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Esecuzione sui beni del fondo patrimoniale

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ha pronunciato la seguente SENTENZA 48/2019 pubblicata il 25/01/2019 nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2015 promossa da: XXX (C.F.), con il patrocinio degli avv.ti del Foro di ed elettivamente domiciliato presso lo […]

Pubblicato il 28 January 2019 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ha pronunciato la seguente

SENTENZA 48/2019 pubblicata il 25/01/2019

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2015 promossa da:

XXX (C.F.), con il patrocinio degli avv.ti del Foro di ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.; . attore-opponente contro

YYY (C.F.), con il patrocinio dell’avv., elettivamente domiciliato in

presso lo studio del difensore;

convenuto-opposto

OGGETTO: Opposizione all’esecuzione (art. 615, 2’ comma c.p.c.) immobiliare.

CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ex art. 616 cpc, il sig. XXX, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ZZZ srl interponeva opposizione avverso il pignoramento immobiliare promosso dalla YYY, sul presupposto che lo stesso era ricaduto su beni precedentemente conferiti in fondo patrimoniale costituito per atto a rogito notaio in data e, pertanto, da dichiararsi nullo o inefficace;

si costituiva la YYY, la quale nel contestare le doglianze avversarie, evidenziava che il GE dell’esecuzione immobiliare, dott.ssa, con ordinanza del 28.01.2015 aveva rigettato l’istanza cautelare di sospensione dell’intrapresa esecuzione, ordinanza poi confermata con ampia motivazione dal Collegio adito in sede di reclamo, giusto provvedimento allegato del 20.05.2015; si costituiva pertanto nel conseguente giudizio di merito intrapreso dall’opponente per tornare a contestare integralmente l’infondatezza e temerarietà dell’opposizione proposta;

in corso di causa si verificavano mutazioni sia nelle difese della parte opponente che di quella opposta; inoltre vi era un susseguirsi di passaggi nella titolarità del giudizio vuoi per trasferimenti dei magistrati assegnatari che per richieste di astensione o revoca degli onorari successivamente delegati fino a che, nella fase conclusionale, veniva rimessa al sottoscritto Giudice, con provvedimento poi confermato dal Presidente in data 15.2.2018, in seguito alla remissione allo stesso della valutazione delle ragioni di opportunità per la designazione, avendo la sottoscritta conosciuto della questione oggetto di causa nella veste di GE in una procedura mobiliare vertente tra le stesse parti.

Quindi, disposta nuovamente udienza di precisazione delle conclusioni e discussione, alla relativa udienza, nell’impossibilità di emettere contestuale decisione per il concomitante impegno in altro settore, con nuova ordinanza, a parziale modifica di quella precedentemente resa, la causa veniva trattenuta in decisione senza concessione di ulteriori termini, peraltro in precedenza non utilizzati dalle parti.

L’opposizione proposta, all’esito dell’esame della documentazione allegata ed ammessa e delle rispettive posizioni difensive, non appare fondata e deve pertanto essere rigettata.

Invero, si ritiene siano ampiamente condivisibili le ampie ed approfondite argomentazioni di cui alle ordinanze emesse nella fase cautelare e nel provvedimento di rigetto del reclamo, le cui motivazioni devono intendersi integralmente richiamate in questa sede.

Preliminarmente, per quanto concerne le eccezioni sollevate nei vari scritti difensivi dei nuovi procuratori del sig. XXX, deve evidenziarsi che la costituzione degli stessi è avvenuta dopo lo spirare dei termini di cui all’art. 183 comma VI cpc, per cui le relative eccezioni, precedentemente non rilevate, sulle quali la controparte peraltro non ha accettato il contraddittorio, appaiono rivestire i caratteri di novità rispetto alla domanda iniziale come poi cristallizzata in sede di memorie ex art. 183 comma VI cpc; le stesse pertanto appaiono tardive e non possono essere esaminate in questa sede. Invero, il giudizio di opposizione si presenta come un ordinario processo di cognizione, nel quale la domanda giudiziale va identificata, nell’aspetto oggettivo, con i suoi elementi costitutivi, del petitum, consistente nella richiesta di un provvedimento giurisdizionale che dichiari l’inesistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, e della causa petendi, che consiste nella specifica situazione giuridica sostanziale dedotta dalla parte istante a fondamento della assunta inesistenza del diritto di procedere in executivis (cfr. già Cass. 3 maggio 1980 n. 2911, nonchè Cass. 11 dicembre 2002, n. 17630; 29 aprile 2004, n. 8219; 13 novembre 2009, n.24047). Pertanto, le eventuali “eccezioni” sollevate dall’opponente per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda; ne consegue che l’opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, nè il giudice può accogliere l’opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorchè si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio; l’allegazione di fatti nuovi che avrebbero potuto e dovuto essere allegati fin dall’introduzione della opposizione si risolve in una mutatio libelli inammissibile (cfr. Cass. 7 marzo 2003 n. 3477; ord. 20 gennaio 2011, n. 1328; Cass. Civ. 16541/2011). Ad ogni buon conto, per quanto concerne l’eccezione relativa al disconoscimento della firma posta sulla fideiussione, adombrata già nell’atto di opposizione, trattasi all’evidenza di questione che attiene al momento di formazione del titolo e, in quanto tale, andava opposta nella opportuna sede, come peraltro emerge essere stato fatto, e non è più rilevabile o riproponibile nella fase esecutiva; quanto alla necessità di esperire preventivamente l’azione revocatoria, fermo il carattere di novità della questione nel presente giudizio, nella fattispecie non è in rilievo l’opponibilità al creditore del vincolo, costituito dal conferimento del bene nel fondo, peraltro in un momento anteriore alla formazione del titolo, quindi, sottratto alla garanzia patrimoniale, quanto piuttosto la riconducibilità o meno della fatispecie nella situazione prevista dall’art. 170 c.c. e, quindi, la pignorabilità o meno del bene costituito nel fondo, nella misura in cui il credito debba intendersi sorto o meno per soddisfare esigenze familiari. Ciò premesso, andando all’esame del merito, deve evidenziarsi che il fondo patrimoniale è una convenzione matrimoniale consistente in un vincolo posto nell’interesse della famiglia su determinati beni (immobili, mobili registrati, titoli di credito). Scopo del vincolo è quello di destinare i beni conferiti ed i loro frutti al soddisfacimento delle necessità familiari, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 170 c.c., i beni che ne fanno parte non possono essere sottoposti ad esecuzione forzata per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per finalità estranee ai bisogni della famiglia. Quindi il debitore, che si oppone al pignoramento, ha l’onere di provare la sussistenza di un elemento oggettivo, costituito dall’estraneità del debito per il quale si procede al novero di quelli contratti per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia; l’altro, soggettivo, estrinsecantesi nella consapevolezza, in capo al creditore procedente, di detta estraneità.

Per definire concretamente l’ambito di applicabilità della norma e, di riflesso, la tenuta del fondo patrimoniale, nonché la sua capacità di assolvere alla propria funzione tipica, a fronte del sintetico disposto dell’art. 170 cc, è indispensabile definire il concetto di “scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

Al riguardo, la giurisprudenza maggioritaria ha da sempre interpretato assai restrittivamente il presupposto oggettivo dell’estraneità, fino a dettare una generale presunzione di inerenza dei debiti contratti dai coniugi ai bisogni della famiglia, dimodoché non residuano, di fatto, debiti estranei. Invero, la Cassazione in moltissime e pressoché univoche pronunce, fornisce una interpretazione assai lata della locuzione “bisogni della famiglia”, sì da farvi rientrare ogni vincolo obbligatorio idoneo a determinare un arricchimento indiretto del nucleo familiare.

Invero, la giurisprudenza della Suprema Corte, ha via via fornito una interpretazione evolutiva dell’art. 170 c.c., tale da non frustrare totalmente la norma generale dettata dall’art. 2740 cc, sulla garanzia rappresentata dai beni del debitore.

Pertanto, si è andato formando l’orientamento per il quale il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esclusiva sui beni conferiti nel fondo, andrebbe ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che ove la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza con le esigenze familiari, deve ritenersi operante la regola della piena operatività del fondo (Cass. Civ. 899/2003; Cass. Civ. 11230/2003; Cass. Civ. 12998/2006; cass. Civ. 3600/2016).

Ancora, la Cassazione ha specificato che “anche il credito extracontrattuale è ammesso a soddisfacimento sui beni in fondo patrimoniale, purché sussista una relazione tra il fatto generatore (o fonte generatrice) e le esigenze familiari, intese poi queste ultime in senso relativamente ampio, quali quelle volte al pieno soddisfacimento e all’armonico sviluppo della famiglia nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi” (Cfr. ex plurimis Cass. Civ.. 18248 del 26 agosto 2014).

Resterebbero quindi esclusi dal regime di pignorabilità, solamente i debiti che siano stati contratti per ragioni del tutto voluttuarie o speculative. Invero, “in tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell’art. 170 cod. civ., va intesto non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi” (cfr. Cass. N. 134/1984; Cass. Civ. 11683/2001, nonché più recentemente Cass. Civ. 8991/2003 e Cass. Civ. 11230/2003; Cass. Civ. 11.7.2014 n. 15886).

Nell’ambito di detta interpretazione, pacifica è in giurisprudenza la possibilità di ricondurre ai bisogni della famiglia i debiti derivanti dall’attività professionale o di impresa di uno dei coniugi anche in considerazione del fatto che i redditi relativi sono di norma destinati al mantenimento della famiglia (Cass. 11683/2001). Infatti, come osservato dal Giudice della fase cautelare, “lo svolgimento di una attività lavorativa è principalmente rivolto al soddisfacimento delle esigenze familiari (anche in considerazione del dovere imposto dall’art. 143 c.c. a ciascun coniuge, di contribuire, con la propria capacità di lavoro professionale, ai bisogni della famiglia, che non pone tale destinazione solo come una delle possibili scelte di impiego del reddito prodotto, come ritiene il debitore opponente): le obbligazioni derivate non possono, dunque, dirsi estranee ai bisogni della famiglia”, generandosi una sorta di presunzione di inerenza dei debiti da attività lavorativa, anche se imprenditoriale, ai bisogni della famiglia ex art. 170 c.c.. (cfr. anche Trib. Torino 10.6.2016 n. 3333).

L’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., ed in particolare, per quanto rileva in questa sede, che il debito per cui si procede sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore sia a conoscenza di tale estraneità, grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale» (cfr. Cass. civ., 29 gennaio 2016, n. 1652; Cass. civ., III, 7 febbraio 2013, n. 2970).

“L’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 cc, grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, sicchè, ove sia proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari” (Cass. Civ. 4011/2013). Nella fattispecie, dalla documentazione allegata dal debitore non sembra evincersi l’assolvimento di detto onere probatorio, atteso che le precedenti attività lavorative del sig. XXX e le dichiarazioni dei redditi allegate, non appaiono idonee a superare il dato oggettivo della titolarità in capo esclusivo al sig. XXX ed alla coniuge delle quote della società debitrice, della quale lo stesso si è reso fideiussore e lo svolgimento quindi di attività imprenditoriale, quand’anche non esclusiva da parte di uno dei coniugi e, in forma minoritaria anche dell’altra coniuge, sig.ra ***.

Invero, per come emerge dal decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, n. 2013/2013 ing. del Tribunale di Teramo, infatti, il debito contratto dalla ZZZ srl e, quindi, anche dal sig. XXX nella qualità di fideiussore di quest’ultima società nei confronti della YYY sas, risulta essere relativo a lavori di ristrutturazione e costruzione di tre immobili in virtù di relativi contratti di appalto. Dalla visura in atti si evidenzia che la ZZZ risulta essere una società costituita da entrambi i coniugi, XXX e ***, di cui il primo, amministratore della stessa società, si è costituito fideiussore al fine di garantire il pagamento del debito nei confronti della soc. YYY, con scrittura che, superato il vaglio di formazione del titolo esecutivo, deve ritenersi valida ed operativa tra le parti. Le quote della società suddetta appartengono unicamente al XXX ed alla moglie ***.

Orbene, non si ritiene possano essere dubitabile la circostanza secondo la quale il debito contratto dal sig. XXX risulti essere inerente la propria attività imprenditoriale di costruttore ed immobiliarista e che detta attività, in quanto avente la finalità di produrre reddito per sé e per la moglie e, quindi per l’intero nucleo familiare, al di fuori di esigenze voluttuarie o meramente speculative, sia confacente ai bisogni della famiglia e ad essi finalizzata.

Invero, con riguardo ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa (anche di uno solo dei coniugi), quel che rileva non è la natura della obbligazione ma il fatto generatore (Cass. Civ. n. 4011/2013; cit. Cass. n. 3738/2015), per cui è stato ritenuto sorto per soddisfare i bisogni della famiglia anche il caso di garanzia fideiussoria prestata a favore della società della quale il conferente era socio e nella quale svolgeva la propria attività professionale (trib. Reggio Emilia 10 marzo 2015); ciò anche in caso di fideiussione contratta per una obbligazione assunta da una società di capitali e, dunque, nell’esercizio dell’attività di impresa, laddove nell’ambito dell’onere probatorio delle parti, venga superata la presunzione semplice di estraneità al paradigma di cui all’art. 170 c.c. (Ex plurimis, Cass. civ., V, 21 ottobre 2015, n. 21396).

In tal senso infatti, il GE, nell’ambito delle questioni sottoposte al suo vaglio, ha correttamene escluso che il debito contratto dal sig. XXX fosse estraneo ai bisogni della famiglia, ritenendo a ragione che “… ulteriore indizio circa la finalità lavorativa svolta, ovvero soddisfare i bisogni della famiglia, risiede nel fatto che anche la moglie è socia della società esecutata della quale amministratore unico è il sig. XXX; si può presumere che i debiti contratti nell’esercizio dell’attività di impresa siano funzionali allo svolgimento dell’attività imprenditoriale edile, lavoro svolto dal XXX” e, pertanto, uniformandosi all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte che ha fornito una interpretazione estremamente ampia della categoria dei bisogni della famiglia nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi.

Né vale l’esimente del non derivare alcun reddito da detta attività, come pure dedotto dal debitore, atteso che si ritiene di condividere quanto argomentato dal Collegio adito in sede di reclamo, ovvero che ciò che rileva ai fini che qui interessano è il fatto che l’obbligazione sia stata contratta allo scopo di produrre reddito da destinare ai bisogni della famiglia, restando poi irrilevante se tale reddito si sia prodotto o meno.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte, l’opposizione proposta deve essere rigettata.

In definitiva, quindi, gli immobili sottoposti a pignoramento immobiliare conferiti nel fondo patrimoniale, devono intendersi pignorabili, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente, in quanto il vincolo del fondo patrimoniale non può dirsi opponibile all’intrapresa esecuzione in ragione della natura del credito e del concetto ampio elaborato dalla giurisprudenza di funzionalità ai bisogni di famiglia nei quali lo stesso necessariamente rientra.

Quanto alle spese di lite si ritiene che la complessità della vicenda e dello sviluppo nelle more dei rapporti intercorsi tra le parti, nonché le copiose pronunce giurisprudenziali e la complessità delle questioni di diritto ed interpretative sottese, costituiscano tutti elementi gravi ed idonei a giustificare un provvedimento di compensazione integrale delle stesse tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale di Teramo, in persona del Giudice Unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

– rigetta l’opposizione proposta;

– compensa le spese di causa tra le parti. Così deciso in Teramo, 10.01.2019

IL GIUDICE

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