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Azione revocatoria, pagamento di debiti scaduti

Non è assoggettabile ad azione revocatoria l’alienazione di un bene quando il relativo prezzo sia stato destinato al pagamento di debiti scaduti.

Pubblicato il 01 November 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
PRIMA SEZIONE CIVILE 

composta dai MAGISTRATI:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 481/2021 pubbl. il 29/10/2021

OGGETTO: azione revocatoria

nella causa iscritta al n. 228 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili per l’anno 2016, promossa da:

XXX SRL in liquidazione, con sede in

APPELLANTE

CONTRO

YYY,;

APPELLATA con la chiamata in causa di

ZZZ S.A.S., contumace

All’udienza del 26 febbraio 2021 la causa è stata tenuta a decisione sulle seguenti

CONCLUSIONI

Nell’interesse dell’appellante (come da atto di appello):

“Piaccia alla Ecc.ma Corte, contrariis reiectis, giudicare, in totale riforma della sentenza appellata:

NEL MERITO: annullando in toto la sentenza n. 2734/2015 emessa dal Tribunale di Cagliari e per l’effetto rigettando le domande formulate dall’odierno appellato, a causa del fatto che: a) il Giudice di 1° grado ha errato nell’accogliere la domanda attrice che, invece, avrebbe dovuto rigettare per difetto dei presupposti richiesti dall’art. 2901 C.C. e precisamente sia dell’eventus damni, che della scientia damni e del consilium fraudis, di cui all’art. 2901 1° comma parr. nn. 1 e 2 C.C., b) in ogni caso, la domanda proposta dall’appellato, avendo ad oggetto l’adempimento di debiti scaduti, di cui all’art. 2901 comma 3 C.C. e nella più ampia accezione di cui alla conforme giurisprudenza in materia, doveva comunque essere rigettata, con condanna in ogni caso dell’appellato alla rifusione delle spese del giudizio.”

IN VIA SUBORDINATA ISTRUTTORIA:senza che ciò significhi inversione dell’onere della prova e per puro scrupolo processuale, […] Nell’interesse dell’appellato (come da comparsa di risposta):

“Si chiede il rigetto dell’appello e contestuale conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese e competenze di causa.”

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza 2734/2015 in data 22.09.2015, depositata il 24.09.2015, comunicata il 25.09.2016, il Tribunale di Cagliari ha, per quanto qui interessa, così statuito:

“in accoglimento della domanda dell’attore dichiara inefficace ex art. 2901 C. C nei confronti di YYY, quale creditore di XXX srl in liquidazione, l’atto di compravendita 26.06.2007 a rogito Notaio (Rep trascritto il 09.07.2007 ai nn. /), con il quale XXX srl ha venduto a ZZZ Sas di ZZZ & C. il locale ad uso commerciale ivi meglio descritto (sito in , distinto al CEU al F. A73, Imapp. sub”, condannando la società XXX s.r.l. in liquidazione, in persona del suo liquidatore in carica, alla rifusione delle spese di lite in favore dell’attore

YYY.

Con atto di citazione notificato il 23 marzo 2016 ha proposto appello la società XXX s.r.l. in liquidazione .

YYY, costituitosi in giudizio, ha concluso per il rigetto dell’impugnazione.

 All’udienza del 9 marzo 2018 la causa è stata trattenuta a decisione con la concessione dei termini di legge.

Con ordinanza in data 25 ottobre 2018 è stato integrato il contraddittorio nei confronti della ZZZ S.a.S. di *** & C., litisconsorte necessario, la quale è rimasta contumace.

All’udienza del 26 febbraio 2021 la causa è stata nuovamente trattenuta a decisione con concessione di nuovi termini ex art. 190 c.p.c.

Il giudice di prime cure ha accolto la domanda proposta da YYY a tutela di un credito di lavoro vantato nei confronti della società XXX s.r.l. in liquidazione e riconosciuto dal giudice del lavoro di Cagliari con la sentenza n. 1900 del 13.7.2011 nella misura di euro 65071,00 all’ottobre del 2011 per capitale, accessori e spese in forza del seguente percorso motivazionale:

– doveva ritenersi sussistente, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità richiamata, l’eventus damni in quanto l’atto di compravendita oggetto di causa aveva modificato qualitativamente la consistenza del patrimonio della società debitrice in danno del creditore, rendendogli evidentemente più difficoltosa la possibilità di soddisfare coattivamente il proprio credito, e ciò a prescindere dal fatto che la gravità della situazione patrimoniale e finanziaria della debitrice nel 2006 doveva ritenersi pacifica; – risultavano poi provate, quanto meno per presunzioni, la scientia damni del debitore e conseguentemente il consilium fraudis del terzo, visto che il legale rappresentante di quest’ultimo era la stessa persona fisica che rappresentava legalmente la società debitrice.

 Il giudice di primo grado ha quindi soggiunto: “Depongono in tal senso, in assenza di circostanze di segno contrario che sarebbe stato onere della convenuta allegare e provare, i seguenti elementi di fatto: a) la già segnalata gravità della situazione patrimoniale della debitrice, risalente almeno al 2006, che rende altamente inverosimile che quest’ultima (ovvero, il suo liquidatore) non fosse perfettamente consapevole del pregiudizio che avrebbe arrecato al suo ex lavoratore/creditore l’alienazione dell’unico immobile di cui era titolare (facilmente individuabile ed aggredibile); b) la sequenza temporale descritta in citazione, pienamente documentata, che dimostra come l’atto dispositivo sia successivo al deposito del ricorso del YYY, all’instaurazione della relativa causa di lavoro ed al sorgere del credito IVA azionato, visto che esso trova tra l’altro titolo (come risulta dalla sentenza n. 1900/11), nelle differenze per spettanze retributive e per lavoro straordinario maturate nel corso del rapporto (iniziato nel novembre 1993 e cessato nel maggio 2005) e nel TFR non corrisposto (riconosciuto come dovuto dalla stessa datrice attraverso l’emissione della busta paga dell’aprile 2006 citata nella stessa sentenza).”

Con il primo articolato motivo di impugnazione l’appellante ha censurato la sentenza per aver il Tribunale totalmente omesso di valutare il fatto, che risultava documentalmente provato e comunque non era stato oggetto di contestazione specifica da parte del YYY, che il denaro ricavato dalla vendita era stato incassato ed utilizzato per effettuare il pagamento di debiti scaduti per far fronte alle esigenze sempre più pressanti dei creditori, al fine di evitare il fallimento della società. Il ricavato della vendita era infatti stato destinato al ripianamento della di essa situazione debitoria talché non poteva in alcun modo configurarsi l’eventus damni. Peraltro tale allegazione non era stata in alcun modo contestata dal YYY.

Per altro verso l’omessa motivazione su tale circostanza, la quale imponeva di ritenere insussistente il presupposto dell’eventus damni alla luce del dettato normativo di cui all’art. 2901 c.c., si traduceva in una violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c., non avendo il giudice di primo grado posto a fondamento della sua decisione né le prove proposte dalle parti né i fatti non contestati dall’appellato.

Ha altresì censurato il riconoscimento della sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria della scientia damni e del consilium fraudis, che non potevano ritenersi sussistenti per il fatto della situazione di difficoltà economica in cui essa si trovava già antecedentemente alla vendita, circostanza che doveva essere valutata alla luce della sorte del prezzo di vendita che era stato incassato, utilizzato per ripianare i debiti.

Infine, si è lamentato del fatto che il Tribunale avesse rigettato, senza alcuna motivazione, la richiesta di prova orale formulata nella memoria ex art. 183 c.p.c. volta a provare la sussistenza dell’elemento impeditivo (adempimento del debito scaduto e fatti comunque tali da escludere la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria) del diritto fatto valere dal YYY nonché ha contestato la corretta applicazione dell’art. 2729 c.c., non ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione di tale disposizione.

L’impugnazione è fondata per le ragioni che si vengono ad esporre.

Giova riportare il chiaro passaggio motivazionale di Cass., n. 13435/2004: “Ai sensi dell’art. 2901, comma 3, c.c. non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto. L’esenzione trova la sua ragione nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 c.c. ed è stata pertanto estesa, dalla giurisprudenza di questa Corte, alla alienazione di un bene eseguita per reperire la somma necessaria a tacitare i creditori, purché rappresenti il solo mezzo per soddisfarli, poiché in tale ipotesi la vendita si pone in un rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, che vale ad escludere, con l’arbitrarietà del comportamento del debitore, il carattere di atto di disposizione pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca (sent. n. 2759/56; n. 2157/74; n. 11764/01). Ed il principio trova applicazione non solo nel caso in cui l’intero prezzo sia destinato al pagamento di debiti scaduti (ipotesi considerata dalla sent. n. 11764/01), o nell’ipotesi di vendita di immobile (sottoposto ad esecuzione forzata) di valore non superiore all’ammontare delle ragioni dei creditori (ipotesi esaminata dalla sent. n. 2030/84), ma anche quando la somma realizzata sia stata maggiore di quella impiegata nel pagamento dei debiti, poiché anche in tale ipotesi la vendita riveste quel carattere di strumentalità necessaria nei riguardi del pagamento dei debiti scaduti che è da solo sufficiente ad escludere la revocabilità dell’atto di disposizione, purché sia accertata le sussistenza della necessità di procedere all’alienazione, quale unico mezzo al quale il debitore, privo di altre risorse, poteva far ricorso per procurarsi il denaro, salva la revocabilità degli ulteriori atti con i quali il debitore abbia disposto della somma residua (sent. n. 2759/56).”

Si richiama altresì Cass., n. 14557/2009: “Non è assoggettabile ad azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., l’alienazione di un bene immobile da parte del debitore quando il relativo prezzo sia stato destinato, anche solo in parte, al pagamento di debiti scaduti del venditore debitore, non applicandosi alla predetta azione il principio della “par condicio”, sancito a tutela di tutti i creditori nell’esecuzione concorsuale, e salva la revocabilità degli ulteriori atti con i quali il debitore abbia disposto della somma residua.” Nello stesso senso Cass., nn. 14.420 2013; 7747/2016; 8992/2020.

Nel caso scrutinato è pacifico, per averlo allegato lo stesso appellato, che l’immobile venduto era l’unico bene di proprietà della società venditrice ed è documentalmente provato che parte di quanto ricavato dalla vendita è stata da essa destinata al pagamento di debiti scaduti, come consentitole dall’inapplicabilità al debitore non fallito del principio della par condicio creditorum, circostanza di fatto ignorata dal Tribunale.

Dal bilancio al 31/12/2007 (doc. H) risulta infatti che al 31/12/2006 i debiti esigibili entro 12 mesi erano pari ad euro 581.999,00 e che al 31/12/2007 essi erano pari ad euro 199.683,00, che nel 2006 l’utile di esercizio era stato pari ad euro 7584,00, che la differenza tra il valore ed i costi di produzione era pari ad euro 46.018,00.

Con riguardo ai documenti prodotti dalla società XXX s.r.l. in liquidazione con le memorie ex art. 183 n.2 c.p.c. si richiamano in particolare:

a) il doc. C), copia della quietanza mod. 24 per euro 55.976,31 effettuata in data 16 giugno 2007 e riferita al debito fiscale (IRES, IVA ed IRAP) per il periodo di imposta 2004;

b) i documenti V), Z), X), Y), A1), A2), A3), A4), A5), A6), A7) da cui risulta un abbattimento al 31 dicembre 2007 dei debiti con i fornitori sussistenti alla data del gennaio-aprile 2007;

c) i documenti L), M), A9) che comprovano un ripianamento delle posizioni debitorie sussistenti nei confronti degli istituti di credito.

Deve rilevarsi che il Tribunale ha rigettato con ordinanza del 22 maggio 2013 le prove orali dedotte dalle parti perché integralmente vertenti su circostanze già documentate in atti e che il YYY né in primo grado né nel presente giudizio ha in qualche un modo contestato le produzioni documentali di parte avversa, volte a comprovare, successivamente al contratto di compravendita ed alla corresponsione del prezzo, il pagamento di debiti scaduti alla data di detto contratto.

Deve pertanto ritenersi, con ogni ragionevole presunzione, che la vendita, avuto riguardo alla notevole consistenza dei debiti da soddisfare (e poi effettivamente soddisfatti) ed al valore dell’immobile, costituisse l’unico mezzo a cui la società XXX S.r.l. in liquidazione poteva far ricorso per procurarsi il denaro necessario per far fronte alla sua complessa situazione debitoria.

Letta la comparsa di costituzione dell’appellato si osserva per un verso che, alla luce della giurisprudenza di legittimità richiamata, non rileva che anche il suo debito fosse scaduto e per altro verso che è irrilevante per la ricorrenza della ipotesi esclusiva di cui al terzo comma dell’art. 2901 c.c. il fatto (eventuale) che la somma ricevuta a titolo di corrispettivo non sia stata utilizzata integralmente per estinguere debiti scaduti.

Alla luce delle esposte argomentazioni deve pertanto, in accoglimento dell’impugnazione scrutinata, concludersi che l’azione revocatoria ordinaria promossa dal YYY è infondata, dovendo essere conseguentemente riformata la sentenza appellata.

Non può infatti revocarsi in dubbio che l’appellante abbia assolto l’onere su di esso gravante di comprovare la ricorrenza dell’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 2901 c.c., dovendo conseguentemente l’atto dispositivo per cui è causa essere escluso dall’ambito di operatività della norma invocata dall’odierno appellato.

Le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza tra le parti costituite.

Per il giudizio di primo grado si condivide la quantificazione del Tribunale verso cui nessuna parte ha mosso osservazioni.

Per il presente giudizio premesso che “Il valore della causa relativa ad azione revocatoria si determina in base al credito vantato dall’attore, a tutela del quale viene proposta l’azione revocatoria stessa.” (così Cass., n. 3697/2020), si liquida a titolo di spese la somma di euro 4758,00 nulla riconoscendo per la fase di trattazione/istruttoria stante l’assenza di attività ed applicando la riduzione di cui all’art. 4 per le altre fasi considerata la semplicità delle questioni trattate.

Spese compensate per entrambi i gradi con l’appellato contumace.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte di Appello di Cagliari, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. 2734/2015 resa il 22 settembre 2015 e depositata in cancelleria il 24 settembre 2015 dal Tribunale di Cagliari proposto dalla società XXX S.r.l. in liquidazione nei confronti di YYY e con la chiamata in causa della ZZZ s.a.s. di Sandro ZZZ & C. così provvede in riforma della sentenza:

1. Rigetta la domanda proposta da YYY ai sensi dell’art. 2901 c.c.;

2. Condanna YYY alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio nei confronti della società XXX S.r.l. in liquidazione, spese che liquida per il primo grado in euro 3200,00 oltre spese generali, Iva e cpa e per il grado d’appello in euro 4758,00 oltre euro 1165,5 per spese vive, spese generali, Iva e cpa,

3. Spese compensate per entrambi i gradi del giudizio tra la società XXX S.r.l. in liquidazione e la ZZZ s.a.s. di *** & C.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte d’Appello del 20 ottobre 2021

La Presidente

Il Consigliere

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