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Legge 104, comportamento del prestatore di lavoro

Legge 104, comportamento del prestatore di lavoro subordinato che si avvalga del permesso non per l’assistenza al familiare, abuso del diritto

Pubblicato il 11 July 2019 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie composta dai Sigg. Magistrati:

alla udienza pubblica del 16.5.2019 ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 2939/2019 pubblicata il 09/07/2019

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2019 vertente

TRA

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. ed elettivamente domiciliato in, presso lo studio del difensore, giusta procura alle liti in calce al presente reclamo

RECLAMANTE

E

YYY SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. ed elettivamente domiciliato in, presso lo studio del difensore giusta procura notarile alle liti, in atti;

RECLAMATA

Oggetto: reclamo avverso la sentenza n. /2019 del Tribunale di Roma, pubblicata il 31.1.2019 CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da rispettivi atti

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la gravata sentenza, emessa all’esito del giudizio di opposizione ex art. 1/51° c. legge n. 92/2012- giudizio tempestivamente proposto da XXX avverso l’ordinanza ex art. 1/49° c. del Tribunale di Roma, n.11307/2017 pubblicata il 29.11.2017 il Tribunale di Roma ha respinto l’opposizione restando così confermato il licenziamento intimato al XXX dal datore di lavoro YYY spa, in data 14 Dicembre 2016, per motivi disciplinari a seguito dell’accertamento di fatti di rilevanza penale, svolto davanti al Tribunale penale di cui alla sentenza di condanna n./2016 del 14.10.2016.

Il XXX affida il reclamo a un articolato motivo di censura e in particolare contesta l’errata valutazione dei fatti da parte del Giudice di prime cure che non avrebbe tenuto conto della contraddittorietà della contestazione disciplinare, delle eccezioni del ricorrente avverso l’acquisizione della prova sui fatti contestati; dell’erroneità nel considerare proporzionata la sanzione rispetto ai fatti contestati.

Conclude chiedendo la riforma della sentenza e per l’effetto che sia dichiarata la nullità/inefficacia o illegittimità del licenziamento e la sua immediata reintegra nel posto di lavoro oltre al pagamento di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegra.

Si è costituita in giudizio l’YYY contestando il ricorso e chiedendone il rigetto.

La società ha evidenziato al riguardo la regolarità della procedura seguita, sul piano formale e sostanziale e l’infondatezza delle ragioni del reclamante.

All’udienza del 16 Maggio 2019, la Corte, espletate le formalità ex art.437, II comma cpc, ha posto la causa in riserva.

a) Errata valutazione dei fatti.

Il reclamante contesta che il Tribunale non ha correttamente valutato i fatti svolti e, in particolare, che il Giudice dell’opposizione non ha tenuto conto della contraddittorietà della contestazione mossa all’allora ricorrente dalla società, inizialmente con riguardo all’assenza ingiustificata e successivamente con riferimento alla rapina contestata allo stesso davanti al Tribunale penale ed accertata con sentenza non passata in giudicato in quanto oggetto di gravame.

Orbene si osserva.

La fattispecie che ci occupa non può che essere connessa con la necessità per l’azienda di rilevanti dimensioni come l’YYY, odierna reclamata, abbia di svolgere gli accertamenti al fine di elevare la corretta contestazione al dipendente per il quale si evinca la commissione di una violazione. Sicché, è evidente che il compimento di tale accertamento richiede il tempo necessario e la chiarezza necessaria per la comminazione della sanzione adeguata.

E’ certamente nota la giurisprudenza che con riferimento al tempo di svolgimento prende altresì in considerazione tali necessità laddove per esempio si è affermato che “in tema di procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente di datore di lavoro privato, la regola desumibile dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, secondo cui l’addebito deve essere contestato immediatamente, va intesa in un’accezione relativa, ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati (da effettuarsi in modo ponderato e responsabile anche nell’interesse del lavoratore a non vedersi colpito da incolpazioni avventate), soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione unitaria, sicché l’intimazione del licenziamento può seguire l’ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale da quelli precedenti” ( v. Cass., 17.9.2008, n. 23739).

Il rispetto di tale principio va quindi verificato:

a) tenendo conto della complessità dell’organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica, ove comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere, sicché risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti ( v. Cass., 22.10.2007, n. 22066);

b) nel caso di illecito continuato, “con riferimento al momento di cessazione della continuazione, dovendosi ritenere che in tale momento il datore di lavoro abbia la possibilità di valutare i fatti nel loro insieme e stabilire la congrua sanzione da infliggere” ( v. Cass.,1.2.2010, n. 2283);

c)avendo riguardo al momento in cui il datore di lavoro ha avuto effettiva conoscenza dei fatti contestati, “non potendo, nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno strumento di lavoro, ritorcersi a danno del datore di lavoro l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente, o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell’illecito, ovvero supporsi una tolleranza dell’azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente” (v. Cass., 8.3.2010, n. 5546; Cass., 15.10.2007, n. 21546).

Nel caso in parola ciò che si contesta alla società non è il trascorrere del tempo, bensì la contraddittorietà della contestazione disciplinare, pur non collegando tale “difetto”, come si sarebbe dovuto, alla impossibilità di porre il dipendente in condizione di difendersi adeguatamente, e si eccepisce che il datore di lavoro ha contestato inizialmente l’assenza ingiustificata per concludere infine il procedimento disciplinare con la comminazione della destituzione per la gravità dei fatti. Tali contestazioni risultano infondate in quanto: XXX ha ricevuto una prima contestazione disciplinare in data 16 ottobre 2012 con riferimento all’assenza ingiustificata del 20 luglio 2012 e a seguito della lettera inviata dal difensore del medesimo lavoratore che soltanto il 18 settembre 2012 aveva comunicato all’azienda che il proprio assistito era ristretto presso la casa circondariale di Terni, accusato di avere preso parte a una rapina.

L’azienda quindi, appreso in tale circostanza che i fatti di cui era accusato il lavoratore erano circostanziati e riferiti a una rapina cui avrebbe preso parte il medesimo il 14.1.2011, aveva proceduto a integrare la contestazione disciplinare con lettera del 28 gennaio 2013, evidenziando che a seguito di ulteriori accertamenti effettuati sulla posizione del XXX stesso, era emerso che nei giorni del 14.1.2011 (quello della rapina) e 26.6.2012 (in cui si ritrovava già ristretto presso la casa circondariale di Terni), egli risultava altresì di avere beneficiato di permessi di cui alla legge n.104/1992, per assistere la suocera ***. Successivamente, dopo avere recepito le giustificazioni del lavoratore e dopo la comunicazione della sentenza del Tribunale di Roma che ha statuito la responsabilità di questi per le violazioni penali ascrittegli, il datore di lavoro ha comminato il licenziamento, oggi impugnato.

Alla luce dei principi sopra richiamati la società ha quindi rispettato l’iter del procedimento disciplinare (peraltro non contestato) nonché i tempi e i modi per l’esercizio di tale potere necessari per la comminazione della sanzione più adeguata, nel rispetto del diritto di difesa del lavoratore che ha infatti avanzato le sue difese. Al riguardo deve tenersi conto dell’apprendimento in fieri delle circostanze e dei fatti addebitati al lavoratore e quindi proprio avendo riguardo al momento in cui il datore di lavoro ha avuto effettiva conoscenza di tutti i fatti contestati è stata inflitta la massima sanzione del licenziamento, ritenuta la più adeguata alla violazione contestata.

Il licenziamento, conseguente alla verifica di una lesione irreversibile del vincolo fiduciario, è fondato proprio sull’accertamento della verità di quei fatti: la partecipazione a una rapina da parte del lavoratore che nel medesimo giorno usufruiva di un permesso ex legge n.104/1992. Tale accertamento ha impegnato il tempo necessario per lo svilupparsi delle indagini penali.

Il lavoratore contesta altresì che il Tribunale dell’opposizione, di cui all’ordinanza oggi reclamata, abbia addossato a lui l’onere della prova della prova circa l’insussistenza dei fatti e in particolare circa la sua presenza sul luogo della rapina. Ritiene il Collegio che lo svolgimento logico del Tribunale sia invece sul punto condivisibile posto che come già evidenziato dal Giudice di prime cure il comportamento del lavoratore in violazione di tali permessi, integra un abuso del diritto. Ciò è stato espressamente affermato dagli ultimi arresti giurisprudenziali in materia laddove è stato ancora una volta chiarito che: “Il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso del diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente, ed integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale” (Cass.Sentenza n. 4984 del 04/03/2014).

Pertanto risulta corretto lo svolgimento dell’iter logico-giuridico del Tribunale che dopo avere verificato gli elementi richiamati a sostegno dall’azienda e consistiti in fatti accertati nel corso dell’indagine penale oltre che il dato obiettivo che l’assenza di quelle giornate era “coperta” da permessi ex legge n.104/1992, ha onerato il lavoratore di produrre i tabulati telefonici, che questi però non ha prodotto. Tale allegazione era stata ritenuta necessaria per la verifica dell’agganciamento delle celle telefoniche e, quindi per la verifica che il XXX non si trovasse sul luogo della rapina come contestato, dunque nel suo interesse e a sostegno della sua linea difensiva secondo lo schema tipico della distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 2967 c.c. Ne consegue che non si riscontrano, anche sotto tale profilo, gli errori contestati con il reclamo oggi in esame e l’ordinanza va confermata.

Quanto alla proporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto ai fatti addebitati, il motivo di reclamo risulta infondato.

Valgono al riguardo innanzitutto le considerazioni svolte in precedenza e più esattamente: la verifica di fatti che via via che venivano accertati risultavano di maggiore gravità; l’obiettitivà degli stessi; l’assoluta assenza di buona fede da parte del lavoratore che aveva taciuto ogni circostanza, persino quella di essere ristretto presso la casa circondariale mentre stava usufruendo un permesso per l’assistenza del parente disabile.

Il reclamo va conseguentemente respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza, come di norma.

Deve darsi atto che sussistono le condizioni di cui all’art.13, comma 1 quater del TU di cui al DPR 30.5.2002, n.115 ( a seguito delle modifiche introdotte dall’art.1, comma 17, legge 24.12.2012, n.228).

PQM

La Corte, a scioglimento della riserva del 16 Maggio 2019

Respinge il reclamo;

Condanna XXX al pagamento delle spese del grado che liquida in € 3.307,00, oltre

IVA e CPA, come per legge e spese generali nella misura del 15%;

Dà atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato

Così deciso alla camera di consiglio del 16.5.2019

Il Consigliere est.
Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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