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Donazione indiretta e convivenza more uxorio

In tema di liberalità, la convivenza more uxorio, pur di durata significativa, non è sufficiente a dimostrare l’intento donativo. L’animus donandi deve essere provato in concreto, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. In assenza, si applica il principio dell’equa ripartizione delle spese in base alle quote di comproprietà.

N. R.G. 1806/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione seconda civile nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME Consigliere rel.
Dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._935_2023_- N._R.G._00001806_2022 DEL_19_03_2023 PUBBLICATA_IL_20_03_2023

nella causa iscritta al n. r.g. 1806/2022 promossa in grado d’appello (C.F.: ), con il patrocinio degli avv.ti d elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in 20122 , giusta procura allegata all’atto di costituzione nel primo grado di giudizio APPELLANTE

CONTRO (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in , giusta procura speciale alle liti in atti APPELLATA

CONCLUSIONE DELLE PARTI

Per accertate e dichiarate, per i motivi tutti di cui all’atto di citazione, – la erroneità e la inesattezza del procedimento logico-argomentativo decisionale adottato dal Tribunale di Varese; – la sussistenza della causa liberale a sostegno degli atti dispositivi compiuti da in relazione all’acquisto, alla ristrutturazione e all’arredamento dell’immobile di – l’inapplicabilità al caso di specie della disciplina dettata in tema di regresso e restituzione fra condebitori solidali e/o comunisti derivante dalla identificazione causale dell’atto dispositivo nello spirito di liberalità, in riforma del capo I del provvedimento impugnato, qualificare gli atti dispositivi compiuti da a favore di ivi richiamati e contemplati come donazione indiretta, emettendo ogni declaratoria conseguente e opportuna;

2. giusta la riforma del capo I del provvedimento impugnato, riformare il capo III del medesimo provvedimento, riparametrando la imputazione e la liquidazione delle spese di lite, in conformità;

3. salvo il capo II del provvedimento impugnato, verso cui si presta esplicitamente acquiescenza;

4. in ogni caso, con vittoria di spese e onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio nella misura in cui risulterà rideterminata la soccombenza delle parti all’esito del presente grado di giudizio.

Per chiede all’Ecc.ma Corte d’Appello di Milano di dichiarare inammissibile l’appello proposto dal signor e, in ogni caso, di respingerlo, con il favore delle spese processuali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Varese per chiedere la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma complessiva di euro 88.312,61, così suddivisa:

euro 30.350,00, a titolo di regresso ex art. 1299 c.c., per l’acquisto dell’immobile nel Comune euro 24.362,61, a titolo di rimborso ex art. 1104 c.c., quale differenza tra quanto versato sul conto corrente cointestato da e quanto versato da ; euro 33.600,00, a titolo di restituzione delle somme mutuate ai sensi dell’art. 1813 c.c., pari alla differenza tra il prestito complessivo di euro 43.881,91 e le somme restituite dal per euro 9.281.91.

In particolare, l’attrice deduceva che aveva con una relazione more uxorio e che, nell’anno , decideva di acquistare insieme a quest’ultimo un’immobile nel Comune di , in Provincia di sul prezzo di euro 55.000.00, con l’intenzione di ristrutturarlo e di adibirlo a casa per le vacanze.

Precisava inoltre che, al fine di affrontare le spese di acquisto, di ristrutturazione e di arredamento della casa, decidevano di aprire un conto corrente cointestato.

Secondo accordi verbali, proseguiva l’attrice, le spese di acquisto sarebbero state anticipate dalla stessa, mentre le spese di ristrutturazione sarebbero state affrontate in parte attraverso l’acquisizione di un finanziamento di euro 40.000,00 che si impegnava a restituire, alimentando il suddetto conto corrente appositamente creato per il pagamento delle spese destinate alla casa in comproprietà.

Gli accordi prevedevano che dette spese, in definitiva, sarebbero state sopportate da ciascuno al 50%.

evidenziava che l’ex compagno provvedeva solo in parte alle suddette spese e che il capitale necessario ad affrontare le spese di acquisto, di ristrutturazione e di arredamento dell’immobile proveniva prevalentemente dalla stessa, come dimostrato dal fatto che il conto corrente cointestato conteneva risorse economiche versate principalmente dall’attrice.

Proseguiva affermando che, nel corso della convivenza, aveva elargito a favore di , in un primo periodo tra il 2009 e il 2010 e, successivamente, tra la fine del 2013 e la fine del 2014, diverse somme per un ammontare complessivo di euro 43.881,91 a titolo di mutuo gratuito per consentire allo stesso di sopportare alcune spese personali.

Di tale mutuo, l’ex compagno le restituiva esclusivamente la somma di euro 9.281,91.

Alla luce delle suddette premesse, parte attrice riteneva di essere creditrice nei confronti per la somma complessiva di euro 88.312,61 e precisamente:

a titolo di regresso ex art. dell’art. 1299 c.c., per aver anticipato per conto di sua quota parte (50%) del prezzo e delle spese accessorie per l’acquisto dell’immobile, per complessivi euro 30.350,00;

a titolo di indebito per la restituzione delle maggiori somme, rispetto quanto dovuto ai sensi dell’art. 1104 c.c, versate sul conto corrente comune per assicurare la provvista impiegata per pagare le spese di ristrutturazione e arredo dell’immobile e il finanziamento a tal fine contratto, per complessivi euro 24.362,61;

a titolo di restituzione delle somme mutuate ai sensi dell’art. 1813 c.c., pari alla differenza tra il prestito complessivo di euro 43.881,91 e le somme restituite dal convenuto per euro 9.281.91, per complessivi euro 33.600,00.

Si costituiva in giudizio , eccependo l’infondatezza delle pretese attoree e chiedendo il rigetto delle relative domande.

Il convenuto, in particolare, deduceva che tutti gli atti dispositivi compiuti dall’attrice a proprio favore trovavano la loro giustificazione causale nella donazione indiretta, valorizzando a tal fine la relazione sentimentale e la convivenza more uxorio che aveva legato le parti per un periodo di tempo significativamente lungo.

Riguardo, invece, alle somme corrisposte a titolo di mutuo gratuito, lo stesso escludeva la sussistenza di un rapporto di mutuo, non essendo stato provato, in mancanza di un obbligo di restituzione delle somme mutuate.

Con sentenza n. 484/2022, resa in data e pubblicata il , il Tribunale di Varese accoglieva le domande attoree nei seguenti termini.

In particolare, per quanto riguarda la domanda di restituzione, a titolo di regresso ex art. 1299 c.c. e di rimborso ex art. 1104 c.c., della somma pari complessivamente ad euro 54.712,61, relativa alle spese sostenute dall’attrice in eccesso rispetto alla propria quota di proprietà per l’acquisto, la ristrutturazione e l’arredo dell’immobile cointestato, il Giudice di prime cure rilevava anzitutto che la provenienza e la quantificazione delle somme non erano state oggetto di contestazione da parte del convenuto e che dette circostanze erano state documentate dall’attrice. Escludeva poi che i pagamenti relativi all’acquisto, alla ristrutturazione e all’arredo della casa erano stati effettuati da in esecuzione di una donazione indiretta, in quanto il convenuto non aveva provato l’animus donandi, che deve essere dimostrato alla luce delle circostanze del caso concreto, valutando l’effettiva presenza di seri elementi presuntivi.

In mancanza di detta prova, vige il criterio generale dell’eguale ripartizione delle spese in base alle quote dei partecipanti alla comunione ex art. 1101 c.c.

Secondo il Tribunale, sussistevano precise circostanze sintomatiche della insussistenza di un intento donativo.

Il riferimento è precisamente al contenuto di una serie di messaggi inviati dall’attrice al convenuto al termine della loro relazione e in epoca precedente alla instaurazione del giudizio di primo grado.

Quanto, invece, alla domanda di restituzione della somma mutuata dall’attrice in favore dell’ex compagno, essa veniva parzialmente accolta.

Il particolare, il Giudice di prime cure rilevava che una parte di detta somma, pari ad euro 25.600,00, era stata erogata tramite versamenti dal conto corrente cointestato ad un altro conto corrente intestato in via esclusiva a e che detti versamenti erano stati documentati dall’attrice, ad eccezione tuttavia del titolo (il rapporto di mutuo) da cui derivava l’obbligo di restituzione.

Detti versamenti, dunque, non trovavano idonea giustificazione causale.

Quanto all’altra parte dell’importo mutuato, pari ad euro 18.281,91, il Tribunale evidenziava invece che i versamenti avevano una causa di mutuo gratuito, risultante dalla causale dei bonifici bancari.

La domanda in esame veniva però accolta parzialmente nei limiti della somma di euro 9.000,00, quale differenza tra quanto consegnato dall’attrice e quanto già restituito a quest’ultima dal convenuto.

In conclusione, il Giudice di prime cure condannava al pagamento in favore di parte attrice della somma complessiva di euro 63.712,61 (euro 54.712,61+9.000,00), oltre interessi al tasso legale decorrenti dal saldo, nonché alla refusione delle spese di lite liquidate in euro 9.785,00 per compensi, oltre i.v.a. , c.p.a. e spese generali al 15%.

proponeva appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati e concludeva chiedendo, nel merito, la riforma del capo I, qualificando gli atti dispositivi compiuti dall’appellante in suo favore come donazione indiretta, nonché del capo III, riparametrando la imputazione e la liquidazione delle spese di lite in conformità.

L’appellata si costituiva in giudizio eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello e concludendo, nel merito, per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza collegiale del la causa veniva posta in decisione sulle conclusioni in epigrafe specificate, previa assegnazione alle parti dei termini di giorni 60 per il deposito delle comparse conclusioni e 20 per le memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Parte appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui il Giudice di prime cure non ha ritenuto sussistente nel caso di specie la fattispecie della donazione indiretta, non avendo considerato come elemento di prova dell’animus donandi la convivenza more uxorio intercorsa tra le parti.

L’attore deduce infatti che i criteri elaborati dalla giurisprudenza sulla base dei quali valutare l’accertamento della sussistenza del suddetto elemento soggettivo sono, in particolare, il portato e il rilievo della relazione sentimentale e della convivenza more uxorio, nonché la loro durata.

Lo stesso, inoltre, ha lamentato che il Tribunale avrebbe tratto la insussistenza del requisito dell’animus donandi dalle comunicazioni inviate dall’attrice all’ex compagno a partire dal senza tuttavia prendere in considerazione una comunicazione ad esse precedente del , prodotta dal convenuto, la quale invece avrebbe un contenuto e un significato conforme e compatibile con la liberalità dell’intestazione della metà del bene immobile.

L’appellata ha osservato che dall’esame del gravame proposto non è dato individuare l’oggetto dell’asserita donazione indiretta e che, in ogni caso, i vari pagamenti effettuati per l’immobile non sono sorretti da un animus donandi.

Tutto ciò premesso, la Corte osserva quanto segue.

In limine, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità formulata dall’appellata nel proprio atto introduttivo e nella propria comparsa conclusionale, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., così come modificato dal d.l. n. 82 del 2012.

L’assunto di parte, secondo cui l’appello sarebbe privo dei requisiti di specificità previsti dalla citata disposizione di legge, è privo di pregio, ove si consideri che nell’atto di appello sono espressamente richiamati i passi della motivazione oggetto di doglianza, sono illustrati gli specifici motivi delle censure svolte e sono specificate le ragioni per cui si invoca la riforma della sentenza impugnata, sì che sono chiaramente individuate le questioni costituenti l’oggetto e l’ambito del riesame richiesto al Giudice di secondo grado e sono, altresì, enunciate, con puntuale argomentazione, le censure avanzate contro il provvedimento impugnato. Occorre poi evidenziare che non è stato oggetto di impugnazione il capo II della sentenza, con cui il Giudice di prime cure ha condannato alla restituzione della somma di euro 9.000,00, versata a titolo di mutuo, in relazione al quale l’appellante ha prestato esplicita acquiescenza;
sicché su detta statuizione si è formato il giudicato interno.

In relazione alle doglianze relative al capo I della sentenza, si osserva quanto segue.

L’odierno appellante deduce sostanzialmente che gli atti dispositivi compiuti dall’appellata, nella specie, l’acquisto dell’immobile nel Comune di l’elargizione delle provviste nel conto corrente cointestato per sostenere le spese di ristrutturazione e di arredamento di detto immobile, configurerebbero una donazione indiretta perché sorretti da animus donandi.

In via preliminare, è necessario effettuare una breve disamina in ordine al rapporto tra contratto tipico di donazione e le liberalità diverse dalla donazione (dette anche donazioni indirette o atipiche).

Il primo è definito dall’art. 769 c.c. come l’atto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione.

Le liberalità non donative, contemplate dall’art. 809 c.c., da una parte, sono accomunate al contratto di donazione in quanto comportano, a favore del beneficiario, un arricchimento senza corrispettivo realizzato per semplice spirito di liberalità;
dall’altra parte, se ne distinguono, in quanto si tratta di liberalità derivanti da atti diversi dalla donazione.

In altri termini, si può parlare di donazione indiretta quando, per perseguire un intento liberale, le parti non ricorrono al contratto tipico di donazione – che costituisce lo strumento all’uopo previsto dal legislatore – ma ne adottano un altro caratterizzato da una causa diversa.

La riconduzione all’uno o all’altro ambito ha conseguenze sul piano della disciplina applicabile.

Infatti, la normativa civilistica estende alle liberalità diverse dalla donazione tipica le disposizioni riguardanti la revocazione per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché quelle sulla riduzione per integrare la quota dovuta ai legittimari;
le assoggetta, inoltre, alla disciplina della collazione.

Nel contempo, si prevede l’applicabilità delle norme riguardanti l’atto per mezzo del quale la liberalità è compiuta, senza che occorra l’assolvimento dell’onere della forma di cui all’art. 782 c.c.

Tratto comune ad entrambi gli istituti è rinvenibile sotto il profilo dell’elemento soggettivo, posto che essi richiedono l’animus donandi, consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti da un vincolo giuridico, o extragiuridico, rilevante per l’ordinamento.

Dunque, sia in caso di donazione tipica sia in caso di donazione atipica o indiretta è necessario accertare la sussistenza di detto requisito soggettivo sotteso alla condotta del soggetto donante.

Ciò premesso, nel caso di specie questa Corte ritiene, astrattamente, di qualificare, da una parte, l’elargizione delle somme di denaro da parte di sul conto corrente cointestato, appositamente creato per il pagamento delle spese destinate alla casa in comproprietà, come donazione diretta e, dall’altra parte, l’acquisto dell’immobile come donazione indiretta.

Soprattutto con riguardo a tale ultima forma di donazione, infatti, come afferma la giurisprudenza di legittimità, occorre distinguere tra donazione diretta di denaro, successivamente impiegata dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma determinazione – ove l’oggetto della donazione rimane comunque il denaro – e dazione di denaro quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto dell’immobile, che integra appunto una donazione indiretta del bene (Cass., Sez. II, , n. 3642).

Occorre, in altri termini, che sussista un collegamento tra l’elargizione del denaro da parte del disponente e l’acquisto del bene immobile da parte del beneficiario, essendo inoltre irrilevante che la corresponsione del denaro in favore dell’alienante venga effettuata direttamente dal disponente ovvero dal beneficiario.

In ogni caso, a prescindere dalla qualificazione giuridica sopra esposta, sia che venga in rilievo una donazione diretta ovvero una donazione indiretta, elemento soggettivo indispensabile per la loro sussistenza è rappresentato dallo spirito di liberalità che anima il presunto donante ed il cui onere probatorio incombe in capo al presunto donatario.

Nella fattispecie in esame, come correttamente rilevato dal Giudice di primo grado, , odierno appellante, non ha fornito prova del suddetto requisito, limitandosi a dedurre che l’animus donandi troverebbe fondamento nella convivenza more uxorio, protrattasi per un significativo lasso di tempo, tra lo stesso e l’appellata.

La sussistenza di una convivenza more uxorio, pur durata molti anni, tuttavia, non può ritenersi sufficiente ai fini della dimostrazione di un effettivo e reale intento donativo.

In altri termini, l’animus donandi non può presumersi dal mero fatto della convivenza.

La bontà di quanto detto, peraltro, trova conforto nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità citato dal Giudice di prime cure, secondo cui “In caso di acquisto “pro indiviso” di un immobile effettuato da due conviventi “more uxorio” per quote uguali in difetto di diversa indicazione nel titolo, stante la presunzione di cui all’art. 1101 c.c., il maggior apporto fornito dal co-acquirente nella corresponsione del prezzo non può presumersi effettuato in favore dell’altro a titolo di liberalità, avente giustificazione nella mera convivenza, senza che sia fornita dimostrazione, anche mediante presunzioni, purché serie, dell’animus donandi. Pertanto, in difetto di tale prova, il convivente che abbia sborsato una somma maggiore ha il diritto di ottenere dall’altro il rimborso della parte eccedente la sua quota” (Cass., Sez. II, ordinanza del n. 20062).

E, in tema di donazione indiretta, la stessa giurisprudenza di legittimità ha affermato che “L’intenzione di donare emerge solo dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio” (Cass., Sez. II, ordinanza del , n. 9379).

Alla luce del suddetto indirizzo giurisprudenziale, pertanto, la convivenza non costituisce elemento, di per sé idoneo a giustificare lo spirito di liberalità, che invece deve essere provato sulla base delle circostanze del caso concreto e di seri e precisi elementi presuntivi.

Ne consegue che, laddove detto requisito non venga dimostrato, trova applicazione il criterio generale dell’equa ripartizione delle spese sulla base delle quote dei partecipanti alla comunione ai sensi dell’art. 1101 c.c.

Per tali motivi, in assenza di alcun elemento di prova, anche presuntivo, volto a dimostrare l’animus donandi, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della pronuncia impugnata.

Il pagamento delle spese di lite segue la soccombenza.

Tali spese sono liquidate come da dispositivo, in conformità ai parametri aggiornati con D.M. n. 147, tenuto conto del valore della domanda accolta in primo grado, in rapporto ai valori medi, con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria, assente nel presente grado.

Si dà atto, inoltre, della sussistenza dei presupposti di cui al comma 1-quater dell’art. 13 del D.P.R. 115/2002 (nel testo inserito dall’art. 1, comma 17, della legge , n. 228 – legge di stabilità 2013), per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. 115/2022 da parte di

La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
1. rigetta l’appello proposto da avverso la sentenza del Tribunale di Varese n. 484/2022, pubblicata in data , che conferma;
2. condanna a rifondere a le spese del grado, liquidate in complessivi euro 9.991,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario 15% spese generali e agli accessori fiscali e previdenziali come per legge;
3. dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato da parte dell’appellante, pari a quello dovuto per l’impugnazione, a norma del comma 1 quater dell’art. 13 del DPR 115/2002, introdotto dalla legge n. 228.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del Il Consigliere est NOME COGNOME Il Presidente NOME COGNOME

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