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Codice Civile
Codice Penale

Situazione di possibile danno, prevedibilità

Situazione di possibile danno suscettibile di essere prevista attraverso l’adozione delle cautele normalmente attese e prevedibili.

Pubblicato il 04 June 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei sigg. magistrati:
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA n. 317/2021 pubblicata il 28/05/2021

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. /2016 R.G., introitata in decisione all’udienza collegiale del 09/11/2020 e vertente

TRA

COMUNE di XXX (P.I.), in persona del Sindaco e legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, giusta delibera della G.M. n. dell’11/10/2016 in atti, dall’ Avv.

APPELLANTE

E

YYY, (C.F.:), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall’ Avv.

APPELLATO

OGGETTO: – Appello avverso la Sentenza n. 357/2016 del Tribunale di Palmi

CONCLUSIONI

All’udienza del 09/11/2020 svoltasi con le modalità di cui all’art. 83, VII comma, lett. H) D.L. n. 18 del 2020 conv. con mod. in L. n. 77 del 2020, i difensori presenti precisano come da note a trattazione scritta depositate telematicamente dall’Avv. difensore dell’appellante il 14.10.2020, nonché dall’avv. difensore dell’appellato il 29.10.2020, nei termini assegnati col provvedimento del 08-10-2020 del Presidente del Collegio integrato coi Giudici Ausiliari, che si riportano:

Avv.:

<< L’Ente appellante precisa pertanto le conclusioni riportandosi ai propri atti, ai documenti prodotti ed ai verbali di causa, da intendersi qui integralmente trascritti. Chiede quindi in accoglimento del presente gravame, per tutte le ragioni esposte nella parte motiva della citazione in appello, la riforma integrale della sentenza n. 357/2016, emessa e depositata dal Tribunale Ordinario di Palmi, sezione civile, G.O.T. dott.ssa, (/2010 RG AC), in data 21/06/2016, ivi incluso il susseguente provvedimento di correzione di errore materiale del 28/09/2016. In via del tutto subordinata, nella denegata e quanto mai remota ipotesi di mancato integrale accogli-mento delle superiori istanze, chiede la parziale riforma della sentenza appellata, con riduzione della pretesa risarcitoria di parte attrice nella misura ritenuta di giustizia, sia in ragione della concorrente responsabilità del sig. YYY, sia in ragione dell’eccessiva quantificazione del danno da lesioni operata dal giudice di prime cure. Il tutto con condanna di controparte al pagamento delle spese e dei compensi di causa, per entrambi i gradi di giudizio, in favore dell’Ente appellante, oltre accessori come per legge. Chiede, altresì, la concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali ex art. 190 c.p.c..>>

Avv.:

<< ..La sottoscritta avv., nell’interesse di parte appellata, riportandosi agli atti e documenti di causa che qui si intendono integralmente richiamati precisa, nel modo che segue le proprie conclusioni: Voglia l’ Ecc.ma Corte adita , dichiarare inammissibile e comunque , rigettare perché destituito di fondamento giuridico e fattuale, l’appello proposto dal Comune di XXX, in persona del Sindaco p.t., avverso la sentenza n. 357/2016 del Tribunale di Palmi nonché avverso il provvedimento di correzione dell’errore materiale in sentenza del 28.09.2016 In subordine, si chiede che l’eventuale condanna al risarcimento del danno venga contenuta al minimo. In ogni caso, condannare parte appellante alle spese e competenze professionali difensive del doppio grado di giudizio, oltre rimborso forfettario 15%, iva e cpa. >>

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato il Sig. YYY citava in giudizio, innanzi all’intestato tribunale, l’Amministrazione Comunale di XXX, in persona del suo Sindaco l.p.r.t., al fine di ottenere il risarcimento del danno per le lesioni riportate a seguito dell’incidente occorsogli in data 31.5.2008.

Assumeva la parte attrice che in tale data, intorno alle ore 10.30, nel percorrere a piedi in discesa la scalinata di via *** dell’abitato di XXX, a causa della eccesiva vetustà dei gradini che si presentavano erosi dal tempo e malamente scoscesi, con ammanchi ed ammaloramenti non opportunamente segnalati, perdeva l’equilibrio e cadeva rovinosamente a terra, riportando gravi lesioni, tanto da rendersi necessario il ricovero presso la Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di XXX, dove le veniva diagnosticato: ” Trauma contusivo discorsivo al ginocchio sx “, che lo stesso era stato costretto a subire tutte le visite e le cure necessarie, e che ciò aveva determinato gravi danni alla persona.

Deduceva la responsabilità dell’Ente Comunale quale obbligato alla manutenzione della strada.

Il Comune di XXX si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda nel merito in quanto infondata.

La causa veniva istruita a mezzo di prova testi e c.t.u. medico legale.

All’udienza del 21.6.2016 le parti discutevano la causa ed il giudice decideva a mezzo della presente decisione contestuale.

Con sentenza n. 357/2016 del 21/06/2016 e depositata in pari data, il Tribunale di Palmi così decideva:

<< •Dichiara che il sinistro per cui è causa (meglio descritto in parte motiva) è attribuibile a responsabilità del Comune di XXX ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Per l’effetto, •Condanna II Comune di XXX al pagamento in favore della parte attrice per come in atti generalizzata dell’importo complessivo di euro 3.829.99 oltre interessi e rivalutazione dalla data del sinistro alla data di pubblicazione della sentenza, oltre interessi al tasso legale dalla data di deposito della presente sentenza e sino al soddisfo, a titolo risarcitorio per la causale specificata in parte motiva.

•Condanna il Comune di XXX a rifondere all’attore le spese del giudizio che liquida in complessivi euro 1600.00 (di cui euro 370.00 per spese), oltre spese gen., IVA e CP A come per legge da distrarsi a favore del procuratore costituito ex art 93 cpc.

•Pone definitivamente a carico del Comune di XXX le spese di CTU che liquida nella somma di euro 450.00 oltre accessori detratto l’acconto se versato e condanna la predetta convenuta a rimborsare all’attrice le somme eventualmente corrisposte in anticipazione provvisoria al consulente d’ufficio.>>

Con atto di appello regolarmente notificato, il Comune di XXX proponeva appello avverso la suddetta sentenza, chiedendo la riforma della stessa, asseritamente:

per l’omesso esame di fatti e circostanze, certamente decisivi ai fini del decidere; per l’assenza assoluta di idonei riscontri probatori a supporto della domanda di parte attrice; per la contraddittorietà ed illogicità delle conclusioni e per le plurime irregolarità formali del decisum.

Chiedeva:

<<la riforma integrale della sentenza n. 357/2016, emessa e depositata dal Tribunale Ordinario di Palmi, sezione civile, G.O.T. dott.ssa , (/2010 RG AC), in data 21/06/2016, ivi incluso il susseguente provvedimento di correzione di errore materiale del 28/09/2016, per tutte le ragioni esposte nella parte motiva del presente atto e, conseguentemente, – In via principale, accogliere il presente gravame e, per l’effetto, riformare integralmente la suddetta sentenza; – In via subordinata, nella denegata e quanto mai remota ipotesi di mancato integrale accoglimento delle superiori istanze, riformare parzialmente la sentenza appellata, riducendo la pretesa risarcitoria di parte attrice nella misura ritenuta di giustizia, sia in ragione della concorrente responsabilità del sig. YYY, sia in ragione dell’eccessiva quantificazione del danno da lesioni operata dal giudice di prime cure.

In ogni caso, condannare controparte al pagamento delle spese e dei compensi di causa, per entrambi i gradi di giudizio, in favore dell’Ente appellante, oltre accessori come per legge.

Si costituiva il signor YYY che contestava l’appello e chiedeva la conferma della impugnata sentenza.

Instaurato il contraddittorio all’udienza del 09.11.2020 entrambe le parti precisavano telematicamente le proprie conclusioni e la causa andava in decisione con le modalità di cui all’art. 83, VII comma, lett. H) D.L. n. 18 del 2020 conv. con mod. in L. n. 77 del 2020 con provvedimento comunicato in data 30.11.2020, con la concessione dei termini ex artt. 190 e 352 c.p.c. per il deposito di conclusionali e di repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La difesa di parte appellante lamenta gravi carenze, incongruenze e l’illogicità manifesta da cui risulterebbe affetta integralmente la sentenza appellata nella parte motiva, considerato che nella stessa, intanto, non è possibile rinvenire alcuna delle <<plurime, dettagliate e circostanziate eccezioni formulate dall’appellante>>, tanto da non comprendere, la stessa difesa, << in che modo lo striminzito richiamo alle dichiarazioni rese dall’unico teste escusso sia potuto risultare funzionale alla decisione del giudicante>>, ed evidenziando, soprattutto, che nella stessa sentenza vi sono espressi e plurimi riferimenti ad episodi e situazioni che non afferiscono la fattispecie in esame.

Sostiene, infatti, la medesima difesa che la impugnata sentenza non produce risultati apprezzabili sotto il profilo della ragionevolezza, e ciò in quanto, nella parte in cui vengono esaminati i fatti necessari a dimostrare l’esistenza di un pericolo occulto, non prevedibile e non segnalato, il primo Giudice fa riferimento a circostanze che chiaramente non afferiscono ai fatti di causa bensì ad un giudizio diverso, visto che viene fatto riferimento a cantieri, scavi e lavori in corso sulla sede stradale di cui non vi è traccia in citazione, nonché ad un incidente stradale, laddove l’attore è caduto, invece, da una scalinata, e, addirittura, perfino ad una declaratoria di contumacia della P.A. (al contrario regolarmente costituita).

Da quanto sopra discenderebbe che la sentenza censurata è viziata a causa dell’omesso esame di fatti e circostanze, certamente decisivi ai fini del decidere, per la carenza assoluta di idonei riscontri probatori a supporto della domanda di parte attrice, per la contraddittorietà ed illogicità delle conclusioni cui giunge e per le plurime irregolarità formali, per l’assenza sostanziale di motivazione.

In proposito, occorre preliminarmente qui ricordare che la fattispecie della responsabilità per danni da cose in custodia può dirsi regolata dai seguenti principi di diritto:

– l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione di responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;

– la deduzione di omissioni, ovvero la deduzione di violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento;

– il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento.

A tal fine, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, 1° co. c.c.; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà, espresso dall’art. 2 Costituzione.

Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.

In sostanza, può dirsi che quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno.

Tali principi di diritto, sono stati anche di recente ribaditi dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2480 del 1/2/2018.

In linea generale la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto, tra il custode e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte o possano insorgere e/o di escludere i terzi dal contatto con la cosa.

Come detto, detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione «iuris tantum» della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (cfr., ex multis, Cass., 1 aprile 2010, n. 8005 la quale — in relazione ad una controversia per il risarcimento dei danni patiti dai congiunti di persona deceduta a seguito delle gravissime lesioni riportate per la caduta, all’interno di un negozio di elettrodomestici, da una scala che dava accesso ad una zona antistante il locale medesimo – ha confermato la sentenza della corte territoriale che, valutati esaurientemente tutti gli elementi del caso concreto, aveva ritenuto insussistente la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del titolare dell’esercizio commerciale, per non aver gli attori provato che la morte della propria congiunta era stata conseguenza normale della particolare anzidetta condizione del locale ove era accaduto il sinistro).

In definitiva, la norma dell’art. 2051 cod. civ. non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra il bene in custodia ed il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. (Cass., 11 marzo 2011, n. 5910).

Quanto al contenuto della prova da darsi da parte del danneggiato, oltre a quella relativa al fatto che l’incidente si sia effettivamente verificato nel luogo d’incidenza delle particolari condizioni della cosa, va fornita la prova che esso appaia come conseguenza normale di queste condizioni, potenzialmente lesive, possedute dalla cosa (cfr. Cass. n. 5977/2012), non necessariamente per la sua intrinseca pericolosità, ma tali che la cosa, per la sua natura o per l’insorgenza in essa di agenti dannosi (cfr. Cass. n. 28811/2008), sia stata causa dell’evento dannoso.

Orbene, nel caso di specie il sinistro ebbe a verificarsi durante la discesa di uno scalone di un edificio monumentale in pietra lucida e ad andamento curvilineo; scalone privo di corrimano e di strisce antisdrucciolo.

Il Giudice di primo grado avrebbe dovuto verificare se la caduta dell’attore, oggi appellato, fosse da ricondurre alle condizioni in cui versava la scalinata (e cioè se il danneggiato fosse caduto a causa delle condizioni manutentive della scala).

Nella fattispecie in esame, il danneggiato ha dimostrato le «modalità» della caduta, ma a detta dell’appellante sarebbe rimasto indimostrato «il fatto della cosa» quale causa del danno, ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Sul punto non può non evidenziarsi che spetta al danneggiato l’onere della prova alla condizione potenzialmente lesiva della cosa in custodia.

Infatti, qualora, come nella fattispecie, venga in rilievo una cosa di per sè inerte, la cui dannosità può esplicarsi solo congiuntamente all’azione altrui, in occasione dell’uso o del contatto con il comportamento umano, quale appunto una strada o una pavimentazione di un locale, una scala, etc., la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. richiede la dimostrazione che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.) (in tal senso Cass., 13 marzo 2013, n. 6306; Cass., 5 febbraio 2013, n. 2660).

Ed in proposito è corretto e pertinente il principio di diritto per il quale il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicché una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante (Cass. n. 16527/03, nonché Cass. n. 20601/10).

Inoltre la cosa va valutata nella sua globalità ed in tutte gli aspetti che la caratterizzano ai fini dell’uso normale di essa.

Orbene, poiché la sentenza di primo grado è carente di riferimenti a positivi riscontri probatori su questo punto, questa Corte deve valutare, alla luce delle prove già acquisite, se il danneggiato ha o meno provato di essere caduto «a causa» della scala.

In proposito, si rileva che l’unico testimone di parte attrice sentito all’udienza dell’1/04/2011, sig. ***, dopo aver affermato di aver assistito all’incidente in quanto aveva accompagnato l’attore con il suo motorino a casa dei nonni, ha espressamente dichiarato: <<… io mi sono fermato davanti le scale che da Via *** portano in via *** ed ho visto che YYY è caduto nelle scale, le quali sono in pessime condizioni. Le scale sono ripide e rotte>>; precisando, altresì: <<iIl signor *** è scivolato dopo aver sceso due o tre gradini>>.

E dunque non vi è dubbio che, in radicale assenza di prova contraria il danneggiato ha ut supra dimostrato sia le «modalità» della caduta, che «il fatto della cosa» quale causa del danno, ai sensi dell’art. 2051 c.c.

S’è detto, retro, di cosa la responsabilità di cui all’art. 2051 cc., richiede la dimostrazione.

Qui gioverà aggiungere che, oltre ai detti del ***, conferma del fatto che la scala non fosse in buone condizioni si deduce anche dalla stessa circostanza riportata dalla difesa appellante, secondo cui << L’attore era già caduto poco tempo prima esattamente nello stesso sito del sinistro>>; elemento che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa appellante, dimostra non già una condotta di colpa concorrente (se non esclusiva) del danneggiato – quale arguibile dall’usare d’una scalinata così precaria senza particolari accortezze quanto, e piuttosto, l’effettiva pericolosità intrinseca della scala (nel senso che, se la scalinata veniva utilizzata secondo i criteri dell’ordinarietà, nella sua peculiare situazione di fatto di degradato stato di conservazione permaneva un margine di rischio di caduta superiore a quello che si sarebbe corso nelle condizioni di normale sua manutenzione.

Per cui non vi è dubbio che di tale rischio dovesse (e deve) rispondere il custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., essendo funzione della norma quella di imputare la responsabilità a chi si trovi nelle condizioni di potere e dovere controllare i rischi della cosa (cfr. Cass. n. 15429/04, n. 4279/08, n. 11016/11), a prescindere dalla valutazione del suo comportamento in termini di colpa (cfr., tra le tante, Cass. n. 4279/08, n. 20427/08), in specie per non aver adottato misure idonee a ridurre o eliminare detto rischio potenziale.

Nel caso di specie è dunque fondata la domanda risarcitoria proposta ai sensi dell’art. 2051 c.c., sul presupposto che il soggetto danneggiato ha fornito sufficiente prova tanto dell’evento dannoso, costituito da una rovinosa caduta dallo scalone monumentale di un edificio, quanto delle peculiari condizioni della cosa che lo ha provocato, trattandosi di scalinata di per sé scivolosa, in ragione della sua conformazione (curvilinea) e dello stato dei suoi gradini (parzialmente dissestati ed in pietra levigata dal consumo).

I vizi intrinseci o fisiognomici della cosa in custodia, infatti, vanno ricondotti all’interno della responsabilità del custode, a meno che il loro emergere non sia stato così repentino o così immediato rispetto al sinistro da integrare il caso fortuito, non essendo comunque esigibile un intervento di controllo continuato o comunque collocato a brevissima distanza di tempo dal primo evidenziarsi del fattore di pericolo dovuto a cause esterne.

In tal senso è stato ripetutamente affermato in sede di legittimità che:

“la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla medesima responsabilità ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee, e create da terzi, non conoscibili nè eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione”; e pure che:

“La responsabilità ex art. 2051 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra il soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa, tale relazione non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità” (Nel caso in esame veniva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per responsabilità da cose in custodia in favore di un soggetto caduto rovinosamente a causa di una buca sul manto stradale molto sconnesso. Cassazione civile, sez. III, 29/07/2016, n. 15761).

Quanto poi all’ipotesi del caso fortuito, per costante giurisprudenza si ritiene che esso ricorre anche laddove lo stesso evento sia esclusivamente ascrivibile alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il rapporto eziologico tra la res e l’evento stesso.

Poiché, dunque, responsabilità oggettiva e fortuito involgono entrambi ed in concreto l’accertamento, da condurre alla stregua dei criteri dettati dall’art. 41 c.p., del reciproco dispiegarsi dei vari fattori causali e la ricerca dell’effettivo antecedente dell’evento dannoso, l’indagine sulla condotta del danneggiato potrà alternativamente condurre:

a negare ad essa ogni rilievo causale (ed in tal caso dovrà essere affermata la responsabilità oggettiva del custode);

o, al contrario, ad attribuirle valenza causale autonoma ed esclusiva (con conseguente esclusione di detta responsabilità);

o infine – ipotesi intermedia – ad assegnarle un valore causale concorrente (ed in tal caso, dovrà essere affermata la responsabilità del custode, da diminuire ai sensi del primo comma dell’art. 1227 c.c.).

La prova del fortuito da parte del custode si sostanzia quindi nella dimostrazione che il danno lamentato è dovuto ad un evento non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza e di quanto il medesimo avrebbe dovuto fare ed ha fatto per evitare il danno, ovvero dell’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento lesivo (Cass. civ., 28 giugno 2012, n. 10860; Cass. civ., 9 maggio 2012, n. 7037).

Ciò posto, nel caso in esame dall’esame della espletata prova testimoniale emerge, in primo luogo, una totale assenza di prova da parte del convenuto Comune di XXX sul caso fortuito o sul comportamento assolutamente negligente della parte attrice.

Di contro, invece, questa è riuscita a superare la presunzione di colpevolezza dimostrando il nesso di causalità tra l’evento e i danni riportati.

In ogni caso, l’ente convenuto aveva l’obbligo e il dovere di vigilare a che la scalinata su cui si è verificato il sinistro fosse <<mantenuta senza creare situazioni di pericolo per i cittadini ed in genere per gli utenti, predisponendo ogni opportuna attività al fine di rendere quanto più possibile sicuro l’utilizzo dell’area>>.

Alla luce delle superiori argomentazioni è allora indiscussa la responsabilità esclusiva ex art. 2051 c.c. in capo al convenuto Comune e, pertanto, l’appello sul punto non può essere accolto

Il rigetto del superiore motivo di appello assorbe gli altri

2. Le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sull’atto di appello proposto da Comune di XXX, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 357/2016 depositata dal Tribunale di Palmi, il 21/06/2016 pubblicata in pari data:

1) rigetta l’appello e conferma l’impugnata sentenza;

2) condanna il Comune di XXX, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione in favore di parte appellata delle spese del secondo grado di giudizio, che liquida in € 1.577,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA come per legge.

3) dichiara sussistere a carico dell’appellante p.a. l’obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la sua impugnazione ex art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio dell’8/3/2021

 Il Giudice ausiliario estensore

 Il Presidente

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