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Codice Civile
Codice Penale

La nozione di costruzione è unica ex art. 873 c.c.

La nozione di costruzione è unica e non può subire deroghe da parte di fonti secondarie sia pure al fine del computo delle distanze

Pubblicato il 17 April 2019 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale ordinario di Avezzano

In composizione monocratica in persona del giudice, dott.,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA  n. 222/2019 pubblicata il 15/04/2019

nella causa iscritta al ruolo generale degli affari contenziosi n dell’anno 2016, trattenuta in decisione all’udienza del 14 gennaio 2019,  e vertente

TRA

Ø  XXX (cf) rappresentato e difeso dall’avv. del foro di Avezzano ed ivi elettivamente domiciliato presso il suo studio giusta procura in atti; attore

E

Ø  YYY (cf), ZZZ (cf:) rappresentati e difesi dall’avv. foro di Avezzano ed ivi elettivamente domiciliati presso il suo  studio giusta procura in atti;

convenuti

Oggetto: azione negatoria servitutis e di risarcimento danni;

Conclusioni:  I procuratori delle parti hanno concluso come da verbale in atti

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con citazione, ritualmente notificata (per compiuta giacenza) il 1 giugno 2016, l’attore, premettendo di essere proprietario rectius comproprietario dell’immobile sito in evocava in giudizio le controparti per sentirle condannare alla demolizione della falda in legno del tetto sporgente sulla sua proprietà, all’eliminazione delle soglie in marmo e della zoccolatura poste alla base del muro a confine, alla regolarizzazione delle luci poste  a distanza inferiore a quella legale, alla eliminazione degli scoli ed infine al risarcimento dei danni patrimoniali e non da accertarsi in corso di causa.

A supporto della domanda, il XXX assumeva che tali violazioni erano state poste in essere nel corso del lavori di ristrutturazione dell’immobile delle controparti posto sul confine lato nord ed assentiti dal Comune di in forza di SCIA n. del 2013.

Aggiungeva che si trattava di interventi successivi rispetto ad altre irregolarità già riconosciute da una precedente sentenza del Tribunale di Avezzano (n. 3/12).

Nonostante il perfezionamento della notifica, i convenuti non si costituivano in giudizio e di conseguenza ne veniva correttamente dichiarata la contumacia.

Tuttavia, con comparsa depositata in via telematica il 22 giugno 2017 (quando erano stati concessi già i termini ex art 183 comma VI cpc ed ammesso l’interpello), i coniugi YYY-ZZZ si costituivano in giudizio eccependo preliminarmente l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione, chiedendo inoltre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri proprietari dell’immobile identificato al fg p.lla, di essere rimesse in termini e deducendo l’infondatezza della domanda in quanto i lavori erano stati realizzati su autorizzazione della controparte.

Revocata la contumacia, la causa veniva quindi istruita mediante l’acquisizione delle produzioni documentali offerte dalle parti, l’interpello della YYY, l’escussione dei testi di parte attrice ed infine attraverso l’espletamento di una CTU.

Completata l’istruttoria, veniva fissata la precisazione delle conclusioni ed all’udienza del 16 gennaio 2019, dopo un rinvio, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione del doppio termine di cui all’art. 190 cpc di giorni quaranta per il deposito di comparse conclusionali e di giorni venti per eventuali repliche.

2. Preliminarmente, vanno svolte alcune considerazioni sulle questioni preliminari sollevate dai convenuti.

2.1. La richiesta di rimessione in termini non può essere accolta in quanto è dimostrato per tabulas il perfezionamento della notifica del libello introduttivo in data 1 giugno 2016 per compiuta giacenza.

Ne deriva che, in assenza di elementi in grado di consentire un diverso inquadramento dei fatti (e che era onere degli stessi convenuti indicare), non è possibile disporre la rimessione in termini e pertanto alla costituzione tardiva, peraltro avvenuta dopo la scadenza dei termini ex art 183 comma VI cpc consegue anche l’inutilizzabilità di qualsivolgia documentazione prodotta.

2.2. Parimenti infondata deve ritenersi la questione relativa all’improcedibilità della domanda avendo l’attore dimostrato per tabulas l’esperimento, con esito negativo, della procedura di mediazione.

2.3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riguardo all’integrazione del contraddittorio.

La giurisprudenza sul punto risulta chiara prevedendo che se il fondo appartiene a più proprietari, l’azione negatoria può essere esercitata da e contro uno solo di essi senza l’indispensabilità di instaurare il contraddittorio attivo o passivo eccetto nel caso, diverso però rispetto a quello che ci occupa, in cui l’esperimento dell’azione si propone la rimozione di opere comuni attraverso cui la servitù viene esercitata (cfr Cass Civ, 10470/2001; Cass Civ, 6976/1986).

In altri termini, si vuol significare che l’indispensabilità dell’integrazione del contraddittorio, chiaramente finalizzata a scongiurare l’effetto che la decisione resa risulti inutiler data nei confronti di colui che comunque vanti un diritto dominicale sul bene, sussiste essenzialmente nel lato passivo e quindi nell’ipotesi in cui all’accoglimento della domanda consegue un mutamento della situazione fattuale.

Orbene, nel caso di specie è risultato (cfr la visura catastale prodotta da parte attrice- doc 4 della seconda memoria ex art 183 cpc) che il XXX è comproprietario, nella misura di ¼ dell’immobile sito in e distinto al fg p.lla.

Per tali ragioni, quindi, la questione sollevata dai convenuti non può che essere rigettata.

3. Fatta in tal modo chiarezza sulle questioni preliminari la controversia ben può essere sin da subito delibata nel merito.

 Si impone, anzitutto, di impone di procedere ad un corretto inquadramento della domanda ed a tale fine deve rilevarsi che, anche di recente, la Suprema Corte, dando in tal modo continuità ad un orientamento interpretativo consolidatosi nel tempo, ha stabilito che l’azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell’actio negatoria servitutis e pertanto essa non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell’immobile a cui favore l’azione viene esperita, essendo sufficiente che l’attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto (cfr Cass Civ, Sez II, 15.2.2018 n. 3739).

Nel caso di specie, tale onere probatorio può ritenersi ampiamente assolto in quanto la circostanza non è stata contestata dai convenuti (i quali ben vi avrebbero potuto pur essendosi costituiti tardivamente trattandosi di una condizione dell’azione proposta) ed inoltre l’attore ha, come peraltro già anticipato, prodotto la visura catastale che, anche se in via residuale e con valenza meramente presuntiva, costituisce valida prova ai fini del riconoscimento del diritto dominicale in capo al XXX.

Tanto considerato, i singoli profili di doglianza indicati dall’attore nel libello introduttivo del giudizio devono essere vagliati partitamente.

   3.1. Occorre partire dalla falda del tetto ed a tal fine merita osservare quanto segue.

Non vi è contestazione sul fatto che nel 2013 (e quindi successivamente all’altro contenzioso già celebratosi tra le parti e di cui a breve meglio si dirà), i convenuti hanno provveduto ad eseguire un intervento di ristrutturazione del proprio fabbricato mediante demolizione  e ricostruzione assentita con SCIA n. del 2013.

In particolare, l’intervento ha riguardato la parete lato nord a confine con la proprietà XXX.  Al fine di corroborare le proprie asserzioni, l’attore ha depositato una perizia (confermata peraltro integralmente nel suo contenuto dall’geom. *** escusso all’udienza del  28 giugno 2017) in cui si dà atto delle sporgenza della falda del tetto in legno di nuova progettazione o meglio e più correttamente della gronda di copertura, per 50 cm rispetto alla sagoma del fabbricato del XXX.

Tale circostanza, invero, è stata confermata anche all’esito della CTU espletata in corso di causa che ha rilevato unicamente una sporgenza molto più contenuta della gronda rispetto a quanto dedotto dall’attore nel libello introduttivo.

 In effetti, l’esperto ha concluso affermando che “La gronda aggetta sul fondo del ricorrente in misura variabile tra 10 e 20 cm lungo il fronte del muro di confine” (cfr pag. 3 della risposta alle osservazioni).

Tale soluzione deve essere condivisa in quanto espressione di un percorso logico ed argomentativo immune da censure e rilievi di sorta.

Innanzitutto, diversamente rispetto a quanto sostenuto dal perito di parte attrice (cfr pag. 4 della consulenza), le conclusioni del CTU sono state supportate all’esito di misurazioni effettuate con strumentazione altamente sofisticata (come direttamente desumibile anche dagli stessi rilievi fotografici prodotti- cfrpag. 3 della CTU) nonché dalla condivisibile considerazione (peraltro neppure adeguatamente confutata in corso di causa) che la parete a confine con il terreno di proprietà dell’attore “pur avendo le sembianze di una superficie solida, di fatto è costituita da circa 380 milioni di punti disposti secondo proprie coordinate spaziali, quindi misurabili” (cfr pag 3 della CTU).

Di contro, il perito di parte attrice ha argomentato le proprie conclusioni (poi integralmente trasfuse nel libello introduttivo del giudizio) su un mero confronto della “pianta della copertura con la sagome dei piani sottostanti” (cfr pag 4 della relazione geom. ***).

A voler scendere ancor più nel dettaglio, nella valutazione della questione deve tenersi conto (circostanza del tutto pretermessa dal perito di parte attrice) della presenza (peraltro ampiamente documentata dalla riproduzioni fotografiche allegate alla CTU) di uno sperone che costituisce “una porzione residua dell’originario muro, così come era edificato prima che il fabbricato dei convenuti venisse demolito e ricostruito. Lo stesso sarebbe stato lasciato per testimoniare la preesistente posizione del muro. Anche l’attore ha affermato che non si tratta di un sopralzo della nuova muratura realizzata dal convenuto con i nuovi lavori, ma di una porzione pregressa” (cfr pag. 6 della CTU).

Ed allora, concludendo, può agevolmente affermarsi che la sporgenza del tetto che aggetta sul terreno di proprietà del XXX risulta variabile tra i 10 ed i 20 cm.

Non colgono, allo stesso tempo, nel segno le osservazioni svolte dalle parti convenute che a tale riguardo si sono limitate a dedurre che l’aggetto è conforme a quello previsto in una concessione edilizia del 1989.

Tuttavia, le foto prodotte al CTU nel corso del primo accesso non possono ritenersi utilizzabili in quanto non presenti agli atti di causa.

Attese quindi le modeste dimensioni dell’aggetto sul terreno dell’attore, si tratta, alla luce dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza, di stabilire se ricorrono le condizioni per l’applicazione della disciplina delle distanze legali.

Sul tema, non può non tenersi conto di un recentissimo arresto della giurisprudenza di legittimità in cui è stato specificato che “La nozione di costruzione è unica, ai sensi dell’art. 873 c.c., e non può subire deroghe da parte di fonti secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, atteso che il rinvio a norme integrative contenuto nell’ultima parte dell’art. 873 c.c. riguarda la sola possibilità, per tali norme, di stabilire un distacco maggiore di quello codicistico. In particolare, non sono computabili per la misurazione delle dette distanze esclusivamente le sporgenze esterne del fabbricato con funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica quelle aventi particolari proporzioni, come gli aggetti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità ed ampiezza, poiché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, essendo destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati” (cfr Cass Civ, Sez II, 2.10.2018 n. 23845).

Orbene, facendo buon governo del principio di diritto sin qui enunciato deve concludersi che la sporgenza, assai contenuta nelle sue dimensioni, non integra un’ipotesi di nuova costruzione e di conseguenza non può neppure essere soggetta al regime delle distanze.

La domanda pertanto di parte attrice non punto non può che essere rigettata.

 3.2. Ad analoghe conclusioni, seppur mediante un diverso percorso argomentativo, deve pervenirsi con riguardo alla richiesta di “eliminazione delle soglie in marmo e della zoccolatura in pietra incerta posta alla base del muro sporgenti dal fabbricato dei convenuti” (cfr pag 5 punto 2 della citazione).

 La CTU espletata in corso di causa ha rilevato quanto segue: “le soglie delle aperture realizzate sulla parete a confine con il ricorrente, che attualmente sporgono dal muro di circa 4,5 cm, rimarrebbero comprese all’interno della proprietà dei convenuti. Infatti, al fine di consentire ai CTP di verificare quanto appena asserito, posto che:

–  la parete in esame misura mt 8.50 dal punto “A” al punto “B”.

–  il punto più esterno delle nuove aperture è collocato a mt 3,25 dal punto “B” più volte citato e, quindi, mt 5,25 dal filo opposto del fabbricato –punto “A”;

–  all’altezza della soglia più bassa, a causa del fuori piombo rilevato, lo sperone sporge dal paramento esterno del nuovo muro di circa 8,0 cm;

–  un triangolo che ha base di cm 850 ed altezza di cm 8,0 è simile ad un triangolo che ha base di cm 525 ed altezza di cm 4,9. Motivo per il quale le soglie ricadono all’interno del preesistente muro” (cfr pag. 9 della CTU).

L’esperto ha inoltre aggiunto che “la zoccolatura al piede del muro è certamente nella proprietà dei convenuti in misura pari alla metà della sua lunghezza a partire dal vertice “B”; – per l’eccedente, in ragione delle ipotesi ed incertezze riassunte all’inizio della presente conclusione, parte della zoccolatura potrebbe essere ancora interamente compresa nella proprietà dei convenuti oppure restare eccedente per una larghezza media di circa 2,5 cm (misura che, in un cantiere edile tradizionale, è insussistente)” (cfr pag. 12 della CTU).

Giova, infine, sottolineare che le risultanze della CTU su tale profilo non sono state adeguatamente contestate e dunque devono essere integralmente recepite.

Per mero spirito di completezza, nella relazione del geom. *** è contenuto unicamente il richiamo alla precedente sentenza n. /2001 (peraltro neppure prodotta e diversa anche rispetto a quella menzionata nell’atto di citazione) e segnatamente al passaggio in cui è riportato “va infine accolta la domanda volta ad ottenere condanna dei convenuti all’eliminazione delle soglie in marmo delle finestre di cui innanzi, atteso che dette soglie sporgendo sul suolo dell’attore, ne violano il diritto di proprietà” (cfr pag. 6 della perizia ***).

3.3. Deve invece trovare accoglimento la domanda relativa alla regolarizzazione o comunque all’eliminazione delle luci sulla parete (lato nord) a confine con il terreno dell’attore.

Tali luci (peraltro raffigurate nelle riproduzioni fotografiche in atti) sono state realizzate in esecuzione della sentenza n. 3/2012 resa da questo Tribunale a definizione del giudizio n. 970/2006 RG (di cui però non vi è traccia in atti).

 La CTU, che anche su tale aspetto deve essere integralmente recepita, ha rilevato “le luci che si affacciano sul fondo del ricorrente sono poste ad altezza di mt 1.92 dal pavimento interno dei convenuti, quindi inferiore al disposto del Codice Civile; sono inoltre prive della prescritta rete metallica;” (cfr pag. 12 della CTU).

 In giurisprudenza, è stato chiarito che “Nell’ipotesi di luce irregolare, il vicino ha il diritto, previsto dal secondo comma dell’art. 902 c.c., di esigere che tale apertura sia resa conforme alle prescrizioni di cui all’art. 901 c.c., ovvero di chiuderla acquistando la comunione del muro ed appoggiarvi la propria fabbrica, o costruendo in aderenza. In particolare, la regolarizzazione dell’apertura irregolare comporta la necessità di dotarla dei tre requisiti strutturali previsti dall’art. 901 c.c. e cioè: l’inferriata, la grata in metallo e l’altezza. L’inferriata serve a garantire la sicurezza del vicino (si ritiene, infatti, sicura un’inferriata di dimensioni tali da impedire il passaggio di una persona); la grata serve ad impedire l’immissione nel fondo del vicino di cose gettate dalla finestra; l’altezza minima, sia interna che esterna, serve ad impedire l’esercizio della veduta sul fondo vicino. Con l’ulteriore precisazione che tutti gli elementi sono essenziali e che nessun elemento componente dell’apertura, come davanzale o grata metallica, deve fuoriuscire dal profilo esterno del muro, nel quale la luce è realizzata” (cfr Cass Civ Sez II, 10.2.2013 n. 512).

 Le considerazioni svolte dai convenuti (in sede di osservazioni alla CTU) relative alla necessità di adeguare le caratteristiche delle luci alle disposizioni sanitarie ed al consenso della controparte non hanno in effetti trovato alcun riscontro nel corso del giudizio.

 In accoglimento della domanda, va ordinato ai convenuti di procedere alla regolarizzazione delle luci nel rispetto di quanto previsto dall’art. 901 cod civ.

3.4. Parimenti fondata deve ritenersi in ultimo l’ulteriore domanda proposta dall’attore relativa all’eliminazione degli scoli di acqua sul proprio terreno.

Nel corso della CTU, a conferma di quanto rilevato nella relazione dell’ing. ***, è emerso che l’acqua raccolta dal discendente posto sulla proprietà dei convenuti “procede in discesa verso la proprietà dell’attore (il cui cancello d’ingresso è posto in corrispondenza del punto “D”), che vede il suo terreno invaso dalle acque meteoriche, comprese quelle raccolte dal discendente dei convenuti.Tale ultimo problema è di rilevante importanza in quanto, esaminando le due immagini d’insieme appena documentate, è possibile valutare che il terreno del ricorrente presenta un avvallamento al centro, quindi, l’acqua che lo raggiunge non riesce a defluire e ristagna” (cfr pag. 4 della CTU).

Durante l’accertamento tecnico, il consulente ha anche provveduto a suggerire alle parti una soluzione conciliativa del problema che può riassumersi nei termini di seguito indicati: “la parte convenuta dovrebbe provvedere a realizzare una griglia di raccolta delle acque (in corrispondenza del punto “D”, a protezione dell’intera apertura del cancello del ricorrente; b) intubare il proprio discendente ed incanalarlo in una condotta che raccoglierebbe anche l’acqua della griglia succitata; c) in tal modo, oltre l’acqua del convenuto, verrebbe fermata e raccolta anche la porzione proveniente dal resto del paese sovrastante; d) la condotta così realizzata, percorrerebbe marginalmente, lungo il lato Ovest, il fondo del ricorrente, finendo per scaricare tutta l’acqua che oggi invade il fondo dell’attore sulla viabilità pubblica sottostante” (cfr pag. 5 della CTU).

In punto di diritto, alcun dubbio può nutrirsi circa l’applicazione al caso di specie dell’art. 908 cod civ posto che anche la giurisprudenza ha chiarito che “Le acque che cadono dai tetti, ovvero quelle provenienti da acquai e balconi non rientrano nella prescrizione dell’art. 913 c.c., trattandosi di scoli che non intervengono naturalmente, ma per opera dell’uomo. Pertanto, è applicabile la disciplina relativa alle servitù di scolo, ovvero la regolamentazione di cui all’art. 908 c.c. relativa allo scarico delle acque piovane” (cfr Trib Messina, Sez II, 1.2.2006).  Nell’assenza di elementi idonei a consentire un diverso inquadramento dei fatti, la domanda non può che essere accolta.

Ne discende che ai convenuti deve essere ordinata l’esecuzione dei lavori indicati nella CTU al fine di impedire lo scolo dell’acqua piovana dal tetto di loro proprietà.

4.  Resta a questo punto da vagliare la domanda di risarcimento danni.

Costituisce principio condiviso che in tema di violazione delle distanze legali (art. 872 e 873 c.c.), il risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa ex art. 2056 c.c. a seguito di indagine essenzialmente critica e valutativa tipica della consulenza tecnica, è “in re ipsa”.

Nel diverso caso, della regolarizzazione delle luci e dello scarico delle acque, la tutela risarcitoria è di contro subordinata alla effettiva sussistenza di un pregiudizio che la parte che agisce è tenuta non solo ad allegare, ma anche a dimostrare (nel rispetto dei principi di ordine generale in tema di riparto dell’onere della prova).

Nel caso di specie, invece, l’attore si è limitato a dedurre la lesione del generale principio del neminem laedere e del diritto di proprietà senza però corroborare, come di contro avrebbe dovuto essere, la propria prospettazione con elementi (anche soltanto a livello di mera allegazione) in grado di consentire di verificare l’effettiva sussistenza di un pregiudizio sofferto idoneo a riconoscere la pretesa risarcitoria liquidabile anche in via equitativa.

5.  In ultimo, le spese di lite, alla luce dell’esito del giudizio, devono essere compensate nella misura della metà.

Considerato che, alla luce delle nuove disposizioni in materia ( art 4 D.M. nr 55 del 10 marzo 2014 e successive modifiche), il compenso del professionista è determinato con riferimento ai seguenti parametri generali:

a)      valore e natura della pratica;

b)      importanza, difficoltà, complessità della pratica;

c)      condizioni di urgenza per l’espletamento dell’incarico;

d)      risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente;

e)      pregio dell’opera prestata;

Tenuto conto dell’opera prestata e delle attività svolte dall’avvocato, si reputa congruo liquidare in favore dell’attore   la somma di € 62,50 (pari ad ½ di € 125,00) pe spese e di € 1.000,00(pari ad ½ di € 2.000,00) per compensi professionali attenendosi ai valori medi di liquidazione di cui alla Tabella A del DM 55del 10 marzo 2014 e successive modifiche (valore della controversia da €  1.100,01 ad € 5.200,00 con applicazione dei valori medi ridotti nel limite del 50%) oltre al 15%, calcolato su detto importo, dovuto per spese forfetarie così come espressamente previsto dal citato decreto.

Le spese di CTU vanno definitivamente poste  a carico delle parti in egual misura.

PQM

Il Tribunale di Avezzano nella causa iscritta al n /2016 RG affari contenziosi, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, definitivamente pronunziando così provvede:

a)      in accoglimento della domanda, ordina ai ai convenuti di procedere alla regolarizzazione delle luci nel rispetto di quanto previsto dall’art. 901 cod civ.;

b)     in accoglimento della domanda ordina ai convenuti l’esecuzione dei lavori indicati nella CTU al fine di impedire lo scolo dell’acqua piovana dal tetto di loro proprietà.

c)      rigetta nel resto le domande attoree;

d)     condanna i convenuti in solido tra di loro alla rifusione in favore dell’attore delle spese di lite che liquida in € 62,50 per spese ed in € 1.000,00 per compensi professionali oltre al 15%, calcolato su detto importo, dovuto per spese forfetarie; IVA e CPA dovuti come per legge;

e)      pone le spese di CTU definitivamente  a carico delle parti in egual misura.

Così deciso in Avezzano nella camera  di consiglio del 30 marzo 2019

IL GIUDICE

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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