’atto dell’ordine di acquisto e sottoscritta è stata ritenuta sufficiente in relazione al profilo dei clienti. Ciò appare altresì corretto’.
Invero, il Tribunale prima e la Corte poi, per assolvere dall’obbligo di fornire una corretta e adeguata informativa, hanno dato rilievo ad elementi (titoli preesistenti, l’impiego del decimo del patrimonio, l’acquisto coevo di titoli “Turkey”, di pari valore ed a rischio), senza neppure verificare se per tali titoli fosse stata data adeguata informativa.
Detti elementi , secondo la Procura, la Banca non avesse conoscenza dell’imminente default dell’emittente, non rileva come esimente dall’obbligo di informazione in capo alla Banca atteso che esso non si limita alla sola segnalazione del prossimo default dell’emittente”;
ii)
“ai sensi dell’art. 21 del TUF, e gli artt. 26, 28 e 29 del Regolamento Consob 11522/1998 (in tema di valutazione della adeguatezza dell’operazione), la Banca doveva valutare l’adeguatezza dell’operazione, il profilo di rischio degli investitori.
Qui ancora una volta la Corte di Appello di Firenze si discosta dai princìpi sanciti dalla Suprema Corte adita soffermandosi su elementi inconferenti come il patrimonio dei ricorrenti e l’acquisto di titoli Turchia”.
Si afferma, infine, che “Il parametro normativo, dunque, è stato violato con riferimento alle presunte generiche (ancorché non specificate) informazioni date in quanto:
l’obbligo informativo in capo alla banca non è limitato a generiche informazioni che, in quanto tali, sono inidonee a porre i clienti, in fase precontrattuale, a conoscenza delle reali caratteristiche degli investimenti;
il profilo soggettivo degli investitori non legittima la eliminazione dell’obbligo informativo”.
Questa doglianza si rivela fondata alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
Invero la corte distrettuale, nel disattendere il quarto ed il quinto motivo di gravame concernenti, rispettivamente, la pretesa omessa pronuncia in ordine alla mancata informativa sui rischi, essendosi il tribunale incentrato sulla presunta adeguatezza dell’operazione, e la ritenuta adeguatezza della operazione rispetto al profilo degli investitori, opinò che “Il Tribunale non ha dimenticato di pronunciare sulla censura relativa alla omessa informazione, ma l’ha tuttavia ritenuta eccezione non dirimente alla luce del livello di conoscenza degli investitori, ciò desumendo dalla tipologia delle operazioni fino ad allora effettuate. Il passaggio argomentativo è del tutto lecito, sostanziandosi nel grado di tutela necessario, ovviamente minore laddove la conoscenza tecnica dell’investitore è più elevata.
La generica informazione fornita all’atto dell’ordine di acquisto e sottoscritta è stata ritenuta sufficiente in relazione al preesistente e di cui l’operazione impugnata rappresentava un decimo del patrimonio.
Esso era assolutamente diversificato e, come si evince dal documento sulla consistenza di esso, la diversificazione era preesistente.
L’acquisto di ‘ è stato contestuale all’acquisto di ‘RAGIONE_SOCIALE’, per pari valore e anch’esse titolo a rischio.
Tutto quanto sopra esposto dimostra che i clienti erano investitori non occasionali adusi a scegliere con oculatezza i propri investimenti anche a fini di profitto correlato a rischio.
Né è impugnata la ratio sulla non conoscibilità della rischiosità del titolo, emergente dagli atti della indagine penale».
Appare evidente, dunque, che, così argomentando, la corte territoriale ha inteso avallare l’impostazione del tribunale secondo cui l’operazione di acquisto dei titoli di cui oggi si discute doveva considerarsi adeguata alla natura di investitori non occasionali attribuita agli odierni ricorrenti in ragione delle loro conoscenze desunte tipologia di operazioni fino ad allora effettuate, oltre che dal contestuale acquisto di titoli (‘Turkey’) considerati comunque ‘a rischio’».
Dopo aver indicato le censure mosse e le statuizioni da esse attinte, la Corte è passata a richiamare i principi giurisprudenziali che esse hanno violato:
«Questi assunti, tuttavia, si rivelano in contrasto con i princìpi già ripetutamente sanciti da questa Corte – e che il Collegio, condividendoli, intende riaffermare – secondo cui, in materia di contratti di intermediazione finanziaria:
i) “ l’onere probatorio a carico dell’intermediario di aver adempiuto agli obblighi informativi nei confronti del cliente sussiste indipendentemente dalla valutazione di adeguatezza dell’operazione;
la carenza di prova di avere dato adeguate informazioni, peraltro, determina una presunzione in ordine alla esistenza di un danno risarcibile a carico del cliente, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è, in ogni caso, fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento” (cfr. Cass. n. 7288 del 2023);
ii) “ l’inottemperanza dell’intermediario agli obblighi informativi cui è tenuto fa insorgere la presunzione di sussistenza del ’investitore, la cui prova contraria, a carico del primo, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio da parte dell’investitore, desunta anche da scelte rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli siano stati segnalati” (cfr. Cass. n. 12990 del 2023; Cass. n. 7932 del 2023; Cass. n. 17340 del 2008). In questa sede, pertanto, è possibile rinviare al contenuto delle motivazioni delle pronunce appena citate, giusta l’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., rimarcandosi, in sintesi, che, come pure ribadito anche da Cass. n. 35789 del 2022 e Cass. n. 19891 del 2022 (cfr. le rispettive motivazioni):
i) gli obblighi di comportamento sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522 del 1998, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è il caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); ii)
con particolare riferimento all’obbligo di informazione attiva, l’art. 28, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all’investitore “informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”;
iii) giusta l’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, grava sull’intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, pertanto, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento;
v) l’assolvimento dell’obbligo informazione specifica impone, quindi, all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell’emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente; vi) con particolare riferimento, poi, all’obbligo di informazione passiva previsto dall’art. 28, primo comma, lett. a), – consistente nella richiesta di notizie all’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (cd. profilatura) – esso è funzionale alla valutazione di adeguatezza delle singole operazioni che l’investitore porrà in essere;
infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la valutazione di adeguatezza di un’operazione da parte dell’intermediario – come tale inidonea a far sorgere l’obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto richiede necessariamente preventiva acquisizione delle informazioni concernenti situazione finanziaria dell’investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione di adeguatezza effettuata dall’intermediario;
vii) l’intermediario non a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al regolamento n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo.
A tanto deve aggiungersi che le già menzionate pronunce rese da Cass. n. 7932 del 2023 e da Cass. n. 12990 del 2023 hanno chiarito pure che, “in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità per danni subiti dall’investitore, va verificato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e prima ancora dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni;
l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito ‘con la specifica diligenza richiesta’ (Cass. n. 3773/2009)”».
Dopo aver affermato i principi giurisprudenziali in rilievo, la Corte di cassazione è passata a esaminare il contrasto della sentenza impugnata con gli stessi:
«Alla stregua dei riportati, e qui condivisi, princìpi, quindi, la decisione della corte fiorentina oggi impugnata, rivelandosi non coerente con gli stessi, risulta inficiata dai vizi ad essa ascritti dalla censura in esame.
La stessa, invero, ha ritenuto che l’operazione di acquisto dei titoli di cui oggi si discute dovesse considerarsi adeguata alla natura di investitori non occasionali attribuita dalla banca agli odierni ricorrenti esclusivamente in ragione delle loro contestuale acquisto di titoli (“Turkey”) considerati comunque “a rischio”.
Per questa ragione, quindi, ha confermato l’assunto del giudice di prime cure che non aveva attribuito valore dirimente alla pur denunciata omessa informazione da parte dell’intermediario.
Così procedendo, tuttavia, quella corte (come già il tribunale) ha sostanzialmente omesso di procedere all’accertamento, in concreto, dell’adempimento del descritto onere probatorio gravante sull’intermediario, altresì valorizzando una circostanza (“Né è impugnata la ratio sulla non conoscibilità della rischiosità del titolo, emergente dagli atti della indagine penale”.
Cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), assolutamente inidonea ad escludere l’inadempimento di cui si discute.
Invero, fronte dell’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario come allegato dagli appellanti, anche quanto all’adeguatezza dell’operazione de qua, sarebbe stato preciso onere dell’intermediario medesimo provare, innanzitutto, di avergli fornito puntuali indicazioni con riferimento alla inadeguatezza dell’operazione da essi lamentata in relazione al loro profilo, al fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole (cfr., in motivazione, Cass. n. 7932 del 2023), ricordandosi, peraltro, che, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie circa il prodotto offerto e/o acquistato dall’investitore, l’intermediario deve rendere edotto l’investitore, ad esempio, del rating, della eventuale offering circular e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato (cfr. Cass. n. 8619 del 2017), di eventuali situazioni di grey market (cfr. Cass. n. 8314 del 2017), e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario (cfr. Cass. n. 12544 del 2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376 del 2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (cfr. Cass. n. 8619/2017). Nulla di tutto questo, invece, è stato concretamente verificato dalla corte distrettuale, non potendosi certamente ritenere esaustiva, a tal fine, la mera circostanza, dalla stessa a scegliere con oculatezza i propri investimenti anche a fini di profitto correlato a rischio” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
In definitiva, tanto poteva valere a fornire alla banca intermediaria uno degli elementi di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione a compiersi, non già ad escluderne, sostanzialmente, tout court l’obbligo corrispondente, del quale doveva comunque dimostrare positivamente il concreto e puntuale adempimento (cfr., ex multis, Cass. n. 18702 del 2016;
Cass. n. 18039 del 2012) alla stregua di tutti gli elementi a sua conoscenza».
2.
Tanto doverosamente evidenziato, non può trovare accoglimento l’eccezione d’inammissibilità delle domande in ragione del fatto che gli odierni attori, nel giudizio di primo grado, si sarebbero limitati a lamentare una generica omissione informativa, in mancanza di specificazione delle indicazioni non fornite, e dunque non sufficientemente delineata e circostanziata, senza che l’allegazione ex novo di obblighi d’informazione in merito a natura e rischi del prodotto finanziario derivanti da rendimento dei titoli, mercato di negoziazione, esistenza di offering circular e situazione di grey market potesse ovviare all’originario difetto di specificità. Come poc’anzi evidenziato, l’ordinanza che ha cassato la precedente sentenza di questa Corte, dopo aver passato in rassegna i principi giurisprudenziali disattesi, ha affermato che «a fronte dell’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario come allegato dagli appellanti, anche quanto all’adeguatezza dell’operazione de qua, sarebbe stato preciso onere dell’intermediario medesimo provare, innanzitutto, di avergli fornito puntuali indicazioni con riferimento alla inadeguatezza dell’operazione da essi lamentata in relazione al loro profilo, al fine di consentirgli in proposito una scelta consapevole (cfr., in motivazione, Cass. n. 7932 del 2023), ricordandosi, peraltro, che, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie circa prodotto offerto e/o acquistato dall’investitore, l’intermediario deve rendere edotto l’investitore, ad esempio, del rating, della collocato (cfr. Cass. n. 8619 del 2017), di eventuali situazioni di grey market (cfr. Cass. n. 8314 del 2017), e, se del caso, finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario (cfr. Cass. n. 12544 del 2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376 del 2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (cfr. Cass. n. 8619/2017). Nulla di tutto questo, invece, è stato concretamente verificato dalla corte distrettuale».
Ritenere che domanda risarcitoria avanzata dagli attori riassunzione sia inammissibile per generica indicazione degli obblighi rimasti inossequiati significherebbe porre nel nulla i principi di diritto ritraibili dalla pronuncia della Suprema Corte e tenere in non cale gli accertamenti che ne sarebbero dovuti derivare;
essi, viceversa, evidentemente, postulano che l’allegazione dell’inadempimento ai doveri informativi sia sufficiente.
Si rammenta che «il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, e attenersi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se in ipotesi non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità della stessa» (Cass. 7091 del 2022, massima; analogamente, in precedenza, Cass. n. 20887 del 2018, Cass. n. 20981 del 2015 e Cass. n. 17353 del 2010, tutte in massima).
Ciò che dunque deve verificarsi è se e in che misura l’intermediaria abbia assolto agli obblighi informativi di cui era gravata.
Ritiene il Collegio che, nella fattispecie, la prova di tale adempimento sia L’appellata assume di avervi provveduto, richiamando i documenti da cui tanto si evincerebbe.
Tuttavia, anche ad ammettere che il «Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari» (doc.
1 fasc. ), sottoscritto da entrambi gli attori in riassunzione, sia stato consegnato prima dell’acquisto dei titoli , esso si riferisce ai rischi correlati agli investimenti finanziari in generale – peraltro, senza avere pretesa esaustiva ma solo basica – come emerge dalla stessa epigrafe:
Inoltre, esso non si riferisce affatto a natura, rischi e implicazioni proprie della singola e specifica operazione in considerazione – così come necessario alla stregua di quanto evidenziato dall’ordinanza di rinvio, alla luce della normativa passata in rassegna – al di là del fatto che alcuni dei rischi ivi genericamente menzionati si attagliassero e si siano poi concretizzati proprio con riferimento ai bond e all’acquisto che li ha riguardati.
Tantomeno possono valere a esimere l’intermediaria dalla responsabilità ascrittale le dichiarazioni presenti sul modulo relativo all’ordine d’acquisto (doc. 3 fasc. ), ove – in disparte l’indicazione del titolo , del suo rendimento e dell’importo investito, che descrivono solamente i termini dell’operazione – quanto alle informazioni in ordine ai rischi, si legge:
Tale dichiarazione è insufficiente a ritenere assolto l’obbligo informativo specifico, rammentandosi al riguardo le parole pronunciate dalla Corte regolatrice proprio a proposito dei bond , secondo cui «la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, con la completa valutazione del grado di rischio, non può essere qualificata come confessione stragiudiziale, essendo tal fine necessaria consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole per l’altra parte (…) tale dichiarazione è altresì inidonea ad assolvere agli obblighi informativi prescritti dagli artt. 21 TUF e 28 Reg. Consob n. 11522 del 1998, trattandosi di una dichiarazione riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (Cass. 11412 del 6.7.2012)» (Cass. n. 28175 del 2019, in motivazione), il cui concreto contenuto, nella fattispecie, non è dato conoscere. Né può utilmente evocarsi nel caso in esame la sentenza n. 318 del 2023 di questa Corte, la quale ha ritenuto assolti gli obblighi informativi gravanti sulla medesima intermediaria in ragione di un ben più ampio panorama probatorio – documentale, testimoniale (ritenuto essenziale e dirimente) e presuntivo – allora disponibile, che nella specie difetta.
Non può nemmeno ritenersi assolto l’onere di valutazione circa l’adeguatezza dell’operazione.
Giova rammentare che, secondo la Corte regolatrice, «in tema di intermediazione mobiliare, l’intermediario finanziario, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi, non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento nel caso in cui l’investitore nel contratto-quadro si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel qual caso l’intermediario deve comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato (Cass. 19 ottobre 2012, n. 18039)» (Cass. n. 5250 del 2016, in motivazione; analogamente, Cass. n. In virtù di tali principi, a fronte del rifiuto degli attori in riassunzione di rendere le informazioni sui propri obiettivi di investimento e situazione finanziaria (docc. 5 e 6 fasc. e 9 fasc. ), l’intermediaria avrebbe comunque dovuto effettuare una compiuta valutazione adeguatezza, senza limitarsi alla sola considerazione delle operazioni pregresse, aspetto che l’ordinanza di rinvio ha ritenuto insufficiente («In definitiva, tanto poteva valere a fornire alla banca intermediaria uno degli elementi di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione a compiersi, non già ad escluderne, sostanzialmente, tout court l’obbligo corrispondente, del quale doveva comunque dimostrare positivamente concreto puntuale adempimento (cfr., ex multis, Cass. n. 18702 del 2016; Cass. n. 18039 del 2012) alla stregua di tutti gli elementi a sua conoscenza»).
Che l’obbligo di valutazione dell’adeguatezza sia stato correttamente adempiuto non risulta comprovato, né tanto può desumersi dal contenuto dell’ordine d’acquisto (doc. 3 fasc. Intesa, cit.), nel quale le dichiarazioni al riguardo – così come le altre prestampate sul modulo nella medesima porzione che le contiene – non risultano barrate e tantomeno sottoscritte:
Deve dunque concludersi che l’intermediaria non abbia assolto ai doveri d’informazione su di essa gravanti.
3.
Passando all’esame della domanda risarcitoria avanzata dagli attori in riassunzione, non può condividersi l’assunto di , secondo cui essi non dimostrato il nesso eziologico tra inadempimento e danno, collegamento la cui insussistenza si dovrebbe «desumere dalle pregresse e concomitanti scelte di investimento».
Al riguardo può agevolmente richiamarsi la copiosa e recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, «n tema di intermediazione finanziaria, il riscontrato inadempimento della banca agli obblighi di adeguata informazione ingenera una presunzione legale di sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento e il danno patito dall’investitore suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario;
quest’ultima, tuttavia, non può risolversi nella dimostrazione della generica propensione al rischio del cliente, desunta da scelte pregresse intrinsecamente rischiose, dovendo avere ad oggetto la sopravvenienza di fatti idonei a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria fra le parti» (Cass. n. 19322 del 2023, in massima;
nello stesso senso, Cass. n. 12990 del 2023, n. 7288 del 2023 e n. 16126 del 2020, tutte in massima, quest’ultima relativa proprio ai bond L’inadempimento agli obblighi informativi di cui si è in precedenza discorso giustifica, alla luce del citato orientamento giurisprudenziale, la presunzione di sussistenza del nesso causale, non vinta dal richiamo alle pregresse o coeve operazioni d’investimento.
4. In ordine alla quantificazione del danno da risarcire, occorre muovere dalla somma – ammontante a euro 26.383,25 (doc. 1 fasc. – che gli odierni attori in riassunzione hanno speso per l’investimento in considerazione, rischio a cui presumibilmente, alla luce di quanto illustrato, non si sarebbero esposti ove debitamente informati.
Occorre tuttavia rammentare come, secondo la Corte regolatrice, «a corretta applicazione del criterio generale della “compensatio lucri cum damno” postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del lucro e del danno, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell’altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato.
(In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva correttamente quantificato il danno, conseguente all’acquisto di obbligazioni argentine, in misura pari al capitale investito, sottraendo da tale importo il valore delle cedole riscosse ed il controvalore dei titoli concambiati, considerati un arricchimento derivante dal medesimo fatto illecito)» (Cass. n. 16088 del 2018, in massima).
Più in particolare, «ove l’intermediario sia condannato a risarcire il danno cagionato al cliente per avere dato corso a un ordine di acquisto di titoli ad alto rischio in violazione degli obblighi informativi su di lui gravanti, senza che sia pronunciata anche la risoluzione del contratto di negoziazione, si deve tenere conto che l’investitore resta in possesso dei titoli, sicché, in applicazione del criterio generale della “compensatio lucri cum damno”, dalla liquidazione va decurtato il valore residuo dei titoli acquistati – così come risultante dalle quotazioni ufficiali al momento della decisione – nonché l’ammontare delle cedole nel frattempo riscosse» (Cass. n. 17948 del 2020, in massima). Nella fattispecie, in applicazione del citato criterio generale, dall’importo speso va senz’altro decurtato l’ammontare di euro 1.425,76, pari alla cedola riscossa il 20 febbraio 2002
(doc. 4 fasc. Viceversa, non v’è prova che gli attori in riassunzione abbiano beneficiato o anche solo potuto beneficiare degli indennizzi pervisti dall’art. 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005 o ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 179 del 2007.
Né risulta se i bond acquistati, dopo il default, abbiano conservato un residuo valore e a quanto esso ammonti.
Si rammenta che, come dalla Suprema Corte evidenziato fin da epoca risalente, «l principio secondo il quale il risarcimento, mirando a ristabilire il non fosse avvenuto, non deve costituire fonte di lucro per il danneggiato stesso, onde se dal fatto dannoso sia derivato anche qualche vantaggio, questo deve essere valutato e sottratto all’ammontare della perdita, presuppone per la sua applicazione che il debitore abbia fornito la prova dell’assunto arricchimento dell’altra parte, e non si sia limitato ad indicare un possibile o anche probabile vantaggio» (Cass. n. 58 del 1962, in massima; principio coerentemente declinato nella successiva giurisprudenza di legittimità:
a titolo d’esempio, Cass. n. 77 del 2003 e Cass. n. 8853 del 2017, entrambe in massima).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il danno patito dagli odierni attori in riassunzione va quantificato in euro 24.957,49 (26.383,25 – 1.425,76).
assume un concorso di colpa degli investitori nella causazione o nell’aggravamento del pregiudizio, ma non indica a quale condotta intenda riferirsi, impedendo così di prenderla in considerazione onde valutarla sotto il profilo dedotto.
Quanto agli interessi compensativi, ne nega la spettanza, sia in quanto non domandati sia perché non cumulabili con la rivalutazione monetaria.
La tesi non può essere accolta.
Premesso che nella giurisprudenza di legittimità non v’è unanimità di vedute in ordine alla necessità che gli interessi compensativi siano oggetto di domanda (pro, Cass. n. 4938 del 2023, in massima;
contra, Cass. n. 39376 del 2021, in massima), può agevolmente rilevarsi come gli attori ne avessero chiesto il riconoscimento fin dalla citazione introduttiva del giudizio di primo grado;
il fatto che allora non ne avessero esplicitato la natura compensativa è irrilevante, considerato che la relativa richiesta è stata correlata alla domanda ed essi sono, appunto, volti a compensare il debitore dalla perdita del lucro cessante.
Proprio in tema di investimenti finanziari, infatti, la Corte regolatrice ha affermato che, «n tema di risarcimento del danno cagionato dall’intermediario per violazione dei doveri informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998, spettano al cliente danneggiato la rivalutazione monetaria del credito da danno emergente e gli interessi compensativi del lucro cessante, a decorrere dal giorno della sottoscrizione delle obbligazioni (giorno di verificazione dell’evento dannoso), poiché, in assenza di risoluzione del contratto, l’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità aquiliana, un debito di valore, e non di valuta, tenendo luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli» (Cass. n. 26202 del 2022, in massima). Più in particolare, nell’occasione la Suprema Corte ha evidenziato nella parte motivazionale della pronuncia che, «n tema di risarcimento del danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale (in esse comprese quelle di fonte legale contenute in norme imperative, come tali integranti il contratto, anche mediante sostituzione di clausole con esse contrastanti) di natura non pecuniaria (come nel caso di specie), la giurisprudenza legittimità costante nell’affermare che:
l’obbligazione di risarcimento del danno per tale tipo di inadempimento costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità aquiliana, un debito, non di valuta, ma di valore, in quanto tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta nel periodo intercorso fra evento dannoso e liquidazione giudiziale del danno, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., detta norma attenendo alle con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie (in questo senso, cfr.: Cass. n. 1627 del 2022; Cass. n. 7948 del 2020; Cass. n. 9517 del 2002; Cass. n. 11937 del 1997);
b) al creditore in discorso spettano di diritto gli interessi aventi natura compensativa (cfr. Cass. n. 5584 del 1987; Cass. n. 2240 del 1985), secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa (cfr. Cass. 25817 del 2017), che si cumulano con la rivalutazione monetaria, assolvendo funzioni diverse la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata (Cass. n. 9517 del 2002), in quanto la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno e a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e pertanto debbono essere corrisposti anche gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento (cfr. Cass. n. 11937 del 2002)». Tali affermazioni hanno poi trovato conferma anche nella successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 35789 del 2022 e n. 309 del 2024, entrambe in motivazione).
Dunque, nessun dubbio sul fatto che gli interessi compensativi siano stati tempestivamente richiesti e che siano cumulabili con la rivalutazione monetaria (a condizione che questa venga calcolata progressivamente, come di seguito precisato).
D’altra parte, considerata la propensione all’investimento finanziario manifestata dagli attori quale emerge dalla documentazione in atti (doc. 2 fasc. Intesa), è presumibile che essi avrebbero impiegato analogamente la somma oggetto di risarcimento, per renderla fruttifera, onde il mancato guadagno derivato loro dal ritardato pagamento;
ciò che giustifica il riconoscimento degli interessi compensativi anche a prescindere da ogni automatismo.
Ne consegue che deve essere condannata a risarcire agli attori in riassunzione, in solido tra loro, la somma di euro 24.957,49, oltre rivalutazione e interessi compensativi in misura legale, da applicare sulla somma rivalutata anno per anno, con decorrenza dal 13 febbraio 2001 (data dell’investimento) al dì della presente sentenza (ex aliis, Cass. n. 1627 del 2022, in massima);
sull’importo così determinato spettano gli interessi legali dalla data della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo.
5. Atteso che, «in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte» (Cass., sez. un., n. 32906 del 2022, in massima), nella fattispecie le spese di lite relative alla controversia complessivamente considerata vanno compensate in ragione della metà e poste a carico di in ragione del residuo ½, atteso che, all’esito complessivo del giudizio, le domande d’invalidità sono state rigettate, mentre è stata accolta quella subordinata di risarcimento del danno per inadempimento. Alla relativa liquidazione si procede in dispositivo, in applicazione dei parametri medi afferenti allo scaglione di riferimento (euro 26.001,00 – euro 52.000,00) – identificato alla stregua della somma riconosciuta a titolo /trattazione di fronte alla Corte d’appello, non effettivamente tenutasi – secondo le tariffe vigenti all’epoca della presente sentenza (in tal senso Cass. n. 19989 del 2021, in motivazione).
L’intestata Corte d’appello, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesa, definitivamente pronunciando nel giudizio di rinvio a seguito dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 35753 del 2023, così provvede:
1. condanna a pagare a in solido tra loro, la somma di euro 24.957,49, oltre rivalutazione e interessi, come in motivazione;
2. condanna a rifondere a in solido tra loro, ½ delle spese processuali, compensata la residua metà, liquidate nel loro importo complessivo (ossia, ante compensazione) in euro 7.616,00 per il giudizio di primo grado, in euro 6.946,00 per quello d’appello, in euro 5.513,00 per quello di cassazione e in euro 6.946,00, oltre euro 264,00 per spese documentate, per quello di rinvio, oltre, per tutti i gradi e fasi di giudizio, rimborso forfettario e trattamento tributario e previdenziale di spettanza;
spese da distrarsi a favore degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiaratisi antistatari.
Così deciso nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in data 28 aprile 2025.
Il Consigliere relatore/estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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